MASTER
NEGATIVE
NO. 92-80700
MICROFILMED 1992
COLUMBIA UNIVERSITY LIBRARIES/NEW YORK
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AUTHOR:
D'ANNUNZIO, GABRIELE
TITLE:
SAN PANTALEONE
PLACE:
FIRENZE
DA TE :
1886
Master Negative #
COLUMBIA UNIVERSITY LIBRARIES
PRESERVATION DEPARTMENT
'=iX-^?oo-^
BIBLIOGRAPHIC MICROiFORM TARGET
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855An78
M2
Annunzio, Gabriele d', 1863- 1938.
... San Pantaleone. Firenze, G. Barbera, 1886.
2 p. 1., 380 p., 1 1. 19«».
Another collection with different content was published with the
same title, imprint and date (vl, 359 p., 1 1.)
Contents. -— San Pantaleone. — Annali d'Anna. — L'idillio della ve-
dova.— La siesta.— La morte di Sancio Panza.— II commiato.— La con-
tessa d'Amalfl.— Turlendana ritorna.— La fine di Candia.— I marenghi —
Munj^iii.- La fattura.— II martirio di Gialluca.— La guerra del ponte
Capitolo di cronaca pescarese.- L'eroe.— Turlendana ebro.— San L^imo
D855/vn7TOp^'^in Paterno. 1886.
TX I. Title. ,
Library of Congress
PQ4803.S2 ISSCa
29-10798
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SAN PANTALEONE.
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GABEIELE DANNUNZIO.
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SAN PANTALEONE.
FIRENZE,
G. BARBERA, EDITORE.
1886.
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Compiute le formalita prescritte dalla Legge. i diritti di ripro-
duzione e traduzione sono riservati.
5*
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SAN PANTALEONE.
1.
La gran piazza sabbiosa scintillava come sparsa
di pomice in polvere. Tutte le case a torna im-
biancate di calce avevano una singolare lumino-
sita metallica, parevano come muraglie d' una im-
mensa fornace presso ad estinguersi. In fondo, i
pilastri di pietra della chiesa riverberavano 1' ir-
radiamento delle nuvole e si facevano rossi come
di granite ; le vetrate balenavano quasi contenes-
sero lo scoppio d' un incendio interno ; le figura-
zioni sacre prendevano un' aria viva di colori e di
attitudini ; tutta la mole ora, sotto lo splendore
del nuovo fenomeno crepuscolare, assuraeva una
pill alta potenza di dominio su le case dei Ra-
dusani.
Volgevano dalle strade alia piazza gruppi d'uo-
mini e di femmine vocifer^do e gesticolando. In
\
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D' Anndnzio.
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^AN PANTALEONE.
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\.
\ tutti ij animi il terrore superstizioso ingigantiva
rapidaraente ; da tutte quelle fantasie incolte mille
Ymagini terribili di castigo divino si levavano ; i
commenti, le contestazioni ardenti, le scongiura-
zioni lamentevoli, i racconti sconnessi, le preghiere,
le grida si mescevano in un romorio cupo d' ura-
* gano presso ad irrompere. Gia da piu giorni quel
rossori sanguigni indugiavano nel cielo dopo il
tramonto, invadevano le tranqiiillita della notte,
illuminavano tragicaraente i sonni delle campagne,
suscitavano li urli dei cani.
" Giacobbe ! Giacobbe ! " gridavano, agitando
le braccia, alcuni che fin allora avevano parlato a
voce bassa, innanzi alia chiesa, stretti in torno a
un pilastro del vestibolo. "" Giacobbe! "^
Usciva dalla porta madre e si accostava alii
appellanti un uomo lungo e macilento die pareva
infermo di febbre etica, calvo su la sommita del
cranio e corona.to alle tenipie e alia nuca di certi
lunghi capelli rossicci. I suoi piccoli ocelli cavi
erano animati come dall' ardore di una passione
profonda, un po' convergenti verso la radice del
naso, d' un colore incerto. La mancanza dei due
denti d' avanti 'nella mascella superiore dava al-
r atto della sua bocca nel profferire le parole e al
moto del mento aguzzo sparso di peli una singo-
\
^1
(M
SAN PANTALEONE. ' 3
lare apparenza di senilita faunesca. Tutto il resto
del corpo era una miserabile architettura di ossa
mal celata nei panni; e su le mani, su i polsi,
su '1 riverso delle braccia, su '1 petto la cute
era plena di segni turchini, di incisioni fatte a
punta di spillo e a [solvere d' indaco, in memoria
de' santuari visitati, delle grazie ricevute, dei voti
sciolti.
Come il fanatico giunse presso al gruppo del
pilastro, una confusione di domande si levo da
quelli uomini ansiosi. — Dunque? Che aveva detto
Don Console? Facevano uscire soltanto il braccio
d' argento ? E tutto il busto iion era meglio ?
Quando tornava Pallura con le candele? Erano
cento libbre di cera? Soltanto cento libbre? E
quando cominciavano le campane a sonare? Dun-
que? Dunque? —
I clamori aumentarono in torno a Giacobbe;
i piu lontani si strinsero verso la chiesa ; da tutte
le strade la gente si riverso su la piazza e la
riempi. E Giacobbe rispondeva alii interroganti,
parlava a voce bassa, come se rivelasse dei segreti
terribili, come se apportasse delle profezie da Ion-
tan o. Egli aveva veduto nelF alto, in mezzo al
sangue, una mano minacciosa, e poi un velo nero,
e poi una spada e una tromba....
4 SAN PANTALEONE.
"Racconta! racconta ! " iiicitavaiio li altri,
^uardandosi in faccia, presi da una straiia avidita
di ascoltare cose meravigliose ; inontre la favola
di bocca in bocca si spandeva rapidaniente per la
moltitiidine assembrata.
II.
La gran plaga vermiglia dalP orizzonte saliva
lentamente verso lo zenit, tendeva ad occupare
tutta la cupola del cielo. Un vapore di nietallo in
fusione pareva ondeggiare su i tetti dclle case;
e nel chiarore discendente dal crepuscolo raggi
gialli e violetti si niescolavano con un treniolio
d' iridescenza. Una lunga strlscia piii luniinosa
fuggiva verso una strada sboccante su V argine
del fiume ; e s' intravedeva al fondo il tianinieg-
jriamento delle accpie tra i fusti lunghi e sniilzi
dei pioppetti ; poi un lembo di campagna asiatica,
dove le veccliie torri saracene si levavano confu-
samente come isolotti di pietra fra le caligini. Le
emanazioni affocanti del iiono niietuto si spande-
vano neir aria ; era a tratti come un odore di ba-
clii putretatti tra la frasca. Stuoli di rondini at-
traversavano lo spazio con niolto scliiamazzo di
stridi, trafficando dai greti del tiume alle gronde.
-I
i
SAN PANTAL-EONE. 5
Nella moltitudine il mormorio era interrotto
da silenzi di aspettazione. II nome di Pallura cir-
colava per le bocclie ; impazienze irose scoppiavano
rnia e la. Luugo la strada del fiume non si ve-
deva aucora a])parire il traino ; le candele man-
cavano ; Don Console indugiava per questo ad
es[)orre le reli(]uie, a fare li esorcismi ; e il peri-
colo soprastava. II panico invadeva tutta quella
gente annuassata come una mandra di bestie, non
osante i)iii di sollevare li ocelli al cielo. Dai petti
delle feminine cominciarono a rompere i singliiozzi;
e una costernazione suprema oppresse e istupidi
le coscienze al suono di quel pianto.
Allora le cam})ane finalmente squillarono. Come
i l)ronzi stavano a poca altezza, il fremito cupo
del rintocco sfioro tuttc le teste ; e una specie di
ululate continue si propagava uelF aria, tra un
colpo e r altro.
" San Pantaleone ! San Pantaleone ! "
Fu un immenso grido unanime di disperati clie
cliiedevano aiuto. Tutti, in ginocchio, con le mani
tese, con la faccia bianca, imploravario.
San Pantaleone ! "
xVpparve sulla porta dclla chiesa, in mezzo al
fnmo di due turiboli, Don Console scintillante in
una pianeta violetta a ricami d' oro. Egli teneva
6 • SAN PANTALEONK.
in alto il sacro braccio cV argento, e scongiurava
V aria gridaiido le parole latine :
"" Ut fidclihits titis acris serenitatcm conccdere
digneris. Te rogamns, audi nos.''
L' apparizioue della reliqiiia inise un delirio di
tenerezza nella inoltitiidine. Scorrevano lagrime da
tiitti li occhi ; e a traverso il velo liicido delle la-
grime li occhi vedevaiio un miracoloso fulgore ce-
leste emanare dalle tre dita in alto atteggiate a
benedire. La figura del braccio pareva ora piii
grande neir aria accesa; i raggi crepuscolari su-
scitavano barbagli variissinii iielle pietro preziose;
il balsamo delF incenso si spargeva rapidanicnte
per le nari devote.
" Te roijamiis, audi nos!
Ma, quando il l)raccio rientro e le campaue si
arrestarono, iiel momentaneo silenzio un tintinnio
prossimo di sonagli si udi, che veniva dalla strada
del fiume. E avvenne allora un repentino inovi-
mento di concorso verso quel lato; e niolti di-
cevano :
"" E Pallura con le candele ! E Pallura che
arriva ! Ecco Pallura ! ''
II traino si avanzava scricchiolando su la ghiaia,
al passo di una pesante cavalla grigia a cui il
gran corno d' ottone lucido brillava, simile a una
SAN PANTALKONE. 7
bella mezzaluna, su la groppa. Come Giacobbe e
li altri si fecero in contro, la pacifica bestia si
IVrmo soffiando forte dalle narici. E Giacobbe, che
s' accosto prime, subito vide disteso in fondo al
traino il corpo di Pallura tutto sanguinante, e si
mise a urlare agitando le braccia verso la folia :
E morto ! E morto ! ''
ft I.T
III.
La trista novella si propago in un baleno. La
gonte si accalcava in torno al traino, tendeva il
collo per v(Mlere qualche cosa, non pensava piii
alio minaccc deir alto, colpita dal nuovo caso
inaspettato, invasa da quolla natural curiosita fe-
roce che li uomini lianno in conspetto del sangue.
" E morto ? Come e morto ? "
Pallura giaceva supino sulle tavole, con una
larga ferita in mezzo alia fronte, con un orecchio
lacerate, con delli strappi per le braccia, nei fian-
chi, in una coscia. Un rivo tiepido gli colava per
il cavo delli occhi giii giii sino al mento ed al
collo, gli chiazzava la camicia, gli formava dei
grumi nerastri c lucenti su '1 petto, sulla cintola
di cuoio, tin sulle brache. Giacobbe stava chino
sopra quel corpo; tutti li altri a torno attende-
8 ■ SAN PANTALEONE.
.vano; una luce d' aurora illuminava i volti por-
plessi ; e, in quel momento di silenzio, dalla riva
del fiume si levava il cantico delle rane, e i i)ii)i-
strelli passavano e- ripassavano rasente le teste.
D' iinprovviso Giacobbe drizzandosi, (:ou una
gota macchiata di sangue, grido :
" Non e morto. Respira ancora."
Un mormorio sordo corse per la folia, e i piii
vicini si protesero per guardarc ; e V inquietudine
dei lontani comincio a ronipere in clamori. Due
donne portarono un boccale d' acqua, un' altra
porto de'brandelli di tela; un giovinctto otferse
una zucca plena di vino. Fu lavata la faecia al
ferito, fu fermato il flusso del sangue alia. fronte,
fu rialzato il capo. Sorsero quindi alte le voci,
chiedendo le cause del fatto. — Le cento libl)re di
cera mancavano.; appena pochi frantumi di caiidela
rimanevano tra li interstizi delle tavole nel fondo
del traino.
I giudizi, in mezzo al .sommovimento, di piii
in ])m si accendevano e e' inasprivano e cozzavano.
E come un antico odio ereditario ferveva contro
, il paese di Mascalico, posto di contro su V altra
riva del fiume, Giacobbe disse con la voce rauca,
velenosamente :
'' Che i ceri sieno serviti a San Gonselvo?
SAN PANTALEONE.
9
A-
<-■. ■)■)
Allora fu come una scintilla d' incendio. Lo
spirito di cliiesa si risveglio d' un tratto in quella
gente abbrutita per tanti anni nel culto cieco e
feroce d(^l suo unico idolo. Le parole del fanatico
di bocca in bocca si pro]»agarono. E sotto il ros-
sore tragico del crepuscolo, -la moltitudine tumul-
tuante aveva apparenza d' una tribu di zingari
ammutinati.
II nome del santo rompeva da tutte le gole,
come un grido di guerra. I piii ardenti gittavano
Imprecazioni contro la parte del fiume, agitando
le braccia, tendendo i pugni. Poi, tutti quel volti
accesi dalla collera e dalla luce, larghi e possenti,
a cui i cerchi d' oro delli oi-ecclii e il gran ciuifo
della fronte davano uno strano aspetto di barba-
ric, tutti quel volti si tesero verso il giacente, si
addolcirono di misericordia. Ci fu in torno al traino
una sollecitudine pietosa di femmine clie volevano
rianimare V agonizzante : tante mani amorevoli gli
cambiarono le strisce di tela su le ferite, gli spruz-
zarono d' acqua la faecia, gli accostarono alle lab-
bra bianche la zucca del vino, gli composero una
specie di guanciale piii molle sotto la testa.
'' Pallura, povero Pallura, non rispondi? "
Egli stava supino, con gli occhi cliiusi, con la
bocca semiaperta, con una lanugine bruna sulle
10
SAN PANTALKOXE.
SAN PANTALEONK.
11
gote e su '1 mento, con una mite belta di giovi-
nezza ancora trasparente dai tratti tesi nella con-
vulsiono del dolore. Di sotto alia fasciatiira della
fronte gli colava iin til di sangue giu per la teni-
pia; alii angoli della bocca apparivano piecole bollo
di schiuma. rossigna ; e dalla gola gli usciva una
specie di sibilo tioco, interrotto, come il suono del
gargarismo d' un malato. In torno a lui le cure,
le domande, li sguardi febbrili crescevano. La ca-
valla ogni tanto scotova la testa e nitriva verso
le case. Un' atmosfera come d' uragano imminente
pesava su tutto il paese.
S' intesero allora grida femminili verso la piaz-
za, grida di madre, clie parvero piii alte in mezzo
al subitaneo animutolimento di tutte le altre voci.
E una donna enorme, tutta soffocata di adipe, at-
traverso la folia, giunse gridando presso il traino.
Come ella era grave e non poteva salirvi, s' ab-
batte su i piedi del iiglio, con parole (P amore tra
i singhiozzi, con laceramenti cosi acuti di voce
rotta c con una espressione di dolore cosi terri-
biltnente comica che per tutti li astanti corse un
brivido e tutti rivolsero altrove la faccia.
" Zaccheo ! Zaccheo ! cuore mio ! gioia mia !..."
gridava la vedova, senza tinire, l)acian(lo i piedi
del ferito. attracndolo a se verso terra.
i
"I
II ferito si rijnosse, torse la bocca per lo spa-
simo, apri li occlii verso V alto; ma certo non pote
vedere, perche una specie di pellicola umida gli
copriva lo sguardo. Grosse lacrime cominciarono a
sgorgargli dalli angoli delle palpebre e a scorrere
gill per le guance e pe '1 collo ; la bocca gli ri-
mase torta ; nel sibilo fioco della gola si senti un
vano sforzo di favella. E in torno incalzavano:
" Parla, Pallura ! Chi t' ha ferito ? Chi t' ha
• ferito ? Parla ! Parla ! "
E sotto la domanda fremevano le ire, si ad-
densavano i furori, un sordo tumulto di vendica-
zione si riscoteva, e V odio ereditario ribolliva
neir animo di tutti.
^ Parla ! Chi t' ha ferito ? Dillo a noi ! Dillo
a noi ! " ■
II moribondo apri li occhi un' altra volta ; e
come gli tenevano serrate ambo le mani, forse per
quel vivo contatto di calore li spiriti un istante
gli si ridestarono, lo sguardo si illuinino, egli ebbe
su le labbra un ball)ettamento vago, tra la schiuma
che sopravveniva piii copiosa e piii sanguigna. Non
si capivano ancora le parole. Si udi nel silenzio
la respirazione della. moltitudine anelante, e li oc-
chi ebbero in fondo una hanima, poiche tutti li
animi attendevano una parola sola.
SAN PANTALEONE.
a.... !Ma.... Ma.... scalico....
n
4
12
^ Mascalico ! Mascalico ! " urlo Giacobbe clie
stava chino, con T orcccliio teso, ad art'errare Ic
sillabe tievoli da qiiella bocca di iiiorente.
Uii fragore innnenso aci'olso il giido. Nolla
iiioltitudiiie fu da prima iiii inaiTu-uiaineiito con-
fuso di tempesta. Poi, quaiido una voce sovev-
cliiante il tuniulto gilto V allarnie, la nioltitudinc
a furia si sbando. Un pensicro solo incalzaVa quelli
uomini, un pensiero clie [)aroa fosse balenato a
tutte le monti in un attinio: annarsi di (pialclie
cosa per colijirc. Su tutte le coscienze instava una
specie di fatalita sanguinaria, sotto il gran cliiaror
torvo del crepuscolo, in nie/zf> air odore elettiico
enianantc dalla canipagna ansio.sa.
IV.
E la falange, arniata di falci, di ronche, di
scuri, di zappi*, di scliioppi, si riuni su la piazza,
dinanzi alia chiesa. E tutti gri^lavano :
"" San Pantaleone I ''
Don Consolo, atterrito dallo schiamazzo, s' era
rifugiato in fondo a uno stallo, dietro V altare. Un
manipolo di fanatici, condotto da (iiacobbe, pene-
tro nella cappella maggiore, forzo le grate di
SAN PANTALEONE.
13
l)ronzo, giunse nel sotterraneo, dove il busto del
santo si custodiva. Tre lampade, alimentate d' olio
d' oliva, ardevano dolcemente nell' aria umida del
sacrario ; dietro un cristallo, V idolo cristiano scin-
tilla va con la testa bianca in mezzo a un gran
disco solare ; e le pareti sparivano sotto la ric-
cliezza dei doni.
Quando 1' idolo, portato su le spalle da quattro
ercoli, si mostro aliine tra i pilasfri del vestibolo,
e s'irraggio alia luce aurorale, un lungo anelito
di passione corse il popolo aspettante, un fremito
come d' un vento di gioia volo sopra tutte le
fronti. E la colonna si mosse; e la testa enorme
del santo os(!illava in alto, guardando innanzi a se
dalle due orbite vuote.
Nel cielo ora, in mezzo all' accensione eguale
e cupa, a tratti passavano de' solchi di meteore
pill vive; griippi di nuvole sottili si distaccavano
dalPorlo della zona, e galleggiavano lentamente
dissolvendosi. Tutto il paese di Ptadusa appariva
dietro come un monte di cenere che covasse il
fuoco ; e, dinanzi, le masse della campagna si per-
devano con un luccichio indistinto. Un gran can-
tico di rane emi)iva la sonorita della solitudine.
Sulla strada del tiume il traiiio di Pallura fece
ostacolo air incedere. Era vuoto, ma conservava
C *j'*-^,-.-.&2.
u
SAN PANTALEONE.
tracce di saiigiie in piii parti. Iinprecazioni ivose
scoppiarono d' iinprovviso iiel silenzio. (iiacobbe
giido:
"" ^lettiamoci il santo ! "
E il l)usto fii posato sii le tavole e tirato a
forza di braccia nel guado. La processioiie di l)at-
taglia cosi attraversava il confine. Lungo le file
correvano lampi metallici; le acque invase roni-
pevano in sprazzi luniinosi, e tutta una coiTcnte
rossa fianuneggiava fra i pioppctti, nel lontano,
verso le torri quadrangolai-i. Masoalieo si scorgeva
su una piccola altura. in mezzo alii olivi, dormente.
I cani abbaiavano (pin c la, con una furiosa per-
sistenza di risposte. La colonna, uscita dal guado,
abbandonando la via coniune, avanzava a passi ra-
pidi per una linea diretta clie tagliava i campi. II
busto d' argento era portato di nuovo sulle spalle,
dominava le teste delli uoniini tra il grano altis-
simo, odorante e tutto stellante di lucciole vive.
D' iniprovviso, un pastore, clie stava dentro un
covile di paglia a guardare il grano, invaso da un
pazzo sbigottimento in cospetto di tanta gente ar-
mata, si diede a fuggire su per la costa, stril-
lando a squarciagola r
~ Aiuto ! aiuto ! "
E li strilli echeggiavano nelP oliveto.
SAN PANTALEONE.
15
Allora fu clie i Radusani fecero impeto. Era i
tronchi delli alberi, fra le canne secche, il santo
di argento traballava, dava tintinni sonori alii urti
dei rami, sMIluminava di lampi vivissimi ad ogni
accenno di precipizio. Died, dodici, venti schiop-
pettate grandinarono in un l)alenio vibrante, una
dopo r altra su la massa delle case. Si udirono dei
crepiti, poi delle grida; poi si udi un gran som-
movimento clamoroso: alcune porte si aprirono,
altre si cliiusero; caddero dei vetri in frantumi,
caddero dei vasi di basilico, spezzati su la via. Un
fumo bianco si levava nelP aria placidamente, die-
tro la corsa delli assalitori, su per V incandescenza
celeste. Tutti, accecati, in una furia bestiale, gri-
da vano :
'' A morte ! A morte ! "
Vn grup])o di fanatici si manteneva in torno a
san Pantaleone. Vitupcrii atroci contro san Gon-
selvo irrompevano tra T agitazione delle faici e
delle ronclie ])randite.
'' Ladro ! Ladro ! Pezzente ! Le candele ! Le
candele ! ''
Altri gruppi prendevano d'assalto le porte delle
case, a colpi iV accetta. E come le porte sganghe-
rate e scheggiate cadevano, i Pantaleonidi salta-.
vano neirinterno urlando, per uccidere. Femmine
16
SAN PANTALEONE.
seminude si rifugiavano nelli aiigoli, implorando
pieta; si difendevaiio dai colpi, afferrando learini
e tagliaiidosi le dita ; rotolavano distese su '1 pa-
viniento, in mezzo a mucchi di copeijte e di leiizuoli
da cui uscivano le loro flosce canii niitrite di rape.
Giacobbe alto, agile e rossastro come iin can-
guro, duce della persecuzione, si arrestava ad ogni
tratto per fare dei larglii gesti imperatorii sopra
tutte le teste con una gran fake fienaia. Andava
innanzi, impavido, senza piu cappello, nel nome di
san Pantaleone. Piu di trenta uomini lo seguivano.
E tutti avevano la sensazione confusa e ottusa di
camminare in mezzo a uu incendio, sopra un ter-
rene oscillance, sotto una volta ardente die fosse
per crollare.
Ma da ogni parte cominciarono ad accorrere i
difensori, i Mascalicesi forti e neri come nmlatti,
sangiiinari, clie si battevano con liinghi coltelli a
scatto, e tiravano al ventre e alia gola, accompa-
gnando di voci giitturali il colpo. La mischia si
ritraeva a poco a poco verso la chiesa; dai tetti
di due tre case gia scoppiavano le iiamme ; un' orda
di femmine e di fanciulli fuggiva a precipizio tra li
olivi, presa dai panico, senza piu lume nelli occlii.
Allora tra i masclii, senza impedimento di la-
grime e di lamenti, la lotta a corpo a corpo si
SAN PANTALEONE.
17
strinse piu feroce. Sotto il cielo color di ruggine,
il terrene si copriva di cadaveri. Stridevano vitu-
perii mozzi tra i denti dei colpiti; e continue tra
i clamori persisteva il grido dei Radusani :
'' Le candele ! Le candele ! "
Ma la porta della chiesa restava sbarrata, enor-
me, tutta di quercia, stellante di cliiodi. I Masca-
licesi la difendevano contro li urti e contro le scuri.
II santo iV argento, impassibile e bianco, oscillava
nel folto della mischia, ancora sostenuto su le spalle
dei quattro ercoli che sanguinavano tutti dalla
testa ai piedi, non volendo cadere. Ed era nel
supremo vote delli assalitori mettere 1' idolo su
r altare del neniico.
Ora mentre i ]\Lascalicesi si battevano da leoni,
prodigiosamente, su '1 gradino di pietra, Giacobbe
disparve all' improvviso, giro il fiance delF edifi-
zio, cercando un varco non difeso per penetrare
nel sacrario. E come vide un' apertura a poca
altezza da terra, vi si arrampico, vi rimase te-
nuto ai fianchi dall' angustia, vi si contorse, fin
che non giujise a far passare il suo lungo corpo
gill per lo spiraglio. II cordiale aroma delP in-
cense vaniva jiella solitudine della casa di Die.
A tentoni nel buio, guidato dai fragore della pu-
gna esterna, quelP uomo camraino verso la porta,
D'AxNuszio. 2
18
SAN PAKTALEONE.
SAN PANTALEONE.
19
inciampando nelle seilie, fereiulosi alia faccia, alle
mani. Rimbombava gia il lavorio furioso dcUe ac-
cette radusane su la durezza della querela, qiiando
egli comincic) con un ferro a forzare le serrature,
anelante, soffocato da una violenta palpitazione di
anlbascia clie gli diniinuiva la forza, con do' ba-
gliori fatui nella vista, con le ferite die gli dole-
vano e gli mettevano un' onda tiepida giu per
la cute.
"" San Pantaleone ! San Pantaleone ! "" grida-
rono di fuori le voci rauclie de' suoi clie sentivano
cedere lentaniente la porta, raddoppiando li urti e
i colpi di scure. A traverso il legno giungeva lo
schianto grave dei corpi die straniazzavano, il colpo
secco del coltello die indiiodava la qualcnno per
le reni. E un gran sentimento, simile alia divina
sollevazione d' aninio d' un eroe die salvi la patria,
ferveva allora in quel pitocco bestiale.
V.
Dopo un ultimo sforzo, la porta si apii. 1 Ila-
dusani si preciiiitarono con un immenso urlo di
vittoria, passando su i corpi delli uccisi, traendo
il santo d' argento all' altare. E una viva oscilla-
zione di riverberi invade d' un tratto 1' oscurita
It
^ della navata, fece brillare 1' oro dei candelabri, le
> canne delP organo, in alto. E in qud chiaror fulvo
die or si or no dalF incendio delle prossime case
^ vibrava dentro, una seconda lotta si strinse. I corpi
^ avviluppati rotolavano su i mattoni, non si distac-
cavano piu, balzavano insieme qua e la nei divin-
colamenti della rabbia, urtavano e finivano sotto
le panclie, su i gradini delle cappelle, contro li
spigoli dei confessionali. Nella concavita raccolta
della casa di Dio, il suono agghiacciante del ferro
die penetra nolle carni o che scivola su le ossa,
quell' unico gemito rotto dell' uomo die e colpito
in una parte vitale, qudlo scricchiolio che da la
cassa del cranio nelP infrangersi al colpo, il rug-
gito di clii non vuol morire, V ilarita atroce di chi
e giunto ad uccidere, tutto distintamente si riper-
coteva. E un mite odore svanito d' incenso vagava
su '1 conflitto.
L' idolo d' argento non anclie aveva attinto la
gloria deir altare, poiche un cercliio ostile ne pre-
dudeva V accesso. Giacobbe si batteva con la falce,
ferito in piu parti, senza cedere un palmo del gra-
dino die prime aveva conquistato. Non rimanevano
die due a sorreggere il santo: 1' enorme testa
bianca barcollava in un ondeggiamento grottesco
di mascliera ubriaca. I Mascalicesi imperversavano.
20
SAN PANTALKONE.
Alloni san Pantaleone cadde su 1 payiinonto,
(laiido un tintinno vivo e vibrante. Come Giacobbe
si slancio per rialzarlo, un gran diavolo d' uomo
con un colpo di ronca stese il nemico su la schiena.
Due volte questi si rialzo, e altri due colpi lo ri-
gettarono. II sangue gP inondava tutta la faccia
e il petto e le niani; ma pure egli si ostinava a
riavventarsi. Inviperiti da quella feroce tenacita
di vita, tre, quattro, cimiue bifolchi insieme gli
diedero a furia nel ventre d' onde le viscere sgor-
garono. II fanatico cadde riverso, batte la nuca
su '1 busto d' argento, si rivolto d' un tratto boc-
coni con la faccia contro il metallo, con le braccia
distese innanzi, con le gambe contratte. E san Pan-
taleone fu perduto.
ANNALI D'ANNA.
L
Luca Minella, nato nel 1789 a Ortona in una
delle cAse di Porta-Caldara, fu marinaio. Nella
pi-ima giovinezza navigo per qualche tempo su '1
trabaccolo Santa Liherata, dalla rada di Ortona
ai porti della Dalmazia, caricando legnami, fru-
mento e frutta secche. Poi, per vaghezza di cam-
biar padrone, si mise al servizio di Don Eocco
Panzavacante, e su una tanecca nuova fece molti
viaggi in commercio d'agrumi al promontorio di
Roto, che e una grande e dilettosa altura su la
costa italica, tutta coperta da una selva di aranci
e di limcni.
Su i ventisette anni egli si accese d' amore
per Francesca Nobile ; e dopo alcuni mesi strinse
le nozze.
Luca, uomo di statura bassa e fortissimo,
22
ANNALI d' anna.
aveva una dolce barba bioiida intoriio al viso co-
lorito; e, come le feminine, alii orecchi portava
due cerchietti d' oro. Amava il vino e il tabacco ;
professava una devozione ardente per il santo
apostolo Tommaso; e, poicbe era di natura su-
perstizioso e incbinevole alio stupore, raccontava
singolari avventure e meraviglie dei paesi d' ol-
tremare e novellava delle genti dalmate e delle
isole adriatiche come di tribu e di terre pros-
sime al polo.
Francesca, donna di gioventu gia scbiusa, aveva
della razza ortonese la floridissima carne e i li-
neament! molli. Ella amava la cbiesa, le funzioni
religiose, le pompe sacre, le musicbe dei tridiii;
viveva in gran semplicita di costumi ; e, poicbe la
sua intelligenza era fievole, credeva le piu incre-
dibili cose e lodava in ogni suo atto il Signore.
Dal congiungimento nacque Anna; e fu nel
mese di giugno del 1817. Siccome il parto veniva
difficile e si temeva di qualche sventura, il Sacra-
mento del battesimo fu amministrato su '1 ventre
della madre, prima cbe uscisse alia luce V infante.
Dopo molto travaglio il parto si compi. La crea-
tura bevve il latte dalle manmielle materne e
crebbe in salute e in letizia. Francesca scendeva
verso sera alia marina, con la poppante su le brac-
ANNALI D' anna.
23
cia, quando la tanecca doveva tornare carica da
Eoto; e Luca sbarcando aveva la camicia. tutta
odorosa dei frutti meridionali. Risalendo insieme
verso le case alte, si fermavano allora un memento
alia cbiesa e s' inginoccbiavano. Nelle cappelle gia
ardevauo le lampade votive ; e in fondo, a traverso
i sette caiicelli di l)ronzo, il busto dell' Apostolo
luccicava come un tesoro. Le pregbiere invocavano
la benedizione celeste su '1 capo della figliuola.
Neir uscire, quando la madre bagnava la fronte
di Anna con V acijua della pila, li strilli infantili
ecbeggiavano a lungo per quelle navate sonanti
come grandi concbe di metallo puro.
L' infanzia di Anna passava pianamente, senza
alcuno avvenimento notevole. Nel maggio del 1823
ella fu vestita da cberubino, con una corona di
rose e un velo bianco; e confusa in mezzo alio
stuolo angelico, segui la processione tenendo in
mano un cero sottile. La madre nella cbiesa voile
sollevarla su le braccia per fade baciare il santo
protettore. Ma, come le altre madri sorreggenti li
altri cherubini spingevano in folia, uno dei ceri
appicco il fuoco al velo di Anna e d' improvviso
la liannna avvolse il corpo tenerello. Un moto di
paura si propago allora nella moltitudine, e cia-
scuno tentava essere primo ad uscire. Francesca,
24
ANNALl d' anna.
ANNAU d' anna.
25
se bene aveva le mani quasi impedite dal terrore,
riusci a strappare la veste ardente ; si strinse
coiitro il petto la tigliuola niida e traiuortita, e
gittandosi dietro ai fuggenti invocava Gcsu con
alte grida.
Per le ustioiii Anna stette inferma lungo tempo
ill perieolo. Ella giaceva nel letto, con P esile
faccia esangue, senza parlare, come fosse diveii-
tata muta; e aveva nelli occlii aperti e fissi
un' espressione di stupore iinmemore pin tosto clie
di dolore. Dopo quel tempo, ogni commovimento
troppo vivo le produceva nei nervi una convul-
sione.
Quando la temperie era dolce, la famiglia scen-
deva nella barca po '1 pasto della sera. Sotto la
tenda, Francesca accendeva il fuoco e su 1 fuoco
metteva i pesci : V odor cordiale delli alimenti si
spandeva lungo il Molo mescendosi al profumo
derivante dai verzieri della Villa Onofrii. II mare
dinanzi era cosi tranqnillo clie si udiva a pena tra
li scogli il risucchio, e 1' aria cosi limi)ida che la
punta di San Yito si ved(na in lontananza emer-
gere con tutto "il cuinnlo delle case. Luca si met-
teva a cantare, insieme con li altri uomini; Anna
faceva atto di aiutare la madre. Dopo il pasto,
come la luna saliva il cielo, i inarinai appresta-
i
vano la tanecca per salpare. Intanto Luca, nel ca-
lore del vino e del cibo, preso da quella sua na-
turale avidita di narrazioni mirabili, cominciava
a parlare dei litorali lontani. — C era, piu in la
di Pioto, una montagna tutta abitata dalle scim-
niie e da uomim cMV India, altissima, con piante
che producevano le pietre preziose.... — La moglie
e la figlia ascoltavano, in silenzio, attonite. Pol
le vele si spiegavano lungo li alberi lentamente,
tutte segnate di figure nere e di simboli catto-
lici, come vecchi gonfaloni della patria. E Luca
partiva.
Nel febbraio del LS2r) Francesca si sgravo
d' un bimbo morto. Nella primavera del 1830 Luca
voile condurre Anna al promontorio. Anna era
allora su T adolescenza. II viaggio fu felice. Nel-
I'alto mare incontrarono una nave di mercanti,
una gran nave die faceva cammino per forza di
immense vele blanche. I delfini nuotavano nella
scia ; r acqua si moveva dolcemente in torno, scin-
tillando, come se sopra vi galleggiassero tappet!
di penne di paone. Anna segui a lungo con li oc-
elli pieni di stupore la nave in lontananza. Poi
una specie di nuvola azzurra sorse su la linea .
deir orizzonte ; ed era la montagna fruttifera. Le
coste della Puglia si designavano a poco a poco
'I-
2 (J ANNA LI d' anna.
sotto il sole. 11 profuiuo delli agi-iiiui veniva spau-
dendosi neir aria gioviale. Quaudo Anna discese
su la riva, fu presa da un seuso di letizia; e stette
curiosa a guardare le piantagioni e li uoiuini na-
tivi del luogo. II padre la condusse nella casa di
una donna non giovane clie parlava con una lieve
bali)uzie. Ilestarono la due giorni. Anna vide una
volta il padre baciare la donna ospite su la bocca;
ma non coniprese. Al ritorno la tanecca era ca-
rica di aranci ; e il mare era aneora mite.
Anna conservo di quel viaggio un ricordo come
di sogno; e, poicbe ym' natura era taciturna, rac-
conto'non molte cose alle coctanee die la incal-
zavano d' interrogazioni.
n.
Nel maggio seguente, alle fe.te deir Apostolo
intervenne V arcivescovo di Orsogna. La clii(^sa era
tutta parata di drappi rossi e di fogliami d' oro ;
dinanzi ai cancelli di bronzo ardevano undici 1am-
pade d' argento lavorate dalli orefici per religione ;
e tutte le sere r orchestra sonava un oratorio
selenne con un bel coro di voci biancbe. II sabato
si doveva esporre il busto dell' Apostolo. I devoti
peregrinavano da tutti i paesi niarittimi e interni ;
ANNALI d' anna.
27
salivano la costa cantando e portando in niano i
voti, nel conspetto d'el mare.
Anna il venerdi fece la prima comunione. L' ar-
civescovo era un vecchio venerando e mite : quando
sollevava la mano per benedire, la gemma del-
Panello risplendeva simile a un occliio divino.
Anna, a pena senti su la lingua 1' ostia eucari-
stica, smarri la vista per un' improvvisa onda di
gaudio che le irrigo i capelli con la dolcezza d' un
bagno tiepido e odoroso. Dietro di lei un sussurro
correva nella moltitudine; allato, altre verginelle
prendevano il sacramento e chinavano la faccia
su '1 gradino, in gran compunzione.
La sera Francesca voile dormire, com' e co-
stume dei fedeli, su '1 pavimento della basilica,
aspettando 1' ostensione matutina del santo. Ella
era incinta da sette mesi, e molto 1' aHaticava il
peso del ventre. Su '1 pavimento i pellegrini gia-
cevano accunuilati ; dai loro corpi esalava il calore
e montava nell' aria. Alcune voci confuse uscivano
a tratti da qualche bocca inconscia nel sonno ; le
tiannnelle tremolavano e si riflettevano su V olio
nei bicchieri sospesi tra li archi ; e nei vani delle
larghe porte aperte scintillavano le stelle alia notte
primaverile.
Francesca veglio per due ore in travaglio, poi-
28
ANNALI I)' ANNA.
die r esalazione dei dormienti le dava la nausea.
Ma, determinata a resistere e a soffrire pe '1 bene
deir anima, vinta dalla stancliezza, piego alfine il
capo. Su r alba si desto. L' aspettazione cresceva
nelli animi dclli astanti e altra gente sopraggiun-
cveva: in ciascuno ardeva il desiderio d' essere
prinio a vedeie V Apostolo. Fu aperto il cancello
esterno; e il ronore dei cardini risono nitida-
niente nel silenzio, si ripercosse in tutti i cuori.
Fu aperto il secondo cancello, poi il terzo, poi il
quarto, il quinto, il sesto, 1' ultimo. Parve allora
come una tromba d' uragano investisse la molti-
tudine. La massa delli uoinini si precipito verso
il tabernacolo : grida acute squillarono nelF aria
mossa da quelF impeto ; dieci, (luindici persone ri-
masero scliiacciate e soffocate ; una pregliiera tu-
multuaria si levo.
I morti furono tratti fiiori alP aperto. II corpo
di Francesca, tutto contuse e livido, fu portato
alia famiglia. Molti curiosi in torno si accalcaro-
no; e i parent! gemevano compassionevolmente.
Anna, quando vide la madre distesa su '1 letto
tutta violacea nella faccia e macchiata di sangue,
cadde a terra senza conoscenza. Poi, per molti
mesi fu tormentata dalF cpilessia.
ANNALI d' anna.
29
III.
Neir estate del 1835 Luca partiva per un porto
della Grecia su '1 trabaccolo Trinita di Don Gio-
vanni Camaccione. Siccome egli aveva nelF animo
un segreto pensiero, prima di navigare vende le
masserizie e prego i parenti d' accogliere Anna
nella casa fin die egli non tornasse. Di la a qual-
clie tempo il trabaccolo torno carico di tidii sec-
clii e d'liva di Corinto, dopo. aver toccata la
spiaggia di Roto. Luca non era tra la ciurma ; e
si vocifero poi cir egli fosse rimasto nd 2^aese dei
portogalli con una femmina amorosa.
Anna si ricordava ddP antica ospite balbu-
ziente. Una gran tristezza allora discese ndla sua
vita. La casa dei parenti era sotto la strada orien-
tale, in vicinanza del Molo. I marinai venivano a
bere il vino in una stanza bassa, ove quasi tutto
il giorno le canzoni sonavano tra il fumo delle
pipe. Anna passava in mezzo ai bevitori portando
i boccali colmi ; e il prime istinto de' suoi pudori
si risvegliava a quel contatto assiduo, a quell' as-
sidua comunione di vita con uomini bestiali. Ad
ogni memento ella doveva soffrire i motti invere-
condi, le risa crudeli, i gesti ambigui, la malva-
30
ANNALl D' anna.
ANNALI d' anna.
31
gita delle ciurme inasprite dalle fatiche della na-
vigazione. Ella iioii osava lamontarsi, poiclie
mangiava il pane nella casa delli altri. Ma quel
supplizio di tutte le ore la reiideva ebete : una
imbecillita grave le opprimeva a poco a poco V in-
telligenza indebolita.
Per una naturale inclinazione affettiva delPani-
mo, ella poneva amore alii animali. Un aslno di
molta eta era ricoverato sotto una tettoia di pa-
glia e di argilla, dietro la casa. II quadrupede
mansueto portava cotidiananiente some di vino da
Sant' Apollinare alia tavernella ; e se bene i suoi
denti cominciavano a ingiallire e le sue ungliie a
sfaldarsi, e se bene il suo cuoio era gia. secco e
non aveva quasi piii pelo, talvolta nel conspetto
d' una fiorita di cardi ridirizzava le orecchie e si
metteva a ragliar vivaceniente in un' attitudine
giovenile.
Anna empiva di profenda la greppia e d' acqua
r abbeveratoio. Quando il calore era grande, ella
veniva sotto la tettoia a meriggiare. L' asino tri-
turava i fili di paglia tra le niandibole laboriose,
ed ella con un ranio fronzuto faceva opera di pieta
liberandogli la schiena dalla molestia delli insetti.
Di tanto in tanto 1' asino volgeva la testa orec-
chiuta, per un rincrespamento delle labbra liosce
mostrando le gencive quasi in un rossastro riso
animalesco di gratitudine e mostrando per un moto
oblique delF occliio nelF orbita il globo giallognolo
e venato di paonazzo come una vescica di fiele.
Li insetti turbinavano con un ronzio pesante su '1
finio; non dalla terra ne dal mare venivano ro-
mori voci ; e un sense vago di pace occupava
allora V animo della donna.
Neir aprile del 1842 Pantaleo, I'uomo clie gui-
dava il somiere al viaggio cotidiano, mori di col-
tello. Da quel tempo ad Anna fu commesso V uf-
ficio. Ed ella partiva su V alba e tornava su '1
mezzogiorjio, o partiva su '1 mezzogiorno e tor-
nava su la sera. La strada volgeva per una col-
lina solatia piantata d' olivi, discendeva per una
terra irrigua messa a pasture, e risalendo tra i
vigneti giungeva alle fattorie di Sant' Apollinare.
L' asino camminava innanzi, con le orecchie basse,
a fatica : una frangia verde tutta logora e stinta
gii batteva le coste e i lombi ; nel basto luccica-
vano alcuni frammenti di lamine d' ottone.
Quando V animale si soffermava per riprender
tiato, Anna gli dava qualche piccolo urto carez-
zevole su '1 collo e V eccitava con la voce ; poiche
ella aveva misericordia di quella decrepitezza. Ogni
tanto strappando dalle siepi un pugno di foglie,
32
AXNALI D' anna.
ANNALI D' anna.
33
le pori::eva in ristoro ; e s' intonoriva sontendo su
la ])aliiia il movimento Jiiolle delle lablu'a clie rice-
vevano V otferta. Le siepi erano fiorite ; e i iiori
del bianco spino avevano un sapore di mandorle
amare.
Su '1 confine deir oliveto stava una gran ci-
sterna, e accanto alia cisterna un lungo canalc di
piotra dove le vacche venivano ad ahbeverarsi.
Tutti i giorni Anna faceva sosta in quel luogo;
ed ella e V asino si dissetavano prima di seguirc
il cammino. Una volta ella s' incontro co '1 cu-
stode deir annento, cho era nativo di Tollo e
aveva la guardatuni un poco losca e il lab])ro lepo-
rino. L' uonio le volse il saluto ; e aml)e(lue co-
minciarono a ragionare dei pascoli e delF acqua, e-
poi dei santuari e dei niiracoli religiosi. Anna
ascoltava con benignita e con frequenza di sor-
riso. Ella era niacilente e bianca; aveva li ocelli
'chiarissimi e la bocca stragrande, e i capelli ca-
stanei pieganti in dietro tutti senza spartizione.
Nel collo le si vedevano.le cicatrici rossicce delle
bruciature e le si vedevano le arterie battere d'un
palpito incessante.
Da allora i colloqui si reiterarono. Per Terba
le vacche stavano sparse ; e giacevano ruminando
pascolavano in piedi. Quelle moventi forme pa-
I
cificlie aumentavano la tranquillita della solitu-
dine pastorale. Anna, seduta su V orlo della cister-
na, ragionava semplicementc: e T uomo dal labbro
fesso pareva preso d' amore. Un giorno ella, per
un improvviso spontaneo rifiorir del ricordo, narro
la navigazione alia montagna di lioto. E, poiclie
la lontananza del tempo le ingannava la memoria,
ella diceva con suono di verita cose meravi-
gliose. L' uomo stu])efatto ascoltava senza batter
le palpebre. Quando Anna tacque, ad anibedue il
silenzio e \l solitudine d' in torno parvero piii
grandi ; ed anibedue restarono in pensiero. Veni-
vano le vacche, trattc dalla consuetudine, alP ab-
beveratoio ; e a tutte penzolava fra le gambe il
gruppo delle niammelle rifornite di latte dalla pa-
stura. Come esse avanzavano il muso nel canale,
r ac(|ua diminuiva ai hu'o sorsi lenti e regolari.
IV.
Su li ultimi giorni di giugno 1' asino infermo.
Non prendeva cibo ne bevanda da quasi una set-
timana. I viaggi s' interruppero. Una mattina che
Anna discese alia tettoia, scorse la l)estia tutta
ripiegata su lo strame in un avvilimento misere-
vole. Una specie di tosse roca e tenace scoteva
D' Anxcn/io. 3
4
34 ANNA LI D' anna.
cli tratto in tratto la gran carcassa malcoperta di
cuoio ; su li occlii s' erano formate due cavita pro-
fonde, come due orbite vacuC ; e li occhi pare-
vano due grosse bolle gonfie di siero. Quando
r asino udi le voci di Anna, tento levarsi : il corpo
gli traballava su le zampe e il collo gli si abl)at-
teva gill dalle spalle acute c le oreccliie gli pen-
zolavano con i movimenti involontari e incomposti
di un enorme giocattolo clie avesse guaste le com-
messure. Un liquido mu<:oso gli colava dalle nari,
talvolta allungandosi in filamenti sino ai ginocclii.
Le chiazze nude nel pelame avevano il colore az-
zurrognolo e quasi cangiante della lavagna. I giii-
dalesclii qua e la sanguinavano.
Anna, alio spettacolo, si senti stringere da una
angoscia pietosa ; e, poiche ella per natura e per
uso non provava alcuna repugnanza fisica in con-
tatto della materia immonda, si accosto a toccare
r aniinale. Con 'una mano gli sorreggeva la ma-
scella inferiore, con 1' altra una spalla ; e cosi ten-
tava fargli muovere i passi, sperando in una qualr
che virti^i delP esercizio. L' animale prima esitava,
squassato da niiovi sussulti di tosse ; poi final-
mente prese a camminare per la china dolce die
scendeva al lido. Le acqiie, dinanzi, nella.nati-
vita del giorno l)iancheggiavano ; e i calafati verso
annali d anna.
35
la Penna spalmavano una carena. Come Anna levo
il sostegno delle mani e trasse la corda della ca-
vezza, r asino per un fallo do' piedi anterior! stra-
mazzo d' improvviso. La gran macchina delle ossa
ebi)e uno scriccliiolio interno di rotture, e la pelle
del ventre e dei fianclii risono sordamente e pal-
pito. Le gambe fecero V atto di correre ; per I'urto,
dalla genciva usci un poco di sangue e tra i denti
si diffuse.
Allora la donna si mise a gridare andando verso
la casa. Ma i calafati, sopraggiunti, in conspetto
delP asino giacente ridevano e motteggiavano. Uno
di lore percosse co '1 piede il ventre del moribondo.
Un altro gli atterro le orecchie e gli sollevo- il
capo die ricadde pesantemente a terra. Li occlii si
cliiusero; qualche brivido corse fra il pelame bianco
del ventre aprendone le spiglie, come un soffio ;
una delle gambe di dietro i)atte due o tre volte
neir aria. Poi tutto fu immolule ; ^e non die nella
spalla ov' era un' ulcera, si produsse un lieve tre-
mito, simile a quelle che per la molestia d' un in-
setto avveniva dianzi volontario nella carne vi-
vente. Quando Anna torno su '1 luogo, trovo i
calafati che tiravano per la coila la carogna, e can-
tavaiio 1111 Iicquieiii con false voci asinine.
Cos! Anna riniase in solitudine; e per lungo
36
ANNAU d' anna.
ANNALI U ANNA.
37
tempo ancora visse nella casa doi parenti cd ivi
appassi, adenipiendo uniili iitlici, e sopportaiido con
iiiolta pazienza ciistiana le vessazioiii. Nel 1815 li
access! epilettici riapparvero con violcnza; spar-
vero dopo alcuiii niesi. La fede rcligiosa in quel-
r epoca divenne in lei pin profonda o pin calda.
Ella saliva alia basilica tntte le niattine e tntto
lesere; e s' inginocchiava ahitnalniente in \u\ an-
golo oscnro protetto da nna gran pila di niaijno
dov' era fignrata con rozza opera di bassorilievo la
fuga della Sacra Faniiglia in Egitto. Da prima
scelse clla forse qiieir angolo attratta dal docih^
asinello trasportante il pargolo Gesii e la ^ladro
alia terra deir idolatria ? Una qnietndine d' amore
le discendeva su lo spirito, (jnando aveva piegate
le ginocchia nelF ond)ra ; e la i)regliiera le sgor-
gava pnramente dal petto come da nna fonte na-
tale, poiche ella prcgava soltanto per lar volntta
cieca delP adorazione, non per la speranza (V ot-
tener grazia di beni nella vita terrena. In lei il
desiderio del miglioramento, qnesto nniversal desi-
derio nmano, s' era andato spegnendo via via clie
r intelligenza svaniva. e clie per le condizioni con-
snetndinarie si s^mplificavano nelF organismo i bi-
sogni. Ella pregava, con la testa china snlla sedia;
e come i cristinni nelP accedere e nelPuscire at-
tingevano con le dita Pacqua della pila, e si segna-
vano, ella a (jnando a qnando trasaliva, sentendo
sn' capelli ({nalclie stilla benedetta cadere.
V.
Qua n do nel 1851 Anna venne la prima volta al
l)aese di Pescara, era i)rossinia la festa del Ilo-
sario, clie si celebra nella prima domenica di ot-
tobre. La donna si mosse da Ortona a piedi, per
sciogliere un veto ; e portando cliiuso in un faz-
zoletto di seta un i)iccolo cuore d' argento, cam-
mino religiosamento lungo la riva del mare ; poiche
la strada provincidle non ancora in quel tempo era
praticata. e un bosco di })ini occupava molta esten-
sione di terrene vergine. La giornata pareva dolce,
se non die nel mare le onde andavano crescendo,
ed air estremo limite andavano crescendo in forma
di trombe i vapori. Anna avanzava tutta assorta
in pensieri di santita. Nel far della sera, come ella
fu su '1 luogo delle Saline, cadde d' improvviso la
l)ioggia, da prima i)ianamente c dopo in grande
ai)bon(lanza ; cosi che, non essendovi in torno ri-
paro alcuno, ella n' ebbe le vesti tutte moUi. Piu
in qua, la foce dell' xMento portava acqua ; ed ella
si scalzo per guadare. In vicinanza di Vallelonga
i^i
38
ANNALI T) ANNA.
ANNA LI I) ANNA.
39
la pioggia resto: ed il bosco dei pini rinasceva
screnantc nell' aria con odor quasi d'incenso. Anna,
rcndendo grazie nolV aninio al Signore, segui il
camniino del litorale nia con piii rapidi passi, poi-
clie sentiva penetrarsi ncllc ossa V uinidita mal-
sana, e cominciava a battcre i denti pe '1 ril)rezzo.
A Pescara, ella fii suhito pivsa dalla feb1)rc pa-
lustre, e ricoverata pei" misericordia nella casa di
Donna Cristina llasile. Dal letto, udendo i cantici
della ponipa sacra, c vedendo le rime delli sten-
dardi ondeggiare all' altezza della finestra, ella si
mise a dire le pregliiere e a invocare la guari-
gione. Quando passo la Yergine, ella scorse sol-
tanto la corona geniinata, c fece atto di niettersi
in ginocchio su i guanciali per adorare.
Dopo tre settiniane guari; e, avendole Donna
Cristina offerto di rimanere, ella riniase in qualita
di domestica. Ebbe allora una piccola stanza guar-
dante su '1 cortile. Lc pareti erano inibiancate di
cake ; un vecchio i)aravento copcrto di figure pro-
fane cliiudeva un angolo; e fra i travicelli del
soffitto molti ragni tendevano in pace le tele labo-
riose. Sotto la tinestra sporgeva un tetto breve, e
pill gill s' apriva il cortile pieno di volatili ■ nian-
• siieti. Su '1 tetto vegetava, da un niuccliio di terra
cliiuso fra cinque tegole, una pianta di tabacco.
i
9
II sole vi s' indugiava dalle prime ore antimeri-
diane alle prime ore del poineriggio. Ogni estate
la pianta dava fieri.
Anna, nella nuova vita, nella nuova casa, a poco
a poco si sent! sollevare e rivivere. La sua natu-
rale inclinazione all' ordine si dispiego. Ella atten-
deva a tutti i suoi ufiici tranquillamente, senza far
parole. Anclie, in lei la credenza nelle cose sopra-
naturali ingiganti. Due o tre leggende s' erano per
antico formate su due o tre luoghi della casa Ba-
sile e di generazione in generazione si tramanda-
vano. Nella camera (jialla del secondo piano ab-
bandonato viveva V anima di Donna Isabella. In un
ricettacolo ingombro, dove una scala discendeva a
gomito sine a una porta clie non s' apriva da tempo,
viveva V anima di Don Samuele. Quel due nomi
esercitavano un singolar fascino su i nuovi abita-
tori, e ditfondevano per tutto il vecchio edificio una
specie di solennita conventuale. Come poi il cor-
tile interne era circondato di molti tetti, i gatti
su la loggia si riunivano in conciliaboli e miago-
lavano con una dolcezza inquietante, chiedendo ad
Anna li avanzi del paste familiare.
Nel marzo del 1853 il marito di Donna Cristina
mori d' una malattia urinaria, dopo lunghe setti-
niane di spasimi. Egli era un uomo timorato di
40
ANNA LI D ANNA.
\
Dio, casalingo e caritatevole ; era capo d' una con-
grega di possidenti religiosi; leggeva le opere dei
teologi, sapeva soiiare sii '1 gravicoml)alo al-
ciine seniplici arie di anticlii maestri napolitani.
Qiiando venne il viatico, iiiagnifico per nuinero di
•
ministri c per ricchezza d' arnesi, Anna s' inginoc-
chio sii la porta, e si niise a prcgare ad alta voce.
La stanza si enipi d' un vapor d' incenso, in mezzo
a cui il ciborio raggiava e raggiavano i turiboli,
oscillando come lamirade accese. Si udirono sin-
ghiozzi; poi le voci dei ministri, raccomandando
r anima alF Altissimo, si sollevarono. Anna, lapita
dalla solennita di quel Sacramento, perde ogni
orrore della morte, e da allora i)enso che la niorte
dei cristiani fosse un trapasso dolce e gaudioso.
Donna Cristina tenne cliiuse tutte le tinestre
della casa, durante un mese intero. Continuava a
piangere il marito nell' ora del pranzo e nelP ora
della cena; faceva in nome di lui le elemosine ai
mendicanti; e, piii volte nel giorno, con una coda
di volpe levava la polvere dal gravicembalo come
da una reliquia, emettendo sospiri. p]lla era una
donna di quarant' anni, tendente alia pinguedine,
ancora fresca nelle sue forme clie la sterilita aveva
conservate. E poiclie ereditava dal defunto una
dovizia considerevole, i cinque piu maturi celibi
ANNALI I) ANNA.
41
del paese cominciarono a tenderle insidie e ad
allettarla alio nuove nozze con arti lusingatrici. I
campioni furono : Don Ignazio Cespa, persona dol-
cigna, di sesso and)iguo, con una faccia di vec-
cliia pettegola l)Utterata dal vaiuolo e una capel-
latura impregnata di olii cosmetici, con le dita
cariclie di anelli e li orecclii forati da due minu-
scoli cerclii d' oro ; Don Paolo Nervegna, dottor
di legge, uomo parlatore e accorto, che aveva le
lal)bra sempre increspate come se masticasse V erba
sardonica e su la fronte una specie di crescimento
rossastro innascondibile ; Don Fileno d' Amclio,
nuovo capo della congrega, uomo pieno d' unzione
e di compunzione, un ])o' calvo, con la fronte sfug-
gente indietro e V occliio pecorinamente opaco ;
Don Ponq)eo Pope, uomo giocondo, amante del
vino e delle donne e dolF ozio, ubertoso in tutta
la corporatura e piu nella faccia, sonoro jielle
risa e nelle parole ; Don Fiore Ussorio, uomo di
si)iriti pugnaci, gran^ leggitore di opere politiclie
e citator trionfante di esempi storici in ogni di-
sputa, pallido d'un pallor terrigno, con una sottil
corona di bar])a intorno alii zigomi e una bocca
singolarmente atteggiata in linea Obliqua. A co-
storo si aggiungeva, ausiliave della resistenza di
Donna Cristina, P abate Egidio Cennamele clie vo-
1.
42 ANNAU D ANNA.
londo trarrc T erode ai benefizi della cliiesa, ostcg-
giava eon ben coperta astuzia d" impedinienti le
lusinglie.
La gran contesa, clic sara un giorno narrata
dal cronista per ditlaso, duro niolto tempo ed
ebbe niolta varieta di vicende. K principal teatro
della prima azione fn il eenacolo, sala rettango-
lare dove su la carta francese dellc pareti erano
francescamcmte rappresentati i fatti di Ulisse nau-
fragante air isola di Calipso. Quasi tutte le sere
i campion! si riunivano in torno airinclita vedova ;
e facevano il giuoco della briscola e il giuoco del-
r amore alternativamente.
VI.
Anna fu Candida testimone. Introduceva i vi-
sitatori, tendeva il tappeto su la tavola, (* a mezzo
della veglia portava i bicchierini pieni d' un ro-
solio verdognolo comjjosto dalle monache con dro-
ghe speciali. Una volta ella senti su per le scale
Don Fiore Ussorio gridare iiel calor di^lla disputa
un' ingiuria contro V abate Cennamele clie i)arlava
sommesso ; e, poiclie V irreverenza le parve mo-
struosa, ella da allora in poi tenne Don Fiore per
un uomo diabolico e al comparir di lui si faceva
ANNALI i) ANNA
4P>
rapidamente il segno della croce e mormorava uu
Fafcr.
Xella i)riniavera d(^l 1850, un giorno, mentre
su 'I greto della Pescara ella sbatteva i panni
lavati, vide una Hotta di bardie passare la foce
e navigar lentamente coiitro la forza dell' acqua.
II sole era sereno; le due rive si rispecchiavano
in fondo abbracciandosi ; alcuni ramoscelli verdi e
ajcune ceste di giunclii natavano wvl mezzo della
corrente, come simboli pacitici, verso il mare ; e
le bardie, aventi quasi tutte la mitria di san
Tommaso dipiiita per insegiia in uu angolo della
vela, avanzavano cosi nel bel fiume santilicato
dalla leggenda di san Cetteo Lil)eratore. I ricordi
del paesc natab^ si svegliarono nell' animo della
donna con un tumulto improvviso, a quelle si)et-
tacolo ; ed ella, i)ensaiido al padre, fu invasa da
un gran tenerezza.
Le bardie erano tanecclie ortoncsi e venivano
dal promontorio di Roto con un carico di agrumi.
Anna, come le ancore furono gettate, si avvicinb
al marinai; e li guardava con una curiosita bene-
vola e trepidante, senza fai* parole. Uno di lore,
colpito dalla insistenza. la ravviso e la interrogo
iamiliarmente. — Clii cercava? Clie voleva ? — Air
lora Anna, tratto in disparte 1' uomo, gli cbiese
"4
1 "
44 AxNNALI I)' ANNA.
se lion per caso egli avesse vediito al j^ac^e del
portogaUi Liica Minella, il padre. — Xoii V avova
vedutoV Non stava aiicora con qupUa fcmmhia? —
i; uomo ris[)Ose die Luca era niorlu da (lualche
tempo. — Era veccliio. Poteva campar di piu V —
Allora Anna eontenne le lacrinit^ : voile sapere
inolte cose. L' nonio Ic disse nioite cose. — laica
aveva strette le nozze con (inella fcmmim; ne
aveva avuti due tiglinoli. II magqiore dci due na-
vii^ava sopra un trabaccolo e veniva ([ualclie volta
a Pescara per negozi. — xVnna trasaR. Un turba-
inento indeterininato, una specie di sniarriniento
confuso le occupava T aninio. Ella non giungeva
a ritrovar V eiiuilibrio e la lucidita del giudizio
dinanzi a quel fatto troppo coniplesso. Ella aveva
ora due fratelli dumiueV Doveva aniarliV Doveva
ccrcare di vedtH'liV Ora clie doveva dun(pie fareV
Cosi, titubante, torno a casa. E dopo, per inolte
sere, quando entravano ncl tiunie le bardie, ella
andava lungo lo scalo a guardarc i inarinai. Qual-
die tral)accolo portava dalla Dalniazia un carico
di asinelli e di cavalli nani : le bestie prendendo
terra scalpitavano ; V aria sonava di ragli e di
uitiiti. Anna, nel passare, batteva con la niano le
grosse teste dclli asinelli.
ANNAfJ D ANNA.
45
VII.
Verso quel tempo ebl)e in dono dal fattore di
campagna una testuggine. II nuovo ospite tardo
e taciturno fu diletto e cui'a della donna nolle ore
(F ozio. Cannninava da un punto all' altro della
stanza sollevando a stento dal suolo il grave peso
del corpo su le zam})e simili a monclierini oliva-
stri. e, come era giuvine, le ])iastre del suo scudo
dorsale, gialle maculate di nero, tralucevano tal-
volta al sole con un nitor d' ainbra. La testa co-
perta di scaglie, coinju'essa ncl muso, giallognola,
sporgeva tentennando con una mansuetudine timo-
rosa ; e i)areva talvolta la testa di un veccliio
serpe cstenuato die uscisse dal guscio di un cro-
staceo. Anna prediligeva nelP animale i costumi :
il silenzio, la frugalita, la modestia, V amor della
casa. Gli dava per cibo foglie di verdura, radici
e vermi, restando estatica a osservare il moto
dellc piccolo mandibole cornee dentellate nel lor
duplice niargine. Ella, in quell' atto, provava quasi
un sentiinento di maternita : eccitava pianamente
1' animale con le voci e scegiieva per lui le erbe
l)iii tenere e piu dolci.
Fu la testuggine allora auspice d' un idillio.
I
i I
lii
n
46
ANXALI 1) ANNA.
II fattore, venciulo piu volte al giorno iiella casa,
s' intrattciieva su la loggia a ragionarc con Anna.
Ed essendo egii uomo d' uniili spiriti, divoto, pru-
dente e giiisto, godeva voder litiesse le • sue pie
virtu neir aninio dell.a donna. Per la eonsuetudinc
sorse quindi tra i duo a poro a poco una fanii-
liarita aniorevole. Ella aveva gia qualclie capello
bianco su le temple, ed in tutta la faccia ditfuso
un placido candore. Egli, Zarchiele, superava di
alcuni anni V eta di lei ; aveva una gran 'testa
dalla fronte sporgente c due niiti e rotondi ocelli
di coniglio. Tutt' e due, nei colloqui, sedevano
per lo pill su la loggia. Sopra di lore, fra i
tetti, il cielo pareva una cupola luniinosa; e ad
intervalli i voli dei colombi domestici, bianclii
come il Paraclito, traversavano la ({uiett^ celestiaU^
I colloqui volgevano su le raccolte, su la bonta
dei terreni, su le semplici norme della coltiva-
zionc; ed erano pieni di esperienza e di retti-
tudine.
Poiclie Zaccliiele amava talvolta, per una in-
genua vanita naturale, di far pompa del suo sa-
l)ere in conspetto della donna ignorante e credula,
(juesta concep\ per liii una stima (h\ un' amniira-
zione senza limiti. Ella imparo clie la terra e di-
visa in cimpie parti e clie cimpie sono le razze
ANNALI I) ANNA.
47
delli uomini : la bianca, la gialla, la rossa, la nera
e la bruna. Imparo clie la terra e di forma ro-
tonda, clie Romolo e Itemo furono nutricati da
una lupa, e clie le rondini su V autunno vanno
oltremare nelF Egitto dove anticamente regnavano
i Faraoni. — Ma li uomini non avevano tutti un
colore, a imagine e somiglianza di DioV Pote-
vamo noi camminare sopra una palla? Chi erano
i re Faraoni V — Ella non riusciva a comprendere,
e rfmaneva cosi tutta smarrita. Pero da allora
ella considero le rondini con reverenza e le tenne
per uccelli dotati di saggezza umana.
Un giorno Zaccliiele le inostro una Storia sacra
delPAntico Testainento, illustrata di figure. Anna
guardava con lentezza, ascoltando le spiegazioni.
Ed ella vide Adamo ed Eva tra le lepri ed i cervi,
Noe seminudo inginoccliiato innanzi ad un altare,
i tre angeli di Abramo, .Alnse salvato dalle acque;
vide con gioia tinalmente un Faraone nel conspetto
della verga di Mose cangiata in serpe, e la regina
di Saba, la festa dei Tabernacoli, il martirio dei
Maccabei. II fatto dell' asina di Balaam la empi
di meraviglia e di tenerezza. II fatto della coppa
di Giuseppe nel sacco di Beniamino la fece roin-
pere in lacrime. Ed ella imaginava li Israeliti cam-
minanti per un deserto tutto cop(!i'to di quaglie,
48
ANNA LI D' anna.
sotto una rugiada clie si cliiaiiiava la manna cd
era bianca conio la novo e piu dolco del pane.
Dopo la Storia sacra, proso da una singolare
amhiziono Zaccliiolo coniincio a leggorlo lo im-
prese dei Rcali di Francia da Costantino inipcra-
tore sino ad Orlando oonte d' Anglante. Un gran
tumulto sconvolse allora la inento della donna : lo
l)attagiio dei Filistei c dei Siriaei si confusero con
le hattaglio dei Saraceni, Oloferne si confuse con
Tiizieri. il re Saul C(d re ^Iand)iino, Eleazaro cou
Balante, Noenii con Galeana. Kd olla, affaticata,
non seguiva piu il tilo delle narrazi(nii, ina si
riscotova soltanto ad intervalli quando udiva pas-
sare nella voce di Zacchiele i suoni di (pialclio
nomo prediletto. E predilosso Dusolina o il duca
r)OVCtto clie prcso tutta ringliilterra innanioran-
dosi della figliuola del re di Frisia.
Erano le calcnde di scttembre. XolF aria teni-
perata dalla pioggia recente, si andava diffondondo
una placida chiarita autunnalo. La stanza di Anna
divenne il hiogo dello letture. Un giorno Zacchiele,
seduto, leggeva come Galeana, fffl'nwla del re Ga-
lafro, s'innamorh di Mainrito c voile da liii la (jliir-
landa delV erha. Anna, poiclie la favola pareva sem-
plice e canipestre e i)oiclie la voce del lettorc
pareva addolcirsi di acconti novelli, ascoltava con
ANNALl d' anna.
49
visibile assiduita. La tostuggine si traeva in mezzo
ad alcuno foglie di lattuga, pianamente; il sole su
la finestra ilhiminava una gran tela di ragno, e
li ultimi fiori rosei del tabacco si vedevano a tra-
verse la sottile opera di tilo d' oro.
Quando il capitolo fu tinito, Zacchiele depose
il libro; e, guardando la donna, sorrise d' uno di'
quei sorrisi fatui die solevano increspargli le tern-
pie e li angoli della bocca. Poi coniincio a par-
larle vagainente, con la peritanza di colui che non
sa in (pial mode giungere al punto desiderate.
Finalinente ardi. — Ella non aveva peiisato mai
al matrinionioV — Anna alia doinanda non rispose.
Stettero ambedue in sileiizio ed ambedue senti-
vano neir animo una dolcezza confusa, quasi un
risveglio inconsciente della giovinezza sepolta e
un umano richiamo dell' amore. E n' erano turbati
come dal fumo d' un vino troppo forte che mon-
tasse al lore cervello indebolito.
VIIL
Ma una tacita promessa di nozze fu data molti
gioriii dope, in ottobre, nella prima nativita del-
r olio d' oliva e nelF ultima migrazione delle ron-
dini. Con licenza di Donna Cristina, un lunedi
D' Annunzio.
50
ANNALI iV ANNA.
i»
Zaccliielc coiulusse Anna alia fattoria dci Colli,
dov' era il frantoio. Uscirono da Portasalo, a piodi,
e presero la via Salaria, vol-endo le spalle al
fiunie. Dal giorno della favola di Galeana e di
IMainetto, essi provavano Y un verso V altra una
specie di trepidazione. un misto di tcmenza. ver-
gouna e rispetto. Avevano perduta (piella bulla
familiavita d' una volta : parlavano poco insienie e
sempre con un tal riserljo esitante, S(Miza niai
o'uardarsi nel volto, con incerti sorrisi, confondiMi-
dosi talora per una suLitanea cspansion di ros-
sore, indugiando cosi in (piesti tiiuidi handjoleg-
gianienti iV innocenza. .
Cannninarono in silenzio, da prima, ciascuno
seguendo lo stretto sentiero asciutto clic i passi
dei viandanti avevano praticato su i due niargini
della via; e li divideva il mezzo della via fangoso
e segnato di solclii profondi dalle ruote dei veicoli.
Una libera gioia v(nidenuniale occupava le campa-
o-ne : i canti d(^l mosto per la pianura si avvicen-
davano. Zaccliiele si tem^va un poco in dietro, rom-
pendo a tratti a tratti il silenzio con qualclie
parola su la temperie, su le vigne, su la raccolta
delle olive. Anna guardava curiosa tutti i cespu-
irli rosseggianti di baccbe, i campi lavorati, le
acque dei fossi ; e a poco a poco le nasceva nel-
i
ANNALI d' anna.
51
r animo una letizia vaga, quale di clii dopo lungo
tempo sia dilettato da scnsazioni gia innanzi co-
nosciute. Couk^ il cammino presc a volgere su
pe '1 dcclivio tra i ricclii oliveti di Cardirusso,
cliiaramente le sorsc nelP animo il ricordo di
Sant' Apollinaro e deir asino e del custode delli
armenti. Kd ella senti ([uasi rifluirsi al cuore tutto
il saiigue, d' im})rovvis(). Avvenne allora in lei un
fenomeno. Quell' (^jisodio obliato della sua giovi-
nezza le si coordino nella memoria con una per-
spicuita meravigliosa ; V imagine dei hioglii le si
formo diiianzi; e nella scena illusoria ella rivido
r uomo dal labbro Icporino, ne riudi la voce, pro-
van(b) un turbamento nuovo senza sapere perclie.
La fattoria si avvicinava ; fra li alberi soffiava
il venfo facendo cadere le ulivc mature; una zona
di mare sereno si scopi'iva dalP altitudine. Zac-
cliiele s' e]'a messo a lianco dolia donna (* la guar-
dava di tratto in tratto con una pia supplicazione
di tenerezza. — A clie i)eirsava ella dunque? — Anna
si volse, con un' aria quasi di sbi^ottimento, come
fosse stata colta in fallo. — A niente pensava.—
Giunsero al fi-antoio, dovc^ i coloni macinavano
la prima raccolta delle olive cadute precocemente
dall'albero. La stanza delle macine era bassa e
oscura; dalla volta luccicante di salnitro pendevano
52
ANNALl d' anna.
lucerne di ottone e fumigavauo; uii giuinento Ixmi-
dato girava una mola gigantesca, cm passo rego-
lare; e i coloni, vestiti di certe lunghe tuniclie
simili a sacclii, nudi lo ganibe e le ])raccia, niusco-
losi, oleosi, versavano il liauido nelle glare, nelle
conclie, nelli orci.
Anna si niise a considerarc V opera, attenta-
mente; e, come Zaccliiele impartiva ordini ai fati-
catori, e girava tra le niacine, osservando la qua-
nta delle olive con una grave sicurezza di giudice,
ella sent! per lui in quel momento crescere V ani-
mirazione. Poi, come Zaccliiele dinanzi a lei presc
un gran boccale colmo e versando nelF orcio quel-
r olio purissimo e luminoso nomino la grazia di
Dio, ella si fece il segno della croce, tutta com-
presa di venerazione per V opulenza della terra.
Yenivano intanto su la porta le due femmine
della fattoria; e ciascuna teneva contro il seno
un poppante, e si traeva un bel grappolo
I fatti p^n- nioltissimo tempo occuparono V at-
tivita vocale dd dttadini e furono causa di tur-
bolenze. Come Anna era stata testimone delP ultima
scena, alcuni vennero a lei per ragguagli. Ella
raccontava sempre con le stesse parole, pazieu-
ANNALI I)' ANNA.
61
temente. La sua vita da allora fu tutta spesa tra
le pratiche religiose, li uftici domestici e Pamorc
della tcstuggine. Ai primi tepori d'aprile la testug-
giue usci dal letargo. Un giorno, d'. improvviso,
sbuco di sotto alio scudo la testa serpentina e
tentenno debohnente . mentre i piedi erano ancora
iinmersi nel torpore. I piccoli occhi rimasero co-
perti a mezzo dalla palpebra. E Y animale, forse
non piu consapevole d' essere captive, si mosse
linalmente con un moto pigro e incerto, tastando
co' i piedi il suolo, spinto dal bisoguo di trovarsi
il cibo come nella sabbia dd suo bosco natale.
Anna, innanzi a quel risveglio fu invasa da
una tenerezza inetiabile e stette a guardare con
li ocelli umidi di lacrime. Poi i)rcse la testuggine,
la mise sul letto, le oiferi alcune foglie verdi. La
testuggine esitava a toccare le foglie, e nelPaprire
le mandibole mostrava la lingua carnosa come
quella dei pappagalli. Li indumenti del collo e
delle zampe parevano membrane flosce e giallo-
gnole di un corpo estinto. La donna a quella vista
si sentiva stringere da una gran misericordia ; ed
eccitava al ristoro il bene amato, con le blandizie di
una madre pe '1 figliuolo convalescente. Unse d' olio
dolce lo scudo osseo ; e, come il sole vi percoteva
sopra, le piastre pulite risplendevano piu bdle.
k
\
G2
ANNALl 1) ANNA
In queste cure passarono i mosi della priuui-
vera. ^la Zaccliiele, coiisigliato dalla stagionr iio-
vrlla a iiiag^^ioii iinpeti di amore, iiical/6 la donna
con cosi tenore supplicazioni clie n' ebl)e alfinc
una proniossa solenno. Lo nozzo si sarebl)ero ce-
lebrate il giorno pfecedente la Nativita di Gesu
Cristo.
Allora r idillio ritiori. Mentrc Anna atten-
deva alio opere deirago pc '1 corredo nuziale,
Zacchiele leggeva ad alta voce la storia del Xuovo
Testamento. ho nozze di Cana, i prodigi del Ile-
dentore in Cafarnao, il inorto di Naini. la niolti-
plicazionr doi pani e dei pesci, la li])erazione della
tigliuola della Cananea, i dieci lebbrosi, il cieco
nato, la resurrezione di Lazzaro, tutte quelle nar-
razioni miracolose rapirono V aninio della donna.
Ed ella penso lunganiente a Gesu clie entrava in
*r;erusalemnie cavalcando un' asina, nicntre i popoli
stendevano su la sua via le vesti e spargevano
frondc.
Nella stanza V erbc di tinio odoravano su da
un vaso di terra. La testuggine veniva talvolta
alia cucitrice e ie tentava con la bocca il lendjo
dellc tele o le morsiceliiava il cuoio sporgente delle
scarpe. Un giorno Zaccliiele, nel leggere la para-
bola del Figliuol Trodigo, sentendosi d' inq)rov-
ANNALI d' anna.
63
viso qualclie cosa di mobile tra i piedi, per un
involontario nioto di librezzo diode co' i piedi un
urto ; e la testuggine urtata ando a battere con-
tro la pare to e riniase capovolta. II guscio dor-
sale si scheggio in piu parti ; un po' di sangue
jipparve in una delle zanipe die V aniniale agitava
inutihuente per riprendere la posizione primitiva.
So bene 1' infelice ainante si mostro atterrito
del fatto e inconsola])ile, Anna dopo quel giorno
si chiuse in una specie di severita ditlidente, non
parlo piu, non voile piu ascoltare la lettura. E cosi
il figliuol prodigo riniase per sempre sotto li al-
beri delle gliiande a guardare i porci del suo
signore.
XL
Nella grande alluvione delF ottobre (1857) Zac-
clii(^le niori. La cascina dov' egli abitava, nei din-
torni dei Cappuccini, fuori di Porta-Giulia, fu in-
vasa dalle aequo. Le aequo inondarono tutta la
canqjagna, dal colic d^ Orlando fine al colle di Ca-
stellanunare ; e poiclie avevano attraversato vastis-
simi sedinienti d' argilla, erano sanguigne come
nella favola antica. Le cime delli alberi emerge-
vano qua c la su quel saugue lueliuoso eel cstuoso.
I
m i*
*
04
AXNALI d' anna.
Per intervalli, dinanzi al forte passavano in pre-
cipizio troiiclii eiiormi con tutte le radici, niasse-
rizie, niaterie di forme irriconoscilnli, gruppi di
hestiami non ancora morti elie urlavano e spari-
vano e riapparivano e si perdevano in lontananza.
I branclii dei bovi, in ispecie, davano imo spetta-
colo rairabile : i grossi corpi biancastri s' ineal-
zavano V un V altro, le teste si ergevano dispera-
tamente fuori delP acqua, furiosi intrecciamenti di
corna avvenivano nelP impeto del -terrore. Come il
mare era di levante, le onde alia foce rigurgita-
vano. II lago salso della Palata e li estuari si
riunirono co '1 fiume. II forte divenne un' isola
perduta.
Neir interno le vie si somniersero ; la casa di
Donna Cristina ebbe la linea delle acque sino a
meta della scala. II fragore cresceva di continuo,
mentre le campane sonavano a distesa. I forzati,
dentro le carceri, urlavano.
Anna, credendo in qualche supremo castigo
deir Altissimo, ricorse alia salvezza delle preghiere.
II secondo giorno, come sail su la sommita della
colombaia, non vide clie acque e acque in torno
sotto le nuvole, e scorse poi de' cavalli sbigottiti
clie galoppavano in furia su le troniere di San \i-
tale. Discese, stupida, con la mente sconvolta; e
i
^^M
ANNALT D' anna.
65
la persistenza del fragore e V oscurita delF aria
le fecero smarrire ogni nozione del luogo e del
tempo.
Quando P alluvione comincio a decrescere, la
gente del contado entro nella citta per mezzo di
scialuppe. Uomini, donne e fanciulli avevano su la
faccia e nelli occhi una stupefazione dolorosa. Tutti
narravano fatti tristi. E un bifolco dei Cappuccini
venne alia casa Basile per annunziare clie Don
Zacchiele se n' era andato a marina. II bifolco
parlava semplicemente, narrando la morte. Disse
clie in vicinanza dei Cappuccini certe feminine
avevano legato i figliuoli lattanti su la cima di
un grande albero per salvaiii dalP acqua e clie i
vortici avevano sradicato 1' albero trascinandosi le
cinque creature. Don Zacchiele stava su '1 tetto
con altri cristiani in un inucchio compatto, urlan-
do ; e il tetto stava gia per sommergersi ; e ca-
daveri d' animali e rami rotti venivano gia a ur-
tare contro i disperati. Quando finalmente P albero
dei lattanti passo di la sopra, la violenza fu cosi
terribile clie dopo il passaggio non si vide piu
traccia di tetto ne di cristiani.
Anna ascolto, senza piangere; e nella sua mente
percossa, il racconto di quella morte, con quelP al-
bero dei cinque bambini e con quelli uomini am-
D' AsNUNZio. 5
I
tin
i \
I
66
ANNALI D ANNA.
ANNAU d' anna.
67
muccliiati tiitti sopra im tetto e con qiiei cadaveri
di bestie clie andavano a iiitar contro, suscito una
specie di meraviglia superstiziosa simile a quella
suscitatale iin tempo da certe narrazioni del Vec-
chio Testamento. Ella sali con lentezza alia sua
stanza, e cerco di raccogliersi. 11 sole modesto
splendeva su '1 davanzale; la testuggine in un an-
golo dormiva ricoverata sotto il suo scudo ; un
cinguettio di passeri veniva dalli embrici. Tutte
queste cose naturali, questa usuale tranquillita della
vita circonstante, a poco a poco la rasserenarono.
Dal fondo di quella momentanea calma della con-
scienza alfine sorse chiaro il dolore ; ed ella cliino
la testa su '1 petto, in un grande sconforto.
AUora quasi un rimorso le punse V animo, il ri-
morso d'aver serbato contro Zaccliiele quella specie
di muto rancore per tanto tempo ; e i ricordi a uno
a uno vennero ad assalirla ; e le virtu del defunto le
rifulgevano ora nella memoria piu religiosamente.
Poiche r onda del dolore cresceva, ella si alzo, ando
verso il letto, vi si distese bocconi. E i suoi sin-
ghiozzi risonavano tra il cinguettio delli uccelli.
Dopo, quando le lacrime si arrestarono, la quiete
della rassegnazione comincio a discenderle nel-
r animo ; ed ella i)enso clie tutte le cose della terra
sono caduche, e che noi dobbiamo conformarci alia
volonta del Signore. L' unzione di questo semplice
atto d' abbandono le sparse su '1 cuore un' abbon-
(lanza di dolcozza. Ella si sent! libera da ogni in-
quietudine, e trovo il riposo in quell' umile e ferma
confidenza. Da allora nella sua regola non fu che
questa clausula : — La soprana volonta di Dio, sem-
pre giusta, sempre adorabile, sia fatta in tutte le
cose, sia lodata ed esaltata per tutta V eternita. —
XII.
Cosi alia figlia di Luca fu aperta la vera strada
del paradise. E il giro del tempo per lei non fu
determinato che dalle ricorrenze ecclesiastiche.
Quando il fiume rientro neir alveo, uscirono per
ordine consecutivo di giorni molte processioni nella
citta e nolle canq)agne. Ella le segui tutte, insieme
con il popolo, cantando il Te JDeum. Le vigne in
torno erano devastate; il terrene era molle.e V aria
pregna di vapori biondi, singolarmente luminosa,
come nolle primavere pahistri.
Poi venne la festa d' Ognissanti ; poi, la solennita
del ^lorti. Grandi messe furono celebrate in suf-
fragio delle vittime dell' alluvione. Xel Natale Anna
voile fare il presepe : compro un bambino di cera,
Maria, san Giusepjje, il bove, V asino, i re Magi e
08
ANNA LI d' anna.
ANNALI I)' ANNA.
i pastori. Accompa.unata dalla fi,i>lia del sagrcstaiio,
ella ando per i fossati della via Salaria a ccrcare
il iiiusco. Sotto la vitrea serenita iemale i latifondi
riposavano pinsiii di liiuo; la fattoria d' All)arosa
si vedeva su '1 colle tra li olivi; iiessuna voce tiir-
bava il sileiizio. Anna, come scorgeva il musco, si
cliinava e con un coltello tagliava la zolla. Al con-
tatto delle fredde eibe le sue niani divenivano lie-
vemente violacee. Di tratto in tratto, alia vista di
una zolla piii verde, le sfuggiva una esclaniazione
di contentezza. Quando il canestro fu pieno, ella
sedette su ^1 ciglio del fossato, con la fanciulla. I
suoi ocelli salirono pe '1 sentiero delP oliveto, leu-
tamente, e si fermarono alle niura bianclie della
fattoria clie pareva un editizio claustrale. Allora
ella cliino la fronte, assalita da un pensiero. Poi
d' un tratto si volse alia conipagna. — Non aveva
mai veduto niacinarc le olive ? — E coniincio a
figurar V opera delle niacine con molta prolissita di
parole; e", come parlava, a poco a poco le salivano
dair animo altri ricordi, le venivano su la bocca
spontaneamente a uno a uno, e le passavano nella
voce con un piccolo tremito.
Quella fu Tultima debolezza.Neiraprilt* del 1858,
poco dopo la Pasqua maggiore, ella infermo. Stette
nel letto quasi durante un mese, tormentata dal-
69
%
■ii
N
rinfiammazione pulmonare. Donna Cristina veniva
la mattina e la sera n(^lla stanza a visitarla. Una
vecchia fantesca, clie faceva pubblica professione
d'assisterc i malati, le somministrava i medica-
nienti. Poi la testuggine le rallegro i giorni della
convalescenza. E come 1' animale era estenuato dal
digiuno, ed era tutto aridamente pelloso, Anna ve-
dendosi macilente, e sentendosi anch' essa affievoli-
ta, provava quella specie di appagamento interiore
die noi proviamo, quando una stessa sofferenza ci
accomuna alia persona diletta. Un tepore molle
saliva dalli embrici coperti di liclieni, verso i con-
valescenti; dal cortile i galli cantavano; e una
inattina due rondini cntrarono d' improvviso, bat-
terono V ali in torno alia stanza e fuggirono.
Quando Anna torno la prima volta nella chiesa,
do})o la guarigione, era la Pasqua delle rose. Ella,
neir entrare, aspiro il pi'ofumo delF incenso cupida-
mente. Cammino piano hingo la navata per ritro-
varc il posto dove soleva prima inginocchiarsi; e si
senti prendere da una subita gioia, quando scorse
finalmente tra le lapidi mortuarie quella clie portava
nel mezzo un bassorilievo tutto consunto. Vi piego
i ginocchi sopra, e si mise a pregare. La gente
aumentava. A un certo punto della cerimonia due
accoliti scesero dal coro con due bacini d' argento
! '
till
H
»!
70
ANNALI D' anna.
ANNALI D ANNA.
71
colmi cli rose, e cominciarono a spargere i fiori sii
le teste dei prostrati, mentre V organo sonava iin
inno giocondo. Anna era riniasta china, in una
specie di estasi clie la beatitudine del misterio ce-
lebrate e il sense vagamente voliittuoso della gua-
rigione le davano. Come alcune rose venncro a ca-
derle su la persona, ella n' ebbe un freniito. E la
povera donna nulla aveva provato nella sua vita
di pill dolce cbe quel freniito di sensiialita mistica
e il susseguito sfininu^nto di languore.
La Pasqua rosata rimase percio la festivita pre-
diletta di Anna, e ritorno periodicainente senza al-
cun episodio notevole. Nel 1800 la citta fu turbata
da gravi agitazioni. Si udivano spesso nella notte
i rulli dei tamburi, li alhirmi delle sentinelle, i
colpi della mosclietteria. Nella casa di Donna Cri-
stina si manifesto un piu vivo fervore di azione
tra i cinque proci. Anna non si sbigotti ; ma vissc
in un raccoglimento profondo, non prendendo co-
noscenza delli avvenimenti pubblici ne di quelli
domestici, adempiendo ai suoi uftici con im'esat-
tezza maccbinale.
Nel mese di settembre la fortezza di Pescara fu
evacuata; le milizie borboniclic si sbandarono, git-
tando armi e bagagli nolle acque del fiume ; stiioli
di cittadini corsero le vie con liberali acclamazioni
N
di gioia. Anna, come seppe cbe V abate Cennamele
era fuggito precipitosamente, penso die i nemici
della Cliiesa di Dio avessero ottenuto il trionfo ; e
n' ebbe molto dolore.
Dope, la sua vita si svolse in pace, lungo tempo.
Lo scudo della testuggine crebbe in latitudine e
divenne piu opaco ; la pianta del tabacco annual-
mente sorse, fieri e cadde; le sagge rondini in
ogni autunno partirono per la terra dei Faraoni.
Nel 18G5 alfine la gran contesa dei proci termino
con la vittoria di Don Fileno d' Amelio. Le nozze
si celebrarono nel mese di marzo, con solenne gio-
condita di conviti. E vennero allora ad ammannire
vivande preziose due padri cappuccini, Era Vitto-
rio, e Era Mansueto.
Erano costoro i due clie di tutta la compagnia
rimanevano, dope la soppressione, a custodire il
cenobio. Era Vittorio era un sessagenario inver-
migliato, fortificato e letificato dal succo delP uva.
Una piccola benda verde gli copriva Pinfermita
delP occhio destro, e il sinistro gli scintillava pieno
di vivezza penetrante. Egli esercitava fin dalla gio-
ventii P arte farmaceutica ; e, come aveva pratica
molta di cucina, i signori solevano cbiainarlo in
occasione di festeggiamenti. NelPopere aveva gesti
rudi cbe gli scoprivano fuor delle ampie mauicbe
h
%
72
ANNALI D ANNA.
le braccia villose ; la sua barba si moveva tutta
ad ogni moto clella bocca ; la sua voce si frangeva
in styidori. Fia Mansueto in voce era un veccliio
macilente, con una testa caprina da cui pendeva
una barbicola Candida, con due occhi giallognoli
pieni di sommissione. Egli coltivava 1' orto, e que-
stuando portava V erbe niangerecce per le case.
NelPaiutare il conipagno prendeva attitudini nio-
deste, zoppicava da un piede ; parlava nel niolle
idioma patrio di Ortona, e, forse in menioria dell a
leggenda di san Tommaso, esclaniava : — Pa' li
Turchi! — ad ogni inomento, lisciandosi con una
niano il cranio polito.
Anna attendeva a porgere i piatti, li arnesi, i
vasellami di ranie. Le pareva ora clie la cucina
assumesse una sorta di solennita sacra per la pre-
senza dei due frati. Ella restava intenta a guar-
dare tutti li atti di Fra Vittorio, presa da quella
trepidazione che le persone semplici provano in
conspetto delli uoniini dotati di qualche virtu su-
periore. Ammirava ella in ispecie il gesto infalli-
bile con cui il gran cappuccino spargeva su li
intingoli certe sue droglie segrete, certi suoi aronii
particolari. Ma V umilta. la niitezza, la niodesta
arguzia di Fra ^lansueto a poco a poco la conqui-
starono. E i legami della comune patria e quelli
I
ANNALI I)' ANNA.
73
pill sensibili del comune idioma strinsero P una e
r altro d' amicizia.
Come essi conversavano, i ricordi del passato
pullulavano nolle loro parole. Fra Mansueto aveva
conosciuto Luca Minella o si trovava nella basi-
lica quando accadde la morte di Francosca Nobile
tra i Pellegrini. — Pc' U TurcJii!.,. — Eg\i aveva
anzi date aiuto a trasportare il cadavore fine alle
case di Porta-Caldara ; e si ricordava clie la morta
aveva addosso una veste di seta gialla e tante col-
lane d' oro....
Anna divenno triste. Nella sua memoria il fatto
fine a quel memento era rimasto confuso, vago,
quasi incorto, poiclie forse la prima impressione
roalo le era stata attenuata nel corvello dal lun-
gliissiino stupore inerte die aveva susseguito i
primi accessi epilettici. Ma quando Fra Mansueto
disse die la morta stava in paradise perche clii
muore per causa di religione va fra i santi, Anna
prove una dolcozza indicibile e si sent! d' un tratto
crescere nelPanimo una immensa adorazione per
la santita della madre.
Allora, per un bisogno di rammentare i luoghi
del paese native, ella si mise a discorrere su la
basilica dell' Apostolo, minutamente, dotorminando
le forme delli altari, la positura ddle cappelle, il
|SF
74
ANNA LI D ANNA.
I
niiiiicro (lelli arredi, le figurazioni della cupola, le
attitiulini delle imagiiii, le divisioni del pavimento,
i colori delle vetrate. Fra Maiisueto la secoiidava
coiT benignita ; e, poiche egli era state ad Ortona
alcuni mesi innanzi, raccoiito le iiiiove cose ve-
dute. — L' arcivescovo di Orsogiia aveva donato
alia basilica an ciborio d' oro con incrostature di
pietre preziose. La Confrateniita del SS. Sacra-
mento aveva rinnovato tiitti i legnanii e i coranii
delli stalli. Donna Blandina Onofrii aveva fornito
una intera muta di parati consistente in pianete,
dalmaticlie, stole, piviali, cotte.
Anna ascoltava avidaniente ; e il desiderio di
vedere le nuove cose e di rivedere le anticlie co-
niincio a tornientarla. Ella, quando il cappuccino
tacque, si rivolse a lui con un' aria tra di letizia
e di tiniidezza. — La festa di niaggio si avvici-
nava. Se andassero? —
XIIL
Alle calende di maggio la donna, avnta licenza
da Donna Cristina, fece li apparecchi. Una inquie-
tudine le nacque nelP aniino per la testuggine. —
Doveva lasciarla ? o portarla seco ? — Stette lun-
gamente in forse; e alfine decise di portarla. per
ANNALI D ANNA.
75
sicurezza. La pose dentro un canestro, tra i panni
suoi e le scatole di confetture clie Donna Cristina
inviava a Donna Veronica Monteferrante, abadessa
del monastero di Santa Caterina.
Su r alba Anna e Fra Mansueto si misero in
canimino. Anna aveva su '1 principle il passo spe-
dito, r aspetto gaio : i capelli, gia quasi tutti ca-
nuti, le si piegavano lucidi sotto il fazzoletto. II
frate zoppicava reggendosi a una mazza, e le bi-
sacce vuote gli penzolavano dalle spalle. Come
essi giunsero al bosco del pini, fecero la prima
sosta.
«
II bosco, al mattino di niaggio, ondeggiava im-
merse nel siio profumo natale, voluttuosamente,
tra il serene del cielo e il serene del mare. I tron-
clii genievano la ragia. I merii fischiavano, Tutte
le fonti della vita parevano aperte su la transfigu-
razione della terra.
Anna sedette sopra 1' erba ; ofFerse al cappuc-
cino pane e frutta; e si mise a discorrere della
festivita, ad intervalli, uiangiando. La testuggine
tentava con le zampe anteriori V orlo del cane-
stro, e la sua timida testa serpigna sporgeva e si
ritraeva nelli sforzi. Poi clie Anna V aiuto a discen-
dere, la bestia prese ad avanzare su '1 musco verso
un cespuglio di mirto, con minor lentezza, forse
•11
76
ANNALI D ANNA.
ANN ALT d' anna.
77
sentendo in se levarsi coiifiisamente la gioia della
primitiva libertu. E il suo sciido tra il verde pa-
re va pill bello.
Allora Fra Mansiioto fece alcune ritlessioni mo-
rali e lodo la Provvidenza clie da alia tostiiggine
una casa e le da il sonno durante la stagione del-
r inverno. Anna racconto alcuni fatti die dimo-
stravailo nella testuggine un gran candore c una
gran rettitudine. Poi soggiunse : "" Che pensera ? "
E dopo un poco : "" Li animali die penseranno ? "
II frate non rispose. Ambedue riinasero per-
plessi. Scendeva giii per la corteccia di un pino
una fila di forniidie e si dilungava su '1 terrene :
ciascuna formica trascinava un frainniento di cibo
e tutta r innunierevole faniiglia coinpiva il lavoro
con ordine diligente. Anna guardava, e le si sve-
gliavano nella niente le credenze ingenue delP in-
fanzia. P^lla parlo di abitazioni meravigliose che
le formiclie scavano sotto la terra. II frate disse,
con un accento di fede intensa : "" Dio sia lodato ! "
E ambedue riinasero cogitabondi, sotto i verdi al-
beri, adorando nel loro ciiore Iddio.
Nella prima ora del pomeriggio arrivarono al
paese di Ortona. Anna batte alia porta del mo-
nastero e cliiese di vedere T abadessa. AlPentrare
si presentava un piccolo cortile con nel mezzo una
cisterna di pietra bianca e nera. 11 parlatorio era
una stanza bassa, con poche sedie in torno : due
pareti erano occupate dalle grate, le altre due da
un crocifisso e da imagini. Anna fu subito presa
da un sense di venerazione per la pace solenne
die regnava in quel luogo. Quando la madre Ve-
ronica apparve d' improvviso dietro le grate, alta
e severa nelPabito monastico, ella provo un tur-
bamento indicibile come dinanzi all' apparizione di
una forma soprannaturale. Poi, rianimata dal buon
sorriso delP abadessa, ella compi il messaggio in
brevi parole ; depose nel cavo della riiota le sca-
tole, ed attese. La madre Veronica le si rivolse
con benignita, giiardandola dalli ocelli ampi e ca-
stanei ; le dono un' effigie della Vergine ; nel licen-
ziarla le tese la man signorile pe '1 bacio, a tra-
verse la grata, e disparve.
Anna usci trepidante. Mentre passava il vesti-
bolo, le giunse un core di litanie, un canto die
veniva forse da una cappella sotterranea, ugualis-
sinio e dolce. Mentre passava il cortile vide a si-
nistra in cima al muro sporgere un ramo carico
di aranci. E, come pose il piede su la via, le })arve
di aver lasciato dietro di se un giardino di beati-
tudine.
Allora si diresse verso la strada Orientale per
ff:
I .
it i
11
78
ANNA LI d' anna.
cercare i parenti. Sii la porta dclla veccliia casa
una donna sconosciiita stava appoggiata alio sti-
pite. Anna le si avvicino timitlamcnte c Ic chiese
novelle della famiglia di Franccsca Nobile. La
donna la intemippo :— Perche ? Perclie? Che vo-
leva? — con una voce dura e uno sguardo inve-
stigante. Poi, quando Anna si paleso, ella le per-
mise di entrare.
I parenti erano quasi tutti o morti o emigrati.
Restava nella casa un veccliio infermo, zi' Mingo,
che aveva sposato in seconde nozze la figlia di
SUendore e viveva con lei quasi in miseria. II
veccliio da prima non riconobbe Anna. Egli stava
seduto su un'alta sedia ecclesiastica di cui la
stoffa rossastra pendeva a brandelli : le sue mani
posavano su i braccioli, contorte ed enormi per la
mostruosita della chiragra; i suoi piedi con un
moto ritmico percotevano il terrene ; un continuo
treniore paralitico gli agitava i muscoli del collo,
i gomiti, le ginoccliia. Ed egli guardo Anna, te-
nendo a fatica dischiuse le palpebre infiamniate.
Finalmente si risovvenne.
Come Anna andava esponendo il proprio state,
la figlia di Sldendore odorando il denaro comin-
ciava a concepire nelF animo speranzc di usurpa-
zione e per virtu delle speranze diveniva in volto
annali d' anna.
79
piu benigna. Subito die Anna termino, ella le of-
ferse V ospitalita per la nottc ; le prese il cane-
stro dei panni e lo ripose; promise di aver cura
della testuggine ; poi fece alcune querele compas-
sionevoli su la infermitii del veccliio e su la mi-
seria della casa, non senza lacrime. Ed Anna usci,
con r animo pieno di riconoscenza e di miseri-
cordia; risali per la costa, verso lo scampanio
della basilica, provando un' ansia crescente nel-
r appressarsi. .'
In torno al palazzo Farnese il .popolo rigurgi-
tava tumultuario ; e quella gran reiiquia di pietra
sovrastava ornata di paramenti, magnificata *dal
sole. 'Anna passo in mezzo alia folia, lungo i ban-
chi delli argentari artefici di arredi sacri e di
oggetti votivi. A tutto quel candido scintillare di
forme liturgiche il cuore le si dilatava per alle-
grezza ; ed ella si faceva il segno della croce di-
nanzi a ogni banco come dinanzi a un altare.
Quando giunse alia porta della basilica e intravide
la luminaria e traudt il cantico del rito, ella non
pill contenne la veemenza della gioia ; si avanzo
fin presso il pulpito, con passi (^iiasi vacillanti. Le
ginoccliia le si piegarono; le lacrime le sgorga-
rono dalli ocelli allucinati. Ella rimase la, in con-
templazione dei candelabri, dell' ostensorio, di tutte
Mdi::^^
80
ANNALI d' anna.
le cose che erano su V altare, con la testa vacua,
poiche dalla mattina noii avcva piu mangiato. E
le prendeva le vene una deholezza immensa ; la
conscienza le veniva meno in una specie di an-
nientaniento.
Sopra di lei, lungo la nave centrale le lampade
di vetro componevano una triplice corona di fuo-
chi. In fondo, quattro massicci tronchi di cera
fiammeggiavano ai lati del tabernacolo.
\'
XIV.
I cinque giorni della festa i^nna visse cosi, den-
tro la chicsa, dalP ora niattutina fino all' ora in cui
le porte si chiudovano, fedelissima, respirando quel-
le aria calda che le metteva nei sensi un torpore
beatitico, nelP aninia una felicita plena di uniilta.
Le orazioni, le genuflessioni, le salutazioni, tutte
quelle forniule, tutti quel gesti rituali ripetuti in-
cessantemente, le avevano dato una specie di ot-
tusita contro ogni altra sensazione clie non fosse
religiosa.
Rosaria, la figlia di Sblendore, intanto ne traeva
profitto, movendo la pieta di *lei con false queri-
monie e con lo spettacolo niiserevole del veccbio
paralitico. P:ila era una fonnnina nialvagia, esperta
ANNALI I)' ANNA.
81
nolle frodi, dedita alia crapula ; aveva tutta la fac-
cia sparsa di uniori verinigli e serpiginosi, i capelli
canuti, il ventre obeso. Legata al paralitico dai co-
muni vizi e dalle nozze, ella insieine con lui aveva
disperse in breve tempo le gia scarse sostanze, be-
vendo e gozzovigliando. Ambedue nella miseria,
involeniti dalla privazione, arsi da sete di vino e
di liquori ignei, aftrauti da infermita senili, ora
espiavano il loro lungo peccato.
Anna, con uno spontaneo moto caritatevole,
diede a Eosaria tutto il denaro tenuto per le ele-
mosine, tutti i panni superfiui; si tolse li orec-
chini, due anelli d' oro, la colkma di corallo ; pro-
mise altri soccorsi. E riprese quindi il cammino
di Pescara, in compagnia di Fra Mansueto, por-
tando nel canestro la testuggine.
In cammino, come le case di Ortona si allon-
tanavano, una gran tristezza scendeva su I'animo
della donna. Stuoli di pellegrini volgevano per al-
tre vie, cantando : e i loro canti rimanevano a
lungo nelParia, monotoni e lenti. Anna li ascol-
tava; e un desiderio senza fine la traeva a rag-
giungerli, a seguirli, a vivere cosi pellegrinando
di santuario in santuario, di terra in terra, per
esaltare i miracoli d' ogni santo, le virtu d' ogni
reliquia, le bonta d' ogni Maria.
D' Annunzio. q
J I
82
ANNAU d' x\NNA.
ANNA LI d' anna.
83
"Vanno a Cocullo/' le disse Fra Mausueto,
accennando co '1 braccio a im paese lontano. E
ambediie si misero a parlarc di san Domenico clie
protegge dal inorso dei serpent i li iioniiui e le
semenze dai briichi; poi d^\ltri patroni. — A Bii-
gnara, su '1 Tonte del Rivo, piu di cento giunienti,
tra cavalli, asini e niuli, carichi di fruniento vanno
in processione alia Madonna della Xeve : i devoti
cavalcano su le some, con serti di spiglie in capo,
con tracolle di pasta; e depongono ai piedi del-
r imagine i doni cereali. A Bisenti, molte giovi-
nette, con in capo canestre di grano, conducono
per le vie un asino che porta su la groppa una
maggiore canestra ; ed entrano nella chiesa della
IMadonna delli Angeli, per V offerta, cantando. A
Torricella Peligna, uomini e fanciulli, coronati di
rose e di bacche rosee, salgono in pellegrinaggio
alia Madonna delle Rose, sopra una rupe dov' e
rorma di Sansone. A Loreto Aprutino ' un . buo
candido, impinguato durante Fanno con abbondanza
di pastura, va in pompa dietro la statua di san
Zopito. Una gualdrappa vermiglia lo copre, e lo
cavalca un fanciullo. Come il santo rientra nella
chiesa, il bue sMnginoccliia su '1 limitare; poi si
rialza lentamente, e segue il santo tra il plauso
deUpopolo. Giunto nel mezzo della chiesa, manda
fuora li escrementi del cibo ; e i devoti da quella
materia fumaiite traggono li auspicii per V agri-
cultura.
Di queste usanze religiose Anna e Fra Mansueto
parlavano, quando giunsero alia foce delPAlento.
1/ alveo portava le acque di primavera tra le vi-
talbe non anche iiorenti. E il cappuccino disse della
Madonna dell' lucoronata, dove per la festa di san
Giovanni i devoti si cingono il capo di vitalbe,
e nella notte vanno su '1 fiume Gizio a passar
Vacqua con grandi allegrezze.
Anna si scalzo per guadare. Ella sentiva ora
neir animo un' innnensa venerazione d' amore per
tutte le cose, per li al])eri, per le er])e, per li ani-
mali, per tutte le cose die quelle usanze cattoliche
avevano santificato. E dal fondo della sua igno-
ranza e della sua semplicita I'instinto dell'idolatria
insorgeva ora, per un fenomeno naturale, piena-
mente.
Alcuni mesi dopo il ritorno, scoppio nel paese
un' epidemia colerica ; e la mortalita fu grande.
Anna presto le sue cure alii infermi poveri. Fra
Mansueto mori. Anna n' ebbe molto dolore; e
nel 18GG, per la ricorrenza della festa, voile pren-
dere congedo e rimpatriare per sempre, poiche
vedeva in sogno tutte le notti san Tommaso che
i
•I
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ANXAU d' anna.
ANNALI d' anna.
85
le coniandava di partire. Ella prese la testiiggine,
le sue robe e i siioi rispanui; bacio le maiii di
Donna Cristina, piangendo ; e parti questa volta
sopra un carretto, insieme con due monaclie que-
stuanti.
A Ortona ella abito nella casa dello zio parali-
tico; dormi su un pagliericcio ; non si cibo die di
pane e di loguini. Dedicava tutte le ore del giorno
alle praticlie della cliiesa, con un fervore meravi-
glioso ; e la sua mente vie piii perdeva ogni altra
facolta die non fosse quella di conteinplare i nii-
steri cristiani, di adorare i simboli, iV iniaginare
il paradise. Ella era tutta rapita nella carita divina,
era tutta compresa di quella divina passione die i
sacerdoti nianifestano senipre con li stessi segni e
con le stesse parole. Ella non comprendeva die
queir unico linguaggio ; non aveva die quelF unico
ricovero, tiepido e solenne, dove tutto il cuore le
si dilatava in una pia securta di pace, e li ocdii le
s' inuniidivano in un' inetlabile soavita di lacrinie.
Sotfri, per amor di Gesu, le miserie doniesticlie;
f u dolce e soniniessa ; non niai protieri un laniento,
un riniprovero, o una ininaccia. Rosaria le sot-
trasse a poco a poco tutti i risparmi ; e coinincio
quindi a farle patire la fame, ad angariarla, a diia-
marla con nomi disonesti, a perseguitarle la te-
stuggine con insistenza feroce. II vecdiio paralitico
omai non faceva die emettere una specie di mu-
golio rauco, aprendo la bocca entro cui la lingua
tremava, e da cui colava in al)bondanza la saliva
continuamente. Un giorno, poiche la moglie avida
beveva innanzi a lui un liquore e gii negava il
biccliiere sfuggendo, egli si levo dalla sedia con
uiio sforzo, e si niise a caniminare verso di lei : le
gainbe gli oscillavano, i piedi si posavano su '1
terrene con un' involontaria percussione ritmica.
D' un tratto egli si accelero, co 1 tronco inclinato
in avaiiti, saltellando a piccoli i)assi incalzanti,
come spinto da un iiiipiilso progressive irresistibile,
finclie cadde bocconi su V orlo delle scale, ful-
minato....
XV.
Allora Anna, afflitta, prose la testuggine, e ando
a cliieder soccorso a Donna Veronica Montefer-
rante. Come la povera donna gia nelli ultimi tempi
faceva alcuni servizi pe '1 monastero, V abadessa
miser i(*ordiosa lo diede V ufficio di conversa.
Anna, se bene non aveva li ordini, vest! V abito
monacale : la tunica .nera, il soggolo, la cuffia dalle
ample tese candide. Le parve, in quelF abito, di
I
\ I
l;
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ANNAU D ANNA.
essere santiticata. E, da prima, quaiulo alF aria le
tese le sbattevano in toriio al capo con un tVemito
d' aii, ella trasaliva per un turbaniento iniprowiso
di tutto il suo sangue. E, da i)rinia, quando le tese
percosse dal sole le rillettevano nella faccia un
vivo chiaror di neve, ella d' inii)rovviso credevasi
illiiminata da un baleno mistico.
Con Pandar del tempo, queste allucinazioni,
queste sensazioni illusorie a poco a poco aumenta-
vano di fre(iuenza, diventavano piii gravi ; palesa-
vano nella divota la crescente decadenza delP at-
tivita cerebrale, in specie della volonta e della
ragione, e il predominio delP attivita spinale, di
un' attivita inordinata e involontaria clie produceva
fenomeni singolarissimi. Pareva clie Tantica epiles-
sia risorgesse ora in quel corpo esaurito, unendosi
a un nuovo morbo e manifostandosi con forme i)iu.
mirabilmente complesse, dopo il lungo intervallo.
I disturbi di sensibilita avvenivano di prc^ferenza
nella vista, nelF udito e neir oltatto. L' inferma era
coli)ita a quando a quando da suoni ang^^lici, da
echi lontani d' organo, da romori e voci non per-
cettibili alii orecchi altrui. Figure luminose le si
presentavano dinanzi, nel buio. Odori la rapivano.
.Cosi pe '1 monastero una specie di stupore e
insieme dMnquietudine comincio a diffondersi, come
ANNALI d' anna..
87
per la presenza di una qualclie delta occulta, come
per r imminenza di un qualclie avvenimento sopran-
naturale. Per cautela, la nuova conversa fu dispeu-
sata da ogni obbligo d' opere servili. Tutte le atti-
tudini di lei, tutte le parole, tutti li sguardi furono
osservati, conientati con superstizione. E alcuni ec-
cezionali fatti morbosi in ultimo concorsero a for-
mare la leggenda della santita.
Su le calende di febbraio 1873, per un' altera-
zione dei muscoli della laringe la voce di Anna
m
divenne singolarmente rauca e profonda. Come
r alterazione crebbe lino a una totale paralisi del-
r organo vocale, Anna perde la virtu della parola,
d' un tratto.
Questo fenomeno inaspettato sbigotti li animi
delle religiose. E tutte, stando in torno alia con-
versa, ne consideravano con una trepidazione di
terrore li atteggiamonti estatici, i movimenti vaglii
della bocca afona, la immobilita delli occlii, d' onde
a tratti, per una pura causa meccanica, sgorgavano
profluvi di lacrime. I lineament! dell' inferma, este-
nuati dai lunglii digiuni, avevano ora assunto una
purita quasi eburnea ; e tutte le trame delle vene
e delle arterie, tutte quelle glauche I'oticole sot-
tocutanee, ora trasparivano cosi visibili, e sporge-
vano con cosi forti rilievi, e cosi incessantemente
4
! i
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ANNAU d' anna.
ANNALI d' anna.
89
\
palpitavana die dinanzi a qiiella palesata vibra-
ziono della vitalita interiore una sofferenza strana
prendeva le monaclie, una specie di raccapriccio
simile forse in parte a quelle clie si prova al con-
spetto di un covpo umano, in cui le escoriazioni
abl)iano messo a nudo i tessuti.
Quando fu prossinio il mcse mariano, un' anio-
rosa diiigonza sollocito le Tjenedettine al paramento
deir oratorio. Si spargevano esse nel verziere clau-
strale tutto fiorente di rose e fruttiticante diaranci,
raccogliendo la messe del maggio novello per de-
porla ai piecli dell' altare. Anna, tornata nella cahna,
discendeva anch' ella ad aiutare la pia opera; e si-
jrnificava talvolta con i gesti il pensiero die la
perdurante afonia le toglieva di esprimere. Una
mollezza tepidissima insidiava tutte quelle spose
del Signore, incedenti tra le fonti letifiche del pro-
fuino. Fuggiva lungo un lato del verziere un por-
tico ; e come nelP animo delle vergini i profumi ri-
svegliavano imagini sopite, cosi il sole penetrando
sotto li ardii hassi ravvivava nelF intonico i residui
deir oro bizantino.
L' oratorio fu pronto per il giorno del prime
ufficio. La cerimonia ebbc^ principio dopo il vespro.
Una suora sali su 1' organo. Subitamente dalle
canne armoniche il fremito ddla passione si pro-
pago in tutte le cose ; tutte le fronti s' inclinarono ;
i turiboli diedero fumi di belgiuino; le fiammelle
dei ceri palpitarono tra corone di fieri . Poi sorsero
i cantici, le litanie piene di appellazioni simbolidie
e di suppliclievole tenerezza. Come le voci salivano
con forza crescente, Anna nelF immenso impeto del
forvore grido. Colpita dal prodigio, cadde supina;
agito le braccia, voile rialzarsi. Le litanie s' inter-
ruppero. Delle suore, alcune, quasi atterrite, erano
rimaste un istante nelP immobilita ; altre davano
soccorso air inferma. II miracolo appariva inopinato,
fulgidissimo, supremo.
Allora a poco a poco alio stupore, al murmure
incerto, alle titubanze successe un giubilo senza
limiti, un core di esaltazioni clamorose, un fana-
tismo d' adorazione. Anna, in ginocchio, ancora as-
sorta nel rapimento del miracolo, non aveva forse
conscienza di quel che in torno avvcniva. Ma quando
i cantici con una maggior veemenza furono ripresi,
ella canto. La sua nota su dalla cadente onda del
core ad intervalli emerse; poiche le divote dimi-
nuivano la forza delle lore voci per ascoltare quella
unica che dalla grazia divina era stata riconcessa.
E la Vergine.nei cantici a volta a volta fu P in-
censiere d' oro, d' onde esalavano i balsami piu dolci,
la lampada che di e notte rischiarava il santuario,
I
90
ANNA LI d' anna.
ANNALI D ANNA.
01
r urna che racchiiuleva la manna del cielo, il ro-
veto die ardeva senza consumarsi, lo stelo di Jesse
che portava il piu bello di tutti i fiori.
Dopo, la fama del miracolo si sparse dal mona-
stero in tutto il paese di Ortona, e dal paese in'
tntte le terre finitime, aumentando nel viaggio. E
il monastero sorse in grande onore. Donna Blan-
dina Onofrii, la niagnitica, offerse alia Madonna
deir oratorio una veste di broccato d' argento e una
rara collana di turcliesie venuta dall'isoladi Sniirne.
Le altre gentildonne ortonesi oftersero altri minori
doni. L^ arcivescovo d' Orsogna fece con ponipa una
visita gratulatoria, in cui rivolse parole di editi-
cante eloquenza ad Anna che « con la purita della
vita si era resa dogna dei doni celesti. »
Da quel tempo la degradazione intellettuale nel-
r inferma ando senipre crescendo, fiuo ad assumere
per lunghi intervalli una forma completa d' imbe-
cillita inerte. E pareva che dalla sua persona una
profonda influenza s' irraggiasse su le conviventi ;
poiche in alcune fra queste si manifestarono dis-
ordini psichici non lievi, e in tutte la divozione
raggiunse I'apice del fervore.
NelPagosto del 1870 sopravvennero nuovi feno-
meni che avevano anche una piu grave apparenza
di cause divine. L' inferma, quando si avvicinava il
vespro, senza alcun sintomo iniziale di attacco
convulsivo cadeva in uno state di estasi con cata-
lessia che si prolungava per una mezz' ora o poco
pill. Da queir estasi ella sorgeva quasi con impeto ;
e in piedi, conservando sempre la medesima atti-
tudine, coininciava a parlare, da prima lentamente,
e quindi gradatamente accelerando, come sotto I'ur-
genza di un' ispirazione mistica. II suo eloquio non
era che un miscuglio tunmltuario di parole, di
frasi, di interi periodi gia innanzi appresi, che
ora per un inconsciente meccanismo si riproducc-
vano, frammentandosi o combinandosi senza legge.
Le native forme dialettali s'innestavano.alle forme
auliche, s' insinuavano nolle iperboli del linguag-
gio biblico ; e mostruosi congiungimenti di sillabe,
inauditi accordi di suoni avvonivano nel disordine.
Ma il profondo tremito della voce, ma i cangia-
menti repentini delP inflessione, Palterno ascendere
e discendere del tono, la spiritualita della figura
estatica, il mistero delP ora, tutto concorreva a sog-
giogare li animi delle astanti.
»
Li effetti si ripeterono cotidianamente, con una
regolarita periodica. Su '1 vespro, nelP oratorio si
accendevano le lampade; le monache facevano cer-
chia inginocchiandosi; e la rai)presentazione sacra
incominciava. Come P inferma entrava nelP estasi
I
\\
H
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ANNALI d' ANXA.
ANNALT D ANNA.
0P>
catalettica, i pveliidi vaglii cleir organo rapivano
li aniiiii delle religiose in una sfera superioro. II
lume delle lampade si diffondcva fievole dalF alto,
dando un' incertitudine aerea e quasi una morente
dolcezza alF apparenza delle cose. A un punto V or-
gano taceva. La respirazione nelF infernia diveniva
pill profonda; le l)raccia le si distendevano cosi
die nei polsi scarnificati i tendini vibravano siniili
alle corde di uno stromonto. Toi, dHm tratto, Tin-
fernia balzava in piedi, incrociava le braccia su U
petto, restando nelF atteggianiento mistico delle ca-
riatidi d^ un battistero. E la sua voce risonava nel
silenzio, ora dolce, ora lugubre, ora quasi canora,
il pill delle volte incomprensibile.
Su i principii del 1877 questi accessi dimi-
nuirono di frequenza ; si presentarono due o tre
volte la settimana ; poi disparvero totalmente, la-
sciando il corpo delia donna in uno stato mise-
revole di debolezza. E allora alcuni anni passarono,
in cui la povera idiota visse tra sofferenze atroci,
con le membra rese inerti dalli spasimi articolari.
Ella non aveva piu alcuna cura della nettezza ;
non si cibava clie di pane molle e di poclii er-
l)aggi ; teneva in torno al collo, su '1 potto, una
gran quantita di piccolo croci, dl reliquie, d' ima-
gini, di corone; parlava balbettando per la man-
canza dei denti ; e i suoi capelli cadevano, i suoi
ocelli erano gia torbidi come quclli dei vecclii giii-
menti die stanno per morire.
Una volta, di maggio, mentre ella soffriva de-
posta sotto il portico e le suore in torno coglie-
vano per Maria le rose, le passo dinanzi la te-
stuggine die ancora traeva la sua vita pacifica e
innocente nel verziere claustrale. La vecchia vide
qiiella forma muoversi e a poco a poco allonta-
narsi. Nessim ricordo le si desto nella conscienza.
La testuggine si perse tra i cespi dei tiini.
Ma le suore consideravano la iinbecillita e la
infermita della donna come una di quelle supreme
prove di martirio a cui il Signore cliiama li eletti
per santificaiii e gloriticarli poi nel paradise ; e
circondavano di venerazione e di cure V idiota.
Neir estate del 1881 alcune sincopi precedettero
la inorte. Consunto dal marasmo, quel miserabile
corpo omai nulla piu conservava di uniano. Lente
deformazioni avevano viziata la positura delle mem-
bra; tumori grossi come pomi sporgevano sotto un
fianco, su una spalla, dietro la nuca.
Lamattina del 10 setteinbre, verso Tottava ora,
un sussulto della terra scosse dalle fondamenta
Ortona. Molti edifici precipitarono, altri furono
offesi nei tetti e nolle pareti, altri s' inclinarono e
94
ANNALI d' anna.
ANNA LI D ANNA.
95
»
s' abbassarono. E tutta la biiona geiite di Ortona,
con pianti, con grida, con invocazioni, con gran
cliiamare di 'santi e di madonne, usci fuori delle
poite, e si rauno su '1 piano di San Rocco, teniendo
maggiori pericoli. Le monache, prese dal panico,.
infi-ansero la clausura; irnippero sulla via, scar-
migliate, cercando la salvezza. Quattro di loro por-
tavano Anna sopra una tavola, E tutte trasscro
al piano, verso il popolo incolume.
Come esse giunsero in vista del popolo, unanimi
clamori si levarono, poiclie la presenza delle reli-
giose parve propizia. In ogni parte, d' in torno, gia-
cevano infernii, vecclii impediti, fanciulli in fasce,
donne stupide per la paura. Un l)ellissimo sole,
inattutino illustrava le teste tuniultuanti, il mare,
i vigneti ; e accorrevano dalla spiaggia inferiore i
marinai, cercando le mogli, chiamando i figli per
nome, ansanti per la salita, roclii; e da Caldara
cominciavano a venire mandre di pecore e di bovi
con i pastori, branclii di gallinacci con le femmine
guardiane, giumenti; poiclie tutti temevano la so-
litudine, e tutti, uomini e bestie, nel frangente si
accomunavano.
Anna, adagiata su '1 suola, sotto un olivo, sen-
tendo prossima la morte, si rammaricava con un
balbettio fievole,. perche non voleva morire senza
i sacramonti ; e le monache d' in torno le davano
conforto ; e li astanti la guardavano con pieta. Ora,
d' improvviso, tra il popolo una voce si* sparse, clie
da Porta-Caldara sarebbe uscito il busto delP Apo-
stolo. Le speranze risorgevano ; canti di rogazione
risorgevano nelP aria. Come da lungi vibro un luc-
cichio, le donne s' inginoccliiarono ; e con i capelli
disciolti, lacrimose, si misero a camminare su le
ginocchia, in contro al luccichio, salmodiando.
Anna agonizzava. Sostenuta da due suore, udi
le preghiere, udi Pannunzio; e forse in un' ultima
illusione tra vide V Apostolo veniente, poiche nella
faccia cava le passo quasi un sorriso di gaudio.
xVlcune bolle di saliva le apparvero su le labbra ;
un' ondulazione brusca le corse e ricorse, visibile,
la parte inferiore del corpo ; su li occhi le palpebre
le caddero, rossastre come per sangue stravasato ;
il capo le si ritrasse nolle spalle. Ed ella cosi al-
iine spiro.
Quando il luccichio si fece piii da presso alle
donne adoranti, si chiari nel sole la forma di un
giumento die portava in bilico su la groppa, se-
condo il costume, una banderuola di metallo.
L IDILLIO BELLA VEDOVA.
97
L' IDILLIO BELLA VEDOVA.
II cadavere del sindaco Biagio Mila, gia tiitto
vestito e con la faccia coperta d' una pezzuola
umida d' acqua e d' aceto, stava disteso nel Ictto,
quasi in mezzo alia stanza. Vegliavano, nella stanza,
la nioglie e il fratcllo del morto ai due lati.
Rosa Mila poteva avere circa venticinque anni.
Era una donna fiorita, di carnagione chiara, con
la fronte un po' bassa, le sopracciglia lungamente
arcuate, li ocelli grigi e larglii e nelP iride varie-
gati come agate. Possedendo in grande abbondanza
capelli, ella quasi sempre aveva la nuca e le tem-
pie e li occhi nascosti da molte ciocche ribelli.
In tutta la persona le splendeva una certa niti-
dezza di sanita e quella vivace frescliezza clie
danno alia cute femminile le lavande d' acqua ghiac-
cia abituali. Un profumo allettante le emanava
dalle vesti.
Emidio Mila, il clierico, poteva avere circa la
stessa eta. Era magro, con nel volto il colore bron-
zino di chi vive nella campagna al pieno sole. Una
molle lanugine rossiccia gli copriva le guance; i
denti forti e bianchi davano al suo sorriso una
bellezza virile ; e li occhi suoi giallognoli lucevano
talvolta come due zecchini nuovi.
Ambedue tacevano : 1' una scorrendo con le dita
un rosario di vetro, V altro guar dan do il rosario
scorrere. Ambedue avevano 1' indifferenza che la
nostra gente campestre suole avere dinanzi al mi-
stero della morte.
Emidio disse, con un lungo respiro :
"" Fa caldo, stanotte."
Rosa sollevo li occhi, per assentire.
Nella stanza un poco bassa la luce oscillava
secondo i moti della fiammella che ardeva nelP olio
d' una lampada di ottone. Le ombre si raccoglie-
vano ora in un angolo ora in una parete, variando
di forme e di intensita. Le vetrate della finestra
erano aperte, ma le persiane restavano chiuse. Di
tratto in tratto le tende di mussolo bianco si mo-
vevano come per un fiato. Su '1 candore del letto
il corpo di Biagio pareva dormire.
Le parole di Emidio caddero nel silenzio. La
donna chino di nuovo la testa, e ricomincio a scor-
D' Annunzio. 7
98
l' idillio dell.\ vedova.
L IDILLIO DELLA VEDOVA.
99
rere il rosario lentamente. Alciine stille di sudore
le imperlavano la fronte, e la respirazione le era
faticosa.
Emidio, dopo iin poco, domando:
* A clie ora verranno a prenderlo, domani ? "
Ella rispose, nel natural suono dclla sua voce:
" Alle dieci, con la congregazione del Sacra-
mento."
Quindi ancora tacquero. Dalla campagna giun-
geva il gracidare assiduo delle vane, giungevano a
quando a quando li odori delle erbe. Nella tran-
quillitii perfetta Rosa udi una specie di gorgoglio
roco escir dal cadavere, e con un atto di orrore si
levo dalla sedia, e fece per allontaiiarsi.
""Non abbiate paura, Rosa. Sono umori, "
disse il cognato, tendendole la mano per rassi-
curarla.
Ella prese la mano, istintivamente ; e la tenne,
stando in piedi. Tendeva li orecchi per ascoltare,
ma guardava altrove. I gorgoglii si prolungavano
dentro il ventre del morto, e parevano salire verso
la bocca.
" Non e nulla, Rosa. Quietatevi," soggiunse il
cognato, accennandole di sedere sopra un cassone
da nozze coperto d'un lunoo cuscino a fiorami.
Ella sedette, a canto a lui, tenendolo ancora
per mano, nel turbamento. Come il cassone non
era molto ^rande, i gomiti dei seduti si toccavano.
II silenzio torno. Un canto di trebbiatori sorse
di fuori in lontananza.
" Fanno le trebbie di notte, al lume della luna,"
disse la donna, volendo parlare per ingannar la
paura o la stancliezza.
Emidio non apri bocca. E la donna ritrasse la
mano, poiche quel contatto ora cominciava a darle
un sense vago d' inquietudine.
Ambedue ora erano occupati da uno stesso
pensiero clie li aveva colti d' improvviso ; ambe-
due ora erano tenuti da uno stesso ricordo, da un
ricordo di amori agresti nel tempo della puberta.
Essi, in quel tempo, vivevano nelle case di Cal-
dore, su la collina solatia, al quadrivio. Sul limite
d' un campo di fromento sorgeva un muro alto co-
struito di sassi e di terra argillosa. Dal lato di
mezzodi, che i parenti di Rosa possedevano, come
ivi era piu lento e dolce il calor del sole, una fa-
miglia di alberi fruttiferi prosperava e moltiplica-
vasi. Alia primavera tutti li alberi fiorivano in
comunione di letizia ; e le cupole argentee o rosee
violacee s' incurvavano sul cielo coronando il
nuiro e dondolavano come per inalzarsi uelP aria
I
100
l' IDILLIO DELLA VEDOVA.
e facevano insieme un ronzio sonnifero come d'api
mellificanti.
Dietro il miiro, dalla parte delli alberi Piosa
in quel tempo soleva cantare.
La voce limpida e fresca zampillava come una
fontana, sotto le corone del tiori.
Per una lunga stagione di convalescenza Emi-
dio aveva udito quel canto. Egli era debole e fa-
melico. Per sfuggire alia dieta, scendeva dalla casa
furtivamente, celando sotto li abiti un gran pezzo
di pane, e camminava lungo il muro, nelF ultimo
solco del grano, fin che non giungeva al luogo
della beatitudine.
Allora si sedeva, con le spalle contro i sassi ri-
scaldati, e cominciava a mangiare. Mordeva il pane
e sceglieva una spiga tenera : ogni granello aveva
in se una minuta stilla di succo simile a latte e
aveva un fresco sapore di farina. Per un singolar
fenomeno, la volutta delF alimentazione e la vo-
lutta deir udito nel convalescente si confondevano
quasi, in una sola sensazione infinitamente dilet-
tosa. Cosicche in quell' ozio, tra quel calore, tra
quelli odori che davano all' aria quasi la cordial
saporita del vino, anche la voce femminile diveniva
per lui un naturale alimento di rinascenza e come
un nutrimento fisico ch' egli assimilava.
L IDILLIO DELLA VEDOVA.
101
i
r
II canto (ii Rosa era dunque una causa di gua-
rigione. E, quando la guarigione fu compiuta, la
voce di Rosa ebbe seinpre sul beneficato una virtu
di fascinazione sensuale.
Dopo d' allora, poiche tra le due famiglie la
dimestichezza divenne grande, sorse in Emidio uno
di quel taciturni e timidi e solitari ainori d' ado-
lescenza.
Di settembre, prima che Emidio partisse pel
seminario, le due famiglie riunite andarono in
un pomeriggio a merendare nel bosco, lungo il
fiume. . ,
La giornata era moUe, e i tre carri tirati dai
bovi avanzavano lungo i canneti fioriti.
Nel bosco la merenda fu fatta sulP erba, in
una radura circolare limitata da fusti di pioppi
giganteschi. L' erba corta era tutta piena di certi
piccoli fiori violacei che esalavano un profumo sot-
tile ; qua e la nell' interno discendevano tra il fo-
gliame larghe zone di sole ; e la riviera in basso
pareva ferma, aveva una tranquillita lacustre, una.
pura trasparenza ove le piante acquatiche dormi-
vano.
Dopo la merenda, alcuni si sparpagliarono per
la riva, altri rimasero distesi supini.
Rosa ed Emidio si trovarono insieme ; si pre-
102 l' IDILLIO DELIA VEDOVA.
sero a braccio e cominciarono a camminare per
un sentiero segnato tra i cespugli.
Ella si appoggiava tutta su lui ; rideva, strap-
pava le foglie ai virgulti nel passaggio, morsic-
chiava li steli amari, lovesciava la testa in dietro
per guardar le ghiaiulaie fuggiasche. Nel moto il
pettine di tartaruga le scivolo dai capelli che d'un
tratto le si diffusero su le spalle con una stupenda
riccliezza.
Emidio si chino insieme a lei per raccogliere
il pettine. Nel rialzarsi, le due teste si urtarono
un poco. Rosa, reggendosi la fronte tra le mani,
gridava tra le risa :
" xYhi ! Ahi ! " •
II giovinetto la guardava, sentendosi freniere
sin nelle niidolle e sentendosi impallidire e temendo
di tradirsi.
Ella distacco con 1' unghie da un tronco una
lunga spirale d' edere, se V avvolse alle trecce con
un attorcigliamento rapido e fermo la ribellione
su la nuca con i denti del pettine. Le foglie verdi,
talune rossastre, mal contcnute rompevano fuori
irregolarniente. Ella cliiese :
"" Cosi vi piaccio?"
Ma Emidio non apri bocca ; non seppe che ri-
spondere.
L IDILLIO DELLA VEDOVA.
103
" Ah, non va bene ! Siete forse muto ? "
Egli sentiva la voglia di cadere in ginocchio.
E, come Eosa rideva d' un riso scontento, egli si
sentiva quasi salire il pianto alii ocelli per V an-
goscia di non poter trovare una parola sola.
Seguitarono a camminare. In un punto una al-
berella abbattuta impediva il passaggio. Emidio
con ambo le niani sollevo il fusto, e Rosa passo
di sotto ai rami verdeggianti che un istante la
incoronarono.
Pill in la incontrarono un pozzo ai cui fianchi
stavano due bacini di pietra rettangolari. Li alberi
densi formavano in torno e sopra il pozzo una
cliiostra di verdura. Ivi V ombra era profonda,
quasi umida. La volta vegetale si rispecchiava per-
fettamente nelF acqua che giungeva a meta dei
parapetti di mattone.
Rosa disse, distendendo le braccia:
'' Come si sta bene qui ! "
Poi raccolse 1' acqua nel cohcavo della palma,
con un' attitudine di grazia, e sorseggio. Le gocciole
le cadevano di tra le dita, e le imperlavano la veste.
Quando fu dissetata, *con tutt' e due le palme
raccolse altr' acqua, e 1' otter se al compagno lusin-
ghevolmente :
"" Bevete ! "
104
l' idillio della vedova.
l' idillio della vedova.*
105
« XT,
Non ho sete," balbetto Emidio istupidito.
Ella gli getto F acqua in viso, facendo con il
labbro inferiore una smorfia quasi di dispregio. Poi
si distese dentro uno dei bacini asciutti, come in
una culla, tenendo i piedi fuori delF orlo, e sco-
teudoli irrequietamente. A un tratto si rialzo,
guardo Emidio con uno sguardo singolare:
''Dunque? Andiamo."
Si rimisero in cammino, tornarono al luogo
della riunione, sempre in silenzio. I merli fischia-
vano su le loro teste; fasci orizzontali di raggi
attraversavano i loro passi ; e il profumo del bosco
cresceva in torno a loro.
Alcuni giorni dopo, Emidio partiva.
Alcuni mesi dopo, il fratello d' Emidio pren-
deva in mogli(^ Rosa.
Nei primi anni di scminario il cherico aveva
pensato spesso alia nuova cognata. Nella scuola,
mentre i preti spiegavano 1' Epitome historicc sa-
crce, egli aveva fantasticato di lei. Nello studio,
mentre i suoi vicini, nascosti dai leggii aperti, si
davano fra loro a pratiche oscene, egli aveva chiusa
la faccia tra le mani, es' era abbandonato ad im-
maginazioni impure. Nella chiesa, mentre le litanie
alia Vergine sonavano, egli dietro P invocazione
alia Bosa mijstica era fuggito lontano.
E come aveva appreso dai condiscepoli la cor-
ruzione, la scena del bosco gli era apparsa in una
nuova luce. E il sospetto di non avere indovinato,
il rammarico di non aver saputo cogliere un frutto
che gli si offriva, allora lo tormentarono strana-
mente.
Dunque era cosi ? Dunque Rosa un giorno lo
aveva amato ? Dunque egli era passato inconsape-
vole a canto a una grande gioia ?
E questo pensiero ogni giorno si faceva piu
acuto, .piu insistente, piu incalzante, piu angustioso.
E ogni giorno egli se ne pasceva con maggiore in-
tensita di sofferenza ; finche, nella lunga monotonia
della vita sacerdotale, questo pensiero divenne per
lui una specie di morbo immedicabile, e dinanzi
alia irremediabilita della cosa egli fu preso da uno
scoramento immenso, da una melanconia senza fine.
— Dunque egli non aveva saputo ! —
Nella stanza ora il lume oscillava con piu len-
tezza. Di tra le stecche delle persiane chiuse en-
travano soffi di vento meno lievi, e facevano un
poco inarcare le tende.
Rosa, invasa pianamente da un sopore, chiu-
deva di tanto in tanto le palpebre ; e come la testa
le cadeva sul petto, le riapriva subitamente.
lOG
l/ IDILLIO DELLA YEDOYA.
"" Siete stanea ? " chiese con molta dolcezza
il cherico.
'^ lo, no,'' rispose la donna, riprendendo li spi-
rit!, ed ergendosi su la vita.
Ma nel silenzio di nuovo il sopore le occupo
i sensi. Ella teneva la testa appoggiata alia pa-
rete: i capelli le enipivano tutto il collo, dalla
bocca semiaporta le usciva la respirazione lenta
e regolare. Cos! ella era bella; e nnlla in lei era
pill voluttuoso che il ritmo del seno e la visibile
forma dci ginocchi sotto la gonna leggiera.
— S' io la baciassi ? — penso Emidio, per una
suggestione improvvisa della carne guardando Tas-
sopita.
Ancora i canti uniani si propagavano nella
notte di gingno, con nna certa solennita di ca-
denze liturgiclie; e sorgevano di lontananza in lon-
tananza le risposte in diversi toni, senza compagnia
di stronionti. Poiclie il plenilunio doveva essere
alto, il fioco Innie interno non valeva a vincerc
r albore che pioveva copioso su le persiane, e si
versava fra li intervalli del legno.
Emidio si volse verso il letto mortuario. I suoi
occhi, scorrendo la linea rigida e nera del cada-
vere, si fermarono involontariamente su la mano,
su una mano gonfia e giallastra, nn po' adunca.
L IDILLIO BELLA VEDOVA.
107
solcata di trame livide nel dorso; e prestamente
si ritrassero. Piano piano, nelP incoscienza del
sonno, la testa di Rosa, quasi segnando su la pa-
rete un semicerchio, si chino verso il cherico tur-
bato. La reclinazione della bella testa muliebre fu
in atto dolcissiina; e, poiche il movimento altero
un poco il sonno, tra le palpebre a pena a pena
sollevate apparve un lembo d' iride e scomparve
nel bianco, quasi come una foglia di viola nel latte.
Emidio rimase immobile, tenendo contro I'omero
il peso. Egli frenava il respiro per tenia di destare
la dormiente, e un' angoscia enornie ' V opprimeva
per il battito del cuore e dei polsi e delle tempie,
che pareva empire tutta la stanza. ^la, come il
sonno di Rosa continuava, a poco a poco egli si
sent! illanguidire e mancare in una mollezza invin-
cibile, guardando quella gola femminea che le col-
lane di Venere segnavano di volutta, aspirando
queir alito caldo e V odor dei capelli.
Allora senza piii pensare, senza piii temere, ab-
bandonandosi tutto alia tentazione, egli bacio la
donna in bocca.
Al contatto, ella si desto di soprassalto; apri
li occhi stupefatti in faccia al cognato, divenne
pallida pallida.
Poi, lentamente si raccolse i capelli su la nuca;
108
L' IDirjJO DFLLA VEDOVA.
\
e stette la, con il busto eretto, tiitta vigile, giiar-
dando dinanzi a se nelle ombre varianti, muta,
quasi immobile.
Anche Emidio taceva. Ambeduc rimanovano
sul cassone da nozze, come prima, sediiti a canto,
sfiorandosi con i gomiti, in un' incertezza penosa,
evitando con una specie di artilicio mentale clie
la loro coscienza giudicasse il fatto e lo condan-
nasse. Spontaneamente ambedue rivolsero V atten-
zione alle cose esteriori, in quest' opera^ione dello
spirito mettendo un' intensita fittizia, concorren-
dovi pure con V attitudine delia persona. E a poco
a poco una specie di ebrieta li conquistava.
I canti, nella notte, seguitavano e s' indugia-
vano per Faria lunghissimamente, e s'ammolivano
lusinghevolmente di risposta in risposta. Le voci
maschili e le voci femminili facevano un componi-
mento amoroso. Talvolta una sola voce emergeva
su le altre altissima, dando una nota unica, in torno
a cui li accordi concorrevano come onde in torno
al medio filo d' una corrente fluviatilo. Ora, ad in-
tervalli, sul principio di ciascun canto, si udiva la
vibrazione metallica di inia cliitarra accordata in
diapente ; e tra una ripresa e V altra si udivano
li urti misurati delle trebbie in sul terreno.
I due ascoltavano.
L* IDILLIO DELL A VEDOVA.
109
Forse per una vicenda del vento, ora li odori
non erano piu li stessi. Veniva, forse dalla col-
lina d' Orlando, il profumo dei limoni, cosi pos-
sente e cosi dolce e cosi sottilmente instigatore.
Forse dai giardini di Scalia originavano i profumi
delle rose, i profumi zuccherini che davano al-
r aria il sapore d' un' essenza aromale. Montavano
forse dal padule della Farnia le fragranze umide
dei gigli fiorentini, che respirate deliziavano come
un sorso d' acqua.
I due rimanevano ancora taciturni, sul cassone,
immobili, oppressi dalla volutta della notte lunare.
Dinanzi a loro la fiammella della lampada oscillava
rapidamente, e curvavasi fino a lambire 1' esilis-
simo cerchio d' olio, sul quale ancora galleggiava
alimentandosi. Come la fiammella ebbe un primo
stridore, i due si volsero ; e stettero cosi, ansiosi,
con li occhi dilatati e fissi, a guardare la fiammella
die finiva di beversi le ultimo stille. D' improvviso
la fiammella si spense. Allora, tutt' a un tratto,
con un' avidita Concorde, nel tempo medesimo, essi
si strinsero V uno all' altra, si allacciarono, si cer-
carono con la bocca, perdutamente, ciecamente,
senza parlare, soffocandosi di carezze.
I
LA SIESTA.
Ill
\i
I »
• i
LA SIESTA.
I.
Donna Laura Albonico stava nel giardino, sotto
la pergola, prendentlo il fresco all'ora meridiana.
La villa taceva, tutta grigia, con le persiane
ehiiise tra le piante delli agriinii. II sole raggiava
un calore e un fiilgore imuiensi. Era la meta di
giugno ; e i profumi delli aranci e dei limoni fio-
riti si mescolavano all' odor delle rose, nell' aria
tranqailla. Le rose crescevano da per tutto, nel
giardino, con una forza indoniabile. Le masse ma-
gnifiche delle rose bianche si movevano, lungo i
viali, ad ogni soffio di vento, coprendo il terrene
con Tabbondanza della lore neve odorante. In certi
momenti 1' aria, pregna dell' aroma, aveva un sa-
pore dolce e possente come quelle di un vino pre-
libato. Le fontane, invisibili tra la verzura, mor-
moravano. A tratti, la cima mobile scintillante delli
r
zampilli appariva fuor del fogliame, scompariva,
riappariva, con vari gioclii ; e alcuni zampilli bassi
producevano nei fieri e nelle erbe un fruscio e uno
scompiglio singolari, sembrando bestie vive che vi
corressero a traverse o vi pascolassero o vi scavas-
sero tane. L'i uccelli, invisibili, cantavano.
Donna Laura, seduta sotto la pergola, meditava.
Ella era una donna gia vecchia. Aveva il pro-
file fine e signorile; il naso lungo, lievemente aqui-
line, la fronte un po' troppo ampia, la bocca per-
fetta, ancora fresca, plena di benignita. I capelli,
tutti bianchi, le si piegavano su le tempie e le
facevano interne al capo una specie di corona.
Doveva essere stata molto bella, nella gioventu,
ed amabile.
Era venuta da due soli giorni in quella casa
solitaria, ' col marito e con poclii servi. Aveva ri-
nunziato alia villa magnatizia die sorgeva sopra
un colle del Piemonte, abituale soggiorno estivo ;
aveva rinunziato al mare, per quella campagna de-
serta e quasi arida.
"" Ti prego, andiamo a Penti," aveva detto al
marito.
II barone settuagenario era rimasto da prima
un po' sorpreso e stupefatto, a quelle strano de-
siderio della mogiie.
I, I
112
LA SIESTA.
LA SIESTA.
113
"" Perche a Penti ? Che s' andava a fare a
Penti ? "
" Ti prego, andiamo. Per mutare," aveva insi-
stito Donna Laura.
II barone, come sempre, s' era lasciato per-
suadere.
" Andiamo."
Ora, Donna Laura custodiva un segreto.
Nella giovinezza, la sua vita era stata attra-
versata da una passione. A diciotto anni aveva spo-
sato il barone Albonico, per ragioni di convenienza
familiare. II barone militava sotto il priino Napo-
leone, con molta prodezza ; egli stava quasi sempre
assente dalla sua casa, poiclie seguiva ovunque il
volo delle aquile imperiali. In una di quelle lunghe
assenze, il marcliese di Fontanella, un giovine si-
gnore che aveva moglie e figliuoli, fu preso d'amore
per Donna Laura; e, come egli era bellissimo ed
ardente, vinse alfine ogni resistenza delP amata.
Allora pe' i due amanti una stagione passo
nella felicita piu dolce. Essi vivevano nelPoblio di
tutte le cose.
Ma un giorno Donna Laura s'accorse d'essere
incinta; pianse, si dispero, rimase in una terribile
angoscia, non sapendo die risolvere, come salvarsi.
Per consiglio del marchese di Fontanella, parti
alia volta della Francia; si nascose in un piccolo
paese della Provenza, in una di quelle terre solatie
piene di verzieri, dove le donne parlano I'idioma
dei trovatori.
Abitava una casa di campagna, circondata da
un grande orto. Li alberi fiorivano: era la prima-
vera. Fra i terror! e le nere malinconie, ella aveva
intervalli d'una indeiinita dolcezza. Passava lunghe
ore seduta alPombra, in una specie d'inconscienza,
mentre il sentimento vago della maternita le dava
a tratti a tratti un brivido profondo. I fieri in torno
a lei emanavano un profunio acuto: leggiere nausee
le salivano alia gola e le mettevano per tutte le
membra una lassitudine imniensa. Che giorni in-
dimenticabili !
E, quando il momento solenne si avvicinava,
giunse, desiderate, Fontanella. La povera donna
soffriva. Egli le stava a canto, pallido in visp,
parlando poco, baciandole spesso le mani. Ella
partori di notte; gridava, fra li spasimi; si affer-
rava convulsamente alia lettiera ; credeva di mo-
rire. 1 primi vagiti delP infante la gittarono in
una stupefazione di gioia. Ella, supina, con la
testa un po' arrovesciata oltre i guanciali, bianca
bianca, senza piu voce, senza piu forza per tenere
aperte le palpebre, agitava dinanzi a se le mani
D'Annunzio. 8
114
LA SIESTA.
..I
esangui, debolmente, in certi piccoli movimenti
vaghi, come fanno talvolta i moribondi verso la
luce.
II giorno dopo, tutto il giorno, ella teiine seco,
nel medesimo letto, sotto la inedesima coperta, il
bambino. Era un essere fragile, molle, un po' rossic-
cio, che vibrava d'una palpitazione incessante, di
una vita palese, e in cui le forme umane non ave-
vano certezza. Li occhi stavano ancora cliiusi, un
po' gonfi ; e dalla bocca usciva' un lamento lioco,
quasi un miagolio indistinto.
La madre, rapita, non si saziava di riguardare,
di toccare, di sentirsi su la guancia Palito iiliale.
Dalla finestra entrava- una luce bionda e si vede-
vano le terre provenzane tutte coperte di messi.
11 giorno aveva una specie di santita. I canti dal
fromento si avvicendavano, nelP aria' quieta.
Dopo, il baml)ino le fu tolto, fu nascosto, fu
portato chi sa dove. Ella non lo rivide piu. Ella
torno alia sua casa; e visse col marito la vita di
tutte le donne, scnza che nessun altro avvenimento
sopraggiungesse a turbarla. Non ebbe altri ggliuoli.
Ma il ricordo, ma I'adorazione ideale di quella
creatura cir ella non vedeva piu, ch'^lla non sa-
peva pill dove fosse, le occuparono P anima per
senipre. Ella non aveva die quel pensiero ; ram-
i
LA SIESTA.
115
mentava tutte le minime particolarita di quei
giorni; ri vedeva cliiaramente il paese, la forma di
certi alberi clie stavano dinanzi alia casa, la linea
d' una collina che chiudeva P orizzonte, il colore
e i disegni del tessuto che copriva il letto, una
macchia che stava nella volta della stanza, un pic-
colo piatto iigiiratp su cui le portavano il bicchiere,
tutto, tutto, cliiaramente, minutamente. Ad ogni
momt^ito il fantasma di quelle cose lontane le sor-
geva nella memoria, cosi, senza ordine, senza le-
game, come nei sogni. A volte ella ne rimaneva
quasi stupita. Le tornavano dinanzi, precisi e vi-
venti, i volti di certe persone vedute laggiu, i
loro moti, un loro. gesto insignificante, una loro
attitudine, un loro sguardo. Le pareva di avere
nelli orecchi il vagito della creatura, di toccare le
mani esilissime, rosee, molli, quelle manine die '
forse erano la sola parte gia tutta formata perfet-
tamente, simile alia miniatura d'lina mano d'uomo,
con le vene quasi impercettibili, con le falangi se- "
gnate di pieghe sottili, con le unghie trasparenti,
tenere, .appena appena suffuse di viola. Oh, quelle
mani ! Con che strano brivido la madre pensava
alia loro carezza inconsciente ! Come ne sentiva
P odore, P odore singolare die ricorda quelle del
colombi nella prima piuma !
i
\/'
/
116
r.A SIESTA.
Cosi Donna Laura, cliiusa in questa specie di
niondo interiore die ogni giorno piu assuineva le
apparenze della vita, passu li anni, molti anni,
sino alia veccliiezza. Xante volte aveva chiesto
alPantico aniante notizie del tigliiiolo. Ella avrebbe
voliito rivederlo, sapere il suo state.
" Ditenii dov' e, ahneno. Vi prego."
II marchese, temendo im'iniprudenza, si rifiutava.
— Ella non doveva vedorlo. Ella non avrebbe saputo
contenersi. II figiio avrebbe indovinato tutto; si sa-
rebbe valso del segreto per i siioi fini; avrebbe forse
rivelato ogni cosa.... No, no, ella non doveva vederlo.
Donna Laura, dinanzi a queste argomentazioni
d'uonio pratico, rinianeva smarrita. Ella non sapeva
imaginarsi clie la sua creatura fosse cresciuta. fosse
gia adulta, fosse gia presso al liinitare della vec-
.chiaia. Oramai orano passati circa quarant' anni
dal giorno della nascita ; eppure ella nel suo pen-
siero non vedeva clie un bambino, roseo, con li
occhi ancora cliiusi.
Ma il marchese di Fontanella venne a morire.
Quando Donna Laura seppe la malattia del vec-
chio, fu presa da un'angoscia cosi penosa che una
sera, non poteudo piu resistere alio spasimo, usci
sola, si diresse verso la casa deirinfermo, perche
un pensiero tenace la sospingeva, il pensiero del
\\
\\
LA SIESTA.
117
figiio. Prima che il vecchio morisse, ella voleva
conoscere il segreto.
Cammino lungo i muri, tutta raccolta, come
per non farsi vedere. Le strade erano piene di
gente; 1' ultimo chiarore del tramonto faceva rosee
le case; tra una casa e Taltra un giardino appa-
riva tutto violaceo di lilla in fiore. Voli di rondini,
rapidi e circolari, s' intrecciavano nel cielo lumi-
noso. Frotte di bambini passavano a corsa, con
grida-e con richiami. Talvolta passava una fem-
mina incinta, a braccio del marito; e Pombra della
sua gontiezza si disegiiava su '1 muro.
Donna Laura pareva incalzata da tutta quella
gioconda vitalita delle cose e delle persone. Ella
atlVettava il passo, fuggiva. Li splendori vari delle
vetrine, delle botteghe aperte, dei caffe le davano
all; occhi un senso acuto di dolore. A poco a poco
una specie di stordimento. le occupava la testa ;
• una specie di sbigottimento le prendeva lo spirito.
— Che faceva? Dove andava? — In quel disordine
della conscienza, le pareva quasi di commettere
una colpa ; le pareva che tutti la guardassero, la
indagassevo, indovinassero il suo pensiero.
Ora la citta s'invermigiiava alii ultimi rossori
del sole. Qua e la, dentro le cantine, i cori del
vino si levavano.
I
118
LA SIESTA.
!l
if*
Come Donna Laura giunse alia porta, non ebbe
forza di entrare. Passo oltre, fece venti passi; poi
ritorno in dietro, ripasso.-Finalniente varco la soglia^
sail le scale; si fermo, sfinita, nelP anticamera.
Nella casa c'era quelPanimazione silenziosa di
cui 1 familiari circondano il letto di un infermo.
I domestici camminavano in punta di piedi, por-
tando qualche cosa fra le mani. Avvenivano dialoglii
a bassa voce, nel corridoio. Un signore calvo, tutto
vestito di nero, attraverso la sala, s' incliino a Donna
Laura, ed usci:
Donna Laura chiese a un domestico, con la voce
omai ferma :
" La marchesa ? "
II domestico indico rispettosaniente col gesto
un'altra stanza a Donna Laiira. Quindi corse ad
annunziare la visita.
La marchesa apparve. Era una signora piutto-
sto pingue, con i capelli grigi. Aveva li occhi pieni
di lacrimo. Aperse le braccia alP arnica, senza par-
lare, soffocata da un singulto.
Dopo un poco. Donna Laura chiese, non al-
zando li occhi :
" Si puo vedere ? "
Profferite le pai-ole, strinse le mascelle per re-
primere un tremito violento.
LA SIESTA.
119
La marchesa disse :
"Vieni."
Le due donne entrarono nella stanza delP in-
fermo. La luce ivi era mite ; 1' odore di un far-
maco, un odore singolare, empiva V aria ; li oggetti
segnavano grandi e strane ombre. II marchese di
Fontanella, disteso nel letto, pallido, pieno di ru-
ghe, sorrise a Donna Laura, vedendola. Disse len-
tamente :
'' Grazie, baronessa."
E le tese la mano ch' era umidiccia e tiepida.
Egli pareva aver ripreso li spiriti d' un tratto,
per uno sforzo di volonta. Parlo di varie cose, cu-
rando le parole, come quando stava sano.
Ma Donna Laura, dall' ombra, lo fissava con
uno sguardo cosi ardente di supplicazione che egli,
indovinando, si volse alia moglie.
" Giovanna, ti prego, preparami tu la pozione,
come stamattina."
La marchesa chiese licenza, ed usci, inconsa-
pevole. Nel silenzio della casa si udirono i passi
di lei allontanarsi su i tappeti.
Allora Donna Laura, con un moto indescrivi-
bile, si chino su '1 vecchio, gli prese le mani, gli
strappo le parole con li occhi.
" A Penti.... Luca Marino.... ha moglie, figli....
120
LA SIESTA.
LA SIESTA.
121
una casa.... Non lo vedere ! Non lo vedere ! *' bal-
betto il vecchio, a fatica, preso quasi da un ter-
rore die gii dilatava le pupille. "" A Penti.... Luca
Marino.... Non ti svelare.... niai !,.."
Gia la marcl)esa veniva, con il medicaniento.
Donna Laura sedetto ; si contenne. L' infanno '
bevve ; e i sorsi scendevano nella gola con un gor-
gogiio, a uno a uno, distinti, regolari.
Pol successe un silenzio. E V infermo parve
preso da sopore : tutta la faccia gli si foce piu
cava ; ombre piii profonde, quasi nere, gli occupa-
rono le occliiaie,-le guance, le narici, la gola.
Donna Laura si accomniiato dalP arnica ; se ne
ando, trattenendo il respire, piananiente.
II.
Tutte queste vicende ripensava la veccbia si-
gnora, sotto la pergola, nel giardino tranquillo.
Che cosa ora dunque la tratteneva dal rivedere
il figlio ? Ella avrebbe avuto la forza di repriniersi ;
ella non si sarebbe svelata, no. Le bastava di ri-
vederlo, il figlio suo, qiiello eh' ella aveva tenuto
sulle braccia un giorno solo, tanti anni a dietro,
tanti, tanti anni ! Era cresciuto ? Era grande V Era
forte? Era bello ? Com' era?
^
E raentre cosi interrogava se stessa, nel fondo
del suo spirito ella non giungeva a raffigurarsi
1' uomo. Sempre in lei P imagine delP infante per-
sisteva, si sovrapponeva ad ogni altra imagine,
vinceva eon la nitida chiarezza delle sue forme
ogni altra forma fantastica clie tentasse di sor-
gere. Ella non preparava V animo, si abbando-
nava debolmente al sentimento indeterminato. II
sense della realta in quel memento le mancava.
— lo lo vedro ! lo lo vedro ! — ripeteva in se
stessa, inebriandosi.
Le cose in torno tacevano. II vento faceva in-
curvare i roseti che, passato il softio, seguitavano
a muoversi pesantemente. Li zampilli'scintillavano
e guizzavano, tra il verde, coine stocchi.
Donna Laura stette un poco in ascolto. Dal silen-
zio sorgeva non so qual grandezza che le infuse nel-
r animo quasi uno sgomento. Ella esito. Pol si mise
pe '1 viale, da prima con passi rapidi ; giunse al
cancello tutto abbracciato dalle piante e dai fieri ;
sosto, per guardarsi in dietro : apri. Dinanzi a lei
la campagna si stendeva deserta sotto il meriggio.
Le case di Penti in lontananza bianchcggiavano su
1' azzurro del cielo, con un campanile, con una cu-
pola, con due o tre pini. II Hume si svolgeva nella
pianura, tortuoso e lucentissimo, toccando le case.
■Il
:U'\
122
LA SIESTA.
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*
Donna Laiim penso : — E.i^li e la. — E tutte le
sue fibre di niadre vibrarono. Animata, riprese a
camminare, guardando dinanzi a se con ii occhi
che il sole fastidiva, non curando il calore. A un
certo punto della strada cominciarono li alberi,
magri pioppetti tutti canori di cicale. Due femmine
scalze, ciascuna con un cesto su '1 capo, venivano
incontro.
" Sapete la casa di Luca Marino ? " chiese la
signora, presa da una voglia irresistibile di pronun-
ziare quel noine a voce alta, liberamente.
Le femmine la guardarono, stupefatte, soffer-
mandosi.
Una rispose, con semplicita:
" Noi non siamo di Penti."
Donna Laura, malcontenta, seguito la via, pro-
vando gia un poco di stanchezza nolle povere membra
senili. Li occhi, offesi dalla luce intensa, le facevano
vedere alcune mobili macchie rosso nelP aria. Un
leggero princii)io di vertigine le turbava il cervello.
Penti si avvicinava sempre piu. I primi tuguri
apparvero tra molte piante di girasoli. Una fem-
mina, mostruosa per V adipe, stava seduta sopra
una soglia ; ed aveva su quel gran corpo una testa
infantile, li occhi dolci, i denti schietti, il sorriso
placidissimo.
« — ^.-
LA SIESTA.
123
"" signora, dove an date ? " chiese la femmina,
con un accento ingenue di curiosita.
Donna Laura si accosto. Aveva il volto tutto
infiaminato e la respirazione corta. Le forze erano
per man carle.
" Mio Dio ! Oh mio Dio ! " gemeva ella, reg-
gendosi le tempie con le palme. " Oh mio Dio ! "
" Signora, riposatevi," diceva la femmina ospi-
tale, invitandola ad entrare.
La casa era bassa ed oscura ; ed aveva quel-
r odor particolare che hanno tutti i luoghi dove
molta gente agglomerata vive. Tre o quattro bam-
bini, nudi, anch' essi col ventre cosi gonfio che pa-
re vano idropici, si trascinavano su '1 suolo, bor-
bottando, brancicando, portando alia bocca per
istinto qualunque cosa capitasse loro sotto le mani.
Men tre Donna Laura seduta riprendeva-le forze,
la femmina parlava oziosamente, tenendo fra le
braccia un quinto bambino, tutto coperto di croste
nerastre tra mezzo a cui si aprivano due grandi oc-
chi, puri ed azzurri, come due fieri miracolosi.
Donna Laura domando : •
" Qual e la casa di Luca Marino ? "
L' ospite CO '1 gesto indico una casa rossiccia,
airestremita del paese, in vicinanza del fiume,
circondata quasi da un colonnato di alti pioppi.
124
LA SIESTA.
>. « i 1'
(
|i
"" E quella. Perclie V
La vecchia signora si sporse per guardare.
Li occhi le dolevano, fcriti dalla luce solare, e
le palpebre le battevano forte. .Ala ella stette qual-
clie iinnuto in queirattitiidine, respirando con fa-
tica, senza rispondere, quasi soffocata da una sol-
levazione di sentiniento niaterno. — Quella dunque
era la casa del sue figliuolo ? — Subitamente, per
una involontaria operazion dello spirito, le ap-
parvero dinanzi P interne della stanza lontana, il
paese di Provenza, le persone, le cose, come nel
bagliore di un lanipo, ma evidenti, nettissimi. Ella
si lascio ricadere su la sedia, e rimase muta, con-
fusa, in una specie di ottusita fisica proveniente
foise dalPazione del sole. Nelli orecchi aveva un
ronzio continuo.
Disse 1' ospite :
"" Volete passare 11 fiume ? "
Donna Laura fece un cenno inconsciente, in-
cantata da un turbinio di circoli rossi clie gli si
producevano nella retina.
"" Luca Marino porta uumini e bestie da una riva
air altra. Ha una barca e una chiattci," seguito
V ospite. ~ 8e no, bisogna andare lino a Prezzi a
cercare il guado. E tant' anni che fa il mestiere !
E sicurissimo, signura."
LA SIESTA.
125
Donna Laura ora ascoltava, facendo uno sforzo
per raccogiiere tutte le sue facolta sensorie che
si disperdevano. Ma pure, dinanzi a quelle novelle
del figliuolo, restava smarrita ; quasi non com-
prendeva.
" Luca non e del paese,'' riprese la femmina
grassa, trascinata dalla nativa loquacita. '' L'hanno
allevato i Marino die non avevano figliuoli. E un
signore, non di qui, gli ha dotata la nioglie. Ora
vive bene ; lavora ; ma ha il vizio del vino."
La femmina diceva queste cose ed altre, con
semplicita grande, senza malizia per*r origine sco-
nosciuta di Luca.
" Addio, addio," fece Donna Laura, levandosi,
presa da un vigore fittizio. ''Grazie, buona donna."
Porse a uno dei bimbi una moneta : ed usci
alia luce.
"" Per quella viottola ! " le grido dietro, indi-
cando, V ospite.
Donna Laura segui la viottola. Un gran si-
lenzio regnava intorno, e nel silenzio le cicale can-
tavano a distesa. Alcuni gruppi d' olivi contort! e
nodosi sorgevano dal terreno disseccato. II fiume,
a sinistra, brillava.
"" Ooh, La Martinaaa ! " chiamo una voce, in
lontananza, dalla parte del fiume.
126
LA SIESTA.
LA SIESTA.
127
Quella voce umana cV improvviso fece a Donna
Laura un' inipressione singolare. Ella guar(16..Sii '1
fiiime navigava una barca, a pena visibile tra il
vapor luminoso ; e am' altra barca, ma a vela, bian-
cheggiava a maggior distanza. Nella prima barca
si scorgevano forme d' animal i : erano forse cavalli.
"" Ooh, La Martinaaa ! " ricliiamo la voce.
Le due barclie si avvicinavano V una all' altra.
Quelle era il punto delle secche, dove i barcaiuoli
pericolavano quando il carico pesava.
Donna Laura, ferma sotto un olivo, appoggiata
al tronco, seguiva con lo sguardo la vicenda. II
cuore le palpitava con tanta violenza clie le pareva
i battiti empissero tutta la campagna circostante.
II fruscio dei rami, il canto delle cicale, il 1am-
peggio delle acque, tutte le sensazioni esteriori la
turbavano, le mettevano nello spirito un disordine
quasi di demenza. L' accumulamento lento del san-
gue nel cervello, per 1' azione del sole, le dava ora
una visione leggermente rossa, un principio di ver-
tigine.
Le due barche, giunte a un gomito del fiume,
non si.videro piii.
Allora Donna Laura riprese a camminare, un
po' barcollante, come un' ebra. Le si presento di-
nanzi un gruppo di case riunite in torno a una spe-
cie di corte. Sei o sette mendicant! meriggiavano
ammucchiati in un angolo: le lore carni rossa-
stre, maculate dalle malattie della cute, uscivano
di tra i cenci ; nei lore volti deform i il sonno aveva
una pesantezza bestiale. Qualciino dormiva bocconi,
con la faccia nascosta tra le braccia piegate a cer-
cliio. Qualche altro dormiva supiuo, con le braccia
aperte, nell' attitudine del Cristo crocilisso. Un nu-
volo di mosche turbinava e ronzava su quelle po-
vere carcasse umane, dense e laborioso, come feopra
un cumulo di fimo. Dalle porte socchiuse veniva
un romore di telai.
Donna Laura attraverso la piazzetta. II suono
de' suoi passi su le pietre fece risvegliare un men-
dicante clie si levo su i gomiti e, tenendo li occlii
ancora chiusi, balbetto maccliinalmeute :
" La carita, per V amore di Dio ! "
A quella voce tutti i mendicanti si risveglia-
rono, e tutti sorsero.
" La carita, per 1' amore di Dio ! "
" La carita, per 1' amore di Dio ! "
La torma cenciosa si mise a seguitare la pas-
sante, chiedendo 1' elemosina, tendendo le mani.
Uno era storpio e camminava a piccoli salti, come
una scimmia ferita. Un altro si trascinava su '1 se-
dere puntellandosi con ambo le braccia, come fanno
128
LA SIESTA.
i.il
11 *i
ii
I
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con le zampe le locuste, poiche aveva tutta la
parte inferiore del corpo morta. Un altro aveva un
gran gozzo paonazzo e rugoso clie ad ogni passo
ondeggiava come una giogaia. Un altro aveva un
braccio ritorto come una grossa radice.
" La carita, per V aniore di Dio ! "
Le loro voci erano varie, alcune cavernose e
roche, altre acute e femminine come quelle delli
evirati. Ripetevano sempre le stesse parole, con lo
stesso accento, in un mo*lo accorante.
" La carita, per V amore di Dio ! "
Donna Laura, cosi inseguita da quella gente mo-
struosa, provava una voglia istintiva di fuggire, di
salvarsi. Uno sbigottimento cicco la teneva. Avrebbe
forse gridato, se avesse avuta la voce nella gola.
I mendicanti ie instavano da presso, le toccavano le
braccia, con le mani tese. Volevano Telemosina, tutti.
La veccliia signora si cerco nella veste, prese
delle monete, le lascio cadere dietro di se. Li af-
famati si fermarono, si gittarono avidamente su le
monete, lottando, stramazzando sul terrene, dando
calci, calpestandosi. Bestemmiavano.
Tre rimasero con le mani vuote ; e ripresero a
seguitare la vecchia incattiviti.
" Noi non 1' abbiamo avuta ! Noi non V abbiamo
avuta ! "
U SIESTA.
129
Donna Laura, disperata per quella persecuzione,
diede altre monete, senza volgersi. La lotta fu tra
lo storpio c jl gozzuto. Ambedue presero. Ma un
povero epilettico idiota, clie tutti opprimevano e
dileggiavano, non ebbe nulla ; e si mise a piagnu-
colare, leccandosi le lacrime e il moccio che cli
colava dal naso, con un verso ridicolo :
" Ahu, ahu, almuu ! "
in.
Donna Laura infine era giunta alia casa dei
pioppi.
Ella si sentiva sfinita : le si offuscava la vista,
le tempie le battevano forte, la lingua le ardeva ;
le gambe sotto le si piegavano. Dinanzi a lei, un
cancello stava aperto. Ella entro.
L'aia circolare era limitata da pioppi altissimi.
Due delli alberi sostenevauo un cumulo di paglia
di fromento, tra mezzo a cui uscivano i rami fron-
zuti. Poiche in giro 1' erba cresceva, due vacche
falbe vi pascolavano pacificamente battendosi con
la coda i fianchi nutriti ; e tra le gambe a loro
penzolavano le mammelle gonfie di Jatte, colorite
come frutti succulenti. xMolti arnesi di agricoltura
stavano sparsi pe '1 suolo. Le eicale, in su li alberi,
D'Annunzfo. ' ff
I;
130 ^ LA SIKSTA.
cantavano. Nel mezzo, tre o quattro ciiccioli gio-
cavano abbaiando verso le vacche o inseguendo le
galline.
" signora, clie cerchi ? " cbiese un veccbio,
uscendo dalla casa. "" Wnoi j^assare? ""
11 veccbio, calvo, con la barba rasa, teneva
tiitto il corpo in avanti su le gambe inarcate. Le
sue membra erano deformate dalle rudi faticbe,
dair opera dell' arare die fa sorgere la spalla si-
nistra e torcere il busto, dalP opera del falciare
che fa tenere le ginoccbia discoste, dalF opera del
potare die ciirva in due la persona, da tutte le
opere lente e pazienti della coltivazione. Egli, di-
cendo P ultima parola, accennava al fiunie.
" Si, SI, " rispose Donna Laura non sapcndo die
dire, non sapendo cbe fare, smarrita.
"" Allora vieni. Ecco Luca cbe torna," soggiunse
il veccbio, volgendosi al bume dove navigava a
forza di perticbe una cbiatta carica di pecore.
Egli condusse la passeggiera, a traverse un
orto irrigate, fin sotto a una pergola dove altri
passeggieri attendevano. Camminando innanzi, egli
lodava le verzure e faceva pronostici, per consue-
tudine di agricoltore invoccbiato tra le cose della
terra.
Volgendosi a un tratto, poidie la signora re-
LA SIESTA.
131
stava muta come se non udisse, vide cbe ella aveva
li occbi pieni di lacrime.
"" Percbe piangi, signora ? " le cbiese con la
stessa tranquillita con cui parlava delle verzure.
" Ti senti male ? "
" No, no.... niente...." mormoro Donna Laura
che si sentiva morire.
II veccliio non disse altro. Egli era cosi indurate
alia vita, cbe i dolori altrui non lo commovevano. .
Egli vedeva tutti i giorni, tanta gente diversa
passare !
" Siedi," fece, come giuiise alia pergola.
La tre uomini della campagna attendevano, uo-
mini giovani, caricbi di fardelli. Tutt' e tre fuma-
vano in grosse pipe, mettendo nel fumare una at-
tenzione profonda, come per gustarne intera la
volutta, secondo il costume della gente campestre
nei rari diletti. Ad intervalli, dicevano quelle lun-
giie cose insignificant! cbe P agricoltore ripete senza
fine e cbe appagano lo spirito di lui tardo ed an-
gusto.
Guardarono un poco, stupefatti. Donna Laura.
Poi ripresero la loro impassibilita.
Uno di loro avverti, tranquillamente :
" Ecco la cbiatta."
Un altro aggiunse :
i . I
132
LA SIESTA.
LA SIESTA.
183
"" Porta le pecore di Bideiia.*'
II terzo :
"" Saranno quindici."
E si levaroiio, insienie, intascando le pipe.
Donna Laura era caduta in una specie di stu-
pidimento inerte. Le lacrime le si erano fermate
su i cigli. Ella avea perduto il senso della realita.
Dov' era ? Che faceva ?
La chiatta urto leggermcnte contro la riva. Le
pecore, strette le une contro le altre, belavano in-
timidite dall' acqua. II conduttore, il traghettatore
ed il figlio le aiutavano a discendere a terra. Le
pecore, appena discese, facevano una piccola corsa ;
poi si ferniavano, si riunivano e si niettevano a
belare ancora. Due o tre agnelli saltellavano su le
gambe lunghe e deformi, tentanto i capezzoli ma-
terni.
Compiuta la bisogna, Luca Marino fernio la
chiatta. Poi a grandi passi lenti sail la riva. verso
r orto. Era un uonio di quarant' anni circa, alto,
niagro, con la faccia rossiccia, calvo alle tcnipie.
Aveva baffi di colore incerto e una nianata di peli
sparsa disugualniente per il mento e per le guance;
r occhio un po' torbido, senza alcuna vivacita dMn-
telligenza, venato di sanguigno, come quelle dei
bevitoii. La camicia aperta lasciava vedere il petto
velloso ; un berretto carico d' untume copriva la
testa.
"Ahuf!" esclamo egli d' un tratto, in faccia
alia pergola, fermandosi su le gambe aperte e net-
tandosi con le dita la fronte stillante di sudore.
Passo dinanzi ai passeggieri, senza guardarli.
In tutti i suoi gesti e in tutte le sue attitudini
era incomposto e quasi brutale. Le mani, enormi,
gonfie di vene sul dorso, le mani avvezze al remo
parevano essergli d' irapaccio. Egli le teneva pen-
zoloni lungo i lianchi e le dondolava camminando.
" Ahuf ! Che sete !... "
Donna Laura stava come impietrita, senza piii
parole, senza piii conscienza, senza piii volonta.
. Quelle era il suo figliuolo ! Quelle era il suo
ligliuolo !
Una femmina gravida, che aveva gia una tigura
senile, disfatta dal lavoro e dalla fecondita, venue
a porgere al marito assetato un boccale di vino.
L' uomo bevve d' un fiato. Poi si asciugo le labbra
col dorso della mano e fece schioccare la lingua.
Disse, bruscamente, come se la nuova fatica gli
fosse dura:
" Andiamo."
Insienie. co '1 primogenito, ch' era un grosso fan-
ciullo di quindici anni, prepare il legno ; niise tra
1
n
it
I
134
LA SIESTA.
il bordo e la riva due tavole per rendere agevole
ai passeggieri V imbarco.
"" Perche non inonti, signora ? " fece il vecchio
di dianzi, vedendo clie Donna Laura non si mo-
veva e non parlava.
Donna Laura si levo, macchinalmente, e segui
il vecchio che le diede aiuto nel salire. Perche sa-
liva ella? Perche passava il fiurae? Non penso; non
giudico V atto. 11 suo spirito, cos\ colpito, rimaneva
era inerte, quasi immobile in un punto. — Quelle
era il figlio. — E a poco a poco ella sentiva in se
qualche cosa estinguersi, vanire: sentiva nella mente
a poco a poco farsi una gran vacuita. Non com-
prendeva piu niente. Vedeva, udiva, come in un
sogno.
Quando il primogenito di Luca venne a lei por
chiedere la merce del traghetto, prima che la barca
si staccasse dalla riva, ella non intese. 11 fanciullo
scoteva nel concave delle mani le monete ricevute
da uno dci passeggieri; e ripeteva la domanda a
voce piu alta, credendo che la signora fosse sorda
per la vecchiezza.
Ella, come vide li altri due uomini mettere la
mano in tasca e pagare, imito quell' atto, risovve-
nendosi. Ma diede un maggior valore.
II fanciullo voile fade intendere ch' egli non
LA SIESTA.
135
poteva renderle V avanzo, perche non V aveva. Ella
ebbe un gesto inconsciente. II fanciullo prese tutto
il danaro, con una smorfia di malizia. I presenti
sorrisero, di quel sorriso astuto che hanno li uo-
mini campestri in conspetto di un inganno.
Uno disse :
' Andiamo ? "
Luca, che fin allora stava intento a tirar Tan-
cora, spinse la barca che si mosse dolcemente
su I'acqua gorgogliante. La riva parve fuggire,
con le canne e con i pioppi, ed incurvarsi come
una falce. II sole inccndiava tutto il fiume, appena
inclinato verso il cielo occi'dentale dove sorgevano
vapori violetti. Si vedeva ora su la riva un gruppo
di gente che gesticolava ; ed erano i mendicanti
a torno all' idiota. A tratti, col vento giungevano
anclie lembi di parole e di risa simili a un' agi-
tazione di flutti.
I rematori, nudi il busto, vogavano a gran forza
per superare il file della corrente. Donna Laura
vedeva il dorso di Luca, nero, dove le costole si
disegnavano e colava a rivoli il sudore. Teneva li
occhi fissi, un po' dilatati, pieni d' ebetudine.
Uno dei passeggieri avverti, prendendo sotto il
banco le sue robe:
Ci sianio.
r^
vm:
136
LA SIESTA.
M
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Luca aiferro V ancora e la gitto alia riva. La
barca ridiscese con la corrente per tutta la lun-
ghezza della corda; quindi si fermo, con una stratta.
I passeggieii furono a terra, d' iin salto ; ed aiii-
tarono la veccliia signora, tranquillamente. Quindi
si riujisero in cammino.
La canipagna da quella parte era coltivata a
vigneti. Le viti, piccolo e magre, verdeggiavano in
tilari. Alcuni alberi interronipevano qua e la il
piano, con forme rotonde.
Donna Laura si trovo sola, perduta, su quella
riva senz' onibra, non avendo pin conoscenza di se
clie per il battito continuo delle arterie, per un
romori'o cupo ed assordanto nelli orecclii. II suolo
sotto i piedi le niancava e pareva affondarsi come
tUngo arena, ad ogni passo. Tutte le cose in
torno turbinavano e si dileguavano; tutte le cose,
ed anche la sua esistenza, le apparivano vagamente,
lontane, dimenticate, finite per sempre. La follia
le prendeva la mente. Ella, d' un tratto, vide uo-
mini, case, un altro paese, un altro cielo. Urto in
un albero, cadde su una pietra; si rialzo. E il suo
povero corpo di vecchia traballava in moti terri-
bili e insieme grotteschi.
Ora, i mendicanti dair altra riva avevano ec-
citato per dileggio V idiota a passare il liunie a
LA SIESTA.
137
nuoto ed a raggiungere la donna per aver V ele-
mosina. Essi V avevano spinto nelP acqua, dopo
avergli strappati i cenci di dosso. E V idiota nuo-
tava come un cane, tra una pioggia di sassate clie
gp impedivano di tornare a dietro. Quelli uomini
defornii fischiavano e urlavano, prendendo diletto
nella crudelta. Essi, come la corrente traeva P idiota,
arrancavano lungo la spoiida e imperversavano.
" Affoga ! Affoga ! "
L' idiota, con sforzi disperati, prese terra. E
cosi ignudo, poiche in lui era morto con V intelli-
genza il sentimento del pudore, si mise a cammi-
nare verso la donna, di traverse, com' era suo co-
stume, tendendo la mano ad ogni tratto.
La demente, rialzandosi, vide; e con un moto
di orrore e con un grido acutissimo si diede a cor-
rere verso il liume. Sapeva quel die faceva? Vo-
leva morireV Che pensava ella, in quelPattimo?
Giunta all' estremo limite, cadde nell' acqua.
L' acqua gorgoglio, si chiuse plena mente ; e tanti
circoli success! vi partirono dal luogo della caduta
e si allargarono in lievi ondulazioni lucide e si
dispersero.
I mendicanti dall' altra riva gridavano verso
una barca che si allontanava :
" Oh Lucaaa ! Oh Luca Marinooo ! "
I
138
LA SIESTA.
LA SIESTA.
!}
E correvano verso la casa dei pioppi a dare la
novella.
Allora, come seppe il caso, Luca spinse la barca
verso il luogo die gl' indicavano, e cliiamo La Mar-
tina die se ne veniva placidaniente con il suo legno
in bali'a della corrento.
Disse Luca :
"" C e nn' annegata, laggiii."
Non si euro di raccontare il fatto o di par-
lare della persona, poiclie non amava le molte
parole.
I due fiumatici niisero i legni a paro e renii-
garono con calma.
Disse La Martina :
"" Hai tu provato il vino nuovo di Chiacliiu?
Ti dico !...''
E fece un gesto die rappresentava Peccellenza
'della bevanda.
Luca rispose:
"" Non ancora."
Disse La Martina :
" Ne prenderesti una goccia ? "
Luca lispose :
^ lo si."
La Martina :
"' Dopo. Ci aspetta Jannangolo."
i:]9
Luca :
" Va bene."
I Giunsero al luogo. L' idiota, die poteva nieglio
I indicare il punto, era fiiggito, e in mezzo alle vi-
gne era state preso da un accesso" di epilessia. Al-
^ Taltra riva i curiosi cominciavano a radunarsi.
I Disse Luca al compagno :
Tu fernia la tua barca e salta ndla mia. Uno
rema e P altro cerca."
La Martina cosi fece. Egli reniava su e giii per
una ventina di inetri, e Luca tentava il fondo del
tiume con una lunga pertica. Ogni tanto Luca, sen-
tendo qualclie resistenza, mormorava :
"Ecco."
Ma s'ingannava sempre. Finalmente, dopo molte
ricerche, Luca disse :
'' Questa volta c' e."
E cliinandosi e inarcando le gambe per far
forza, sollevo piano piano il peso aU'estremita della
pertica. I bicipiti gli tremavano.
La Martina chiese, lasciando il remo :
"" Vuoi die t' aiuti ? "
Luca rispose :
" Non importa."
ti
^f
LA MORTK DI SANCJO PANZA.
141
I,
LA MORTE DI SANCIO PANZA.
Quando entro Donna Letizia tenendo V infenno
sii le belle braccia carnose con un' attitudine di
misericordia lacrinievolo, tiitte le tiglie accorsero
a torno intenerite ed esalarono la gentil pieta del-
i! animo in qnerele gemebonde. Le voci feniniinili
risonavano cosi nella stanza confnsaniente, tra i
voniori die dal tiaflico della strada salivano per
le vetrate aperte ; e al coinpianto delle fancinlle
si mescevano in qnel pnnto le interiezioni d' un
eerretano niagniticatore d'acque angelicali e di
polveii niiritiche.
II cane, sn le braccia della signora, ebbe al-
lora un lieve tieniito clie gli corse per tutto il
dorso fino alia estremita della coda ; tento di sol-
levare le i)alpebre, di volgere alle carezze que' suoi
enornii occlii pieni di gratitudine. Moveva la testa
in certi sforzi penosi, come se le corde del collo
gli si fossero irrigidite ; aveva la bocca semiaperta,
da cui il lembo della lingua tenuta tra i due
dcnti sporgenti usciva come una foglia vermiglia
solcata di venature violacee. E una bava molle
gT inumidiva il mento, quella piccola parte della
mandibola inferiore dove la rarezza dei peli la-
sciava apparire la pelle rosea. E la fatica del re-
spire a volte gli s' inaspriva in una specie di rau-
cedine sibilante, mentre le narici d' ora in ora si
I disseccavano e prendevano 1' aspetto duro e scabro
di un tartufo.
''Oh,Sancio, povero Sancio, die t'lianno fatto?
Povero bibi, eh? Povero vecchio mio !..."
Le commiserazioni delle fandulle sensibili si
facevano via via piii tenere, finivano in un bal-
bettio pargoleggiante di parole senza significato,
di suoni lamentevoli, di lezi carezzevoli. Tutte
volevano passar la mano su la testa dell' animale,
prendere una delle zampe, toccare le narid. Donna
Letizia sorreggeva il dolce peso maternamente ;
le sue dita grasse e bianche, di cui le falangi
parevano gonfie quasi per un morbo, le sue dita
vdlicavano pianamente il ventre di Sancio, s' in-
sinuavano tra il pelo.
Nella stanza entrava la luce dd pomeriggio
il fresco della marina, a traverse le tende ver-
dognole. Otto stampe colorite, cliiuse in cornid
It!
9 1 *— jij ■ >■ --
142
LA MOKTE DI SANCIO PANZA.
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nere, aclornavano le paveti coperte di una carta
a fioraiiii gialli. Sopra iiu vecchio canterale del se-
colo XVIII, con la lastra di niarmo roseo e le
borchie di ottone, posava tra due piccoii specchi
retti da sostogni d' argento un trionfo di fiori di
cera in una campana di cristallo. Sopra il cami-
netto scintillava una coppia di candelabri dorati,
con le candele intatte. Un automa di cartapesta,
raftigurante un niacacco in abito nioresco, medi-
tava immobile dalP alto d' uno di quel tavolini in-
tarsiati die vengono di Sorrento. Molte seggiole
con su la spalliera vignette di favole pastorali, un
canape di stile Empire, due poltrone moderne, con-
correvano alia discordia delle forme e dei colori.
|lii
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I-!..
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Come r infermo venne adagiato in grembo di
una delle poltrone, ci fii nella stanza un inter-
vallo di silenzio. Sancio si levo un memento in
piedi tremando, si rigir5 piii volte cercando una
positura meno dolorosa, nella irrequietudine della
sofferenza, tento di poggiare la testa su uno dei
bracciuoli, si piego su le gambe di dietro ; stette
cosi alfine con le palpebre soccliiuse, respirando a
fatica, come preso da una sonnolenza improvvisa.
Su '1 petto largo la pelle abbondante gli faceva,
con tre o quattro crespe, quasi una piccola gio-
m
LA xMORTE DI SANCIO PANZA.
143
gaia ; sopra la collottola le crespe erano piii grandi
e pill tonde; i lembi delle labbra ai lati della man-
dibola superiore pendevano liosciamente ; e il po-
vero animale aveva ora nella malattia quel non
so Che di grottesco insieme e di compassionevole
Che hanno gii uomini nani oppress! dall' adipe e
dair asma.
Le fanciullo dinanzi a quell' abbattimento re-
stavano mute, invase da un rammarico immenso,
colpite da un presentimento della sventura ; poi-
che Sancio era state per moiti anni la lore cura
amorosa, F oggetto delle lore blandizie e dei loro
vezzi, lo sfogo innocuo delle loro mollezze e delle
loro tenerezze di adolescent! clorotiche. Sancio era
iiato e cresciuto nella casa : e con quelle forme
tozze e pesanti di razza imbastardita, con quelle
rotondita di bestia eunuca oziosa e golosa, a poco
a poco aveva nelli occhi tondi uno sguardo pieno
di umanita e di devozione ; agitava vivamente il
tronco della coda nolle ore di gioia, reggendosi
su tre gambe sole e tutto raggomitolandosi con
un singolare tremolio del pelame e trotterellando
con la grazia d' un porcellino d' India in mezzo
air erbe primaverili.
I belli ricordi ora travagliavano li animi delle
fanciulle.
IN
144
LA MOKTE t)I SANCIO PANZA.
f? Tr'
'I I
J'*
il
E il medico quaiulo viono ? " chiese, con la
voce imi)aziente, Vittoiia, la tiglia niinore ; chc
aveva una faccia tli gioviiie bertiiccia, tiitta biaiica
di cipria e su la fronte una larga frangia di ca-
pelli rossi.
L' inferino a tratti metteva una specie di ge-
mito fioco aprendo li occlii e volgendo in torno lo
sguardo suppliclievole, uno sguardo lento e dolce,
fatto pill umano dalF increspamento nervoso delli
angoli delle palpebre e da due linee biime che li
umori sgorganti avevano segnato sotto le orl)ite.
E come Donna Letizia tentava fargli preiulere un
cucchiaio di zuppa ristoratrice, egli agitava fuor
della bocca la lingua flessibile in tutti i sensi per
lo sforzo deir inghiottire e non poteva chiudere le
mascelle irrigidite.
Allora si udi nelF anticameia la voce del dot-
tore Zenzuino che era tinalmente salito. Ed entro
nella stanza un signore dalla bella faccia lucida
di giovialita e di sanita.
" Oh Don Giovanni, guarite Sancio ! Sta per
niorire," esclamo una voce flebile.
11 medico guardo in torno tutta quella dolente
famiglia che egli aveva nutrita d' arsenico, di ferro
e d' olio ferruginoso e d' acqua di Levico per tanti
anni in vano ; ed eb])e un lieve lampo di sorriso
LA MORTE DI SANCIO PANZA.
145
a traverse li occhiaTi d' oro. Poi, osservando Pin-
fei-mo con una curiosita d' uomo ricercatore, disse
molto lentamente :
" Credo sia un case di paralisi della mandi-
bola e delle glandole salivari sotto-mascellari. La
nialattia che ha sede in un' alterazione nervosa cen-
trale probabilmente delle meningi e che per la sua
eziologia puo dipendere da una causa ereditaria
parassitaria, e d' indole progressiva. 11 processo
che tende a diffondersi, andra parzialmente e pro-
gressivamente privando il corpo, organo per or-
gano, della sua funzionalita ; fin che giunto in breve
ad agire su '1 centre di una delle funzioni vitali,
sia della circolazione che della respirazione, pro-
durra la niorte...."
Le terribili parole barbare misero un' ambascia
suprema nelli animi ; e le gua'nce floride di Donna
Letizia in un momento impallidirono.
"" lo credo che abbia influito su lo sviluppo del
morbo Talimentazione," soggiunse Don Giovanni,
senza pieta.
A quella specie di accusa, il rimorso comincio
a tormentare le fanciulle che sempre per la go-'
losita di Sancio erano state piene d'indulgenza
colpevole. E Vittoria, con un atto di sconforto "
ineffabile, chiese:
D'Annunzio.
i)^!
I\
ii*i
ii
14G LA MORTE DI SANCIO VANZA.
'^ Non c' e duuque rimedio ? ''
" Tentiamo. lo consiglio 1' applicazione di un
cerotto vescicatorio alia nuca," rispose il dottore
licenziandosi in ultimo amabilmeiite.
Sancio voleva discendere dalla poltrona. Esi-
tava sii r orlo, non avendo la forza di spiccare il
salto, implorava V aiuto con li occhi fievoli che
gia si velavano come due acini d' uva nera suffusi
dalla pruina argentea della maturita. Ne' suoi
tratti il dolore a poco a poco metteva dei cavi e
delle ombre senili ; le tinte rosee del muso, dove
i peli erano lunghi e radi, pareva si corrompessero
divenendo quasi giallastre ; le orecchie mozze ave-
vano di tratto in tratto un tremolio leggerissimo ;
e nello stesso tempo un ])rivido passava a traverse
il pelame bianco visibilmente.
Allora Isabella, la piii eterea delle cinque fan-
ciulle, che per crudelta della sorte ereditava dal
padre il pio naso borbonico e la fronte leprina,
si accosto tutta commossa e prese V infermo fra
le mani delicate per posarlo a terra.
Sancio prima rimase fermo un istante, senza
poter muovere i passi, con il dorso arcuato, e la
testa in alto, oppresso dalF affanno del respire ;
poi comincio a trascinarsi, barcollando, con lo
LA MORTE DI SANCIO PANZA. 147
stento doloroso di un animale ferito alle due co-
see. Forse aveva sete, perclie quaudo ^li hi acco-
stata la scodella tento di lanibire con la lingua il
liquido. Ma, come la paralisi crcscente gia gP im-
pediva anche quelPatto, dopo sforzi inutili ed irosi
egli volse piegando su le gambe posteriori e con
una delle zampe davanti comincio ' a battersi la
mascella, quasi per rimuoveie alfine di la quel-
r ostacolo die fy]i faceva tanto dolore.
E r attitudine era cosi vivamente umana e \i
ocelli erano cosi pieni di supplicazione e di dispe-
razione umana, clie d^ un tratto Donna Letizia
scoppio in un i)ianto :
' Oh, povero bibi ! Chi te P avesse iiiai detto,
povero bibi mio !..."
In tutte le fanciulle la comniozione raggiunse
il supremo grado. Yittoria raci'olse il morituro,
lo porto su '1 canape, chiese le forbici ; era ne-
cessario un eroismo ; bisognava infine esperimen-
tare il rimedio, ad ogni costo.
"Isabella, Maria, le forbici ! Venite ! "
Tutte trepide e pallide, si chinarono in torno a
Sancio, che aveva di nuoTo socchiuse le palpebre
e alitava il iiato ardente nolle mani della soccor-
ritrice. E questa, vinta la prima ripugnanza, co-
mincio a tagliare il pelo sulla nuca delP animale,
148
LA MORTE Dl SANCIO PANZA.
n
pianamente, arrestandosi di tratto in tratto, met-
tendo via via un soffio siilla parte rasa. Una spe-
cie di cherica irregolare si veniva allargando nella
grassezza della collottola ; e il tonsurato assumeva
cosi un nuovo aspetto miserevohnente buifonesco.
Le tende del balcone, investite dalla brezza,
s' inarcavano come due vele. I clamori della strada
salivano in confuse, vivi e giulivi ; una prospet-
tiva di case plebee s' intravedeva al fondo in una
doratura pallida di tramonto ; e un merlo fischiava.
Allora discese dalle camere superiori Natalia,
la bella nuora di Donna Letizia, con un bimbo
sulle braccia; ed entro nella stanza. Ella aveva
la faccia ovale, la pelle tine e rosea, solcata di
vene, li occhi cliiarissimi^ le narici diafane, tutta
in somma la dolcezza di sangue d' una donna bion-
da, tra una nera i-ibellione di capelli ; e aveva
nella persona, nolle vesti, nelP incedere, quella ne-
gligenza semplice, quella felice placidita quasi direi
bovina, quella specie di freschezza lattea delle gio-
vani madri che nutriscono con la propria mani-
mella il tigliuola.
A pena ella vide il cane tonsurato, un impeto
cosi spontaneo d' ilarita la invase, che non pote
ritenere le risa entro la chiostra dei denti :
LA MORTE DI SANCIO PANZA. 149
"" Ah, ah, ah, ah, ah !..."
Gome? Natalia osava ridere, mentre quel po-
vero Sancio moriva?-Le innupte sensibili vol-
sero un acre sguardo d' indignazione alia cognata
HTeverente e crudele. Ma questa, con una lieta
incuranza, si appresso per tendere il bimbo verso
r animale. E il bimbo seminudo agitava le pic-
cole mam irrequiete, cercando toccare, tutto vi-
brando di naturale gioia e barbugliando suoni
incomprensibili nella bocca rorida ancora della
bevanda materna. E r animale, uso gia a sotto-
mettere la testa mansueta a quei cercamenti
aveva ancora nelle membra inferme una esita-
zmie dl festevolezza e nelli occhi un supremo bar-
lume dl bonta conoscente.
" Povero Sancio Panza ! " mormoro alfine Na-
taha ritraendo il figJiuolo che stava per bagnarsi
^li bava le dita. E, come il bimbo rincrespava le
labl)ra per piangere, ella fece due o' tre giri
nella stanza, cullandolo e palleggiandolo ; poi, fer-
matasi dinanzi alP automa, volse la chiave del
meccanismo.
II niacacco apri la bocca, batte le palpebre.
attovoglio la coda, tutto animandosi internamente
al suoiio della gavotta Louis XIII, di Victor
Felix. Quel voluttuoso ondeggianiento di danza
i
i
I
li
I
150
LA MORTE DI SANCIO PANZA.
iV amore moveva V aria e la testa (li Natalia, per
ritmo. La luce nella stanza era dolce ; il profumo
squisitu dei pelargonii entrava dai vasi del balcone
aperto.
Sancio non iidiva forse piii. Al bruciore caii-
stico del* vescicante su la iiuca, egli scoteva di
tratto in tratto il dorso, e piegava la testa in
basso, con un lamentio tievole. La lingua, ritirata
fra i denti, violacea, quasi anzi nerastra, aveva
gia perduta ogni facolta di moto. Li occhi, ora,
coperti da una specie di nienibrana turcliiniccia e
uniidiccia, non conservavano altra espressidne di
spasimo die quella delP apparir rapido d' un lembo
bianco alii angoli delle orbite. La bava si produ-
ceva pill copiosa c piii densa. L' astissia pareva
imminente.
" Oh, Natalia, cessa ! Ma non vedi die Sancio
muore ? " proruppe, con la voce plena d' acredine
e di lagrime, Isabella.
La gavotta non si poteva interrompere prima
che la forza data dalla cliiave alia niaccliina fosse
esaurita. Le note continuavano, lente e niolli, a
spandersi sulP agonia del cane. Le ombre del ere-
puscolo, intanto, coininciavano a penetrare nel-
r interne e le tende sbattevano nella frescura.
Allora, Donna Letizia, soffocata dai singhiozzi.
lA MORTE DI SANCIO PANZA.
L51
non reggendo piii alio strazio, usd. Tutte le figlie
la seguirono, a una a una, piangendo, con i teneri
petti oppressi dai dolore. Soltanto Natalia per cu-
riosita si fece da presso al moribondo.
E, mentre la gavotta era su la ripresa, il buon
Sancio spiro, in musica, come V eroe di un melo-
dramma italiano.
IL COMMIATO.
La visione del paesaggio nomentaiio gli si
apriva dinanzi ora in una luce ideale, come uno
di quei paesaggi sognati in cui le cose paiono es-
sere visibili di lontano per un irradiamento clie
si prolunga dalle loro forme. La carrozza chiusa
scorreva con un rumore eguale, al trotto : le mu-
raglie delle anticlie ville patrizie passavano di-
nanzi alii sportclli, biancastre, quasi oscillanti, con
un movimento continue e dolce. Di tratto in tratto
si presentava un gran cancello di ferro, a traverso
il quale si vedeva un viale fianclieggiato di alti
bussi, un cliiostro di verdura abitato da statue
latine, o un lungo i)ortico vegetale dove qua e la
raggi di sole ridevano pallidamente.
Elena taceva, avvolta nelP ampio mantello di
lontra, con un velo su la faccia, con le mani
chiuse nel camoscio. Egli aspirava con delizia il
i
IL COMMIATO.
153
sottile odore di eliotropio esalante dalla pelliccia
preziosa, mentre sentiva contro il suo braccio la
forma del braccio di lei. Ambedue si credevano
lontani dalli altri, soli ; ma d' improvviso passava
la carrozza nera di un prelate, o un butte^o a
cavallo una torma di chierici violacei, o una
mandra di bestiame.
A mezzo cliilometro dal ponte ella disse :
" Scendiamo."
Nella campagna la luce fredda e chiara pa-
reva un' acqua sorgiva; e, come li alberi al vento
ondeggiavano, pareva per un'illusione visuale die
r ondeggiamento si comunicasse a tutte le cose.
Ella disse, stringendosi a lui e vacillando su '1
terrene ineguale :
" lo parte stasera. Questa e V ultima volta...."
Poi tacque; poi di nuovo parlo, a intervalli,
su la nec^ssita della partenza, su la necessita
della rottura, con un accento pieno di tristezza.
II vento furioso le rapiva le parole di su le lab-
bra. Ella seguitava. Egli interruppe, prendendole
la mano e con le dita ccrcando tra i bottoni la
carne del polso :
"" Non piu ! Non piu ! ''
Si avanzavano lottando contro le folate incal-
zanti. Ed egli, presso alia donna, in quella soli-
-• X-
154
IL COMMIATO.
H
«i
tudine alta e grave, si scnti d' improvviso entrar
iieir anima come V orgoglio d' una vita piii libera,
una sovrabbondanza di forze.
" Non partire ! Non partire ! lo ti voglio an-
cora...."
Le nudo il pol'so e insinuo le dita nella ma-
nica tormentandole la pelle con un moto inquieto
in cui era il desiderio di possessi maggiori.
Ella gli volse uno di quelli sguardi che lo
ubriacavano come calici di vino. II ponte era da
presso, rossastro, nelP illuininazione del sole. II
fiume pareva immobile e metallico in tutta la lun-
gliezza della sua sinuosita. De' giunchi s' incurva-
vano su la riva, e le acque urtavano leggermente
alcune pertiche infitte nella creta per reggere forse
le lenze.
Allora egli comincio ad incitarla con i ricordi.
Le parlava dei primi giorni, del ballo al palazzo
Farnese, della caccia nella campagna del Divino
Amore, delli incontri matutini nella piazza di Spa-
gna lungo le vetrine delli orefici o per la via Si-
stina tranquilla e signorile, quando ella usciva dal
palazzo Zuccheri seguita dalle ciociare cbe le of-
ferivano nei canestri le rose.
"Ti ricordi? Ti ricordi?..."
" Si."
IL COMMIATO. 155
^ E quella sera dei fiori, quando io venni con
tanti fiori.... Tu eri sola, a canto alia finestra :
leggevi. Ti ricordi? "
ai, SI.
' lo entrai. Tu ti volgesti a pena, tu mi ac-
cogliesti durameute. Che avevi? Io uon so. Posai
il niazzo sopra il tavolino e aspettai. Tu incomin-
ciasti a parlare di cose iiiutili, senza volonta e"
senza piacere. Ma il profumo era grande : tutta
la stanza gia n'era plena. Io ti veggo ancora,
quando atfenasti con le duo mani il mazzo e den-
tio ci affondasti tutta la faccia, aspiiando. La fac-
cia lisollevata, pareva esaugue, e li occhi pare-
vano alterati come da una specie di ebrieta...."
■ " Segui, segui ! " disse Elena, con la voce fie-
vole, china su '1 parapetto, incantata dal fascino
delle acque correnti.
" Poi, su '1 divano : ti ricordi ? Io ti ricoprivo
il petto, le braccia, la faccia, con i fiori, oppri-
meiidoti. Tu risorgevi contiiuiamente, porgendo la
bocca, la gola, le palpebre socchiuse. Tra la tua
pelle e le mie labbra sentivo le foglie fredde e
niolli. Se io ti baciavo il collo, tu rabbrividivi per
tutto il corpo, e tendevi le mani per tenermi
lontano. Oh, allora.... Avevi la testa affondata nel
gran cuscino del mostro d' oro, il petto nascosto
156
IL COMMIATO.
m
dalle rose, le braccia nude sino al gomito; e nulla
era piu amoroso e piu dolce die il piccolo tre-
mito delle tue mani pallide su le mie tempie.... Ti
ricordi ? "
" Si. Segui ! "
Egli segui va, crescendo nella tenerezza. Ine-
briate delle sue parole, egli giungeva a credere
cio che diceva. Elena, con le spalle volte alia luce,
andavasi chinando all' amante. Ambedue sentivano
a traversQ le vesti il contatto indeciso del corpi.
Sotto di lore, le acque del fiume passavano lente
e fredde alia vista ; i grandi giunclii sottili, coine
capigliature, vi s' incurvavano entro ad ogni soffio
e fluttinivano largamente.
Poi non parlaroiio piu; ma guardandosi, sen-
tivano nelli orecclii un romore continue che si
prolungava indefinitamente portando seco una parte
deir essere lore, come se qualclie cosa di sonoro
sfuggisse dalPintimo del lore cervello e si span-
desse ad empire tutta la campagna circostante.
Elena, sollevandosi, disse :
"" Andiamo. Ho sete. Dove si puo chiedere
acqua ? "
Si diressero allora verso Tosteria romanesca,
passato il ponte. Alcuni carrettieri staccavano i
giumenti, imprecando ad alta voce. II cliiarore del-
IL COMMIATO.
^'^
V occaso feriva il gruppo umano ed equine, con
viva forza.
Come i due entrarono, nella gente dell' osteria
non avvenne alcun moto di meraviglia. Tre o quat-
tro uomini febbricitanti stavano in torno a un bra-
ciere quadrate, taciturni e giallastri. Un bovaro,
di pelo rosso, sonneccliiava in un angolo, tenendo
ancora fra i denti la pipa spenta. Due giovina-
stri, scarni e biechi, giocavano a carte, fissan-
dosi nelli intervalli con uno sguardo pieno d' ar-
dore bestiale. E 1' ostessa, una femmina pingue,
teneva fra le braccia un bambino, cullandolo pe-
santeinente.
Mentre Elena beveva 1' acqua nel bicchiere di
vetro, la femmina le mostrava il bambino, lamen-
tandosi.
"Guardate, signora mia ! Guardate, signora
mia ! " •
Tutte le membra della povera creatura erano
di una magrezza miserevole ; le labbra violacee
erano coperte di punti bianchicci ; 1' interne della
bocca era coperte come di grumi lattosi. Pareva
quasi die la vita fosse di gia fuggita da quel pic-
colo corpo, lasciando una materia su cui era le
mutfe vegetavano.
"" Sentite, signora mia, le mani come sono
158
IL COMMIATO.
fredde. Xon piio piu bere: non puo piu ingliiot-
tire; non puo piu dormire...."
La femmina singhiozzava. Li uoniini febbrici-
tanti guardavano con oeclii pieni di una inimensa
prostrazione. Ai singhiozzi i due giovinastri fecero
un atto d' impazienza.
"" Venite, venite ! " disse Andrea ad Elena,
prendendole il braccio, dopo aver lasciato su 'I
tavolo una moneta. E la trasse fuori.
Insieme, tornarono verso il ponte. II corso del-
r Aniene ora andavasi accendendo ai fuoclii del-
Toccaso. Una linea scintillante attraversava Parco;
e in lontananza le acque prendevano un color bruno
ma pur lucido, come se sopra vi galleggiassero
chiazze d' olio o di bitume. La campagna acciden-
tata, simile ad una innnensita di rovine, aveva
una general tinta violetta. Yerso P Urbe il cielo
cresceva in rossore. *
"" Povera creatura ! " mormoro Elena con suono
profondo di misericordia, stringendosi al braccio
d' Andrea.
II vento imperversava. Una torma di cornac-
chie passo nelP aria accesa, in alto, schiamaz-
zando.
Allora, d' improvviso, una specie di esaltazione
sentimentale prese P anima di quei due, in con-
11^ COxMMIATO. 159
spetto della solitudine. Pareva clie qualche cosa
di tragico e di eroico entrasse nella loro passione.
I culmini del sentimento fiammeggiarono sotto
P influenza del tramonto tumultuoso. Elena si ar-
resto.
"Non posso piu," ella disse, ansando.
La carrozza era ancora lontana, immobile, nel
punto dove essi Pavevano lasciata.
" Ancora un poco, Elena ! Ancora un poco !
Vuoi clP io ti porti ? " •
Andrea, preso da un impeto lirico infrenabile,
si abbandono alle parole.
— Perche ella voleva partire? Perche ella vo-
le va ora spezzare Pincanto? I loro destmi omai
non erano legati per sempre? Egli aveva bisogno
di lei per vivere, delli occlii, della voce, del pen-
siero di lei.... Egli era tutto penetrato da quel-
Tamore; aveva tutto il sangue alterato come da
un veleno, senza rimedio. Perche ella voleva fug-
gire? Egli si sarebbe avviticchiato a lei, Pavrebbe
prima soffocata sul suo petto. No, non poteva 6s-
sere. Mai ! Mai ! —
Elena ascoltava, a testa bassa, affaticata con-
tro il vento, senza rispondere. Dopo un poco, ella
sollevo il braccio per far cenno al cocchiere di
avanzarsi. I cavalli scalpitarono.
M
^v
r
lii
160
IL OOMMIATO.
" Fermatevi a Porta Pia," grido la signora,
salendo nella carrozza insieme alF amante.
E con un movimento subitaneo si offerse al
desiderio di lui die le bacio la bocca, la fronte,
i capelli, li occhi, la gola, avidamente, rapida-
mente, senza piii respiiare.
" Elena ! Elena ! "
Un vivo bagliore rossastro entro nella carroz-
za, riflesso dalle case color di mattone. Si avvi-
cinava nella strada il trotto sonante di molti ca-
valli.
Elena, piegandosi sulla spalla dell' amante con
una immensa dolcezza di sommessione, disse :
" Addio, amore ! Addio ! Addio ! "
Come ell^ si risollevo, a destra e a sinistra
passarono a gran trotto dieci o dodici cavalieri
Scarlatti tornanti dalla caccia della volpe. II duca
Grazioli, passando rasente, si curvo in arcione per
guardare nello sportello.
Andrea non parlo piu. Egli sentiva ora tutto
il suo essere mancare in nn abbattimento infinito.
La puerile debolezza della sua natura, sedata la
prima sollevazione, gli dava ora un bisogno di la-
crime. Egli avrebbe voluto piegarsi, umiliarsi, pre-
gare, muovere la pieta della donna con le lacri-
me. Aveva la sensazione confusa e ottusa d' una
Ih COMMIATO.
161
vertigine ; e un freddo sottile gli assaliva la nuca,
gli penetrava la radice dei capelli.
'' Addio/' ripete Elena.
Sotto r arco di Porta Pia la carrozza si fer-
mava, perche il signore discendesse.
D'Anndnzio.
11
i'i
""'>:*
-11
II!
Sl !
LA CONTESSA D'AMALFL
Quaiulo, verso le due del pomeriggio, Don Gio-
vanni Ussorio stava per mettere il piede sii la
soglia della casa di Yioletta Kutufa, Rosa Catana
apparve in cima alle scale e disse a voce bassa,
tenendo il capo cliino :
"" Don Giova, la signora e partita."
Don Giovanni, alia novella iniprovvisa, riniase
stupefatto ; e stette un memento, con li occhi spa-
lancati, con la bocca aperta, a guardare in su,
quasi aspettando altre parole esplicative. Poiche
Rosa taceva, in cima alle scale, torcendo fra le
mani un leml)0 del grembiule e un poco dondo-
landosi, egli chiese :
"Ma come? ma come?..."
E sail alcuni gradini. ripetendo con una lieve
balbuzie :
'^ Ma come ? ma come ? "
T^nV
LA CONTESSA I)' AMALFI.
163
"" Don Giova, die v' ho da dire? E partita."
" Ma come ? "
"" Don Giova, io non saccio, mo."
E Rosa fece qualche passo nel pianerottolo,
verso r uscio delP appartamento vuoto. Ella era
una femmina piuttosto magra, con i capelli ros-
sastri, con la pelle del vise tutta sparsa di len-
tiggini. 1 suoi larghi occhi cinerognoli avevano
pero una vitalita singolare. La eccessiva distanza
tra il naso e la bocca dava alia parte inferiore
del vise un' apparenza scimniiesca.
Don Giovanni spinse 1' uscio socchiuso ed entro
nella prima stanza, poi entro nella seconda, poi
nella terza ; fece il giro di tutto V appartamento,
a passi concitati ; si fermo nella piccola camera
del bagno. II silenzio quasi lo sbigotti ; un' an-
goscia enorme gli prese Panimo.
E vero ! E vero ! " balbettava, guardandosi
a toi'no, smarrito.
Nella camera i mobili erano al lore posto con-
sueto. Mancavano pero su '1 tavolo, a pie dello
specchio rotondo, le fiale di cristallo, i pettini di
tartaruga, le scatole, le spazzole, tutti quei minuti
oggetti clie servono alia cura della bellezza mu-
liebre. Stava in un angolo una specie di gran ba-
cino di zinco in forma di chitarra ; e dentro il
^* I
164
LA CONTESSA D AMALFI.
LA CONTESSA d' AMALFI.
165
IK
bacino V acqua traluceva, tinta lievemente di roseo
da una essenza. L' acqua esalava un profuiuo sot-
tile che si mesceva nell' aria col profumo della ci-
pria. L' esalazione aveva in se qualche cosa di
carnale.
" Rosa ! Rosa ! " chiamo Don Giovanni, con la
voce soffocata, sentendosi invadere da un ramma-
rico immenso.
La femmina comparve.
" Racconta com' e stato ! Per dove e partita ?
E quando e partita ? E perche ? E perche ? " cliie-
deva Don Giovanni, facendo con la bocca una
smorfia puerile e grottesca, come per rattenere il
pianto per respingere il singhiozzo. Egii aveva
presi ambedue i polsi di Rosa ; e cosi la solleci-
tava a parlare, a rivelare.
"" lo non saccio, signore.... Stamattina ha messa
la roba nolle valige ; ha mandato a chiamare la
carrozza di Leone ; e se n' e andata senza dire
niente. Che ci volete fare? Tornera."
" Torneraaa ? " piagnucolo Don Giovanni, sol-
levando li occhi dove gia le lacrime incomincia-
vano a sgorgare. "" Te V ha detto ? Parla ! "
E quest' ultimo verbo fu uno strillo quasi mi-
naccioso e rabbioso.
"" Eh.... veramente.... a me m' ha detto : — Ad-
dio, Rosa. Non ci vediamo piu.... — Ma.... in som-
ma.... chi lo sa !... Tutto puo essere."
Don Giovanni si accascio sopra una sedia, a
queste parole ; e si mise a singhiozzare con tanto
inipeto di dolore che la femmina ne fu quasi in-
tenerita.
" Don Giova, mo che fate ? Non ci stanno
altre femmine a questo mondo? Don Giova, mo
vi pare'?..."
Don Giovanni non intendeva. Seguitava a sin-
ghiozzare come un bambino, nascondendo la faccia
nel grembiule di Rosa Cataiia ; e tutto il suo corpo
era scosso dai sussulti del pianto.
" No, no, no.... Yoglio Violetta ! Yoglio Vio-
letta ! "
•A quelle stupido pargoleggiare, Rosa non pote
tenersi di sorridere. E si diede a lisciare il cranio
calvo di Don Giovanni, mormorando parole di con-
solazione :
" Ve la ritrovo io Violetta ; ve la ritrovo io....
Zitto ! Zitto ! Non piangete piu, Don Giovannino.
La gente che passa puo sentire. Mo vi pare, mo ? "
Don Giovanni a poco a poco, sotto la carezza
amorevole, frenava le lacrime : si asciugava li oc-
chi al grembiule.
"" Oh ! Oh ! che cosa ! " esclamo, dopo essere
lOG
LA CONTESSA D AMALFI.
LA CONTESSA D' AMALFL
167
in
stato im momento con lo sguardo fisso al bacino
di zinco, dove 1' acqua scintillava ora sotto un rag-
gio. ^ Oh ! Oh ! die cosa ! Oh ! "
E si prese la testa fra le niani, e due o tre
volte oscillo come fanno talora li clmnpanzc pri-
gionieri.
" Via, Don Giovannino, via ! ' diceva Rosa Ca-
tana, prendendolo pianamente per un braccio e
tirandolo.
Nella piccola camera il profumo pareva cre-
scere. Le mosche ronzavano innumerevoli in torno
a una tazza dov' era un residue di caft'e. II ri-
flesso deir acqua nella parete tremolava come una
sottil rete di oro.
"" Lascia tutto cosi ! " raccomando Don Giovanni
alia femmina, con una voce interrotta dai sin-
gulti mal repress!. E discese le scale, scotendo
il capo su la sua sorte. Egli aveva li occhi gonti
e rossi, a fior di testa, simili a quelli di certi
cani di razza impura. II sue corpo rotondo, dal
ventre prominente, gravava su due gambette un
poco volte in dentro. In torno al suo cranio calvo
girava una corona di lunghi capelli arricciati, che
parevano non crescere dalla cotenna ma dalle
spalle e salire verso la nuca e le tempie. Egli
con le mani inanellate, di tanto in tanto, soleva
accomodare qualche ciocca scomposta : li anelli
preziosi e vistosi gii rilucevano perfino nel pol-
lice, e un bottone di corniola grosso come una fra-
gola gli fermava lo sparato della camicia a mezzo
il petto.
Come usci alia luce viva della piazza, provo di
nuovo uno smarrimento invincibile. Alcuni ciabat-
tini attendevano all' opera lore, li accanto, man-
giando ficlii. Un merlo in gabbia fischiava V inno
di Garibaldi, continuamente, ricominciando sempre
da capo, con una persistenza accorante.
"" Servo suo, Don Giovanni ! " disse Don Do-
menico Oliva passando e togliendosi il cappello
con quella sua gloriosa cordialita napoletana. E,
mosso a curiosita dalPaspetto sconvolto del signore,
dopo poco ripasso e risaluto coh maggior larghezza
di gesto e di sorriso. Egli era un uomo che aveva
il busto lunghissimo e le gambe corte e I'atteg-
giamento della bocca involontariamente irrisorio.
I cittadini di Pescara lo chiamavano Culinterra.
"" Servo suo ! "
Don Giovanni, in cui un' ira velenosa comin-
ciava a fermentare poiche le risa dei mangiatori
di fichi e i sibili del merlo lo irritavano, al se-
condo saluto volto dispettoso le spalle e si mosse,
credendo quel saluto un' irrisione.
H
^-— -" '-I— w
168
LA CONTESSA D AMALFI.
Don Domenico, stupefatto, lo seguiva.
" Ma.... Don Giova !... sentite.... ma...."
Don Giovanni non voleva ascoltare. Camminava
innanzi, a passi lesti, verso la sua casa. Le frut-
tivendole e i nianiscalchi lungo la via guardavano,
senza capire, V insegiiimento di quel due uomini
affannati e gocciolanti di sudore sotto il solleone.
Giunto alia porta, Don Giovanni, che quasi
stava per scoppiare, si vol to come un aspide, giallo
e verde per la rabbia.
" Don Dome, o Don Dome, io ti do in capo ! "
Ed entro, dopo la minaccia ; e chiuse la porta
dietro di se con violenza.
Don Domenico, sbigottito, rimase senza parole
in bocca. Poi rifece la via, pensando quale potesse
essere la causa del fatto. Matteo Verdura, uno dei
mangiatori di fichi, chiamo :
" Venite ! venite ! Vi debbo dire 'na cosa
grande."
" Che cosa V " chiese V uonio di scliiena lunga,
avvicinandosi.
" Non sapete niente ? "
'^ Clie ? "
"Ah! Ah! Non sapete niente ancora?"
" Ma che ? "
Verdura si mise a ridere ; e li altri ciabattini
LA CONTESSA D AMALFI.
169
lo imitarono. Un memento tutti quelli uomini sus-
sultarono d' uno stesso riso rauco e incomposto, in
diverse attitudini.
" Pagate tre soldi di ficlii se ve lo dice ? "
Don Domenico, ch' era tirchio, esito un poco.
Ma la curiosita lo vinse.
" Be', page."
Verdura chiamo una femmina e fece ammon-
ticchiare sul suo desco le frutta. Poi disse :
" Quella signora che stava la sopra, Donna Viu-
letta, sapete?... Quella del teatro, sapete?..." .
" Be' ? "'
" Se n' e scappata stamattina. Tombola ! "
" Da vero ? "
"Da vero, 'Don Dome."
"" Ah,- mo capisco ! " esclamo Don Domenico,
ch' era un uomo fino, sogghignando crudelissima-
mente.
E, come voleva vendicarsi della contumelia di
Don Giovanni e rifarsi dei tre soldi spesi per la
notizia, ando subito verso il casino per divulgare
la cosa, per ingrandircvla cosa.
II casino, una specie di bottega del caffe, stava
immerse nelP ombra ; e su dal tavolato sparse di
acqua saliva un singolare odore di polvere e di
muffa. II dottore Panzoni russava abbandonato
170
LA COOTESSA D' AMALFI.
ill
5 I
sopra una seilia con le braccia penzoloni. II barone
Cappa, un vecchio appassionato per i cani zoppi
e per le fanciulle tenerelle, sonneccliiava discreta-
mente sii una gazzetta. Don Ferdinando Giordano
moveva le bandierine su una carta rappresentante
il teatro della guerra franco-prussiana. Don Set-
timio De Marinis discuteva di Pietro Metastasio
col dottor Fiocca, non senza molti scoppi di voce
e non senza una certa eloquenza fiorita di cita-
zioni poetiche. II notaro Gajulli, non sapendo con
chi giocare, inaneggiava le carte da giuoco solita-
riamente e le nietteva in lila sul tavolino. Don Paolo
Seccia girava in torno al quadrilatero del biliardo,
con passi misurati per lavorire la digestione.
Don Domenico Oliva entro con tale inipeto die
tutti si voltarono verso di lui, traiine il dottore
Panzoni il quale riinase tra le braccia del soniio.
" Sapete? sapete? "
Don Domenico era cosi ansioso di dire la cosa
e cosi allannato clie da prima balbettava senza
farsi intendere. Tutti quel galantuomini in torno
a lui pendevano dalle sue labbra, presentivano con
gioia un qualclie strano avvenimento clie alimen-
tasse alline le loro chiacchiere pomeridiane.
Don Paolo Seccia, che era un poco sordo da
un oreccliio, disse impazientito :
:•> i
LA CONTESSA D AMALFl.
171
'' Ma clie v' hanno legata la lingua, Don Dome? "
Don Domenico ricomincio da capo la narra-
zione, con piii calma e piu cbiarezza. Disse tutto ;
ingrandi i furori di Don Giovanni Ussorio ; ag-
giunse particolarita fantasticbe ; s' inebrio delle
parole. " Capite ? capite ? E poi questo ; e poi
quest' altro...."
II dottore Panzoni al clamore aperse le pal-
pebre, volgendo i grossi globi visivi ancora stu-
pid! di sonno e russando ancora pe '1 naso tutto
vegetante di nei mostruosi. Disse o russo, nasal-
mente :
' Clie c' e ? Clie c' e ? " .
E con fatica puntellandosi al bastone, si Icvo
piano piano e venne nel croccbio per udire.
II barone Cappa ora narrava, con alquanta sa-
liva nella bocca, una storiella grassa a proposito
di Yioletta Kutufa. Nolle pupille delli ascoltatori
intenti passava un luccicore, a tratti. Li occbiolini
verdognoli di Don Paolo Seccia scintillavano come
immersi in un umore. Alia tine, le risa sonarono.
Ma il dottor Panzoni, cosi ritto, s' era riad-
dormentato ; poiclie a lui sempre il sonno, grave
come un morbo, siedeva dentro le nari. E rimase
a russare, solo nel mezzo, con il capo cliino sul
petto : mentre li altri si disperdevano per tutto
172
LA CONTESSA d' AMALFI.
LA CONTESSA d' AMALFI.
f
I
n,
il paese a divulgare la novella, di famiglia in fa-
miglia.
E la novella, divulgata, mise a romore Pescara.
Verso sera, co '1 fresco della marina e con la
luna crescente, tutti i cittadini nscirono per le vie
e per le piazzette. II chiaccherio fu infinito. II
nome di Violetta Kutufa correva su tutte le boc-
che. Don Giovanni Ussorio non fu veduto.
II.
Violetta Kutufa era venuta a Pescara nel mese
di gennaio, in tempo di carnevale, con una com-
pagnia di cantatori. Ella diceva d'essere una greca
dell'Arcipelago, di aver cantato in un teatro di
Corfu al conspetto del re delli Elleni e di aver
fatto impazzire d'amore un ammiraglio d'lngliil-
terra. Era una donna di forme opulente, di pelle
bianchissima. Aveva due braccia straordinariamente
carnose e piene di piccolo fosse che apparivano
rosee ad ogni moto ; e le piccolo fosse e le anella
e tutte le altre grazie proprie di un corpo infan-
tile rendevano singolarniente piacevole e fresca e
quasi ridente la sua pinguedine. I lineamenti del
volto erano un po' volgari: li ocelli castanei, pieni
di pigrizia; le labbra grandi, piatte e come schiac-
173
ciate. II naso non rivelava P origine greca: era
corto, un poco erto, con le narici larghe e respi-
ranti. I capelli, neri, abbondavano su '1 capo. Ed
ella parlava con un accento molle, esitando ad ogni
parola, ridendo quasi sempre. La sua voce spesso
diventava roca, d' improvviso.
Quando la compagnia giunse, i Pescaresi sma-
niavano nell' aspettazione. I cantatori forestieri fu-
rono ammirati per le vie, nei lore gesti, nel loro
incedere, nel loro vestire, e in ogni loro attitu-
dine. Ma la persona su cui tutta V attenzione con-
verse fu Violetta Kutufa.
Ella portava una specie di giacca scura orlata
di pelliccia e chiusa da alamari d' oro ; e su '1 capo
una specie di tocco tutto di pelliccia, cliino un
po' da una parte. Andava sola, camminando spe-
ditamente ; entrava nolle botteghe, trattava con un
certo disdegno i bottegai, si lagnava della medio-
crita delle merci, usciva senza aver nulla com-
prato : cantarellava, con noncuranza.
Per le vie, nolle piazzette, su tutti i muri,
grandi scritture a mano" annunziavano la rappre-
sentazione della Contessa d' Amalfi. II nome di
Violetta Kutufa risplendeva in lettere vermiglie.
Li animi dei Pescaresi si accendevano. La sera
aspettata giunse.
172
LA CONTESSA D AMALFI.
il paese a divulgare la novella, di famiglia in fa-
miglia.
E la novella, clivulgata, mise a romore Pescara.
Verso sera, co '1 fresco della marina e con la
luna crescente, tutti i cittadini nscirono per le vie
e per le piazzette. II chiaccherio fii infinite. II
nome di Yioletta Kutnfa correva sii tutte le boc-
che. Don Giovanni Ussorio non fu veduto.
II.
Violetta Kutufa era venuta a Pescara nel mese
di gennaio, in tempo di carnevale, con nna com-
pagnia di cantatori. Ella diceva d'essere una greca
dell'Arcipelago, di aver cantato in un teatro di
Corfu al conspetto del re delli Ellen i e di aver
fatto impazzire d'amore un ammiraglio d'lnghil-
terra. Era una donna di forme opulente, di pelle
bianchissima. Aveva due braccia straordinariamente
carnose e piene di piccolo fosse die apparivano
rosee ad ogni moto ; e le piccolo fosse e le anella
e tutte le altre grazie proprie di un corpo infan-
tile rendevano singolarnieiite piacevole e fresca e
quasi ridente la sua pinguedine. I lineamenti del
volto erano un po' volgari : li occhi castanei, pieni
di pigrizia; le labbra grandi, piatte e come schiac-
LA CONTESSA D^ AMALFI.
173
ciate. II naso non rivelava P origine greca: era
corto, un poco erto, con le narici larghe e respi-
ranti. I capelli, neri, abbondavano su '1 capo. Ed
ella parlava con un accento molle, esitando ad ogni
])aroIa, ridendo quasi sempre. La sua voce spesso
diventava roca, d' improvviso.
Quando la compagnia giunse, i Pescaresi sma-
niavano nelP aspettazione. I cantatori forestieri fu-
rono ammirati per le vie, nei lore gesti, nel lore
incedere, nel lore vestire, e in ogni lore attitu-
dine. Ma la persona su cui tutta V attenzione con-
verse fu Violetta Kutufa.
Ella portava una specie di giacca scura orlata
di pelliccia e chiusa da alamari d' oro ; e su '1 capo
una specie di tocco tutto di pelliccia, chino un
po' da una parte. Andava sola, camminando spe-
ditamente ; entrava nolle botteghe, trattava con un
certo disdegno i bottegai, si lagnava della medio-
crita delle merci, usciva senza aver nulla com-
prato : cantarellava, con noncuranza.
Per le vie, nolle piazzette, su tutti i muri,
grandi scritture a mano^annunziavano la rappre-
sentazione della Contessa d' Amalfl. II nome di
Violetta Kutufa risplendeva in lettere vermiglie.
Li animi dei Pescaresi si accendevano. La sera
aspettata giunse.
174
LA CONTESSA d' AMALFI.
U teatro era in una sala dell' antico ospedal
militare, alP estremita del paese, verso la marina.
La sala era bassa, stretta e lunga, come un cor-
ridoio : 11 palco scenico, tutto di legname e di
carta dipinta, s' inalzava poclii palini da terra ;
contro le pareti maggiori stavano le tribune, co-
struite d' assi e di tavole, ricoperte di bandiere
tricolori, ornate di festoni. II sipario, opera insi-
gne di Cucuzzitto figlio di Cucuzzitto, raffigurava
la Tragedia, la Commcdia e la Musica allacciate
come le tre Grazie e trasvolanti su '1 ponte a
battel] i sotto cui passava la Pescara turchina. Le
sedie, tolte alle chiese, occupavano met a della
platea. Le panclie, tolte alle scuole, occupavano
il resto.
Verso le sette la banda comunale prese a so-
nare in piazza e sonando fece il giro del paese;
e si fermo quindi al teatro. La marcia fragorosa
sollevava li animi al passaggio. Le signore freme-
vano d' impazienza, nei loro belli abiti di seta. La
sala rapidamente si empi.
Su le tribune raggiava una corona di signore
e di signorino gloriosissima. Teodolinda Pumerici,
la filodrammatica sentimentale e linfatica, sedeva
a canto a Fennina Memma, la mascnla. Le Fusilli,
venute da Castellammare, grandi fanciulle dalli ocelli
LA CONTESSA d' AMA.LFL 175
nerissimi, vestite di una eguale stoffa rosea, tutte
con i capelli stretti in treccia giu per la schiena,
ridevano forte e gesticolavano, Emilia D' Annunzio
volgeva a torno i belli occlii castanei con un' aria
di tedio infinite. Mariannina Cortese faceva segni
col ventaglio a Donna Racbele Profeta che stava
di fronte. Donna Rachele Bucci con Donna Ra-
chele Carabba ragionava di tavolini parlanti e di
apparizioni. Le maestro Del Gado, vestite tutt' e
due di seta cangiante, con mantellette di moda
antichissima e con certe cuffie luccicanti di pa-
gliuzze d' acciaio, tacevano, compunte, forse stor-
dite dalla novita del case, forse pentite d' esser
venute a uno spettacolo profane. Costanza Lesbii
tossiva continuamente, rabbrividendo sotto lo scialle
rosso ; bianca bianca, bionda bionda, sottile sottile.
Nolle prime sedie della platea sedevano li ot-
timati. Don Giovanni Ussorio primeggiava, bene
curate nella persona, con magnifici calzoni a quadri
bianchi e neri, con soprabito di castoro lucido, con
alle dita e alia camicia una gran quantita di ore-
ficeria cliietina. Don Antonio Brattella, membro
dell'Areopago di Marsiglia, un uomo spirante la
grandezza da tutti i pori e specialmente dal lobo
auricolare sinistro ch' era grosso come un'albi-.
cocca acerba, raccontava a voce alta, il dramma
176
LA CONTESSA D AMALFI.
lirico di Giovanni Ponizzini; e le parole, uscendo
dalla sua bocca, acquistavano una rotondita cice-
roniana. Li altri sulle sedie si agitavano con mag-
giore minore iniportanzK II dottore Panzoni lot-
tava in vano contro le lusinghe del sonno e di tanto
in tanto faceva un rornore clie si confondeva con
il la delli stromenti preludianti.
— Pss! psss! pssss! —
Nel teatro il silenzio divenne profondo. All' al-
zarsi della tela, la scena era vuota. II suono d' un
violoncello veniva di tra le quinte. Usci Tilde, e
canto. Poi usci Sertorio, e canto. Poi entro una
torma di allievi e di aniici, e intono un coro. Poi
Tilde si ayvicino pianamente alia finestra.
Oh ! come lente 1' ore
Sono ill desio !...
Nel pubblico inconiinciava la comniozione, poi-
che doveva essere imniinente un duetto di amore.
Tilde, in verita, era un ^;/*^mo soprano non niolto
giovine ; portava un abito azzurro ; aveva una ca-
pellatura biondastra die le ricopriva insufiicien-
temente il cranio ; e, con la faccia bianca di
cipria, rassomigliava a una costoletta cruda e in-
farinata die fosse nascosta dentro una parrucca
di canapa.
LA CONTESSA d' AMALFI. 177
Egidio venue. Egli era il tenore giovine. Come
aveva il petto singolarmente incavato, le gambe
un po' curve, rassomigliava un cucchiaio a doppio
manico, su '1 quale fo^se appiccicata una di qudle
teste di vitello raschiate e pulite die si veggono
talvolta nolle mostre dei beccai.
Tilde! il tuo labbro e muto,
Abbassi al suol gli sguardi.
Un tuo gentil.saluto,
Dimmi, perche mi tardi?
E la tua man tremante....
Fanciulla mia, perche?
E Tilde, con un impeto di sentimento :
In si solenne istante
Tu lo domandi a me?
II duetto crebbe in tenerezza. Le melodie del
cavaliere Petrella ddiziavano le orecchie ddli udi-
tori. Tutte le signore stavano chinate su '1 para-
petto delle tribune, immobili, attente ; e i loro
volti, battuti dal riflesso del verde delle bandiere,
impallidivano.
Un cangiar di paradiso
II morir ci sembrera !
Tilde usd; ed entro, cantando, il duca Car-
nioli ch' era un uomo corpulento e truculento e
zazzeruto come ad un baritone si addice. Egli can-
D'Annunzio. j2
178
LA CONTESSA b' AMALFI.
tava fiorentinamente, aspirando i c iniziali, anzi
addirittura sopprimendoli talvolta.
Non sai tu che piombo e a ippiede
La atena ouiiigale?
iMa quando nel siio canto nomino alfine d'Amalfi
la contessa, corse nel pubblico uii fremito. La con-
tessa era desiderata, invocata.
Chiese Don Giovanni Ussorio a Don Antonio
Brattella :
" Quando viene ? "
Kispose Don Antonio, lasciando cadere dalPalto
la risposta:
" Oh, mio Dio, Don Giova ! Non sapete? Nel-
V atto secondo ! NelP atto secondo ! "
II sermone di Sertorio fii ascoltato con una
certa impazienza. II sipario calo fra applausi de-
boli. II trionfo dl Violetta Kutufa cosi incomin-
ciava. Un moi-morio correva per la platea, per le
tribune, crescendo, nientre si udivano dietro il si-
pario i colpi di niartello dei macchinisti. Quel la-
vorio invisibile aumentava V aspettazione.
Quando il sipario si alzo, una specie di stu-
pore invase li aninii. L' apparato scenico parve me-
raviglioso. Tre arcate si prolungavano in prospet-
tiva, illuminate; e quella di mezzo* terminava in
LA CONTESSA d' AMALFI. 179
un giardino fantastico. Alcuni paggi stavano sparsi
qua e la, e sMnchinavano. La contessa d'Amalfi,
tutta vestita di velluto rosso, con uno strascico
regale, con le braccia e le spalle nude, rosea nella
faccia, entro a passi concitati.
Fu una sera d' ebrezza, e Talma mia
N'e plena ancor....
La sua voce era disuguale, talvolta stridula,
ma spesso poderosa, acutissima. Produsse nel pub-
blico un effetto singolare, dopo il miagolio tenero
di Tilde. Subitamente il pubblico si divise in due
fazioni : le donne stavano per Tilde ; li uomini,
per Leonora.
A' vezzi miei resistere
Non e si facil giuoco....
Leonora aveva nelle attitudini, nei gesti, nei
passi, una procacita clie inebi'iava ed accendeva
i celibi avvezzi alle iiosce Veneri del vico di
Sant' Agostino e i mariti stanchi delle scipitezze
coniugali. Tutti guai'davano, ad ogni volgersi della
cantatrice, le spalle grasSe e brnnclie, dove al gioco
delle braccia rotonde due fossette parevano ridere.
Alia fine delP a solo li applausi scoppiarono
con un fragore immenso. Poi lo svenimento della
contessa, le simulazioni dinanzi al duca Carnioli,
180
LA CONTESSA d' AMALFI.
il principio del duetto, tutte le scene suscitarono
applausi. Nella sala s' era addensato il calore ; per
le tribune i ventai>ii s' agitavano confusaniente,
e nello sventolio le facce feniniinili apparivano e
spariv^ano. Quando la contessa si appoggio a una
colonna, in un' attitudine d' aniorosa contempla-
zione, e fu rischiarata dalla luce lunare d' un hen-
gala, raentre Egidio cantava la romanza soave,
Don Antonio Brattella disse forte :
"" E grande ! "
Don Giovanni Ussorio, con un inipeto subitaneo,
si mise a battere le mani, solo. Li altri imposero
silenzio, poiche volevano ascoltare. Don Giovanni
rimase confuse.
Tutto d' amore, tutto ha favella :
La luna, il zeffiro, le stelle, il mar....
Le teste delli uditori, al ritino della molodia
petrelliana, ondeggiavano, se bene la voce di Egidio
era ingrata ; e li occhi si deliziavano, se bene la
luce della luna era funiosa e un po' giallognola.
Ma quando, dopo un contrasto di passione e di
seduzione, la contessa d'Amalfi incaniniinandosi
verso il giardino riprese la romanza, la romanza
che ancora vibrava nolle anime, il diletto delli udi-
tori fu tanto che molti sollevavano il capo e V ab-
LA CONTESSA d' AMALFl.
181
bandonavano un poco in dietro quasi per gorghe"--
giare insieme con la sirena perdentesi tra i fiori.
La barca e presta.... deh vieni, o bella !
Amor c'invita.... vivere e amar.
In quel punto Violetta Kutufa conquisto intero
Don Giovanni Ussorio che, fuori di se, preso da
una specie di furore musicale ed erotico, accla-
mava senza fine :
"" Brava ! Brava ! Brava ! "
. • Disse Don Paolo Seccia, forte :
" '0 vi', 'o vi', s' e 'mpazzito Ussorio ! "
Tutte le signore guardavano Ussorio, stordite,
sinarrite. Le maestro Del Gado scorrevano il ro-
sario, sotto le mantelline. Teodolinda Pumerici ri-
maneva estatica. Soltanto le Fusilli conservavano
la loro vivacita e cinguettavano, tutte rosee, fa-
cendo guizzare nei movimenti le trecce serpentine.
Nel terzo atto, non i morenti sospiri di Tilde
che le donne proteggevano, non le rampogne di
Sertorio a Carnioli, non le canzonette dei popo-
lani, non il monologo del malinconico Egidio, non
le allegrozze delle dame e dei cavalieri ebbero
virtu di distrarre il pubblico dalla volutta ante-
cedente. — Leonora ! Leonora ! —
E Leonora ricomparve a braccio del conte di
182
LA CONTESSA d' AMALFI.
Lara, scendendo da iin padiglione. E tocco il cul-
mine del trionfo.
Ella aveva ora un abito violetto, ornato di gal-
lon! d' argento e di feniiagli enormi. Si volse verso
la platea, dando un piccolo colpo di piede alio stra-
scico e scoprendo nell'atto la caviglia. Poi, in-
framezzando le parole di mille vezzi e di mille
lezi, canto fra giocosa e beffarda :
lo son la farfalla che scherza tra i fiori....
Quasi un delirio prese il pubblico, a quell' aria
gia nota. La contessa d'Amalfi, sentendo salire
fino a se V aniinirazione ai'dente delli uoniini e la
cupidigia, s' inebrio ; moltiplico le seduzioni del
gesto e del passo ; sail con la voce a supreme al-
titudini. La sua gola carnosa, segnata dalla col-
lana di Venere, palpitava ai gorgheggi, scoperta.
Son Tape che solo di mele si jmsce;
M'inebrio airazzurro d'lin limpido ciel....
Don Giovanni Ussorio, rapito, guardava con
tale intensita die li occlii parevano volergli uscir
fuori delle orbite. II barone Cappa faceva un po' di
bava, incantato. Don Antonio Brattella, membro
deir Areopago di Marsiglia, gonfio, gontio, fin clie
disse, in ultimo:
"" Colossale I "
XA CONTESSA D' AMALFI.
183
IIL
E Violetta Kutufa cosi conquisto Pescara.
Per oltre un mese le rappresentazioni dell' opera
del cavaliere Petrella si seguirono con favore cre-
scente. II teatro era sempre pieno, gremito. Le ac-
clamazioni a Leonora scoppiavano furiose ad ogni
line di romanza. Un singolar fenomeno avveniva:
tutta la popolazione di Pescara pareva presa da
una specie di mania musicale ; tutta la vita pe-
scarese pareva chiusa nel circolo magico di una
melodia unica, di quella ov' e la farfalla che scherza
tra i fiori. Da per tutto, in tutte le ore, in tutti
i modi, in tutte le possibili variazioni, in tutti li
stromenti, con una persistenza stupefacente, quella
melodia si ripeteva ; e 1' imagine di Violetta Ku-
tufa collegavasi alle note cantanti, come, Dio mi
perdoni, alii accordi delP organo T imagine del
Paradise. Le facolta musiche e liriche, le quali nel
popolo aternino sono nativamente vivissime, eb-
bero allora una espansione senza limiti. I monelli
fischiavano per le vie; tutti i dilettanti sonatori
provavano. Donna Lisetta Memma sonava 1' aria
su '1 gravicembalo, dalP alba al tramonto; Don An-
tonio Brattella la sonava su '1 flauto; Don Do-
nienico Quaquino su '1 clarinetto ; Don Giacoino
184
LA CONTESSA D' AMALFI.
LA CONTESSA D AMALFI.
185
il
Palusci. il prete, su una sua vecchia spinetta ro-
coco ; Don Vincenzo Rapagnetta su '1 violoncello ;
Don Vincenzo Ranieri su la tromba; Don Nicola
D'Annunzio su'l violino. Dai bastioni di Sant'Ago-
stino alPArsenale e dalla Pescheria alia Dogana,
i vari suoni si mescolavano e contiastavano e di-
scordavano. Nolle prime ore del pomeriggio il
paese pareva un qualche grande ospizio di pazzi
incurabili. Perfino li arrotini, affilando i coltelli
alia ruota, cercavano di seguire con lo stridore del
ferro e della cote il ritmo.
Com' era tempo di carnevale, nella sala del
teatro fu dato un festino pubblico.
II giovedi grasso, alle dieci di sera, la sala
fiammeggiava di candele steariclie, odorava di mor-
telle, risplendeva di specchi. Le maschere entra-
vano a stuoli. 1 pulcinella predominavano. Sopra
un palco, fiisciato di veli verdi e constellate di
stelle di carta d' argento, P orchestra incomincio
a sonare. Don Giovanni Ussorio entro.
Egli era vestito da gentiluomo spagnuolo, e
pareva un conte di Lara piii grasso. Un berretto
azzurro con una lunga piunia bianca gli copriva
la calvizie; un piccolo mantello di velluto rosso
gli ondeggiava su le spalle, gallonato d' oro.
L'abito metteva piu in vista la prominenza del
ventre e la picciolezza delle gambe. I capelli, lu-
cidi di olii cosmetici, parevano una frangia arti-
ficiale attaccata intorno al berretto ed erano piu
neri del consueto.
Un pulcinella impertinente, passando, strillo
con la voce falsa :
" Mamma mia ! "
E fece un gesto di orrore cosi grottesco, di-
nanzi al travestimento di Don Giovanni, che in
torno molte risa scampanellarono. La Ciccarina,
tutta rosea dentro il cappuccio nero della bautta,
simile a un bel fiore di carne, rideva d' un riso
himinosissimo, dondolandosi fra due arleccbini
cenciosi.
Don Giovanni si perse tra la folia, con dispetto.
Egli cercava Violetta Kutufa ; voleva prendersi
Violetta Kutufa. I sarcasmi delle altre maschere
lo inseguivano e lo ferivano. D' un tratto egli s' in-
contro in un secondo gentiluomo di Spagna, in un
secondo conte di Lara. Riconobbe Don Antonio
Brattella, ed ebbe una fitta al cuore. Gia tra quei
due uomini la rivalita era scoppiata.
" Quanto 'sta nespola ? " squitti Don Donate
Brandimarte, velenosamente, alludendo all' escre-
scenza carnosa che il membro delP Areopago di
Mai'siglia aveva nell' orecchio sinistro.
I)
Jl t
V
^^^^ r I^A CONTKSSA D' AMALFI.
Don Giovanni esulto di una gioia feroce. I due
rivali si guardarono e si osseivarono dal capo alle
piante ; e si inantennero sempre 1' uno poco disco-
sto dair altro, pur girando tra la folia.
Alle undici, nella folia corse una specie di agi-
tazione. Violetta Kutufa entrava.
Ella era vestita diabolicaniente, con un domino
nero a lungo cappuccio scarlatto e con una ma-
scherina scarlatta su la faccia. II niento rotondo
e niveo, la bocca grossa e rossa si vedevano a
traverso un sottil velo. Li ocelli allungati e resi
un po' obliqui dalla maschera, parevano ridere.
Tutti la riconobbero, subito ; e tutti quasi fe-
cero ala al passaggio di lei. Don Antonio Brat-
tella si avanzo, leziosamente, da una parte. Dal-
1' altra si avanzo Don Giovanni. Violetta Kutufa
ebbe un rapido sguardo per U anelli che brilla-
vano alle dita di quest' ultimo. Indi prese il brac-
cio deir Areopagita. Ella rideva, e camminava con
un certo vivace ondeggiare de' lombi. L' Areopa-
gita, parlandole e dicendole le sue solite gonfie
stupidezze, la cliiamava contessa, e intercalava nel
discorso i versi lirici di Giovanni Pernzzini. Ella
rideva e si piegava verso di lui e premeva il brac-
cio di lui, ad arte, perche li ardori e li sdilinqui-
menti di quel brutto e vano signore la diletta-
LA CONTESSA d' AMALFI. 187
vano. A un certo punto, F Areopagita, ripetendo
le parole del conte di Lara nel jnelodramma pe-
trelliano, disse, anzi sommessamente canto :
'^ Poss' io dunque sperarrrr?"
Violetta Kutufa risposo, come Leonora:
"Chi ve lo vieta?... Addio."
E, vedendo Don Giovanni poco discosto, si
stacco dal cavaliere affascinato e si attacco aH'al-
P altro che gia da qualche tempo seguiva con oc-
chi pieni d' invidia e di dispetto li avvolgimenti
della coppia tra la folia danzante.
Don Giovanni tremo, come un giovincello al
prime sguardo della fiiuciulla adorata. Poi, preso
(la un impoto glorioso, trasse la cantatrice nella
danza. Egli girava affiinnosamente, con il naso su '1
scno della donna ; e il mantello gli svolazzava die-
tro, la piuma gli si piegava, rivi di sudore misti
ad olii cosmetici gli colavano giii per le tempie.
Non potendo piu, si fermo. Trabalhxva per la ver-
tigine. Due mani lo sorressero ; e una voce bef-
farda gli disse nelP orecchio :
" Don Giova, riprendete fiato ! "
Era la voce dell' Areopagita. II quale a sua
volta trasse la bella nella danza.
Egli ballava tenendo il braccio sinistro arcuato
su '1 fianco, battendo il piede ad ogni cadenza,
ij
188
LA CONTESSA d' AMALFI.
\
ff TT'
cercando parer leggero e molle come una piuma,
con atti di grazia cosi golii e con smorfie cosi
scimmiescamente mobili die in torno a liii le risa
e i motti dei pulcinella coniinciarono a grandinare.
" Un soldo si paga, signori ! "
Ecco 1' orso della Polonia, die balla come
un cristiano ! Mirate, signori ! "
" Chi vuol nespoleeee? Chi vuol nespoleeeeV"
" '0 vi' ! '0 \V ! L' urangutango ! "
Don Antonio Iremeva, dignitosamente, pur se-
guitando a ballare.
In torno a lui altre coppie giravano. La sala si
era enipita di geiite variissinia ; e nel gran calore
le candele ardevano con una liamma rossiccia, tra
i festoni di niortella. Tutta quell' agitazione iiiulti-
colore si riHetteva nelli specchi. La Ciccarina, la
figlia di Montagna, la iiglia di Suriano, le sordle
Montanaro apparivano e sparivano, mettendo nella
folia r irraggianiento della loro Iresca bellezza
plebea. Donna Teodolinda Pumerici, alta e so.ttile,
vestita di laso azzurro, come una madonna, si
lasdava portare trasognata ; e i capdli sciolti in
anella le fluttuavano su li omeri. Costanzella Caffe,
la pill agile e la piu iiinitica])ile fra le danzatrid'
e la pill bionda, volava da un' estremita all'altra
in un baleno. Amalia Solofra, la rossa dai capdli
LA CONTESSA d' AMALFI.
189
quasi fiammeggianti, vestita da forosetta, con au-
dacia senza pari, aveva il biisto di seta sostenuto
da un solo nastro die contornava V appiccatura del
braccio ; e, nella danza, a tratti le si vedeva una
iiiacchia scura sotto le ascelle. Amalia Gagliano,
la bella dalli occhi cisposi, vestita da maga, pa-
reva una cassa funeraria che camminasse vertical-
mente. Una specie di ebrieta teneva tutte quelle
fanciulle. Esse erano alterate dalF aria calda e
deilsa, come da un falso vino. II lauro e la mor-
tella formavano un odore singolare, quasi eccle-
siastico.
La musica cesso. Ora tutti salivano i gradini
conducenti alia sala dei rinfreschi.
Don Giovanni Ussorio venne ad invitare Vio-
letta a cena. L' Areopagita, per mostrare d' essere
in grande intimita con la cantatrice, si chinava
verso di lei e le susurrava qualche cosa all' orec-
cliio e poi si metteva a ridere. Don Giovanni non
si euro del rivale.
"" Venite, contessa? " disse, tutto cerimonioso,
porgendo il braccio.
Violetta accetto. Ambedue salirono i gradini,
lentamente, con Don Antonio dietro.
'' lo vi aino ! " a v venture Don Giovanni, ten-
tando di dare alia sua voce un accento di passione
190
LA CONTESSA d' AMALFJ.
Ijii
appreso dal primo amoroso giovine d' una compa-
gnia drammatica di Cliieti.
Violetta Kutufa non rispose. Ella si divertiva
. a guardare il concorso della gente verso il banco
di Andreuccio che distribuiva rinfreschi gridando
il prezzo ad alta voc<3, come in una fiera canipe-
stre. Andreuccio aveva una testa enorme, il cranio
polito, un naso che si curvava su la sporgenza
del labbro inferiore poderosamente ; e somigliava
una di quelle grandi lanterne di carta, che hanno
la forma d' una testa umana. I mascherati man-
giavano e bevevano con una cupidigia bestiale,
spargendosi su li abiti le briciole delle paste dolci
e le gocce dei liquori.
Vedendo Don Giovanni, Andreuccio grido :
" Signo, comandate? "
Don Giovanni aveva molte ricchezze, era ve-
dovo, senza i)arenti prossimi ; cosicche tutti si mo-
stravano servizievoli per lui e lo adulavano.
"" 'Na cenetta/' rispose. "" Ma !... "
E fece un segno espressivo per indicare che la
cosa doveva essere eccellente e rara.
Violetta Kutufa sedette e con un gesto i)igro
si tolse la mascherina dal volto ed apri un poco
su '1 seno il domino. Dentro il cappuccio scarlatto
la sua faccia, animata dal calore, pareva piii pro-
LA CONTESSA d' AMALFI.
191
cace. Per T apertura del domino si vedeva una
specie di maglia rosea che dava 1' illusione della
carne viva.
" Salute ! " esclamo Don Pompeo Nervi ferman-
dosi dinanzi alia tavola imbandita e sedendosi,
attirato da un piatto di aragoste succulente.
E allora sopraggiunse Don Tito De Sieri e prese
posto, senza complimenti ; sopraggiunse Don Giu-
stino Franco insieme con Don Pasquale Virgilio
e con Don Federico Sicoli. La tavola s' ingrandi.
Dopo molto rigirare tortuoso, venne anche Don
Antonio Brattella. Tutti costoro erano per lo piu
i convitati ordinari di Don Giovanni ; gli forma-
vano in torno una specie di corte adulatoria ; gli
davano il vote nolle elezioni del Comune; ride-
vano ad ogni sua facezia ; lo chiamavano, per an-
tonomasia, il prmcipale.
Don Giovanni disse i nomi di tutti a Violetta
Kutufa. I parassiti si misero a mangiare, chinanrlo
siii piatti le bocche voraci. Ogni parola, ogni frase
di Don Antonio Brattella veniva accolta con un
silenzio ostile. Ogni parola, ogni frase di Don Gio-
vanni veniva applaudita con sorrisi di compia-
cenza, con accenni del capo. Don Giovanni, tra
la sua corte, trionfava. Violetta Kutufa gli era
^^cnigna, poiche sentiva V oro ; e, ormai liberata
192
LA CONTESSA d' AMALFI.
LA CONTESSA d' AMALFI.
193
dal cappuccio, con i capelli un po' in ribellione
per la fronte e per la nuca, si abbandonava alia
sua naturale giocondita un po' claniorosa e puerile.
D'in torno, la gente niovevasi variamente. In
mezzo alia folia tre o quattro arlecchini cammi-
navano su '1 paviniento, con le mani e con i piedi ;
e si rotolavano, simili a grandi scarabei. Amalia
Solofra, ritta sopra una sedia, con alte le braccia
ignude^ rosse ai gomiti, agitava un tamburello.
Sotto di lei una coppia saltava alia maniera ru-
stica, gittando brevi gridi; e un gruppo di gio-
vini stava a guardare con li occhi levati, un poco
ebri di desio. Di tanto in tanto dalla sala infe-
riore giungeva la voce di Don Ferdinando Gior-
dano che comandava le quadriglie con gran bra-
vura :
"" Balances! Tour de mains! Bond a gauche!'"
A poco a poco la tavola di Yioletta Kutufa
diveniva amplissima. Don Nereo Pica, Don Seba-
stiano Pica, Don Grisostonio Troilo, altri della
corte ussoriana, sopraggiunsero ; poi anclie Don Ci-
rillo D' Anielio, Don Caniillo D' Angelo, Don Rocco
Mattace. Molti estranei d' in torno stavano a guar-
dar mangiare, con volti stupidi. Le donne invi-
diavano. Di tanto in tanto, dalla tavola si le-
vava uno scoppio di risa rauche ; e, di tanto in
tanto, saltava un turacciolo e le spume del vino
si ri versa vano.
Don Giovanni amava spruzzare i convitati, spe-
ciahnente i calvi, per far ridere Yioletta. 1 paras-
siti levavano le facce arrossite ; e sorridevano, an-
cora masticando, al principale, sotto la pioggia
nivea. Ma Don Antonio Brattella s' impermali e
fece per andarsene. Tutti li altri, contro di lui,
misero . un clamore basso die pareva un abbaia-
mento.
«
Violetta disse :
" Restate."
Don Antonio resto. Poi fece un brindisi poe-
tico in quinari.
Don Federico Sicoli, mezzo ebro, fece anche
un brindisi a gloria di Violetta e di Don Gio-
vanni, in cui si parlava persino di sacre tede e di
felice imene. Egli declamo a voce alta. Era un uomo
lungo e smilzo e verdognolo come un cero. Viveva
componendo epitalami e sti'ofette per li onoma-
stici e laudazioni per le festivita ecclesiastiche.
Ora, neir ebrieta, le rime ^gli uscivano dalla bocca
senza ordine, vecchie rime e nuove. A un certo
punto egli, non reggendosi su le gambe, si piego
•come un cero ammollito dal calore; e tacque.
Violetta Kutufa si diffondeva in risa. La gente
D' Annunzio.
13
1^
W
1
194
LA CONTESSA D AMALFI.
LA CONTESSA d' AMALFI.
195
l#
accalcavasi in torno alia tayola, come ad uno spet-
tacolo.
"" Andiamo," disse Violetta, a un certo punto,
rimettendosi la maschera e il cappuccio.
Don Giovanni, al culmine delP entusiasmo amo-
roso, tutto invermigliato e sudante, porse il brac-
cio. I parassiti bevvero 1' ultimo bicchiere e si le-
varono confusamente, dietro la coppia..
IV.
Pochi giorni dopo, Violetta Kutufa abitava un
appartamento in una casa di Don Giovanni, su la
piazza comunale ; e una gran diceria correva Pc-
scara. La compagnra del cantori parti, senza la
6ontessa d' Amalti, per Brindisi. Nella grave quiete
quaresimale, i Poscaresi si dilettarono della mor-
morazione e della calunnia, modestamente. Ogni
giorno una novella nuova faceva il giro della citta,
e ogni giorno dalla fantasia popolare sorgeva una
fcivola.
La casa di Violetta Kutufa stava proprio dalla
parte di Sant' Agostino, in contro al palazzo di
Brina, accosto al palazzo di Mennna. Tutte le sere
le finestre erano illuminate. I curiosi, sotto, si as-
sembravano.
Violetta riceveva i visitatori in una stanza tap-
pezzata di carta francese su cui erano francesca-
mente rappresentati taluni fatti mitologici. Due
canterali panciuti del secolo XVIII occupavano i due
lati del caminetto. Un canape di damasco di lana
oscuro stendevasi lungo la parete opppsta, tra due
portiere di stoffa simile. Su '1 caminetto s' alzava
una Venere di gesso, una piccola Venere de' Me-
dici, tra due candelabri dorati. Su i canterali po-
savano vari vasi di porcellana, un gruppo di fieri
artificiali sotto una campana di cristallo, un ca-
nestro di frutta di cera, una casetta svizzera di
legno, un blocco d' allume, alcune conchiglie, una
noce di cocco.
Da prima i signori avevano esitato, per una
specie di pudicizia, a salire le scale della canta-
trice. Poi, a poco a poco, avevano vinta ogni esi-
tazione. Anclie li uomini piii gravi facevano di
tanto in tanto la lore comparsa nel salotto di Vio-
letta Kutufa, anche li uomini di famiglia ; e ci
andavano quasi trepidando, con un piacere fur-
tive, come se andassero a commettere una piccola
infedelta alle mogli lore, come se andassero in un
luogo di dolce perdizione e di peccato. Si univano
in due, in tre ; formavano leghe, per maggior si-
curezza e per giustificarsi ; ridevano tra lore e si
196
LA CONTESSA I) AMALFI.
LA CONTESSA d' AMALFL
197
spingevano i gomiti V un V altro, per incoraggia-
mento. Poi la luce delle finestre e i suoiii del pia-
noforte e il canto della contessa d' Amalfi e le voci
e li applausi delli altri visitatori li inebriavano.
Essi erano presi da un entusiasnio improvviso ;
ergevano il busto e la testa, con un moto giova-
nile ; salivano risolutaraente, pensavano che infine
bisognava godersi la vita e cogliere le occasioni
del piacere.
Ma i ricevimenti di Violetta avevano un'aria di
grande convenienza, erano quasi cerimoniosi. Vio-
letta accoglieva con gentilezza i nuovi venuti ed
otfriva loro sciroppi nelP acqua e rosolii. I nuovi
venuti rimanevano un po' attoniti, non sapevano
come muoversi, dove seder e, che dire. La conver-
sazione si versava su '1 tempo, su le notizie poli-
tiche, su la materia delle prediche quaresimali, su
altri argomenti volgari e tediosi. Don Giuseppe
Postiglione parlava della candidatura del principe
prussiano di Hohenzollern al trono di Spagna ;
Don Antonio Brattella amava talvolta discutere
deiiP immortalita dell' anima e d' alt re cose edi-
ficanti. La dottrina dell' Areopaglta era grandis-
sima. Egli parlava lento e rotondo, di tanto in
tanto pronunziando rapidamente una parola dif-
ficile e mangiandosi qualclie sillaba. Egli fu die
m
\4
una sera, prendendo una bacchetta e piegandola,
disse : " Com' e flcMe ! " per dire flessibile ; un' altra
sera, indicando il palato e scusandosi di non poter
sonare il iiauto, disse : " Mi s' e infiammata tutta
]^platea!' e un' altra sera, indicando 1' orificio
di un • vaso, disse che, perche i fanciulli prendes-
sero la medicina, bisognava spargere di qualche
materia dolce tutta V oreficeria.
Di tratto ii; tratto, Don Paolo Seccia, spirito
incredulo, udendo raccontare fatti troppo singo-
lari, saltava su : ■
" Ma, Don Anto, voi die dite ? "
Don Antonio assicurava, con una mano su '1
cuore :
"" Testimone ocuUsfa ! Testimone ocidista ! "
Una sera egli venne, camminando a fatica ; e
piano [)iano si mise a sedere : aveva un reuma
hmgo il rem. Un' altra sera venne, con la guancia
destra un po' illividita : era caduto di soppiafto, cioe
aveva sdrucdolato battendo la guanda su '1 terrene.
"" Come mai, 'Don Anto ? " chiese qualcuno.
'' Eh guardate ! Ho perfino un impegno rotto,"
egli rispose, indicando il tomaio die nel dialetto
native si chiaiiia 'mhUjna, come nel proverbio Senza
'mhUjna nen se mandf. la scarpe.
Questi erano i belli ragionari di qudla gente.
I.
198
LA CONTESSA d' AMALFI.
Don Giovanni Ussorio, presente sempre, aveva delle
arie padronali ; ogni tanto si avvicinava a Violetta
e le mormorava qualche cosa nelF orecchio, con
familiarita, per ostentazione. Avvenivano lunghi
intervalli cli silenzio, in cui Don Grisostomo Troilo
si softiava il naso e Don Federico Sicoli tossiva
come un macacco tisico portando ambo le niani
alia bocca ed agitandole.
La cantatrice ravvivava la conversazione nar-
rando i suoi trionti di Corfu, di Ancona, di 13ari.
Ella a poco a poco si eccitava, si abbandonava
tutta alia fantasia ; con reticenze discrete, parlava
di amori principeschi, di favori regali, di avven-
ture lonianticlie ; evocava tutti i suoi tumultuari
ricordi di letture fatte in altro tempo : confidava
largamente nella credulita delli ascoltatori. Don
Giovanni in quel moment! le teneva addosso li
occhi pieni d' inquietudine, quasi smarrito, pur pro-
vando un orgasmo singolare clie aveva una vaga
e confusa apparenza di gelosia.
Violetta finalmente s' interrompeva, sorridendo
d'un sorriso fatuo.
Di nuovo, la conversazione languiva.
Allora Violetta si metteva al pianoforte e can-
tava. Tutti ascoltavano, con attenzione profonda.
Alia fine, applaudivano.
r
LA CONTESSA D AMALFL
199
Poi sorgeva V Areopagita, col flauto. Una ma-
linconia immensa prendeva li uditori, a quel suono,
uno stinimento delF anima e del corpo. Tutti sta-
vano col capo . basso, quasi chino su '1 petto, in
attitudini di sofferenza.
In ultimo, uscivano in fila, V uno dietro P altro.
Come avevano presa la mano di Violetta, un po' di
l)rofumo, d' un forte profumo muscliiato, restava
loro nolle dita ; e n'erano turbati alquanto. Al-
lora, nella via si riunivano in crocchio, tenevano
discorsi libertini, si rinfocolavano, cercavano d' im-
maginare le occulte forme della cantatrice ; abbas-
savano la voce o tacevano, se qualcuno s' appres-
sava. Pianamente se ne andavano sotto il palazzo
di Brina, dalP altra parte della piazza. E si met-
tevano a spiare le tinestre di Violetta ancora
illuminate. Su i vetri passavano delle ombre indi-
stinte. A un certo punto, il lume spariva, attra-
versava due o tre stanze ; e si fermava nelP ulti-
ma, illuminando P ultima finestra. Dopo poco, una
ligura veniva innanzi a chiudere le imposte. E i
riguardanti credevano riconoscere la figura di
Don Giovanni. Seguitavano ancora a discorrere,
sotto le stelle ; e di tanto in tanto ridevano, dan-
dosi delle piccolo spinte a vicenda, gesticolando.
Don Antonio Brattella, forse per effetto della luce
If
200
LA CONTESSA D' AMALFI.
cP un lampione comunale, pareva di color verde.
I parassiti, a poco a poco, nel discorso, cacciavan
fuori una certa animosita contro la cantatrice die
spiumava con tanto garbo il loro anfitrione. Essi
temevano che i larglii pasti corressero pericolo.
Gia Don Giovanni era piu parco d' inviti. '' Biso-
gnava aprire li ocelli a quel poveretto. Un' av-
venturiera !... Puali ! Ella sarebbe stata capace di
farsi sposare. Come no? E poi lo scandalo...."
Don Pompeo Nervi, scotendo la grossa testa
vitulina, assentiva :
"" E vero ! E vero ! Bisogna pensarci."
Don Nereo Pica, la faina, proponeva qualclie
mezzo, escogitava stratagemmi, egli uomo pio,
abituato alle secrete e laboriose guerre della sa-
crestia, scaltro nel seminar le discordie.
Cosi quei mormoratori s' intrattenevano a
lungo ; e i discorsi grassi ritornavano nolle loro
bocche amare. Come era la primavera, li alberi
del giardino pubblico odoravano e ondeggiavano
bianchi di fioriture, dinaiizi a loro ; e pei vicoli
vicini si vedevano sparire figure di donne.
V.
Quando dunque Don Giovanni Ussorio, dopo
aver saputa da Rosa Catana la partenza di A'io-
LA CONTESSA d' AMALFI. 201
letta Kutufa, rientro nella casa vedovile e senti
il suo pappagallo modulare P aria della farfalla e
deir ape, fu preso da un nuovo piu profondo sgo-
mento.
NelP andito, tutto candido, entrava una zona di
sole. A traverso il cancello di ferro si vedeva il
giardino tranquillo, pieno di eliotropi. Un servo
dormiva sopra una stuoia, co '1 cappello di paglia
su la faccia.
Don Giovanni non risveglio il servo. Sali con
fatica le scale, tenendo li occhi fissi ai gradini,
soffermandosi, mormorando :
" Oh, che cosa ! Oh, oh, che cosa ! "
Giunto alia sua stanza, si getto su '1 letto,
con la bocca contro i guanciali ; e ricomincio a
singhiozzare. Poi si sollevo. II silenzio era grande.
Li alberi del giardino, alti sine alia finestra, on-
deggiavano a pena, nella quiete dell' ora. Nulla
di straordinario avevano le cose in torno. E^li
quasi n' ebbe meraviglia.
Si mise a pensare. Stette lungo tempo a ram-
mentarsi le attitudini, i gesti, le parole, i minimi
cenni della fuggitiva. La forma di lei gli appa-
riva chiara, come se fosse presente. Ad ogni ri-
cordo, il dolore cresceva ; hno a che una specie
di ebetudine gli occupo il cervello.
I
,!f
^1 i
202
LA CONTESSA D AMALFI.
LA CONTESSA d' AMALFI.
203
Egli rimasc a sedere sii '1 letto, quasi immo-
bile, con li occhi rossi, con le tempie tutte anne-
rite dalla tintura dei capelli mista al sudore, con
la faccia solcata da rughc diventate piii profonde
air improniso, invecchiato di dieci anni in un' ora ;
grottesco e miserevole.
Venne Don Grisostomo Troilo, clie aveva sa-
puta la novella ; ed entro. Era un uonio d' eta,
di piccola statura, con una faccia rotonda e gonfia,
d' onde uscivan fuori due bafti acuti e sottili, bene
incerati, simili a due aculei.- Disse :
"" Be\ Giova, clie e questo? ".
"Don Giovanni non rispose ; ma scosse le spalle
come per ritiutare ogni conforto. Don Grisostomo
allora si mise a riprenderlo amorevolmente, con
unzione, senza parlare di Violetta Kutufa.
Sopraggiunse Don Cirillo D'Amelio con Don Ne-
re'o Pica. Tutt' e due, cntrando, avevano quasi
un' aria triontante.
'^ Hai visto? Hai visto, Giova? Noi lo dice-
vaaamo ! Noi lo dicevaaamo ! "
Essi avevano ambedue una voce nasale e una
cadenza acquistata dalla consuetudine del can-
tare su r organo, poicbe appartenevano alia Con-
gregazione del Santissimo Sacramento. Comin-
ciarono a imperversare contro Violetta, senza
misericordia. " Ella faceva questo, questo e que-
st' altro."
Don Giovanni, straziato, tentava di tanto in
tanto un gesto per interrompere, per non udire
quelle vergogne. Ma i due seguitavano. Soprag-
giunsero ancheDon PasqualcVirgilio, Don Pompeo
Nervi, Don Federico Sicoli, Don Tito De Sieri,
quasi, tutti i parassiti, insieme. Essi, cosi collegati,
diventavano feroci. " Violetta Kutufa s' era data
a Tizio, a Caio, a Sempronio.... Sicuro ! Sicuro ! "
Esponevano particolarita precise, luoghi precisi.
Ora Don Giovanni ascoltava, con li occhi ac-
cesi, avido di sapere, invaso da una curiosita ter-
ribile. Quelle rivelazioni, in vece di disgustarlo,
alimentavano in lui la brama. Violetta gli parve
pill desiderabile ancora e piu bella ; ed egli si
sent! mordere dentro da una gelosia furiosa clie
si confondeva col dolore. Subitamente, la donna
gli apparve nel ricordo atteggiata ad una posa
niolle. Egli non la vide piu che cosi. Quell' ima-
gine permanente gli davaje vertigini. "Oh Dio !
Oh Dio! Oh! Oh!" Egli ricomincio a singhioz-
zare. I presenti si guardarono in volto e conten-
nero il sorriso. In verita, il dolore di quell' uomo
pingue, calvo e deforme aveva un' espressione cosi
ndicola che non pareva reale.
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204
LA CONTESSA d' AMALFI.
LA CONTESSA d' AMALFL
205
" Andatevene ora ! Andatevene ! " balbetto tra
le lacrime Don Giovanni.
Don Grisostonio Troilo diede V esempio. Li
altii segnirono. E per le scale cicalavano.
Come venne la sera, V abbandonato si sollevo,
a poco a poco. Una voce femniinile chiese, all' uscio :
" E perniesso, Don Giovanni ? **
Egli riconobbe. Rosa Catana e provo d' un
tratto una gioia istintiva. Corse ad aprire. Rosa
Catana apparve, nella penonibra della stanza.
Egli disse :
V leni ! v leni !
La fece sedere a canto a se, la fece parlare,
Pinterrogo in mille modi. Gli pareva di sotfrir
meno, ascoltando qiiella voce familiare in cui egli
per illusione trovava qualche cosa della voce di
Violetta. Le presc le mani.
" Til la pettinavi ; e vero ? "
Le accarezzo le mani ruvide, chiudendo li oc-
chi, CO '1 cervello un po' svanito, pensando all' ab-
bondante cai)ellatura disciolta che quelle mani
avevano taiite volte toccata. Rosa, da prima, non
comprendeva ; credeva a qualclie subitaneo desi-
derio di Don Giovanni, e ritirava le mani molle-
mente, dicendo delle parole ambigue, ridendo. Ma
Don Giovanni mormoro :
"No, no!... Zitta! Tu la pettinavi; e vero?
Tu la mettevi nel bagno ; e vero ? "
Egli si mise a baciare le mani di Rosa, quelle
mani che pettinavano, clie lavavano, che vestivano
Violetta. Tartagliava, baciandole ; faceva versi cosi
strani che Rosa a fatica poteva ritenere le risa.
Ma ella finalmente comprese; e da femmina ac-
corta, sforzandosi di rimanere in serieta, calcolo
tutti i vantaggi ch' ella avrel)be potuto trarre dalla
nielensa commedia di Don Giovanni. E fu docile ;
si lascio accarezzare ; si lascio chiamare Violetta ;
si servi di tutta 1' esperienza acquistata giiar-
dando pel buco della chiave ed origiiando tante
volte air uscio della padrona ; cerco anche di ren-
dore la voce piii dolce.
Nella stanza ci si vedeva appena. Dalla fine-
stra aperta entrava un chiarore roseo ; e li alberi
del giardino, quasi neri. stormivano. Dai pantani
deir Arsenale giungeva il gracidare lungo delle
rane. II romorio delle strade cittadine era in-
distinto. ^
Don Giovanni attiro la donna su le sue gi-
nocchia ; e, tutto smarrito, come se aves^e bevuto
qualche liquore troppo ardente, balbettava mille
loziosaggini puerili, pargoleggiava, senza fine, ac-
costando la sua faccia a quella di lei.
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206
LA CONTESSA D' AMALFI.
" Violettuccia bella ! Coco mio ! Non te ne vai,
Coco !... Se te ne vai, Nini tuo niuore. Povero
Nini !... Baubaubaubauuu ! "
E segiiitava ancora, stupiclameiite, come faceva
prima con la cantatrice. E Kosa Cataua, pazieute,
gli rendeva le piccole carezze, come a un bambino
malaticcio e viziato ; gli prendeva la testa e se la
teneva contro la spalla ; gli baciava li ocelli gonfi
e lacrimanti ; gli palpava il cranio calvo ; gli rav-
viava i capelli untuosi.
VI. •
Cos! Rosa Catana a poco a poco guadagno
r eredita di Don Giovanni Ussorio, clie nel marzo
del 1871 moriva di paralisia.
TURLENDANA RITORNA.
La compagnia camminava lungo il mare.
Gia pei chiari poggi litQrali ricominciava la
primavera ; 1' umile catena era verde, e il verde
di varie verdure distinto ; e ciascuna cima aveva
una corona d' alberi iioriti. Alio spirar del maestro
quelli alberi si movevano ; e nel moto forse si spo-
gliavano di molti fieri, poiclie alia breve distanza
Ic alture parevano coprirsi d' un colore tra il roseo
il violaceo, e tutta la veduta un istante pareva
tremare e impallidire come un' imagine a traverse
il yel dell' acqua o come una pittura die lavata
si stinge.
. II mare si distendeva in una serenita quasi
verginale, lungo la costa lievemente lunata verso
austro, avendo nello splend(5re la vivezza d' una
tnrchese della Persia. Qua e la, segnando il pas-
saggio delle correnti, alcune zone di piu cupa tinta
serpeggiavano.
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208
fURLENDANA RIfORNA.
Turlendana, in ciii la conoscenza tlei luoghi
per i molti aniii (F assenza era quasi intieramente
smarrita e in ciii per le liinghe peregrinazioiii il
sentimento della patria era quasi estinto, andava
innauzi senza volgersi a riguardare, con quel suo
passo affaticato e claudicante.
Come il camello indugiava ad ogni cespo d'erbe
selvaticlie, egli gittava un breve grido rauco d' in-
citamento. E il gran quadrupede rossastro risol-
levava il collo lentamente, triturando fra le man-
dibole laboriose il cibo.
— Hu, Barbara ! —
L' asina, la piccola e nivea Susanna, di tratto
in tratto, sotto li assidui tormenti del macaeco si
metteva a ragliare in suono lamentevole, chiedendo
d' esser liberata del cavaliere. Ma Zavali, instan-
cabile, senza tregua, con una specie di frenesia di
niobilita, con gesti rapidi e corti ora di collera e
ora di gioco, percorreva tutta la schiena dell' ani-
male, saltava su la testa atferrandosi alle grandi
oreccliie, prendeva fra le due mani la coda solle-
vandola e scotendone il ciutfo dei crini, cercava
tra il pelo grattando con V unghie vivamente e re-
candosi quindi V ungliie alia bocca e masticando
con mille vari moti di tutti i muscoli della faccia.
Poi, d' improvviso, si raccoglieva su '1 sedere, te-
TURLENDANA RITORNA.
209
nendosi in una delle mani il piede ritorto simile
a una radice d' arbusto, immobile, grave, fissando
verso le acque i tondi occhi color d' arancio clie
gli si empivano di meraviglia, mentre la fronte
gli si corrugava e le oreccliie fini e rosee gli tre-
mavano quasi per inquietudine. Poi, d' improvviso,
con un gesto di malizia ricominciava la giostra.
— Hu, Barbara ! —
II camello udiva ; e si rimetteva in cammino.
Quando la compagnia giunse al bosco dei salci,
presso la foce della Pescara, su la riva sinistra
(gia si scorgevano i galli sopra le antenne delle
paranze ancorate alio scab della Bandiera), Tur-
lendana si arresto poiche voleva dissetarsi al fiume.
II patrio fiume recava P onda perenne della
sua pace al mare. Le rive, coperte di piante flu-
viatili, tacevano e si riposavano, come affaticate
dalla recente opera della fecondazione. II silenzio
era profondo su tutte le cose. Li estuarii risplen-
devano al sole tranquilli, come spere, chiusi in
una cornice di cristalli salini. Secondo le vi-
cende del vento, i salci verdeggiavano. o bian-
clieggiavano.
" La Pescara ! " disse Turlendana sofferman-
dosi, con un accento' di curiosita e di riconosci-
mento istintivo. E stette a riguardare.
k
id
f?
D' Annunzio-
14
I !
210
TURLKNDANA RITOKNA".
TIJRLENDANA RITORNA.
211
I
Poi (lisceso al margine, dove la ghiaia era po-
lita ; e si mise in ginoccliio per attingere V acqua
con il concavo delle palme. II camello curvo 11
collo, e bevve a sorsi lenti e regolari. L' asina an-
che bevve. E la scinimia imito V attitudine del-
Piiomo, facendo conca con le esili nmni ch' erano
violette come i fichi d' India acerbi.
— Hii, Barbara ! —
II camello udi e cesso di bere. Dalle labbra
molli gii-gocciolava T acqua abbondantemente su
le callosita del petto, e gli si vedevano le gencive
pallidicce e i grossi denti giallognoli.
Per il sentiero, segnato nel bosco dalla gente
di mare, la compagnia riprese il viaggio. Cadeva
il sole, qiiando giunse alP Arsenale di Kampigna.
A im marinaio, clie camminava liingo il para-
petto di mattone, Turlendana domando :
" Quella c Pescara? "
II marinaio, stupefatto alia vista delle bestie,
rispose :
" E quella."
E tralascio la sua faccenda per seguire il fo-
restiero.
Altri marinai si unirono al prime. In breve
una torma di curiosi si raccolse dietro Turlen-
dana che andava innanzi tranquillamente, non cu-
'-8I
randosi dei diversi comenti popolari. Al ponte delle
bardie il camello si rifiuto di passare.
— Hu, Barbara ! Hu, hu ! —
Turlendana prese ad incitarlo con le voci, pa-
zientemente, scotendo la corda della cavezza con
cui ora egli Jo conduceva. Ma V animale ostinato
si corico a terra e poso la testa nella polvere,
come per rimanere ivi lungo tempo.
I plebei d' in torno, riavutisi dalla prima stu-
pefazione, schiamazzavano gridando in core :
'' Barbara ! Barbara ! "
E, come avevano dimestichezza con le scimmie
perche talvolta i marinai dalle lunghe navigazioni
le riportavano in patria insieme ai pappagalli e
ai cacatua, provocavano Zavali in mille modi e gli
porgevano certe grosse mandorle verdi che il ma-
cacco api'iva per mangiarne il seme fresco e dolce
golosamente.
Dope molta persistenza di urti e di urli, alia
fine Turlendana riusci a vincere la tenacita del
camello. E quella mostruosa architettura d' ossa
e di pelle si risollevo barcollante, in mezzo alia
folia che incalzava.
Da tutte le parti i soldati e i cittadini accor-
rovano alio spettacolo, sopra il ponte delle barche.
Dietro il Gran Sasso il sole cadcndo irradiava per
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212
TURLENDANA RITORNA.
I
tutto il cielo primaverile una viva luce rosea ; e,
come dalle campagne umide e dalle acque del fiume
e del mare e dalli stagni durante il giorno erano
sorti molti vapori, le case e le vele e le antenne
e le piante e tutte le cose apparivano rosee ; e le
forme, acquistando una specie di trasparenza, per-
devano la certezza dei contorni e quasi fluttuavano
sommerse in quella luce.
II ponte, sotto il peso, scricchiolava su le bar-
die incatramate, simile ad una vastissima zattera
galleggiante. La popolazione tumultuava gioconda-
mente. Per la ressa, Turlendana con le sue bestio
rimase fermo a mezzo il ponte. E il camello,
enorme, sovrastante a tutte le teste, respirava
contro il vento, movendo tardo il collo simile a un
qualche favoloso serpen te coperto di peli.
Poiche gia nella curiosita delli accorsi s' era
sparse il nome delP animale, tutti, per un native
amore delli schiamazzi e per una concorde letizia
che sorgeva a quella dolcezza del tramonto e della
stagione, tutti gridavano :
" Barbara ! Barbara ! "
Al clamore plaudente, Turlendana, die stava
stretto contro il petto del camello, si sentiva in-
vadere da un compiacimento quasi paterno.
Ma r asina d' un tratto prese a ragliare con si
M
TURLENDANA RITORNA.
213
aite ed ingrate variazioni di vod e con tanta so-
spireyole passione die un' ilarita unanime corse il
popolo. E le schiette risa plebee si propagavano
da un capo all' altro del ponte, come uno scroscio
di scaturigine cadente giu pe' i sassi d' una china.
Allora Turlendana ricomincio a muoversi at-
traverso la folia, non conosciuto da alcuno.
Quando fu su la porta della citta, dove le fem-
niine vendevano la pesca recente dentro ampi ca-
nestri di giunco, Bindii-Banclie, 1' omiciattolo dal
vise giallognolo e rugose come un limone senza
succo, gii si fece innanzi, e, secondo soleva con
tutti i forestieri die capitavano nel paese, gli of-
ferse i suoi servigi per 1' alloggiamento.
Prima cliiese, accennando a Barbara:
" E feroce ? "
Turlendana rispose die no, sorridendo.
" Be' ! " riprese Binchi-Banclie, rassicurato, " ci
sta la casa di Piosa Schiavona."
Ambedue volsero per la Pesceria e quindi per
Sant'Agostino, seguiti dal popolo. Alle linestre e
ai balconi le donne e i fanciulli si affiicdavano
guardando con stupore il passaggio del camello e
ammiravano le minute grazie dell' asinetta bianca
e ridevano ai lezi di Zavali.
A un punto Barbara, vedendo pendere da una
214
TURLENDA^^A RITORNA.
loggia bassa im' erba mezzo secca, tese. il collo e
sporse le labbra per giungerla, e la strapi)o. Un
grido di terrore ruppe dalle doniie die stavaiio sii
la loggia chine; e il grido si propago nelle logge
prossime. La gente della via rideva forte, gridando
come in carnovale dietro le mascliere :
" Viva ! Viva ! "
Tutti erano inebriati dalla novita dello spct-
tacolo e dair aria della primavera.
Dinanzi alia casa di Kosa Scliiavona, in vi-
cinanza di Portasale, Binchi-Banclie accenno di
sostare.
"" E qua," disse.
La casa, molto iimile, a un solo ordine di fine-
stre, aveva le mura inferiori tutte segnate d' iscri-
zioni e di figurazioni oscene. Una fila di pipistrelli
crocifissi ornava P architrave; e una lanterna co-
perta di carta rossa pendeva sotto la finestra
media.
. Ivi alloggiava ogni sorta di gente avveniticcia
e girovaga ; dormivano mescolati i carrettieri di
Letto Manoppello grandi e panciuti, i zingari
di Sulmona, mercanti di giumenti e restauratori
di caldaie, i fusari di Bucchianico, le femminc di
Citta Sant' Angelo venute a far pubblica profes-
sione d' impudicizia tra i soldati, li zampognari di
\
TURLENDANA 'RITORNA.
215
Atina, i montagnuoli domatori d' prsi, i cerretani,
i falsi mendicanti, i ladri, le fattucchiere.
Gran mezzano della marmaglia era Binchi-
Bauche. Giustissima proteggitrice, Rosa Schiavona.
• Come udi i romori, la femmina venne su '1
liniitare. Ella pareva in verita un essere generato
da un uomo nano e da una scrofa.
Chiese, da prima, con un' aria di diffidenza :
" Che c' e ? " •
" ni
C e qua 'stu cristiano che vuo' alloggio co' le
bestie, Donna Rosa."
" Quante bestie ? ".
' Tre, vedete, Donna Rosa: 'na scimmia, 'n'asina
e 'nu camelo."
II popolo non badava al dialogo. Alcuni inci-
tavano Zavali. Altri palpavano le gambe di Bar-
bara, osservando su le ginocchia e su '1 petto i
duri dischi callosi. Due guardie del. sale, che ave-
vano viaggiato sino ai porti dell' Asia Minore, di^
cevano ad alta voce le varie virtu dei camelli e
narravano confusamente d' averne visti' taluni fare
un pajsso di danza portando il lungo collo carico
di musici e di femmine seminude.
Li ascoltatori, avidi di udire cose meravigliose,
pregavano :
" Dite ! dite ! "
il
216
TURLENDANA RITORNA.
TURLENDANA RITORNA.
217
Tutti stavano a torno, in silenzio, con li ocelli
im po' dilatati, bramando quel diletto.
Allora una delle guardie, un uonio veccliio che
aveva le palpebre arrovesciate dai venti del mare,
coniincio a favoleggiare dei paesi asiatici. E a poco
a poco le parole sue stesse lo trasciuavano e lo
inebriavano.
Una specie di mollezza esotica pareva spar-
gersi nel tranionto. Sorgevano, nella fantasia po-
polare, le rive favoleggiate e luminavano. A tra-
verse r arco della Porta, gra occupato dalP onibra,
si vedevano le tanecche coperte di sale ondeggiar
su '1 fiunie; e, come il minerale assorbiva tutta
la luce del crepuscolo, le tanecche sembravano ma-
teriate di cristalli preziosi. Nel cielo un po' verde
saliva il prime quarto della luna.
" Dite ! dite ! " ancora chiedevano i piii gio-
vini.
Turlendana intanto aveva ricoverate le bestie
e le aveva provviste di cibo; e quindi era uscito
in compagnia di Binchi-Banclie, mentre la gente
rimaneva accolta innanzi alF uscio della stalla, dove
la testa del camello appariva e spariva dietro le
alte grate di corda.
Per la via, Turlendana domando :
'^ Ci stanno cantine ? "
Binchi-Banclie rispose :
" Si, segnore ; ci stanno."
Poi, sollevando le grosse mani nerastre e pren-
dendosi co '1 pollice e 1' indice della destra suc-
cessivamente la punta d' ogni dito della sinistra,
enumerava :
" La candina di Speranza, la candina di Buono,
la candina di Assau, la candina di Matteo Pu-
riello, la candina della cecata di Turlendana...."
''Ah," fece tranquillamente P uomo.
Binchi-Banche sollevo i suoi acuti occhiolini
verdognoli.
" Ci sei state V altra volta a qua, segnore?"
E, non aspettando la risposta, con la nativa
loquacita della gente pescarese, seguitava:
"" La .candina della cecata e grande e ci si
vende lu meglio vino. La cecata e la feminina
delli quattro mariti...."
Si mise a ridere, con un rise die gl' increspava
tutta la faccia gialliccia come il centopelle d'un
ruminante.
" Lu prime marito fu Turlendana, cli' era ma-
rinaro e andava su li bastimenti del re di Napoli,
all' Indie basse e alia Francia e alia Spagna e in-
iino air America. Quelle si perse in mare, e chi sa
a dove, con tutto il legno ; e non s' e trovato piu.
!4:
r
n.l
218
TURLENDANA RITORNA.
: 1
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So' treut' aniii. Teneva la forza di Saiisone : ti-
rava V ancore co' uii dito.... Povero giovane ! Eh,
clii va pe' mare qiiella fine fa."
Tiirlendaiia ascoltava, tranquillamente.
" Lii secoiido inarito, doppo cinqu' aniii di ve-
dovanza, fii 'n' ortonese, hi figlio di Ferraiite,
'n' anima dannata, clie s' er' iiiiito co' li contrab-
bandieri, a tempo clie Napolione stava contro V Iii-
glesi. Facevano contrabbando da Francavilla infino
a Silvi e a Montesilvano, di zuecliero e di cafe,,
co' li legiii iiiglesi. C era, vicino a Silvi, 'ua torre
delli Saracini, sotto il bosco, da dove si facevano
li segnali. Come passava la pattugiia, ploii plon,
plon plon, iioi 'scivamo dalP alberi...." Ora il par-^
latore accendevasi al ricordo; ed obliandosi de-
scriveva con prolissita di parole tutta 1' operazion
clandestina, ed aiutava di gesti e di interiezioni
vive il racconto. La sua piccola persona coriacea
si raccorciava e si distendeva nell' atto. " In fine,
il figlio di Ferrante era morto d' una scliioppet-
tata nelle reni, per mano de' soldati di Gioacliino
Murat, di notte, su la costiera.
" Lu terzo marito fu Titino Passacantando che
mori nel letto suo, di male cattivo. Lu quarto vive.
Ed e Yerdura, bonomo, che no' mestura li vini.
Sentarai, segnore."
TURLENDANA RITORNA. 219
- Quando giunsero alia cantina lodata, si sepa-
rarono.
" F'lice sera, segnore ! "
'"F'lice sera."
Turlendana entro, tranquillamente, fra la cu-
riosita dei bevitori che sedevano a certe lunghe
tavole in giro.
Avendo chiesto da mangiare, egli fu da Yer-
dura invitato a salire in una stanza superiore ove
i desclii erano gia pronti per le cene.
Nessun cliente ancora stava nella stanza. Tur-
lendana sedette e incomincio a mangiare a grandi
bocconi, con la testa su '1 piatto, senza intervalli,
come un uomo famelico. Egli era quasi intiera-
mente calvo : una profonda cicatrice rossiccia gli
solcava per lungo la fronte e gli scendeva fine a
mezzo la guancia; Ja barba folta e grigia gli sa-
liva fino ai pomelli emergenti ; la pelle, bruna,
secca, piena di asperita, corrosa dalle intemperie,
riarsa dal sole, incavata dalle sofferenze, pareva
non conservare piu alcuna vivezza umana; li ocelli
e tutti i lineamenti erano, da tempo, come pietri-
ficati nell' impassibilita.
Yerdura, curioso, sedette di contro; e stette
a riguardare il forestiero. Egli era piuttosto pin-
gue, con la faccia d' un color roseo sottilissi-
1
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220
TURLENDANA RITORNA.
raaraente venato di vermiglio come la milza
del buoi.
Alia tine, domando:
"^ Da die paese venite ? "
Tiirlendana, senza levar la laccia, rispose seiii-
plicemeiite :
"" Vengo di lontano."
"" E dove aiidate ? " ridoinando Verdiira.
" Sto qua."
Verdiira, stupefatto, tacMpie. Turlciidana levava
ai pesci la testa e la coda ; e li inaiigiava cosi a
uno a uno, triturando le lisclie. Ad ogiii due o
tre pesci, beveva un sorso di vino.
"" Qua ci conoscete qualcuno ? " riprese Ver-
dirra, bramoso di sapere.
""Forse," rispose I'altro seiiiplicemente.
Sconfitto dalla brevita dell' interlocutore, il vi-
nattiere una seconda volta amniutori. Udivasi la
niasticazione lenta ed elaborata di Turlendana tra
r inferior claniore dei bevitori.
Dopo un poco, Verdura riapri la bocca.
""11 cainello in clie siti nasce? Quelle due
gobbe sono naturali? Una bestia cosi grande e
forte co:ne puo essere mai addomesticata ? "
Turlendana lasciava parlare, senza riniuoversi.
'' II vostro nonie, signer forestiere ? "
TURLENDANA RITORNA'.
221
L' interrogate sollevo il capo dal piatto ; e ri-
spose, seiiiplicemente:
" lo mi chiamo Turlendana."
" Che V "
'' Turlendana."
" Ah ! "
La stupefazione dell' oste non ebbe piu limiti.
E insieme una specie di vago sbigottimento co-
minciava a ondeggiare in fondo all' animo di lui.
'' Turlendana !,.. Di qua ? "
" Di qua."
Verdura dilate i grossi occhi azzurri in faccia
all' uoino.
" Dunque non siete morto ? "
" Non sono morto."
" Dunque voi siete il marito di Rosalba Ca-
tena ? "
' Sono il marito di Rosalba Catena."
" E era ? " esclamo Verdura, con un gesto di
perplessita. " Siamo due."
" Siamo due."
Un istante rimasero in silenzio. Turlendana
masticava 1' ultima crosta d' un pane, tranquilla-
iiiente ; e si udiva nel silenzio lo scricchiolio leg-
gero. Per una naturale benigna incuranza del-
r animo e per una fatuita gloriosa, Verdura non
V
I
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222
TURLENDANA KITOKNA.
era compreso d' altro clie della singolarita dell' av-
venimento.- Un improvviso impeto d' allegrezza lo
prese, salendo spontaneo dai precordi.
"" AndiamoT da Rosalba ! andiaino ! andiamo ! aii-
diaiiio ! "
Egli traova il reduce per un braccio, a traverse
il fondaco dei bevitori, agitandosi, gridando:
" Ecc' a qua Turlendaua, Turlendana marinaro,
hi mar i to de mogliema, Turlendana che s' era
niorto! Ecc\a qua Turlendana! Ecc' a qua Tur-
lendana ! "
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il
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LA FINE DI CANDIA.
1.
Donna Cristina Lamonica, tre giorni dopo il
convito pasquale che in casa Lamonica soleva es-
sere grande per tradizione e magnifico e frequente
di convitati, numerava la biancheria e V argenteriia
delle mense e con perfetto ordine riponeva ogni
cosa nei canterani e nei forzieri pe' i conviti
futuri.
Erano presenti, per solito, alia bisogna, e por-
gevano aiuto, la cameriera Maria Bisaccia e la
lavandaia Candida Marcanda detlti popolarmente
Candia. Le vaste canestre ricolme di tele fini gia-
cevano in fila su '1 pavimento. I vasellami di ar-
gento e li altri strumenti da tavola rilucevano
sopra una spasa ; ed erano massicci, lavorati un
po' rudemente da argentari rustici, di forme quasi
liturgiclie, come sono tutti i vasellami die si tras-
Ci'i
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224
LA FINE 1)1 CANDIA.
m
raettono di gcnerazione in generazioiiu nelle ric-
che'famiglie piovinciali. Una fresca fragranza di
bucato spandevasi nella stanza.
Candia prendeva dalle canestre i mantili, le
tovaglie, le salviette ; faceva esaminare alia si-
gnora la tela intatta ; e porgeva via via ciascun
capo a Maria clie riempiva i tiratoi, nientre la
signora spargeva nelli interstizi un aroma e se-
gnava nel libro la cifra. Candia era una femmina
alta, ossuta, segaligna, di cinquant- anni ; aveva la
schiena un po' curvata dalF attitudine abituale del
suo mestiere, le braccia niolto lunghe, una testa
d'uccello rapace sopra un collo di testuggine.
Maria Bisaccia era un' ortonese, un po' pingae,
di carnagione lattea, d' occbi chiarissimi ; aveva
la parlatura molle, e i gesti lenti e delicati
come colei cli' era usa esercitar le mani quasi
sempre tra la pasta dolce, tra li sciroppi, tra le
conserve e tra le coi>fetture. Donna Cristina, an-
che nativa di Ortona, educata nel monastero be-
nedettino, era piccola di statura, con il busto un
po' abbandonato su '1 davanti ; aveva i capelli
tendenti al rosso, la faccia sparsa di lentiggini,
il naso lungo e grosso, i denti cattivi, li ocelli
bellissimi e pudiclii, somigliando un clierico ve-
stito d' abiti muliebri.
r.A FINE DI CANDIA.
225
Le tre donne attendevano all' opera con molta
cara; e.spendevano cosi gran parte del pomeriggio.
Ora, una volta, come Candia usciva con le ca-
nestre vuote, Donna Cristina numerando le posate
trovo die mancava un cucchiaio.
" Maria ! Maria ! " ella grido, con una specie
di spavento. ^ Conta ! Manca. 'na cuccJiiara....
Conta tu ! "
"Ma come? Non puo essere, signo," rispose
Mai'ia. " Mo' vediamo."
E si misc a riscontrare le posate, dicendo il nu^
mero ad alta voce. Donna Cristina guardava. sco-
tendo il capo. L'argento tintinniva cliiaramente.
" E vero ! " esclamo alia fine Maria, con un
atto di disperazione. " E mo' die facdamo ? "
Ella era sicura da ogni sospetto. Aveva dato
prove di feddta e di onesta per quindici anni, in
qudla famiglia. Era venuta da Ortona insieme con
Donna Cristina, all' epoca ddle nozze, quasi fa-
cendo parte ddl' appannaggio matrlmoniale ; ed
oramai nella casa aveva acquistata una certa auto-
rita, sotto la protezione ddla signora. Ella era
piena di superstizioni religiose, devota al suo santo
e al suo campanile, astutissima. Con la signora
aveva stretta una specie di alleanza ostile contro
tiitte le cose di Pescara, e specialmente contro il
D'Annunzio.
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1 1
•f !
226
LA FINE DI CANDIA.
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santo (lei Pescaresi. Ad ogiii occasione nominava
il paese natale, le~bellezze e le riccliezze del paese
natale, li splendor! della sua basilica, i tesori di
San Tommaso, la niagnificenza delle cerinionie ec-
clesiasticlie, in confronto alle miserie di San Cetteo
che possedeva un solo piccolo braccio d' argento.
Donna Cristina disse:
/" Guarda bene di la."
Maria usci dalla stanza per andare a cercare.
Kovisto tutti li angoli della ciicina e della loggia,
inutilmente. Torno con le mani viiote.
" Non c' e ! Non c' e ! "
Allora ambedue si misero a pensare, a far delle
congetture, a investigare nella lore memoria. Usci-
rono su la loggia che dava nel cortile, su- la log-
gia del lavatoio, per fare V ultima ricerca. Come
l)arlavano a voce alta, alle finestre« delle case in
torno si affacciarono le comari.
"" Che v'e successo, Donna Cristi? Dite! dite! "
Donna Cristina e Maria raccontarono il fatto.
con molte parole, con molti gesti.
" Gesu ! Gesii ! Dunque ci stanno i ladri ? "
In un memento il romore del furto si sparse
pel vicinato, per tutta Pescara. Uomini e donne
si misero a discutere, a imaginare chi potesse es-
sere il ladro. La novella, giungendo alle ultinie
LA FINE DI CANDIA.
227
II
case di Sant' Agostino, s' ingrandi : non si trat-
tava piu di un semplice cucchiaio, ma di tutta
I'argenteria di casa Lamonica.
Ora, come il tempo era bello e su la loggia
le rose cominciavano a'fiorire e due lucherini in
gabbia cantavano, le comari si trattennero alle
finestre per il piacere di ciarlare al bel tempo,
con -quel dolce calore. Le, teste femminili appari-
vano tra i vasi di basilico e il ciaramellio pareva
dilettare i gatti in su le gronde.
. Donna Cristina disse, congiungendo le mani ;
" Chi sara state ? "
Donna Isabella Sertale, detta la Faina, die
avevai movimenti lesti e furtivi di un animaletto
predatore, chiese con la voce stridula :
" Chi ci. stava con voi, Donna Cristi? Mi pare
che ho visto Tipassare Candia...."
" Aaaah ! " esclamo donna Felicetta Marga-
santii, detta la Pica per la sua continua garrulita,
"" Ah ! " ripeterono le altre comari.
"" E non ci pensavate ? "
" E non ve n' accoi-gevate ? "
" E non sapete chi e Candia ? "
" Ve lo diciamo noi chi e Candia ! "
" Sicuro ! "
" Ve lo diciamo noi ! "
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228
LA FINE Dl CANDIA.
I panni li lava bene, non c' e die dire. E la
nieglio lavandaia' clie sta a Pescara, non c' e clie
dire. Ma tiene lu difetto delle cinque dita.... Non
lo sapevate, comma ? "
'^ A me 'na volta mi manco due mantili."
" A me 'na tovaglia."
" A me 'na camicia."
" A me tre paia di calzette."
" A me due federe."
" A me 'na sottana nuova."
" lo non ho potuto riavere niente."
'^ lo manco."
"" lo manco."
'^ Ma non 1' ho cacciata ; perche chi prendo ?
Silvestra ? "
" Ah ! ah ! "
" Angelantonia ? L' Africana ? "
"" Una peggio dell' altra ! "
" Bisogna ave' pazienza."
"" Ma 'na cucchiara, mo' ! "
"" E troppo, mo' ! " '
" Non vi state zitta, Donna Cristi ; non vi
state zitta ! "
" Che zitta e non zitta ! " proruppe Maria Bi-
saccia che, quantunque avesse 1' aspetto placido e
benigno, non si lasciava sfuggire nessuna occa-
LA FINE DI CANDIA.
229
sione per opprimere o per mettere in mala vista
li altri serventi della casa. " Ci pensererao noi,
Dpnn' Isabbe, ci penseremo ! "
E le ciarle dalla loggia alle finestre seguita-
rono. E 1' accusa di bocca in bocca si propalo
per tutto il paese.
11.
La mattina vegnente, mentre Candia Marcanda
teneva le braccia nella lisciva, coinparve su la so-
glia la guardia comunale Biagio Besce sopranno-
minato il Caporaletto.
Egli disse alia lavatricc.
" Ti vuole il signor Sindaco sopra il Comune,
siibito."
" Che dici ? ^ domando Candia aggrottando le
sopracciglia, ma senza tralasciare la sua bisogna.
" Ti vuole il signor Sindaco sopra il Comune,
subito."
" Mi vuole ? E perche?-" seguito a domandare
Candia, con un modo un po' brusco, non sapendo
a che attribuire quella chiamata improvvisa, inal-
beranclosi come fanno le bestie caparbie dinanzi
a un' ombra.
"lo non posso sapere perche," rispose il Ca-
poraletto. " Ho ricevuto I'ordine."
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1 1
230
LA FINE DI CANDIA.
" Che ordine ? "
La donna, per una ostinazione naturale in lei,
non cessava dalle doniande. Ella non sapeva per-
suadersi della cosa.
"" Mi vuole il Sindaco ? E perche ? E die ho
fatto io? Non ci voglio venire. lo non ho fatto
nulla."
II Caporaletto, impazientito, disse :
" Ah, non ci vuoi venire ? Bada a te ! "
E se ne ando, con la mano su V elsa della
vecchia daga, mormorando.
Intanto per il vice alcuni che avevano udito il
dialogo uscirono su li usci e si misero a guardare
Candia che agitava la lisciva con le braccia. E,
poiche sapevano del cucchiaio d' argento, ridevano
tra lore e dicevano motti ambigui che Candia non
comprendeva. A quelle risa e a quei motti, un' in-
quietudine prese Panimo d^lla donna. E Tinquie-
tudine crebbe -quando ricomparve il Caporaletto
accompagnato dalP altra guardia.
" Cammina," disse il Caporaletto, risolutamente.
Candia si asciugo le braccia, in silenzio ; e ando.
Per la piazza la gente si fermava. Kosa Panara,
una nemica, dalla soglia della bottega grido con
una risata feroce :
" Posa r osso ! "
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LA FINE DI CANDIA.
2^1
La lavandaia, smarrita, non imaginando la
causa di quella persecuzione, non seppe che ri-
spondere.
Dinanzi al Comune stava un gruppo di per-
sone curiose che la volevano veder passare. Candia,
presa dall'ira, sali le scale rapidamente ; giunse
in conspetto del Sindaco, aftannata ; cliiese :
" Ma che volete da me ? "
Don Silla, uonio pacifico, rimase un momento
turbato dalla voce aspra della lavandaia, e volse
uno sguardo ai due fedeli custodi della dignita
sindacale. Quindi disse, prendendo il tabacco nella
scatola di cor no :
" Figlia mia, sedetevi."
Candia rimase in piedi. II suo naso ricurvo era
gonfio di collera, e le sue guance rugose avevano
una palpitazion singolare.
" Dite, Don Si."
" Voi siete stata ieri a riporta' la biancheria
a Donna Cristina Lamonica ? "
" Be', che c' e ? che c' e ? Manca qualche cosa ?
Tutto contato, capo per capo.... Non manca nulla.
Che c' e, ino' ? "
" Un momento, figlia mia! Cera nella stanza
r argenteria...."
Candia, indovinando, si volto come un falchetto
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232
LA FINE DI CANDIA.
inviperito die stia per ghermire. E le labbra sot-
tili Je treinavano.
" C era nella stanza 1' argenteria, e Donna Cri-
stina trova mancante 'na cuccliiara.... Capite, figlia
mia ? L' avete presa vol.... pe' sbaglio ? "
Candia salto come una locusta, a quell' accusa
immeritata. Ella non aveva preso nulla, in verita.
"Ah, io? Ah, io? Chi lo dice? Chi m'ha vista?
Mi faccio meraviglia di voi, Don Si! Mi faccio
meraviglia di voi! Io ladra? io ? io ?... "
E la sua indignazione non aveva fine. Ella piii
era ferita dair ingiusta accusa perche si sentiva
capace dell' azione che le addebitavano.
"" Dunque voi non 1' avete presa ? " interruppe
Don Silla, fitirandosi in fondo alia sua grande
sedia curule, prudentemente.
" Mi faccio meraviglia ! " garri di nuovo la
donna, agitando le hmghe braccia come due ba-
stoni.
"^ Be', andate. Si vedra."
Candia usci, senza salutare, urtando contro lo
stipite della porta. Ella era diventata verde: era
fuori di se. Mettendo il piode nella via, vedendo
tutta la gente assembrata, comprcse che oramai
r opinione popolare era contro di lei ; che nessuno
avrebbe creduto alia sua innocenza. Nondimeno
LA FINE DI CANDIA.
233
si mise a gridare le sue discolpe. La gente rideva,
dileguandosi. Ella, furibonda, torno a casa ; si di-
spero; si mise a singhiozzare su la soglia.
Don Donate Brandimarte, che abitava a canto,
le disse per beffa :
" Piangi forte, piangi forte, che mo' passa la
gente."
Come i panni ammucchiati aspettavano il ranno,
ella finalmente si acqueto ; si nudo le braccia, • e
si rimise all' opera. Lavorando, pensava alia dis-
colpa,.architettava un metodo di difesa, cercava
nel suo cervello di femmina astuta un mezzo ar-
tifizioso per provare 1' innocenza; arzigogolando
sottilissimamente, si giovava di tutti li spedienti
della dialettica plebea per mettere insieme un ra-
gionamento che persuadesse li increduli.
Poi, quando ebbe terminata la bisogna, usci ;
voile andare prima da Donna Cristina.
Donna Cristina non si fece vedere. Maria Bi-
saccia ascolto le molte parole di Candia scotendo
il capo, senza risponder niente; e si ritrasse con
dignita.
Allora Candia fece il giro di tutte le sue clienti.
Ad ognuna racconto il fatto, ad ognuna espose '
la discolpa, aggiungendo sempre un nuovo argo-
mento, aumentando le parole, accalorahdosi, di-
I
If '
I 1 \
y f .}
234
LA FINE DI CANDIA.
sperandosi dinanzi alia incredulita e alia diffi-
denza ; e inutilmente. Ella sentiva che oramai non
era piii possibile la difesa. Una specie di abbat-
timeiito cupo le prese 1' aniino. — Che piu fare !
Che piu dire !
III.
Donna Cristina Lanionica intanto mando a chia-
mare la Cinigia, una femmina del volgo, che fa-
ceva j)rofessione di magia e di inedicina empirica
con molta fortuna. La Cinigia gia qualche altra
volta aveva scoperta la roba rubata ; e si diceva
ch' ella avesse segrete pratiche con i ladroncelli.
Donna Cristina le disse :
" rjtrovami la cucchiara, e ti daro 'na regalia
forte."
La Cinigia rispose:
" Va bene. Mi bastano ventiquattr' ore."
E, dope ventiquattr' ore, ella porto la rispo-
sta. — II cucchiaio si trovava in una buca, nel cor-
tile, vicino al pozzo.
Donna Cristina e Maria discesero nel cortile,
cercarono e trovarono, con grande meraviglia.
Rapidamente, la novella si sparse per Pescara.
AUora, trionfante, Candia Marcanda si diede
a percorrere le vie. Ella pareva piu alta ; teneva
LA FINE DI CANDIA.
235
la testa eretta: sorrideva, guardando tutti nelli
occhi come per dire:
" Avete visto ? Avete visto ? "
La gente su le botteghe, vedendola passare,
niormorava qualche parola e poi ronipeva in unci
sghignazzio signihcativo. Filippo La Selvi, che stava
bevendo un bicchiere d' acquavite fine nel caffe
d' Angeladea, chianio Candia.
" 'Nu bicchiere pe' Candia, di questo qua ! "
La donna, che amava i liquori arJenti, fece
con le labbra un atto di cupidigia.
Filippo La Selvi soggiunse :
" Te lo meriti, non c' e che di'. "
Una torma di oziosi erasi ragunata innanzi al
caffe. Tutti avevano su la faccia un'aria burlevole.
Filippo La Selvi, rivoltosi all' uditorio, mentre
la donna beveva :
"L'ha saputa fa'; e vero? Volpe vecchia...."
E batte familiarmente la spalla ossuta della
lavandaia.
Tutti risero.
Magnafave, un piccolo gobbo, scomo e bleso,
unendo insieme 1' indice della mano destra (^on
qiiello della sinisti-a, in un' attitudine grottesca, e
impuntandosi su le sillabe, disse :
" Ca... ca... ca... Candia... la... la... Cinigia..."
I
,
236
LA FINE Dl CANDIA.
LA FINE DI CANDIA.
237
E seguito a far de' gesti e a balbettare con
un'aria furbesca, per imlicare clie Candia e la
Cinigia eraiio comari. Tutti, a quella vista, si cou-
torcevano nelF ilarita.
Candia riniase un moniento smarrita, co '1 bic-
chiere in mano. Poi, d' un tratto, coinprese. — Non
credevano alia sua iunocenza. L' accusavano di aver
riportato il cucchiaio d' argento segretamente, d' ac-
cordo con la strega, per non aver guai.
Un impeto cieco di collera allora la invase. Ella
non trovava parole. Si gitto su '1 piii debole, su '1
piccolo gobbo, a tempestarlo di pugni e di graffi. La
gente, con una gioia crudele, in cospetto di quella
lotta, schiamazzava a torno in cerchio, come di-
nanzi a un combattimento d' aniinali ; ed aizzava
le due parti con le voci e con le gesticolazioni.
Magiiaiave, sbigottito da quella furia improv-
visa, cercava di fuggire, sgambettando come uno
scimmiotto ; e, tenuto dalle mani terribili della la-
vandaia, girava con rapidita crescente, come un
sasso nella fionda, sinclie cadde con gran veemenza
bocconi.
Alcuni corsero a rialzarlo. Candia si allontano
tra i sibili; ando a cliiudersi in casa ; si gitto
a traverse il lotto, singliiozzando e mordendosi le
dita, pe '1 gran dolore. La nuova accusa le. co-
ceva pill della prima, tanto piu ch' ella si sentiva
capace di quel sotterfugio. '' Come discolparsi ora ?
Come chiarire la verita ? " Ella si disperava, pen-
sando di non poter addurre in discolpa difficolta
materiali clie avessero potuto impedire I'esecuzione
deir inganno. L' acc^sso al cortile era facilissimo :
una porta, non chiusa, corrispondeva al prime pia-
nerottolo della scalinata grande ; per togliere 1' im-
mondizie o per altre bisogne una quantita di gente
entrava ed usciva liberamente da quella porta..
Dunque ella non poteva chiudere la bocca alii ac-
cusatori dicendo : " Come avrei fatto ad entrare ? "
I mezzi per condurre a termine 1' impresa erano
molti ed agevoli ; e su questa agevolezza si fon-
dava la credenza^popolare.
Candia allora cerco differenti argomenti di per-
suasione; aguzzo I'astuzia; imagino tre, quattro,
cinque casi diversi per spiegare come mai si tro-
. vasse il cucchiaio nella buca del cortile ; ricorse
ad artifizi e a cavilli d'ogni genere; sottilizzo con
una ingegnosita singolare. Poi si mise a girare
per le botteghe, per le case, cercando in tutti i
modi di vincere P incredulita delle perspne. Le
persone ascoltavano quel ragionamenti capziosi,
dilettandosi. In ultimo dicevano :
"" Va bene! Va bene ! "
!l
238
LA FINE DI CANDIA.
Ma coa tal suono di voce che Candia rimaneva
annichilita. — Tiitte le sue fatiche diinque eraiio
inutili ! Nessuno credeva ! Nessuno credeva ! —
Ella, con una pertinacia niirabile, tornava all' as-
salto. Passava le notti intere pensando seiupre a
trovar nuove ragioni, a costriiire nuovi edifizi, a
superare nuovi ostacoli. E a poco a poco, in que-
sto continuo sforzo, la sua mente s' indeboliva,
non sosteneva piu altro pensiero die non fosse
quelle del cucchiaio, non avea quasi piu coscienza
delle cose della vita comune. Piu tardi, per la
crudelta della gente, una vera mania prese il cer-
v^llo della povera donna.
Ella, trascurando le sue bisogne, s' era ridotta
quasi alia iniseria. Lavava male i panni, li per-
deva, li faceva strappare. Quando scendeva alia
riva del fiume, sotto il ponte di ferro, dove evano
raccolte le altre lavandaie, a volte si lasciava fug-
gir di mano le tele die rapiva ])ei- sempre la cor-
rente. Pariava continuamente, senza stancarsi niai,
della medesima cosa. Per non udirla, le lavandaie
giovani si mettevano a cantare e la betfavano nei
canti con rime improvvise. Ella gridava e gesti-
colava, come una pazza.
Nessuno piu le dava lavoro. Per compassione
le ^anticlie clienti le mandavano qualclie cosa da
LA FINE DI CANDIA.
239
mangiare. A poco a poco dla si abituo a mendi-
care. Andava per le strade, tutta cenciosa, curva
e disfatta. I monelli le gridavano dietro :
" Mo' dicci la storia de la cucchiara, che nun
la sapemo, zi' Ca' ! "
Ella fermaya i passanti sconosciuti, talvolta,
per raccontare la storia e per arzigogolare su la
discolpa. I giovinastri la chiamavano e per un soldo
le facevano fare tre, quattro volte la narrazione ;
sollevavano difficolta contro li argomenti ; ascolta-
vano sino alia fine, per poi feriila con una sola
parola. Ella 'scoteva il capo ; passava oltre ; si
univa alle altre feminine mendicanti e ragionava
con lore, sempre, sempre, . infaticabile, invindbile.
Prediligeva una femmina sorda, die aveva su la
pdle una sorta di lebbra rossastra e zoppicava da
un piede.
. NeH'inverno dd 1874 la colse un male. Fu
assistita dalla femmina lebbrosa. Donna Cristina
Lamonica le mando un cordiale e uu cassette di
brace.
L' inferma, distesa su '1 giaciglio, farneticava
del cucchiaio ; si levava su i gomiti, tentava di
far de' gesti, per secondare la perorazione. La leb-
brosa le prendeva le mani e la riadagiava pieto-
samente.
i
Ik
240
LA FINE DI CANDTA.
Neir agonia, quando gia li occhi ingrancliti si
velavano come per un'acqua torbida clie vi salisse
dair interno, Candia balbettava :
" Npn so' stata io, signo.... vedete.... perclie....
la cuccliiara...."
I MARENGHI.
Passacantando entro, sbattendo forte le ve-
trate malferme. Scosse rudemente dalle spalle le
gocce di pioggia ; poi si giiardo in torno, toglien-
dosi dalla bocca la pipa e lasciando aiidaro con-
tro il banco padronale un lungo getto di saliva,
con un atto di noncuranza sprezzante.
Nella taverna il fumo del tabacco faceva come
una gran nebbia turchiniccia, di mezzo a cui s'in-
travedevano le facce varie dei bevitori c delle male
fommine. Cera Pachio, il marinaro invalido, a
cui una untuosa benda verde copriva V occhio de-
stro infermo d' una infermita ributtante. Cera
l>inchi-P)anclie, il servitore dei finanzieri, un omi-
ciattolo dal viso giallognolo e rugoso come un
limone senza succo, curve nella schiena, con le
Hiagre gambe sprofondate nelli stivali fine ai gi-
nocchi. Cera Magnasangue, il mezzano dei soldati,
I'amico delli attori comici, dei giocolieri, dei -saltim-
D'Annunzio. ij.
242
I MAKENGHI.
banchi, delle sonnanibule, doi doniatori d' orsi, d\
tutta la geiitaglia famelica e girovaga die si ferma
nel paese per carpire alii oziosi im quattrino. E
c' erano le belle del Fiorentino; tre o quattro fem-
inine affloscite nel vizio, con le guance tintc di uu
color di niattono, li occbi bestiali, la bocca flac-
cida e quasi paonazza come un fico troppo maturo.
Passacantando attraverso la taverna e ando
a sedersi su una panca, tra la Pica e Peppuccia,
contro il niuio segnato di figure e di scritture
invereconde. Egli era un giovinastro lungo e smilzo,
tutto dinoccolato, con una faccia pallidissima da
cui sporgeva il naso grosso, rapace, picgato molto
da una parte. Le oreccliie gli si spandevano ai
duelati come cartocci sinuosi, T uno piii grande
delPaltro ; le labbra, sporgenti, vermiglie, c d'uiia
certa mollezza di forma, avevano sempre alii an-
goli alcune piccole bolle di saliva biancliicce. Un
berretto cbe V untuosita rendeva consistente e mal-
leal)ile come la cera, gli copriva i capelli bene
curati, di cui una ciocca foggiata ad uncino scen-
deva fin su la radice del naso ed un' altra arro-
tondavasi su la tempia. Una specie di oscenita c
di lascivia naturalc emanava da ogni attitudinc^
da ogni gesto, da ogni modulazion di voce, da
ogni sguardo di cestui.
I MARENGm.
243
" Ohe," grido egli, '' V Africana, una fujetta! "
percotendo il tavolo con la pipa d' argilla clie al
colpo s' infranse.
L' Africana, la padrona della taverna, si mosse
dal banco verso il tavolo, barcollando per la sua
corpulenza grave ; e peso dinanzi a Passacantando
il vaso di vetro colmo di vino. Ella guardava V uomo
con uno- sguardo pieno di supplicazione amorosa.
Passacantando d' un tratto, dinanzi a lei, cinse
CO '1 braccio il collo di Peppuccia costringendola
a bere, e quindi attacco la bocca a quella bocca
die ancora teneva il sorso del vino e fece atto
di suggere. Peppuccia rideva, schermendosi ; e per
le risa il vino mal tracannato spruzzava la faccia
del provocatore.
L' Africana divenne livida. Si ritrasse dietro
il banco. Di mezzo al fumo dense del tabacco le
iungevano li schiamazzi e le mozze parole di
Peppuccia e della Pica.
Ma la vetrata si apri. E comparve su la so-
glia il Fiorentino, tutto avvolto in un pastrano,
come uno sbirro.
" Ehi, ragazze ! " fece con la voce rauca.
"Eora."
Peppuccia, la Pica, le altre si levarono di tra
li uomini che le perseguitavano con le niani e
inchi-P>anche rimase
disteso sotto un tavolo, immerso nel torpore del-
r ebrieta. II funio nella taverna a poco a poco va-
niva verso 1' alto. Una tortora spennacchiata an-
dava qua e la beccando le briciole del pane.
Allora, come Passacantando fece per alzarsi,
I'Africana gli mosse in contro, lenamente, con la
persona defonne atteggiata a una lusinghevole
mollezza d' amore. II gran seno le ondeggiava da
una parte all' altra ; ed una smorfia grottesca le
rincrespava la faccia plenilunare. Su la fnccia ella
aveva due o tre piccoli ciuffi di peli crescent! dai
nei; una lanugine densa le copriva il labbro su-
periore e le guance ; i capelli corti, crespi e duri
le formavano su 'I capo una specie di casco ; le
sopracciglia le si riunivano alia radice del naso
camuso folte ; cosicche ella pareva non so qual
mostruoso ermafrodito affetto di elefanzia o di
idrope,
Quando fu presso alP uomo, ella gli prese la
mano per trattenerlo.
" Oh, Cxiuva ! "
1 MARENGHI.
245
"^ Che volete ? " .
" P che t' hajie iatte ? "
' Voi ? Niende. "
''E allora pecche me dai pene e turmende?"
'lo? Me facce meravijia.... Bona sere! Nen
tenghe tembe da perde, mo."
E P uomo; con un moto brutale, fece per an-
darsene. Ma V Africana gli si getto alia persona,
stringendogli le braccia, e mettendogli il volto
contro il volto, ed opprimendolo con tutta la mole
dclle carni, per un impeto di passione a di gelo-
sia cosi terribilmente incomposto che Passacan-
tando ne rimase atterrito.
" Che vuo' ? Che vuo' ? Dimmele ! Che vuo'? Che
te serve? Tutte te denghe; ma statte' nghe me,
statte' nghe me. Nen me fa muri di passijone...!
lien me fa i 'n pazzia.... Che te serve? Viene !
Pijiate tutte quelle che truove...." Ed ella lo trasse
vorso il banco; apri il cassette; gli otierse tutto,
con un gesto solo.
Nel cassette, lucido di untume, erano sparse
alcune mouete di rame tra cui luccicavano tre o
qnattro piccolo monete d' argento. Potevano es-
sere, insieme, cinque lire.
Passacantando, senza dir nulla, raccolse le mo-
nete e si inise a contarle su 'I banco, lentamente,
246
I MARENGHI.
I MARENGHI.
247
tenendo la bocca atteggiata al dispregio. L' Afri-
cana guardava ora le monete, ora la faccia del-
r uoino, ansando come una bestia stracca. Si udiva
il tintinno del rame, il russare aspro di Binclii-
Banche, il saltellare della tortora, in mezzo al con-
tinue rumore della pioggia e del fiume giu per
il Bagno e per la Bandiera.
''Nen m'abbaste,'' disse finalmente Passacan-
tando. "" Ce vo' P autre. Cacce T autre, se no i' me
ne vajie." .
Egli s' era scliiacciato il berretto su la nuca.
II ciuffo rotondo gli copriva la fronte, e sotto il
ciuffo li occhi bianchicci, pieni d'impudenza e
d' avarizia, guardavano V Africana intentamente,
involgendo quella femmina in una specie di fasci-
nazione malefica.
^ r nen tenglie chiu niende. Tu mi sie spujate.
Quelle che truove, pijiatele...." balbettava 1' Afri-
cana, supplichevole, carezzevole, mentre la pappa-
gorgia e le labbra le tremavano, e le lagrime le
sgorgavano dalli occliietti porcini.
" 'Mbe, " fec€ Passacantando, a voce bassa,
chinandosi verso di lei. " 'Mbe, e t'acride che
i'nen sacce che maritete tene li marenghe d'ore?"
Oh, Giuvanne.... E coma facce pover'amme?"
Tu, mo, subbito, valPa pija. Pt'aspett'a qua.
ft
Maritete dorme. Quest' e lu momende. Va ; se no
nen m' arvide chiu, pe' Sant' Audonie ! "
'' Oh, Giuvanne.... T tenghe pahure."
'^ Che pahure e nen pahure ! " strillo Passacan-
tando. " Mo ce venghe pure i'. 'Jame ! "
L' Africana si mise a tremare. Indico Binchi-
Banche che stava ancora disteso sotto la tavola,
nel sonno pesante.
" Chiudeme prime la porte," ella consiglio, con
sommessione. Passacantando desto con un calcio
Binchi-Banche, che per lo spavento improvviso
comincio a urlare e a dimenarsi entro i suoi sti-
vali linche non fu quasi trascinato fuori, nella
mota e nelle pozzanghere. La porta si chiuse. La
lanterna rossa, che stava appiccata ad una delle
imposte, illumino la taverna d' un rossore sudicio ;
li arclii massicci si disegnarono in ombra pro-
fonda; la scala nelP angolo divenne misteriosa ;
tutta r architettura prese un' apparenza di scena-
rio romantico ove dovesse rappresentarsi un qual-
che dramma feroce.
" 'Jame ! " ripete Passacantando all' Africana
che ancora tremava.
Ambedue salirono adagio per la scala di mat-
toni che sorgeva nell' angolo piu oscuro, la fem-
i
248
I MAKENGHI.
I MARENGHI.
mina innanzi, V uomo indietro. In cima alia scala
era una stanza bassa, impalcata di travatiire. So-
pVa una parete era iiicrostata una madonna di
maiolica azzurrognola ; e davanti le ardeva in un
bicchiere pieno d' acqua e d' olio un lume, per
voto. Le altre pareti copriva, come una lebbra mul-
ticolore, una quantita d' imagini di carta in bran-
delli. L'odore della miseria, 1' odore del calore
umano nei cenci, enipiva la stanza.
I due ladri si avanzavano verso il letto cauta-
mente.
Stava su '1 letto maritale il veccliio, immerse
nel sonno, respirante con una specie di sibilo fioco
a traverse le gengive senza denti, a traverse il
naso umido e dilatato dal tabacco. La testa calva
posava di sbieco sopra un guanciale di cotone ri-
gato; su la bocca cava, simile a un taglio fatto
su una zucca infracidita, si rizzavano i baffi ispidi
e ingialliti dal tabacco ; e uno delli orecchi visibile
rassomigliava all' orecchio rovesciato di un cane,
essendo pieno di peli, coperto di bolle, lucido di
cerume. Un braccio usciva fuori delle coperte, nudo,
scarno, con grossi lilievi di vene simili alle gon-
fiezze delle varici. La mano adanca teneva un
lembo del lenzuolo, i)er abitudine di prendere.
Ora, questo veccliio ebete possedeva da tempo
249
due marenghi avuti in lascito non si sa da qual
parente usuraio ; e li conservava con gelosa cura
dentro una tabaccliiera di corno in mezzo al ta-
bacco, come alcuni fanno di certi insetti muschiati.
Erano due marenghi gialli e lucenti ; ed il vec-
cliio vedendoli ad ogni memento e ad ogni me-
mento palpandoli nel prendere tra V indice e il
pollice r aroma, sentiva in se crescere la passione
deir avarizia e la volutta del possesso.
L'Africana si accosto pianamente, trattenendo
il respire, mentre Passacantando la incitava con
i gesti al furto. Si udi per le scale un rumore.
Ambedue ristettero. La tortora spennacchiata e
zoppa entro saltellando nella stanza ; trovo il nido
in una ciabatta, a pie del letto maritale. Ma come
ancora, nelP accomodarsi, faceva strepito, T uomo
con un mote rapido la serro nel pugno, con una
stretta la sotfoco.
" Ci sta ? " chiese all' Africana.
" Si, ci sta, sett' a lu cuscine...." rispose quella
mentre insinuava sotto il guanciale la mano.
II vecchio, nel sonno, si mosse, mettendo un
gemito involontario, ed apparve tra le sue pal-
pebre un po' del bianco delli occhi. Poi ricadde
nell'ottusita del sopore senile.
L' Africana, per 1' immensa paura, divenno au-
M
250
I MARENGHI.
dace ; spinse la mano d' un tratto, afferro la ta-
baccliiera ; e, con un nioto di fiiga, si rivolse verso
le scale; discese seguita da Passacantando.
" Die ! Die ! Vide die so fatte pe' to !..."
balbettava, abbandonandosi addosso alP iiomo.
Ed anibedue si misero insieme, con le mani
malfernie, ad aprire la tabacchiera, a cercare fm
il tabacco, le nionete d' oro. L' acuto aroma saliva
loro per le narici ; ed ambedue, come sentivano
r eccitazione a starnutire, fiirono invasi d' improv-
viso da un impeto d' ilaritii. E, soffocando il ru-
more delli sternuti barcollavano e sr sospingevano.
Al gioco, la lussuria nella pinguedine delF Afri-
cana insorgeva. Ella amava d' essere amorosa-
mente morsicata e bezzlcata e sballottata e qua
e la percossa da Passacantando ; fremeva tutta
e tutta si ribrezzava nella sua bestiale orridezza.
Ma, a un punto, prima si udi un brontolio indi-
stinto e poi gridi rauchi proruppero su nella stanza.
E il vecchio comparve in cima alia scala, livido
alia luce rossastra della lanterna, niagro schelc-
trito, con le gambe nude, con una camicia a bran-
delli. Guardava in giii la coppia ladra; ed agitando
le braccia gridava come un' anima dannata :
"" Li marenglie ! Li marenghe ! Li maren^iie ! "
MUNGIA.
In tutto il contado pescarese, e a San Silve-
stro, a Fontanclla, a San Ptocco, perlino a Spol-
tore e nolle fattorie di Vallelouga oltre I'Alento
e piu specialmente nei piccoli borglii dei marinai
presso la foce del fiiime e in tutte quelle case di
creta e di canne, dove si accende il fuoco con i
rifiuti del mare, fiorisce da gran tempo la fama
di un rapsodo cattolico clie ha un nome di pirata
barbaresco ed e cieco a simiglianza dell'antico
Omero.
Mungia comincia le sue peregrinazioni su i
principii della primavera e le tormina nel mese di
ottobre, ai primi rigori. Va per le campagne, giii-
dato da una femmina o da un fanciullo. Tra la
grandezza e la forte serenita della coltivazione,
reca ora i lamentevoli canti cristiani, le antifone,
li invitatorii, i responsorii, i salmi delP officio
f!
252
MUNGIA.
!.}
pe' i defiinti. Come la sua figura a tiitti e faiiii-
liare, i cani dell' aia noii latrano coiitro di lui.
Egli da r anuunzio con im trillo del clariiietto ; ed
al segnale ben noto lo veccliie niadri escono in sii
la soglia, accolgono onestaniente il cantore, gji
pongono una sedia alF ombra di qualohe albero,
gli chiedono le nuove della salute. Tutti i coloni
cessano dal lavoro e si dispongono in cercliia, an-
cora alenanti, tergendosi il sudore con un gesto
semplice della niano. Riniangono fermi, in attitu-
dini di reverenza, tenendo li stroinenti delF agri-
cultura. Nolle braccia, nolle ganibe, noi piedi ignudi
essi haniio la doformita che le faticho lento e pa-
zienti danno alio membra esorcitato. I loro corpi
nodosi, di cui la polio assume il color dolle glebe,
sorgendo dal suolo nella luce del giorno paiono
quasi avere comuni con li albori le radici.
Spandosi allora dalP uomo cieco su quella gonto
e su le cose in torno una solennita di religiono.
Non il sole, non i presenti frutti della terra, noii
la letizia dell' opera alimentaria, non le canzoni
dei cori lontani bastano a difendere li animi dal
raccoglimento e dalla tristezza della religione. Una
delle madri indica il nome del parente inorto a cui
ella offre i cantici in suftVagio. Mungia si scopre
il capo.
MUNGIA.
253
Appare il suo cranio largo e splendente, cinto
di canizie; e tutta la faccia, simigliante nella
quiete a una mascliera corrosa, si raggrinza e vive
nel movimento del prendere a bocca il clarinetto.
Su le tempie, sotto la cavita delli ocelli, lungo li
orecchi, e poi d' in torno alio narici e alii angoli
delle labbra mille grinze sottili e fitte si compon-
gono e si scompongono a seconda dell' inspirazione
ritmica del fiato nello stromento. Rimangono tesi
e lucidi e salienti li zigomi, solcati da venature
sanguigne simili a quelle che traspariscono in au-
tunno nolle fogiie della vite. E delli occhi, in fondo
alle orbite, non si vede che il segno rossiccio della
palpebra inferiore rivolta. E su tutte le scabrosita
della pelle, su tutta quella meravigiiosa opera d' in-
cisione e di rilievo fatta dalla magrezza e dalla
vocchiezza, e di tra i peli duri e corti d' una barba
inal rasa, e nei cavi e nelle corde del collo lungo
rigido la luce si frange, sfugge, si divide quasi
In sii la sinistra riva splendevano i lumi della
tavcrna d' Assaii ripercossi dalF acqua. Ora, come
11 corso del fiiime era ivi per solito assai dolce,
Assail teneva un paliscalmo per traghettare li av-
ventori. Alle \^oci, si mosse in fatti il paliscalmo
e venne per V acqua luminosa a prendere i so-
praggiunti. Qiiando tutti i quattro salirono, tra
amichevoli clamori, Ciavola con le sue lunghq gambe
prese a far traballare e scriccliiolare il legno per
atterrire La Bravetta clie in mezzo alF umidita flu-
viale fu assalito da un nuovo. impeto di starnu-
tazioni.
Ma nella taverna, in torno a un desco di quer-
ela, 11 amici moltiplicarono le risa e 1 clamori.
Ognuno mesceva da bere all' insidiato, a cui quel
buon vermiglio succo delle vigne spoltoresi, brusco,
quasi frizzante, ricco di sapore e di colore, scen-
deva agevolmente nel gorgozzule.
' 'N' atra carrafe ! " ordinava Don Bergamino,
battendo 11 pugno in su '1 desco.
Assail, un uomo tutto bestialmente vllloso fin
sotto 11 ocelli e di gambe storto, recava le caraffe
arrublnate. Ciavola cantlcchlava una canzone di
molta llberta bacchica, percotendo in ritmo 11 ve-
tro del bicchierl. La Bravetta, con la lingua gia
impedita, con 11 occhl gla natanti nella favolosa
LA FATTURA.
275
giola del vino, balbettava non so die laudi del
suo bel porco e teneva 11 prete per la manlca af-
finclie ascoltasse. Sopra di loro pendevano dalla
volta lunghe corone di poponelle d' acqua verde-
gialle; le lucerne mal nutrite d' olio fiimigavano.
Era buona ora di notte quando 11 amici rlpas-
sarono 11 fiume, alia lima occidua. Nel discendere
su la riva Mastro Peppe fu li li per cadere tra la
melma, tanto egli avea le gambe malferme e la
vista torbida.
Dlsse 11 Rlstabllito :
" Faceme 'n' opera bbone. Arpurteme a la case
custii."
E 11 ricondussero, sorreggendolo alle ascelle,
su per la pioppala. Balbettava I'ebbro, travedendo
1 tronclii blancicanti nella notte:
" Uh, quanta frate duminicane!..."
E Ciavola :
" Vann' a la cerche pe' sant' Antuone/'
E r ebro, dope un poco :
"" Leprucce, Leprucce, sette rotole de sale
u'abbaste. Coma faceme?" .
Giuntl air iiscio di casa, i tre congluratori se
ne andarono. Mastro Peppe sali a grande stento
la scaletta, sempre farnetlcando di Lepruccio e
del sale. Pol, senza rammemorarsi d'aver lasciato
276
LA FATTURA.
aperto V uscio, si gitto in su '1 let to pesantementc
tra le braccia del sonno, e inerte vi rimase.
Ciavola e il Ristabilito, come ebbero avuto ri-
storo alia cena di Don Bergamino, muniti di ceiti
ordigni ritorti, se ne vennero cautamente all'lm-
presa. Era il cielo, dopo Toccaso della luna, tiitto
smagliante di stelle ; e un maestraletto gelido an-
dava soffiando per la solitudine. I due avanzarono
in sileuzio, tendendo V orecchio, soffermandosi ad
ora ad ora ; e tutte le virtu venatorie e le agilita
di Matteo Puriello in quell' occorrenza si eser-
citavano.
Quando essi giunsero alia meta, il Ristabilito
a pena pote trattenere una esclamazione di gioia
accorgendosi delP uscio aperto. Una perfetta quiete
regnava nella casa, se non che si udiva il profondo
russare del dorniiente. Ciavola sail prinio le scale,
seguito dair altro. Ambedue, al fievolissimo lume
che entrava pe' i vetri, scorsero subito la forma
vaga del porco in su '1 tavolo. Con intinita cautela
sollevarono il peso e pianamente lo trassero fuori
a gran forza di braccia. Stettero quindi in ascolto.
Un gallo d'improvviso canto e altii galli risposero
dalle aie, consecutivamente.
Allora i due gai ladroni si misero pe 1 sentiero,
con 11 porco in su le spalle, ridendo d' un riso
LA FATTURA.
277
lungo e silenzioso ; e a Ciavola pareva d' essere
giu per una bandita recando un grosso capo di
selvaggina predata. Come il porco era assai greve,
essi giunsero alia casa del prete alenanti.
III.
La mattina Mastro Peppe, avendo digerito il
vino, si risveglio ; e stette su '1 letto un poco ad
allungar le membra e ad ascoltare le campane che
salutavan la vigilia di Sant' Antonio. Egii gia, in
mezzo alia confusione del prime risvegliarsi, sen-
tiva nelFanimo espandersi la contentezza del pos-
sesso, e pregustava il diletto di veder Lepruccio
mettere in pezzi e coprir con sale le pingui carni
suine.
• Spinto da questo pensiero, egii si levo ; e con
sollecitudine usci su '1 pianerottolo, stropicciandosi
li ocelli per meglio guardare. Su '1 tavolo non ri-
maneva che qualche macchia sanguigna, e sopra
vi rideva il sole virginalmente.
"" Lu porche ? Addo sta lu porche? " grido, con
una voce rauca, il derubato.
Una furibonda agitazione Finvase. Egii discese
le scale, vide V uscio aperto, si percosse la fronte,
irruppe fuori urlando, chiamando in torno a se i
278
LA FATTURA.
t:
lavoratori, chiedendo a tutti se avevano visto il
porco, se P avevano preso. Egli moltiplicava le que-
rele, sollevava ognora piii le voci ; e il doloroso
schiamazzo, risonaiulo per tutta la riviera, giimse
fino alii orecchi di Ciavola e del Riatabilito.
Se lie veniiero dunque costoro placidamente, in
accordo, per godersi lo spettacolo e per continuar
la beffa. E come fiirono giunti in vista, Mastro
Peppe, rivolgendosi a loro, tutto dolente e lacri-
mante, esclamo :
" Uh, pover' a me! Me T liann' arrubbate hi
porclie ! Uh, pover' a me ! E coma facce mo ? E
coma facce? "
Biagio Quaglia stette iin poco a considerare
r aspetto deir infelicissimo, con socchiusi li occlii
tra la canzonatura e V ammirazione, con china la
testa verso una spalla, quasi in atto di giudicarc
un effetto d'arte mimetica. Poi, accostatosi, fece:
" Eh, si, SL... nen ze po' di' de no.... Tu le
fi' bbone la parte."
Peppe, non comprendendo, levo la faccia tutta
solcata di gocciole.
** Ell, SI, SL... sta vote li si fatte propie da
furbc," seguito il Piis.tabilito, con una cert' aria di
confidenza amichevole.
Peppe, non comprendendo ancora, levo di nuovo
LA FATTURA.
27&
la faccia ; e le lacrime nelli occhi pieni di stupore
gli si arrestarono.
'' Ma, pe' di' la vereta, accuse! maleziose nen
te credeve," riprese a dire il Ristabilito. " Brave!
brave ! Me rallegre ! "
" Ma tu che dice? " dimando tra i singhiozzi'
La Bravetta. "Ma tu che dice? Uh, pover' a me!
E coma facce mo a riji a la case ? "
" Brave ! brave ! Bona ! " incalzava il Ristabi-
lito. "" Dajie mo ! Strilla forte ! Piagne forte ! Ti-
rete li capille! Fatte senti ! Accuse! ! Falle crede'."
E Peppe, piangendo :
" Ma i' diche addavere ca me se V hann' ar-
rubbate. Uh die ! Pover' a me ! "
" Dajie ! Dajie ! Nen te ferma. Quante cliiii tu
strille, chill te nome crede. Dajie ! Angore ! An-
gore !
Peppe, fuor di se pe '1 dispetto e pe '1 dolore,
sacramentava ripetendo :
"" P diche addavere. Che me pozza mur!, mo,
siibbite, se lu porche nen me se I'hann'arrubbate! "
" Uh, povere 'nnucende ! " squitt! per ischerno
Ciavola. " Metteteje lu ditucce 'mmocche. Coma
puteme fa' a credete, se jere aveme viste lu porche
a la? Sant'Aiidonie j'ha date li 'scelle pe' vula?"
" Sant' Andonie bbenedette ! E coma diche i'."
280
LA FATTURA.
LA FATTURA.
281
'^ Ma po' esse ? "
'^ Accusci e."
" Ma nen e cusci/'
" E cusci."
" No;*
" Uh, uli, uli ! E cusci ! E cusci ! V so' nimorte.
r nen sacce coma pozze fa' a riji a la case. Pe-
lagge nen me crecle ; e se ppure me credo, nen
me (la cliiu pace.... I' so' mmorte ! "
" 'Mbe, ce vuleme erode," concluse il Rista-
bilito. " Ma bbade, IV, ca Ciavule a jere t'lia 'nze-
gnate lu juchette. E i' nen vulesse ca tu gabbisse
a Pelagge e a nu, tutte 'na vote. Tu fusse capace...."
Allora La Bravetta ricomincio a piangere, a
gridare, a disperarsi con una cosi pazza irruzion
di dolore, die il Kistabilito per pieta soggiunse:
" 'Mbe, statte zitte. Te credeme. Ma, se e verc
su fatte, s' ha da truva 'na maniere pe' armedia."
"" Quala maniere ? " dimando subito, rassere-
nandosi tra le lacrime, La Bravetta, nel cui aninio
la speranza risorgeva.
"" Ecc' a qua," propose Biagio Quaglia. " Certe,
une di quill e che stanne pe' qua attorne ha avute
da esse ; pecche certe n' lianne vinute dalP India
bbasse a pijarse lu porche a te. No, Pe' ? "
" Va bbone, va bbone," assent! 1' uomo, che
.t
stava trepido a udire, co '1 naso in alto tutto an-
cor pieno d' umor lacrimale.
"" Mo dunque (statte attende)," continuo il Ri-
stabilito che a quella credula attenzione prendeva
diletto, " mo dunque se nisciune ha vinute dal-
r India bbasse pe' venirte a rubba, cert'e che quac-
cune di quille che stanne pe' qua attorne ha avute
da esse lu latre. No, Pe' ? "
" Ya bbone, va bbone."
" Mo die s' ha da fa' ? S' ha da rauna tutte
sti cafiine e s'ha da sprementa cacche fatture
pe' scupri lu latre. Scuperte lu latre, scuperte lu
porche."
Li occhi di Mastro Peppe brillarono di desi-
derio; ed egli si fece piu da presso, poiche I'ac-
cenno alia fattura aveva risvegliate in lui le na-
tive superstizioni.
" Tu le sie ; ce stanne tre specie de niaggie :
la bianche, la rosce e la nere, e ce stanne, tu le
sie, a lu paese trefemmene delParte: Rosa Schia-
vona, Rusaria Pajara e la Cinisda. Sta a te a
scejie."
Peppe stette un momento in forse. Poi si de-
cise per Rosaria Pajara che aveva gran fama d' in-
cantatrice e aveva operate in altri tempi cose
mirabili.
\ 'I
f
y
282
LA FATTURA.
" 'Mbe, sii/' concluse il Ristabilito, ^ nen ce
sta.tembe da perde. V pe' te, propie pe' fartc iiii
piacere, vajie sine a lu paese a pija quelle clie ce
serve. Parle 'nglie Rusarie, me'facce da'tutte coso,
e me n' arvenghe, dentr' a sta matiiie. Damme li
qua trine."
Peppe si tolse dalla tasca del panciotto tro
carlini ed esitando li porse.
" Tre carline?" grido Taltro, rifiutandoli. " Tro
carline ? Ma ce ne vo' pe' lu mene diece."
A sentir questo il marito di Pelagia ebbe quasi
uno sbigottimento.
" Come V Pe' na failure, diece carline ? " bal-
betto egli cercandosi con le dita tremule nella
tasca. '^Ecclietene otte. Nen ne tenghe cliiii."
Disse il Ptistabilito, secco :
" Va bbone. Quelle clie posse fa' facce. Yieno
pure tu, Cia?"
I due compagni s' incamminarono verso Pescara,
di buon passo, pe '1 sentiero delli alberi, Puno
innanzi, Taltro dietro. E Ciavola piccliiava de'gran
colpi di pugno su la scliiena del Ristabilito, per
dimostrare la sua allegrezza. Come essi giunsero
al paese, si recarono nella bottega di un tal Don
Daniele Pacentro speziale con cui erano in fami-
liarita; ed ivi comperarono certi aromati e dro-
(
LA FATTURA.
2S3
glie, facendone quindi comporre pallottole a guisa
di pillole grosse come noci, ben coperte di zuc-
cliero, scilop'pate e cotte. Subito clie lo speziale
ebbe compiuta T operazione, Biagio Quaglia (il
quale nel frattempo era state assente) torno con
una carta plena d' escrementi secchi di cane ; e
di quelli escrementi voile die lo speziale compo-
nesse due belle pillole, in tutto simili alle altre
per la forma, se non che confettate prima in aloe
e poi coperte leggermente di zucchero. Cos! lo spe-
ziale fece ; e, perclie queste dalle altre si ricono-
scessero, vi mise, per consiglio del Ristabilito, un
piccolo segno.
I due ciurmadori ripresero la via della cam-
pagna, e furono alia casa di Mastro Peppe in su
I'ora di mezzodi. Mastro Peppe stava con molto
affanno aspettando. A pena vide sbucare di tra le
alberelle il corpo lungo e sottile di Ciavola, grido:
"'Mbe?"
" Tutte e alFordene," rispose in suon di trionfo
il Ristabilito, mostrando il cofano delle confetture
incantate. ^ Mo tu, gia die ogge e la viggilie de
Sant' Andonie e li cafune fanne feste, arhunisce
tutte quante all' are per dajie a beve. Tu hi da
tone na certe butticelle de Montepulciane. Mitte
mane a qudle pe' ogge ! E quande tutte stannc
Y
284
LA FATTURA.
bene arhiinite, penze i' a fa' e a dice tutte quelle
che s' ha da fa' e s' ha da di\"
IV.
Dopo due ore, come il pomeriggio era tiepido
e chiarissimamente sereno, avendo La Bravctta
fatto correre la voce, se ne vennero all' invito i
coltivatori e i inassai dei dintorni. Nell' aia si le-
vavano alti mucchi di paglia, che percossi dal solr
ornavansi d' un glorioso colore d' oro ; quivi una
torma di oclie andava schiamazzando, bianca, leiita,
con larghi becchi aranciati, chiedendo di nuotare;
li odori dello stabbio giungevano ad intervalli. E
tutti quelli uomini rusticani, aspettando di bore,
motteggiavano, tranquilli, su le lore gainbe in arco
diiformate dalle rudi fatiche : alcuni con Volti ru-
gosi e rossastri come vecchi pomi, con occhi resi
miti dalla lunga pazienza o resi vivi dalla hmga
malizia; altri con barbe nascenti, con attitudini
di gioventii, con nolle vesti rinnovate una mani-
festa cura d' amore. •
Ciiivola e il llistabilito non si fecero molto
attendere. Tenendo in una mano la scatola dello
•
confetture, il Ristabilito ordino che tutti si met-
tessero in cerchio ; e, staudo egli nel mezzo, fcee
LA FATTURA.
285
una breve concione, non senza una certa gravita
di voce e di gesti.
" Bon' uommene ! " disse, " nisciune de vu,
certe, sa pecche propie lAIastre Peppe De Siere
v'lia chiamate a qua...."
Un moto di stupore, a questo strano preambolo,
si propago in tutte le bocche delli ascoltanti ; e la
letizia pe '1 promesso vino si muto in una inquietu-
dine di diversa espettazione. Contiimava I'oratore:
" Ma, seccome po' succede caccosa bbrutte e
vu ve putassate lagna de me, ve vojie dice de che
se tratte, prime de fa' la spirienze."
Li ascoltanti si guardavano 1' un 1' altro nelli
ocelli, con un' aria smarrita ; e quindi rivolgevano
lo sguardo curioso e incerto al cofanetto che V ora-
tore teneva in una mano. Un d' essi, poiche il Ri-
stabilito faceva pausa per considerare 1' effetto
delle parole, esclamo impaziente :
'Ebbe?"
" Mo, mo, bell' uommene mi'. La notta passate
s' hann' arrubbate a Mastre Peppe nu bbone por-
ehe che s' ave' da sala. Chi ha state lu latre, nen
ze sa ; ma cert' e ca s' ha da truva miezze a vu'
autre, pecche nisciune veneve dall' India bbasse
p' arrubbarse lu porch e a Mastre Peppe ! "
Fosse un giocondo effetto di questo peregrine
-i^
286
LA FATTURA.
LA FATTURA.
287
!♦
argomento dell' India o fosse V azione del tiepido
sole, La Bravetta comiiicio a staniiitire. I villici
si fecero in dietro; la tribii delle oche si disperse,
sbigottita; e sette staj'niitazioni consecutive riso-
narono liberamente nelP aria, turbando la pace rii-
rale. L' ilarita risorse nelli animi, a quel fragore.
L' adunanza, dopo un poco, si ricompose. II Ili-
stabilito continue, sempre grave :
" Pe' scupri lu latre Mastre Peppc ha pensato
do darve a magna certe bbone cunfette e de darvc
a bere nu certe Montepulciane viecchie die j' ha
messe niano ogge apposte. Ma piro v' ajie da dice
na cose. Lu latre, appene se mette mmocche hi
cunfette, se sente la vocclie accuse! amare, accuse!
amare c'ha da sputa pe' iforze. Yulete sprementa?
pure lu latre, pe' nen esse sbruvegnate, se vo'
•cunfessa a lu prevete ? BelF u6, arspunnete ! "
" Nu vuleine magna e beve," risposero quasi
in coro li adunati. E un movimento corse fra
quella gente semplice. Ognuno, guardando il coni-
pagno, aveva nelli occhi una punta d' investiga-
zione. Ognuno, naturalmente, poneva nel ridcro
una tal quale ostentazione di spontaneita.
Disse Ciavola :
"" V avete da mette tutt' a ffile, pe' la spricnize.
Nisciune s' ha da pute nnasconne."
Ed egli, quando tutti furono disposti, prese il
fiasco e i bicchieri, apprestandosi a mescere. II
Kistabilito si fece dalP un de' capi, e comincio a
distribuire pianamente i confetti che sotto le ga-
gliarde dentature dei villani scricchiolavano e spa-
rivano in un attimo. Coine egli giunse a Mastro
Peppe, prese uno dei confetti canini e glielo porse ;
e seguito oltre, senza nulla dare a divedere.
Mastro Peppe, che fin allora era state con
grandissimi occhi intenti a cogliere in fallo qual-
cuno, si gitto in bocca il confetto prestaliiente,
quasi con cupidigia di goloso, e prese a masticare.
D' un tratto i pomelli delle gote gli salirono vi-
vamente verso li occhi, li angoli della bocca e le
tempie gli si empirono di crespe, la pelle del naso
gli si arriccio, il mento gli si torse un poco, tutti
i lineamenti della sua faccia ebbero una comune
mimica involontaria di orrore ; e una specie di bri-
vido visibile gli corse dalla nuca per le spalle.
E subito, poiche la lingua non poteva sostenere
r am.aro dell' aloe e una resistenza invincibile sa-
liva dallo stomaco per la gola ad impedire 1' in-
ghiottimento, il malcapitato fu costretto a sputare.
"Ohe, Mastre Pe, tu che ccazze fie? ^' garr!
Tulespre dei Passed, un vecchio capraro verdastro
e pelloso come una tartaruga di palude.
288
LA FATTURA.
LA FATTURA.
289
/*,
Si rivolses a quella voce agra, il Ristabilito
che non anche aveva terminato di distribuire. Peio,
vedendo La Bravetta tiitto contorcersi, disse con
suon di benevolenza :
" 'Mbe, quelle forse ere troppe cotte. To' ! Ec-
chene n' autre. 'Nglutte, rei)pe ! "
E con due dita gli caccio in bocca la seconda
pillola canina.
II pover'uomo la prese ; e, sentendo sopra di
se fissi li occhi maligni e acuti del capraro, focc
un supremo sforzo per sostener V aniarezza ; non
mastico, non inghiotti; stette con la lingua im-
mobile contro i denti. Ma, come al calore dell'alito
e air umidore della saliva V aloe si disciogliova,
egli non poteva piu reggere : le labbra gli si tor-
sero come dianzi; il naso gli si empi di lacrime;
e certe gocciole grosse gli cominciarono a sgor-
gare dal cavo delli occhi e a rimbalzar, come i)erle
scaramazze, giii per le gote. Alfine, sputo.
" Ohe, Mastre Pe, e mo die ccazze fie ? " garri
di nuovo il capraro, mostrando in un suo gliigno
le gencive bianchicce e vacuo. "" Ohe, e queste mo
che signifeche ? "
Tutti i villici ruppero V ordine, e attoriiiarono
La Bravetta : alcuni con risa di beffa, altri con
parole irose. Le ribellioni di orgoglio subitance e
brutali che ha V onore della gente campestre, le
severita implacabili della superstizione scoppiarono
d' improvviso in una tempesta di contumelie.
" Pecche ci si' fatte veni a qua ? Pe' jetta la
colepe a une de nu 'nghe 'na fatture fauze ? Pe'
cujuna a nu? Pecche? Si' fatte male li cunde !
Latre, bbuciarde, naso, fijie de cane, fijie de p... !
A nu vu cujuna? Pezze de. fesse ! Latre! Naso!
Te vuleme rompe tutte li pignate 'n cocce. Fijie
de p... ! Sangue de Criste, tu ! "
E si dispersero, dope aver rotto il fiasco e i bic-
chieri, gridando le ultimo ingiurie di tra i pioppi.
Allora riraasero nelP aia Ciavola, il Eistabilito,
le oche e La Bravetta. Questi, pieno di vergogna,
di rabbia, di confusione, con il palato ancora
morso dalla perversita dell' aloe, non poteva prof-
ferire parola. II Ristabilito stette a considerarlo
crudelmente, percotendo il terrene con la punta
del piede poggiato in su '1 tacco, scotendo per
ironia il capo. Ciavola squitti, con un indescrivi-
bile suon di dileggio : •
" Ah, ah, ah, ah ! Brave ! Brave La Bbravette !
Bicce nu poche : quante ci si' fatte ? Diece ducate ? "
D'Annunzio.
19
h I
'M' I-
IL MAIITIRIO DI GIALLUCA.
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:\-
II trabaccolo Trinita, carico di fromcnto, salpo
alia volta dolla Dalmazia, verso sera. Navigo lungo
il fiiime tranquillo, fra le paranze di Ortona
aiicorate in lila, menlre sii la riva si accendc-
vano fuoclii e i marinai reduci cantavano. Pas-
sando qiiindi pianamente la foce angusta, usci
nel mare.
II tempo era benigno. Nel cielo di ottobre, quasi
a fior delle acque, la luna plena pendeva come una
dolce lampada rosea. Le montagne e le colline,
dietro, avevano forma di donne adagiate. In alto,
passavano le oclie selvaticlie, senza gridare, e si
dilcguavano.
I sei uomini e il mozzo prima . manovrarono
d' accordo per prendere il vento. Poi come le velc
si gonfiarono nelParia tiitte colorate in rosso c
IL MARTIRIO DI GIALLUCA. 291
segnate di figure rudi, i sei uomini si misero a
sedere e comindarono a fumare tranquillamente;
II mozzo prese a cantarellare una canzone della
patria, a cavalcioni su la prua.
Disse Talamonte maggiore, gittando un lungo
sprazzo di saliva su V acqua e rimettendosi in bocca
la pipa gloriosa :
"" Lu tembe n'n ze mandene."
Alia profezia, tutti guardarono verso il largo ;
e non parlarono. Erano marinai forti e indurati
alle vicende del mare. Avevano altre volte navi-
gato alle isole dalmate, a Zara, a Trieste, a Spa-
latro; e sapevano la via. Alcuni anche rammenta-
vano con dolcezza il vino di Dignano, clie ha il
profumo delle rose, e i frutti delle isole.
Comandava il trabaccolo Ferrante La Selvi. I
due fratelli Talamonte, Cirii, Massacese e Gialluca
formavano V equipaggio, tutti nativi di Pescara.
Nazareno era il mozzo.
Essendo il plenilunio, indugiarono su '1 ponte.
II mare era sparse di paranze die pescavano. Ogni
tanto una coppia di paranze passava a canto al
trabaccolo ; e i marinai si scambiavano voci, fami-
liarmente. La pesca pareva fortunata. Quando le
bardie si allontanarono e le acque ridivennero de-
serte, Ferrante e i Talamonte discesero sotto co-
f
f '
292
IL MARTIRIO DI GIALLUCA.
m 1-
tf ^
perta per riposare. Massacese e Gialluca, poi cli'eb-
bero finito di fumare, seguirono V esempio. Cirii
rimase di guardia.
Prima di scendere, Gialluca, mostrando al com-
pagno una parte del collo, disse :
" Guarda che tenghe a qua."
Massacese guardo e disse :
" 'Na cosa da niente. N'h ce penza."
Cera un rossore simile a quelle die produce
la puntura di un insetto, e in mezzo al rossore
un piccolo node.
Gialluca soggiunse :
" Me dole."
Nella jiotte si muto il vento; e il mare comincio
ad ingrossare. II trabaccolo si mise a ballare so-
pra le onde, trascinato a levante, perdendo cam-
mino. Gialluca, nella manovra, gittava ogni tanto
un piccolo grido, perche ad ogni movimento brusco
del capo sentiva dolore.
Ferrante La Selvi gli domando :
"" Che tieni ? "
Gialluca, alia luce dell' alba, mostro il suo male.
Su la cute il rossore era cresciuto, ed un piccolo
tumore aguzzo appariva nel mezzo,
Ferrante, dope avere osservato, disse anchelui:
" 'Na cosa da niente. N'n ce penza."
IL MARTIRIO DI GIALLUCA.
293
Gialluca prese un fazzoletto e si fascio il collo.
Poi si mise a fumare.
II trabaccolo, scosso dai cavalloni e trascinato
dal vento contrario, fuggiva ancora verso levante.
II romore del mare copriva le voci. Qualclie on-
data si spezzava sul ponte, ad intervalli, con un
suono sordo.
Verso sera la burrasca si placo ; e la luna emerse
come una cupola di fuoco. Ma poiche il vento cadde,
il trabaccolo rimase quasi fermo nella bonaccia; le
vele si afflosciarono. Di tanto in tanto sopravve-.
niva un soffio passeggiero.
Gialluca si lamentava del dolore. 'NelP ozio, i
compagni cominciarono ad occuparsi del suo male.
Ciascuno suggeriva un rimedio. differente. Ciru,
cli' era il piu anziano, si fece innanzi e suggeri
un empiastro di mele e di farina. Egli aveva
qualclie vaga cognizione medica, perche la moglie
sua in terra esercitava la medicina insieme con
Parte magica e guariva i mali con i farmachi e
con le cabale. Ma la farina e le mele mancavano.
La galletta non poteva essere efficace.
Allora Ciru prese una cipolla e un pugno di
gi-ano ; pesto i\ grano, tagliuzzo la cipolla, e com-
pose P empiastro. Al contatto di quella materia,
Gialluca sent! crescere il dolore. Dope un' ora si
294
IL MARTIKIO PI GIALLUCA.
strappo dal collo la fasciatura e gitto ogni cosa in
mare, invaso da iin' impazienza irosa. Per vincere
il fastidio, 3i mise al timone e resse la sbarra lungo
tempo. S' era levato il vento, e le vele palpitavano
gioiosamente. Nella chiara notte un' isoletta, clie
doveva essere Pelagosa, apparve in lontananza come
una nuvola posata su Pacqua.
Alia mattina Cirii, die omai aveva impreso a
curare il male, voile osservare il tumore. La gon-
fiezza. erasi dilatata occupando gran parte del collo
ed aveva assunta una nuova forma ed un colore
pill cupo die su 1' apice diveniva violetto.
" E die e quesse? " egli esclanio, perplesso, con
un suono di voce die fece trasalire V infermo. E
chiamo Ferrante, i due Talamonte, li altri.
Le opinioni furono varie. Ferrante imagine un
male terribile da cui Gialluca poteva rimanere sof-
focato. Gialluca, con liocclii aperti straordinaria-
mente, un po' pallido, ascoltava i prognostici. Come
il cielo era coperto di vapori e il mare appariva
cupo e stormi di gabbiani si precipitavano verso
la costa gridando, una specie di terrore scese nel-
r aninio di lui.
Alia fine Talamonte minore sentenzio :
" E 'na fava maligna."
Li altri assentirono :
IL MARTIRIO DI GIALLUCA.
295
o »
" Ell, po esse'.
Infatti, il giorno dope, la cuticola dd tumore
fu sollevata da un siero sanguigno e si lacero.
Etutta la parte prese I'apparenza di un nitlo di
vespe, d'onde sgorgavano materie purulente in
abbondanza. LMnliammazione e la suppurazione si
approfondivano e si estendevano rapidamente.
Gialluca, atterrito, invocp san Rocco che gua-
risce le piaghe. Promise died libbre di cera, venti
libbre. Egli s' inginocchiava in mezzo al ponte,
tendeva le braccia verso il cido, faceva i voti con
un gesto sdenne, nominava il padre, la madre, la
moglie, i figliuoli. D' in torno, i compagni si face-
vano il segno ddia croce, gravemente, ad ogni in-
vocazione.
Ferrante La Selvi, die sent! giungere un gran
colpo'di 'vento, grido con la voce rauca un comando,
in mezzo 'al romorio dd mare. II trabaccolo si piego
tutto sopra un fianco. Massacese, i Talamonte, Ciru
SI gittarono alia manovra. Nazareno strisdo Inmo
un albero. Le vele in un memento furono ammai-
nate: rimasero i due fiocchi. E il trabaccdo, bar-
coUando da banda a ban da, si mise a correre a
predpizio su la cima dd flutti.
"Saiite Rocclie! Sante Rocclie ! " gridava con
pill fervore Gialluca, eccitato anche dal tumulto
296
IL MARTIRIO. DI GIALLUCA.
IL MARTIRIO DI GIALLUCA.
circostante, curvo su le ginocchia e su le niani
per resistere al rullio.
Di tratto in tratto un' ondata piii forte si ro-
yesciava su la prua: 1' acqua salsa invadeva 11
ponte da un capo all' altro.
'^ Va a basse ! " grido Ferrante a Gialliica.
Gialluca discese nella stiva. Egli sentiva un ca-
lore molesto e un' aridezza per tutta la pelle; e la
paura del male gli cliiudeva lo stomaco. La sotto,
nella luce fievole, le forme delle cose assunievano
apparenze singolari. Si udivano i colpi profondi
del flutto contro i fianchi del naviglio e li scric-
cliiolii di tutta quanta la compagine.
Dopo mezz'ora, Gialluca riapparve su '1 ponte,
smorto come se uscisse da un sepolcro. Egli amava
meglio stare all' aperto, esporsi all' ondata, vederc
li uomini, respirare il vento.
Ferrante, sorpreso da quel pallore, gli do-
raando :
^ E mo' Che tieni ? "
Li altri marinai, dai lore posti, si misero a di-
scutere i rimedi ; ad alta voce, quasi gridando, per
superare il fragore della burrasca. Si animavano.
Ciascuno aveva un metodo suo. Ragionavano con
sicurezza di dottori. Dimenticavano il pericolo, nella
disputa. Massacese aveva visto, due anni avanti,
297
un vero medico operare su '1 fiance di Giovanni
Margadonna, in un case simile, II medico taglio,
poi strofino con pezzi di legno intinti in un liquido
fumante, brucio cosi la piaga. Levo con una specie
di cucchiaio la carne arsa die somigliava fondiglio
di cafFe. E Margadonna fu salvo.
Massacese ripeteva, quasi esaltato, come un ce-
rusico feroce :
" S' ha da tajia ! S' ha da tajia ! "
E faceva 1' atto del taglio, con la mano, verso
r infermo.
Ciru fu del parere di Massacese. I due Tala-
monte anche convennero. Ferrante La Selvi sco-
teva il capo.
Allora Ciru fece a Gialluca la proposta. Gialluca
si rifiuto.
Ciru, in un impeto brutale ch' egli non pote
trattenere, grido :
'Muorete!"
Gialluca divenne piu pallido e guardo il com-
pagno con due larghi occhi pieni di terrore.
Cadeva la notte. II mare nelP ombra pareva
Che urlasse piu forte. Le onde luccicavano, pas-
sando nella luce gittata dal fanale di prua. La
terra era lontana. I marinai stavano afferrati a una
corda per resistere contro i marosi. Ferrante go-
298
IL MARTIRIO DI GJALLUCA.
IL MARTIRIO DI GIALLUCA.
299
h
il
11
vernava il timone, lanciando di tratto in tratto
una voce nella tempesta :
" Va a basse, Giallu ! "
Gialluca, per una strana ripugnanza a trovarsi
solo, non voleva discendere, quantuuque il male
lo travagliasse. Anch'egli si teneva alia coida,
stringendo i denti nel dolore. Qiiando veniva una
ondata, i marinai abbassavano la testa e mette-
vano un grido Concorde, simile a quelle con cui
sogliono accompagnare un comune sforzo nelLi
fatica.
Usci la luna da una nuvola, diminuendo Por-
rore. Ma il mare si mantenne grosso tutta la notto.
La mattina Gialluca, smarrito, disse ai coni-
pagni :
lajuite.
I compagni prima s'accordarono, gravemcnte;
tennero una specie di consulto decisive. Poi osser-
varono il tumore cli' era eguale al pugno di uii
uomo. Tutte le aperture, clie dianzi gli davan >
r appare'nza di un nido di vespe o di un crivello,
ora ne formavano una sola.
Disse Massacese :
" Curagge ! Avande ! "
Egli doveva essere il cerusico. Prove su Tun-
gbia la teinpra delle lame. Scelse infine il coltello
di Talamonte maggiore, ch' era affilato di fresco.
Ripete : .
" Curagge ! Avande ! "
Quasi un fremito d' impazienza scoteva lui e
li altri.
L' infermo ora pareva preso da uno stupidi-
mento cupo. Teneva li occhi fissi su 1 coltello,
senza dire niente, con la bocca semiaperta, con
le mani penzoloni lungo i fianclii, come un idiota.
Ciru lo fece sedere, gli tolse la fasciatura, met-
tendo con le labbra quel suoni istintivi clie indi-
cano il ribrezzo. Un memento, tutti si chinarono
su la piaga, in silenzio, a guardare. Massacese
disse:
" Cusi e cusi," indicando con la punta del col-
tello la direzione dei tagli.
Allora, d' un tratto, Gialluca ruppe in un gran
pianto. Tutto il sue corpo veniva scosso dai sin-
gliiozzi. . -
" Curagge ! Curagge ! " gli ripetevano i marinai,
prendendolo per le braccia.
Massacese incomincio V opera. Al prime con-
tatto della lama, Gialluca gitto un urlo; poi, strin-
gendo i denti, metteva quasi un muggito soffocato.
Massacese tagliava lentamente, ma con sicu-
i-ezza ; tenendo fuori la punta della lingua, per una
M
300
IL MARTIRIO DI GIALLUCA.
abitudine ch' egli aveva nel condur le cose con
attenzione. Come il trabaccolo barcollava, il taglio
riusciva ineguale ; il coltello ora penetrava piu, ora
meno. Un colpo di mare fece affoiulare la lama
dentro i tessuti sani. Gialluca gitto un altro m-lo,
dibattendosi, tutto sanguinante, come una bestia
tra le mani del beccai. Egli non voleva piu sot-
tomettersi.
"No, no, no!"
" Vien' a qua ! Vien' a qua ! " gli gridava Mas-
sacese, dietro, volendo seguitare la sua opera per-
che temeva che il taglio interrotto fosse piu pe-
ricoloso.
II mare, ancora grosso, romoreggiava in torno,
senza line. Nuvole in forma di trombe sorgevano
dair ultimo termine ed abbracciavano il cielo de-
serto d' uccelli. Oramai, in mezzo a quel frastuono,
sotto quella luce, una eccitazione singolare pren-
deva quelli uomini. Involontariamente, essi, nel
lottare col ferito per tenerlo fermo, s'adiravano.
" Vien' a qua ! "
Massacese fece altre quattro o cinque incisioni,
rapidamente, a caso. Sangue misto a raaterie bian-
castre sgorgava dalle aperture. Tutti n' erano mac-
chiati, tranne Nazareno clie stava a prua, tremantc,
sbigottito dinanzi alPatrocita della cosa.
IL MARTIRIO DI GIALLUCA. 301
Ferrante La Selvi, die vedeva la barca perico-
lare, diede un comando a squarciagola :
" Molla le scotteee! Butta '1 timone a V orsa! "
• I due Talamonte, Massacese, Ciru manovra-
rono. II trabaccolo riprese a correre beccheg-
giando. Si scorgeva Lissa in lontananza. Lunghe
zone di sole battevano su le acque, sfuggendo
di tra le nuvole; e variavano secondo le vicende
celesti.
Ferrante rimase alia sbarra. Li altri marinai
tornarono a Gialluca. Bisognava nettare le aper-
ture, bruciare, mettere le filacce.
Ora il ferito era in una prostrazione profonda.
Pareva che non capisse piu nulla. Guardava i com-
pagni, con due occhi smorti, gia torbidi come quelli
delli animali che stanno per morire. Ripeteva, ad
intervalli, quasi fra se :
" So' morto ! So' morto ! "
Ciru, con un po' di stoppa grezza, cercava di
pulire ; ma aveva la mano rude, irritava la piaga.
Massacese, volendo fino all' ultimo seguire 1' esem-
pio del cerusico di Margadonna, aguzzava certi
pezzi di legno d'abete, con attenzione. I due Tala-
monte si occupavano • del catrame, poiclie il ca-
tranie bollente era state scelto per bruciare la pia- '
ga. Ma era impossibile accendere il fuoco su '1
1^
Ii!
302
IL MARTIRIO DI GIALLUCA.
IL MARTIRIO DI GIALLUCA.
I)
ponte che ad ogni momeiito veuiva allagato. I due
Talamonte discesero sotto coperta.
Massacese grido a Cirii:
" Lava nghe F acqua de marc ! "
Ciru segui il consigiio. Gialluca si sottomettcva
a tutto, facendo un lagno continuo, battendo i
denti. II collo gli era diventato enorme, tutto rosso,
in alcuni punti quasi violaceo. In torno alle inci-
sioni cominciavano ad apparire alcune chiazze bru-
nastre. L'inferino provava difficolta a respirare, a
ingliiottire ; e lo tormentava la sete.
" Arcummanncte a sante Rocche," gli disse
Massacese che aveva tinito di aguzzare i pezzi di
legno e che aspettava il catrame.
Spinto dal vento, il trabaccolo ora deviava in
su, verso Sebenico, perdendo di vista V isola. ]\Ia,
quantunque le onde fossero ancor^j forti, la bur-
rasca accennava a diminuire. II sole era a mezzo
del ciolo, tra nuvole color di ruggine.
I due Talamonte vennero con un vaso di tcna
pieno di catrame fumante.
Gialluca s' inginocchio, per rinnovare il veto al
santo. Tutti si fecero il segno della croce.
" Oh sante Rocche, salveme ! Te 'mprumette 'na
lampa d' argente e 1' uoglie pe' tutte Panne e
trenta libbre de ciere. Oh sante Rocche, salveme
303
tu ! Tenghe la mojie e li fijie.... Pieta ! Misericor-
die, sante Rocche mi' ! "
. Gialluca teneva congiunte le mani; parlava con
voce che pareva non fosse piu la sua. Poi si ri-
niisc a sedere, dicendo semplicemente a Massacese-
^^Fa." . *
Massacese avvolse in torno ai pezzi di legno un
po' di stoppa ; e a mano a mano ne tuffava uno
nel catrame bollente e con quelle strofinava la
piaga. Per rendere piu efficace e profonda la bru-
ciatura, verso anche il liquido nelle ferite. Gial-
luca non mosse un lamento. Li altri rabbrividi-
vano, in conspetto'di quello strazio.
Disse Ferrante La Selvi, dal suo posto, sco-
tendo il capo :
" V avet' accise ! "
Li altri 'portarono sotto coperta Gialluca semi-
vivo; e I'adagiarono sopra una branda. Nazareno
I'imase a guardia, presso I'infermo. Si udivano di
la le voci gutturali di Ferrante che comandava la
manovra e i passi precipitati dei marinai. La Tn-
-nUa virava, scricchiolando. A un tratto Nazareno
SI accorse d'una falla da cui entrava acqua ; chmmo.
I marinai discesero, in tumulto. Gridavano tutti
insieme, provvedendo in furia a riparare. Pareva
uii naufragio. * .
'M
!):
304
IL MARTIRIO DI GIALLUCA.
>i
Gialluca, benche prostrato di forze e d' auimo,
si rizzo su la branda, immaginando clie la baica
andasse a picco; e s'aggrappo disperatameiite a
uno dei Talamoiite. Siipplicava, come una femmina:
" Nen me lasciate ! Nen me lasciate ! "
Lo calmarono; lo riadagiarono. Egli ora av(Ta
paura; balbettava parole insensate; piangeva; nou
voleva morire. Poiclie 1' infiammazione crescendo
gli occupava tutto tutto il collo e la cervice e si
diffondeva anche pe '1 tronco a poco a poco, e la
gonfiezza diveniva ancora piu mostruosa, egli si
sentiva strozzare. Spalancava ogni tanto la bocca
per bevere V aria.
''Portateme sopra! A qua me manghe I'arie;
a qua me more...."
Ferrante richiamo li uomini sul ponte. II tra-
baccolo ora bordeggiando cercava di* acquistare
cammino. La manovra era complicata. Ferrante
spiava il vento e dava il comando utile, stando al .
timone. Come piu il vespro si avvicinava, le onde
si placavano.
Dopo qualche tempo, Nazareno venne sopra,
tutto sbigottito, gridando:
"" Gialluca se more ! Gialluca se more ! "
I marinai corsero ; e trovarono il compaguo
gia morto su la branda, in un' attitudino scompo-
IL MARTIRIO DI GIALLUCA. 305
sta, con li occhi aperti, con la faccia tumida, come
un uomo strangolato.
Disse Talamonte maggiore:
" E mo' ? "
Li altri tacquero, un po' smarriti, dinanzi al
cadavere.
Risalirono su '1 ponte, in silenzio. Talamonte
ripeteva :
" E mo' ? "
II giorno si ritirava lentamente dalle acque.
Neir aria veniva la calma. Un' altra volta le vele
si afflosci^ivano e il navigHo rimaneva senza avan-
zare. Si scorgeva 1' isola di Solta.
I marinai, riuniti a poppa, ragionavano del
fatto. Un' inquietudine viva occupava tutti li animi :
Massacese era pallido e pensieroso. Egli osservo:
" Avessene da dice che 1' aveme fatte muri nu
autre ? Avasseme da passa guai ? "
Questo timore gia tormentava lo spirito di
qiielli uomini superstiziosi e diffidenti. Essi ri-
sposero :
" E lu vere."
Massacese incalzo:
ff 1
Mbe ? Che faceme ? "
Talamonte maggiore disse, semplicemente :
"^ E morte? Jettamele a lu mare. Faceme vede
D'Annunzio. ' 20
If
306
IL MARTIRIO DI GIALLUCA.
ca r avenie pirdute 'n mezz' a lu furtunale.... Certe,
n' arriesce."
Li altri assentirono. Cliiamarono Nazareiio.
" Oh, tu.... mute come nii pesce."
E gli suggcllarono il segreto nelF aiiimo, con
un segno ininaccioso.
Poi tliscesero a premiere il cadavere. Gia le
carni del collo davano odore malsano; le materio
della suppurazioiie gocciolavano, ad ogiii scossa.
Massacese disse:
" Mettemele dentr' a lui sacclie."
Presero un sacco ; ma il cadavere ci entrava
per meta. Legarono il sacco alle ginocchia, e h
gambe rimasero fuori. Si guardavano d' in torno,
istintivamente, facendo 1' operazione mortuaria. Noii
si vedevano vele ; il mare aveva un ondeggiamento
largo e piano, dope la burrasca ; T isola di Solta
appariva tutt' azzurra, in fondo.
Massacese disse :
"" Metteraece pure 'na preta."
Presero una pietra fra la zavorra, e la lega-
rono ai piedi di Gialluca.
Massacese disse :
"Avande!"
Sollevarono il cadavere fuori del bordo e lo la-
sciarono scivolare nel mare. L'acqua si richiuse
IL MARTIRIO DI GIALLUCA.
307
gorgogliando ; il corpo discese da prima con una
oscillaziohe lenta; poi si dileguo.
I marinai tornarono a poppa, ed aspettarono il
vento. Fumavano, senza parlare. Massacese ogni
tanto faceva un gesto inconsciente, come fanno ta-
lora li uomini cogitabondi.
II vento si levo. Le vele si gonfiarono, dopo
avere palpitate un istante. La Trinita si mosse
nella direzione di Solta. Dopo due ore di buona
rotta, passo lo stretto.
La luna illuminava le rive. II mare aveva quasi
una tranquillita lacustre. Dal porto di Spalatro
uscivailo due navigli, e venivano incontro alia Tri-
nita. Le due ciurme cantavano.
Udendo la canzone, Ciru disse:
" Toll ! So' di Piscare."
Vedendo le figure e le cifre delle vele, Ferrante
disse :
"" So' li trabaccule di Raimonde Callare."
E gitto la voce.
I marinai paesani risposero con grandi clamori.
Uno dei navigli era caricodi ficlii secchi, e P al-
tro di asinelli.
Come il secondo dei navigli passo a dieci metri
dalla Trinita, vari saluti corsero. Una voce grido :
' Oh Giallu ! Addo sta Gialluche ? "
308
IL MARTIRIO DI GIALLUCA.
Massacese rispose : .
''L'aveme pirdute a mare, 'n mezz' a hi fiir-
tunale. Dice tele a la mamme."
Alcune esclamazioni allora sorsero dal trabac-
colo delli asinelli ; poi li addii.
" Addie ! Addie ! A Piscare ! A Piscare ! "
E allontanandosi le ciurme ripresero la can-
zone, sotto la luna.
LA GUERRA DEL PONTE.
CAPITOLO DI CRONACA PESCARESE.
Verso gPidi d'agosto (per tutte le campagne
il grano lavato si asciugava felicemente al sole),
Antonio Mengarino, un veccliio agricoltore pieno
di probita e di saggezza, stando nel Consiglio del
Comune a giudicare sulle cose pubbliche, come udi
taluni consiglieri cittadini discorrere a voce bassa
del cMera die in qualche provincia d' Italia an-
davasi ampliando e udi.altri proporre ordini a con-
servazion della salute ed altri esporre timori, si
fcce innanzi con un' aria tra di incredulita e di
curiosita ad ascoltare. ,
Erano con lui nel Consiglio, agricoltori, Giulio
Citrullo della pianura e Achille di Russo dei colli*;
e il vecchio, mentre ascoltava, volgevasi di tratto
in tratto a quel due con cenni" delle palpebre e
310
LA GUERRA DEL PONTE.
delle labbra come per avvertirli clelPinganno ch'egli
credeva si celasse nelle parole dei consiglieri si-
gner! e del sindaco.
Finalmente, non piii potendo trattenersi, disse,
con la sicurta di un uomo che sa e vede molto:
" 'Mbe, levame ssti chiacchiere in tra di nu
autre. Le vuleme fa' veni ,nu poche de culere, u
ne le vuleme fa' veni? Dicemecele 'n segrete, mo.''
A queste inaspettate parole, tutti i consiglieri
furono da prima presi dalla meraviglia, e quindi
dal riso.
"" Vattenne, Mengari ! Che ti mitte a dice, san-
gue de Crimie ! " esclamo don Aiace, il grando
assessore, spingendo con la mano una spalla del
vecchio. E li altri, scotendo il capo o battendo
il pugno in su '1 tavolo sindacale, commentavano
la pertinace ignoranza dei cafoni. '
" 'Mbe, ma ve pare mo ca nu credeme a ssi
chiacchiera quisse?" fece Antonio Mengarino, con
un gesto vivo, poiclie sentivasi punto dall'ilarita
che le sue parole avevano suscitata. NeH'animo
di lui e in quelle delli altri due agricoltori la diffi-
denza e la nativa ostilita contro la signoria insor-
gevano. — Dunque essi erano esclusi dai segreti
del Consiglio? Dunque ancora erano considerati
come cafoni? Ah, brutte cose, per la Majella!... —
LA GUERRA DEL PONTE.
311
" Facete vu. Nu ce ne jame," conciuse il vec-
chio, acre, coprendosi il capo. E i tre villici usci-
rono dalla sala, con un passo pieno di dignita, in
silenzio.
Come furono fuori del paese, nella campagna
opulenta di vigne e di gran ciciliano, Giulio Ci-
trullo, sotfermatosi per accender la pipa, sen-
tenzio :
" Ocche badene a isse ! Ca ssta vote sa coma
va sgrizzenne li cocce, pe' la Majelle !... I nin vu-
lesse esse lu sinnache."
Intanto nel territorio contadino il timore del
morbo imminente sconvolgeva tutti li aninii. In
torno alii alberi fruttiferi, in torno alle viti, in
torno alle cisterne, in torno ai pozzi, li agricol-
tori vigilavano, sospettosi e minacciosi, con una
costanza instancabile. Nella notte colpi di fucile
frequenti turbavano il silenzio ; i cani, aizzati, la-
travano fine all' alba. Le imprecazioni contro i Go-
vernanti scoppiavano di giorno in giorno con mag-
gior violenza d' ira. Tutte le pacifiche ed auguste
latiche agresti erano intraprese con una sorta
d' incuria e d' insofferenza. Sorgevano dai campi
le canzoni di ribellione rimate all' improvviso.
Poi, i vecchi rinnovavano i ricordi delle pas-
312
LA GUERRA DEL PONTE.
sate mortalita, confermando la credenza nei veleni.
Un giorno, nel 54, alcuni vendeinmiatori di Fon-
tanella, avendo colto un uomo in cima a un al-
bero di fico e avendolo costretto a discendere,
videro che questi nascondeva una fiala piena di
un unguento gialliccio. Con minacce essi gli fecero
ihghiottire tutto T unguento ; e d'un tratto Puomo
(ch'era uno dei Paduani) stramazzo, torcendo lo
membra su U terreno, livido, con li occhi fissi,
.con il collo teso, con alia bocca una schiunia.
A Spoltore, nel 37, Zinicche, un fabbro, ucci.se
in mezzo alia piazza il cancelliere Don Antonio Ra-
pine ; e le morti cessarono subitamente, il paeso
fu salvo.
Poi, a poco a poco, le leggende si formavano
e di bocca in bocca variavano, e, se bene recenti,
divenivano meravigliose. Una diceva che al Palazzo
del Comune erano giunte sette casse di veleno
distribuito dai Governanti perclie fosse sparse nellc
campagne e mescolato nel sale. Le- casse erano
verdi, cercliiate di ferro, con tre serrature. II sin-
daco aveva dovuto pagare settemila ducati per sot-
terrar le casse e liberare il paese. Un'altra voce
recava che al sindaco i Governanti davano cinque
ducati per ogni morto. La popolazione era troppo
grander toccava ai poveri morire. 11 sindaco stava
LA GUERRA DEL PONTE.
313
facendo le liste. Ah, si arricchiva, il figlio di Sciore,
questa volta !
Cosi il fermento cresceva. Li agricoltori al mer-
cato di Pescara nulla compravano, ne portavano
niercanzia in- traffico. I fichi dalli alberi, giunti a
maturita, cadevano e si corronipevano su '1 suolo.
I grappoli rimanevano intatti fra i pampini. I la-
droneggi notturni piu non seguivano, poiche i la-
dri temevano di cogliere frutti attossicati. II sale.
Tunica merce presa nelle botteghe delia citta, era
prima offerto ai cani e ai gatti, per esperimento.
Giunse quindi un giorno la novella che a Na-
poli i cristiani morivano in gran numero. E al
nonie di Napoli, di quel gran reame lontano dove
Gf/itianne senza paJmre un di trovo fortuna, le
inunaginazioni si accendevano.
Sopravvennero le vendemmie. Ma, come i mer-
canti di Lombardia compravano le uve nostrali e
le portavano nei paesi del settentrione per trarne
vini artifiziosi, la letizia del rinato mosto fu scarsa
e poco le gambe dei vendemmiatori si esercitarono
a danzare nel tino e poco si esercitarono al canto
la bocche femminili.
Ma, quando tutte le opere della raccolta furono
terminate e tutti li alberi furono spogliati dei lore
314
LA GUERRA DEL PONTE.
frutti, cominciarono i tiiiiori e i sospetti a dile-
guavsi ; poiche oramai eran diminuite pe' i Gover-
nanti le opportunita di spargere il veleno.
Grandi piogge beneficatrici caddero su le cam-
pagne. II terreno ora, nutrito d' acqua, andavasi
temperando pe '1 lavoro delP aratro e per la semi-
nazione, co '1 favore dei dolci soli autunnali ; e
la lima iie '1 primo quarto influiva su la virtu
dei semi.
Una mattina, per tutto il territorio si sparse
d' improvviso la voce che a Villareale, presso le
querci di Don Settiniio, su la riva destra del
fiume, tre femniine erano morte dopo aver man-
giato in comune una minestra di pasta comprata
nella citta. L' indignazione irruppe da tutti li
animi ; e con maggior veemenza, poiche tutti ora-
mai s' erano paciticati in una securta fiduciosa. .
" Ah, va bbone ; lu fije de Sciore nen ci ha
vulute arnunzia a li ducate.... Ma a nu nen ce po
fa' niente mo, pecche friitte nen ce ne sta, e a
Pescare nen ci jeme."
" Lu fije de Sciore joca na mala carte."
" A nu ce vo fa' muri? \Mbe, esse ha sbajate
lu tembe, povere Sciurione...."
"" Addo le po mette la pruvelette ? A la pa-
LA GUERRA DEL PONTE.
315
ste, a lu sale.... Ma la paste nu ne la magneme;
e lu sale le deme prime a pruva a li hatte e a
li cane."
"" Ah, Signure birbune! Ch'aveme fatte nu, puve-
ritte? Mannajia Criniie, ha da veni chilu journe...."
Cosi le mormorazioni si levavano da ogni parte,
miste ai dileggi e alle contumelie contro li uomini
del Conuuie e contro i Govvr nanti.
A Pescara, d' un tratto, tre, quattro, cinque
persone del volgo furono prese dal male. Cadeva
la sera ; e su tutte le case discendeva una grande
paura funerea, insieme con V umidita del fiume.
Per le vie la gente si agitava correndo verso il
Palazzo comunale ; dove il sindaco e i consigiieri
e i gendarmi, avvolti in una confusion miserevole,
salivano e scendevano le scale parlando tutti in-
sieme ad alta voce, dando contrari ordini, non sa-
pendo che risolvere, dove andare, come provvedere.
Per un natural fenomeno, il commovimento del-
r animo si propagava al ventre.
Tutti, sentendo dentro le viscere romorii cupi,
si mettevano a tremare e a battere i denti; si guar-
davano in volto 1' un V altro ; si allontanavano a
rapidi passi ; si chiudevano nolle case. Le cene
rimasero intatte.
Poi, a tarda ora, quando il primo tumulto del
316
LA GUERRA DEL PONTE.
panico fu sedato, le guardie cominciarono ad ac-
cendere su i canti delle vie fuoclii di zolfo e di
catrame. II rossore delle tiamme illustrava i iiiuri
e le finestre ; e P inutile odore del bitume span-
devasi per la citta sbigottita. Da lontano, come
la lima era serena, pareva che i calafati verso il
mare spalmassero carene allegramente.
II
ii
Tale fu in Pescara 1' entrata dell' Asiatico.
E il male, serpeggiando lungo il fiume, s' in-
sinuo nei borglii della Marina, in quelli aduna-
menti di casupole basse dove vivono i marinai c
alcuni vecchi dediti a piccolo industrie.
Li infermi morirono quasi tutti, poiclie non
volevano prendere i rimedi. Nessuna ragione e nes-
suna esperienza valse a persuaderli. Anisafine, un
gobbo die. vendeva ai soldati acqua mista a spi-
rito di anace, quando vide il biccliiere del medi-
camento, strinse forte le labbra e comincio a scuo-
tere il capo in segno di rifiuto. 11 dottore prese
ad eccitarlo con parole di persuasione; bevve egii
pe '1 primo la meta del liquido ; e, dope, quasi
tutti li assistenti accostarono la bocca all'orlo del
biccliiere. Anisafine seguitava a scuotere il capo.
" Ma vedi," esclamo il dottore, " abbiamo be-
vuto prima noi...."
•r'
LA GUERRA DEL PONTE.
317
Anisafine si mise a ridere per beffa :
" Ah, ah, ah ! Ma vu, mo che arreuscite, ve
pijate lu contravvelene," disse. E, poco dope, morr.
Cianchine, un macellaio idiota, fece la stessa
cosa. II dottore, per ultima prova, gli verso a forza
tra i denti il medicinale. Cianchine sputo tutto, con
ira e con orrore. Poi si mise a scagliar vituperii
contro li astanti; tento due o tre volte di levarsi
per fuggire ; e mori rabbiosamente, dinanzi a due
gendarmi esterrefatti.
Le cucine pubbliche, instituite per concorso
spontaneo d' uomini caritatevoli, furono in su '1
principio credute dal volgo un laboratorio di tos-
sici. I mendicanti pativano la fame piu tosto die
mangiare la carne cotta in quelle pentole. Costan-
tino di Corropoli, il cinico, andava spargendo i
dubbi tra la sua tribii. Egli vagava in torno alle
cucine, dicendo a voce alta, con un gesto inde-
scrivibile : .
"^ A me nen mi ci acchiappe ! "
La Catalana di Gissi fu la prima a vincere il
timore. Ella, un poco esitante, entro ; mangio a
piccoli bocconi, esaminando in se stessa Petfetto
del dbo ; bevve il vino a piccoli sorsi. Poi, sen-
tendosi tutta ristorata e fortificata, sorrise di me-
raviglia e di piacere. Tutti i mendicanti attende-
318
LA GUERRA DEL PONTE.
il
vano cli' ella uscfise. Quanclo la rividero incolume,
si precipitarono per la porta ; vollero anch' essi
bere e mangiare.
Le cucine sono in un vecchio teatro scoperto,
nelle vicinanze di Portanova. Le caldaie bollono
nel luogo deir orchestra, il fumo invade il palco
scenico: tra il fumo si vedono al fondo le scene
raffiguranti un castel feudale illuminate dal ple-
nilunio. Quivi, su '1 mezzodi si raccoglie in torno
a una mensa rustica la tribu dei poveri. Prima
che r ora scocchi, nella platea s' agita un bruli-
cliio multicolore di cenci e si leva un mormorio
di voci roche. Alcune figure nuove appaiono tra
le figure gia cognite. lo amo una tal Liberata
Lotta di Montenerodomo, che ha una mirabile te-
sta di Minerva ottuagenaria, plena di regalita o
di austerita nella fronte, con i capelli tutti tesi
in su '1 cranio come un casco aderente. Ella tiene
fra le mani un vaso di vetro verde ; e resta in
disparte, taciturna, aspettando d'essere chiamata.
Ma il grande episodio epico di questa cronaca
del cholera e la Guerra del Ponte.
Un'antica discordia dura tra Pescara e Castel-
lammare Adriatico, tra i due comuni che il bel
fiume divide.
LA GUERRA DEL PONTE.
319
Le parti nemiche si esercitano assiduamente
in offese e in rappresaglie, V una osteggiando con
tutte le forze il fiorire dell' altra. E poiche oggi
c prima fonte di prosperita la mercatura, e poi-
che Pescara ha gia molta dovizia d' Industrie, i
Castellammaresi da tempo mirano a trarre i iner-
canti su la loro riva con ogni sorta di astuzie e
di allettamenti.
Ora, un vecchio ponte di legname cavalca il
iiume su grossi battelli tutti incatramati e inca-
tenati e trattonuti da ormcggi. I canapi e le go-
mene s'intrecciano nell'aria artifiziosamente, scen-
dendo dalle antenne alte delP argine ai parapetti
bassissimi; e danno imagine di un qualche bar-
barico attrezzo ossidionale. Le tavole mal con-
nesse scricchiolano al peso dei carri. Al passaggio
delle schiere militari, tutta la mostruosa macchina
acquatica oscilla e balza da un capo all'altro e
risuona come un tamburo.
Sorse un di da questo ponte la popolar leg-
genda di san Cetteo liberatore; e il santo annual-
mente vi si ferma nel mezzo, con gran pompa
cattolica, a ricevere le salutazioni che dalle bar-
die ancorate mandano i marinai.
Cosi, tra la vista di Montecorno e la vista del
mare, 1' umile costruzione sta quasi come un mo-
320
LA GUERRA DEL PONTE.
numento della patria, ha quasi in se la santita
delle cose antiche e da alii estranei indizio di
genti che ancora vivano in una semplicita pri-
raordiale.
Li odii tra i Pescaresi e i Castellammaresi
cozzano su quelle tavole che si consumano sotto
i laboriosi traffici cotidiani. E, come per di la ie
industrie cittadine si liversano su la provineia te-
raraana e vi si spandono felicemente, oh con qual
gioia la parte avversa taglierebbe i canapi e re-
spingerebbe i sette rei battelli a naufragare !
Sopraggiunta dunque la bella opportunita, il
gonfaloniere nemico con niolto apparato di forze
campestri impedi ai Pescaresi il passaggio nelFam-
pia strada che dal ponte si dilunga per gran tratto
congiungendo inriumerevoli paesi.
Era neirintendimento di cohii chiudere la citta
rivale in una specie d'assedio, toglierle ogni modo
di traffico ed interne ed esterno, attrarne al suo
mercato i venditori e i conipratori che per con-
suetudine praticavano su la destra riva ; e, quindi,
dope avere ivi oppressa in una forzosa inerzia ogni
arte di lucre, sorgere trionfatore. Offerse egli ai
padroni delle paranze pescaresi venti carlini per
ogni cento libbre di pesce, mettendo come patto
che tutte le paranze approdassero e scaricassero
LA GUERRA DEL PONTE.
321
alia sua riva e che la convenzion del prezzo du-
rasse fine al giorno della Nativita di Cristo.
Ora, riella settimana precedente la Nativita, il
prezzo del pesce suol salire a piii che quindici
ducati per ogni cento libbre. Manifesta appariva
dunque P insidia.
I padroni rifiutarono ogni oiferta, preferendo
tenere inoperose le reti.
Lo scaltro nemico fece ad arte spargere voce
che una mortalita grande affliggeva Pescara. Si
adopero per via d'amicizia a sollevare tutti li
animi della provineia teramana e li animi anche
dei Chietini contro la pacifica citta dove il morbo
gia era scomparso.
Eespinse con violenza o ritenne prigionieri al-
cuni onesti viandanti che, usando d' un comun
diritto, prendevano la strada provinciale per re-
carsi altrove. Lascio che sulla linea di confine
un branco di suoi lanzichenecchi stesse dalPalba
al tramonto schiamazzando contro chiunque si av-
vicinava.
La ribellione comincio allora a fermentare nei
Pescaresi, contro li ingiusti arbitrii; poiche soprag-
giuiigeva la miseria e tutta la numerosa classe
dei lavoratori languiva nelP inerzia e tutti i mer-
canti incorrevano in gravissimi danni. II cliolera,
D'Annunzio. -21
322
LA GUERRA DEL PONTE.
scomparso dalLa citta, accennava a scompai'ire an-
che dalla marina dove soltanto alcuni vecchi iu-
validi erano morti. Tutti i cittadini, fiorenti di
salute, amavano riprendere le consuete fatiche.
I tribuni sorsero : Francesco Poniarice, Antonio
Sorrentino, Pietro D' Amico. Per le vie la gente
si divideva in gruppi, ascoltava la parola tri])ii-
nizia, applaudiva, proponeva, gittava gridi. Un
gran turaulto andavasi preparando fra il popolo.
Per eccitazione, taluni raccontavano il fatto eroico
del Moretto di Claudia. II quale, preso dai lanzi-
chenecchi a forza e imprigionato nel lazzeretto ed
ivi trattenuto per cinque giorni senz' altro cibo
che pane, riusci a fuggire dalla finestra ; passo a
nuoto il fiume, e giunse tra i suoi grondante di
acqua, alenante, famelico, raggiante di gloria c
di gioia.
II sindaco, nel frattempo, sentendo il mugolio
precursore della tempesta, si accinse a parlamcn-
tare co '1 Gran Nimico castellammarese. E il sindaco
un picciolo dottor di legge cavaliere, tutto untuo-
samente ricciutello, con omeri sparsi di forfoia,
con chiari occhietti esercitati alle dolci simulazioni.
E il Gran Nimico un degenere nepote del buon
Gargantuasso ; enorme, sbuffante, tonante, divo-
rante. II colloquio avvenne in terra neutrale ; c
LA GUERRA DEL PONTE.
323
presenti vi furono li illustri prefetti di Teramo e
di Chieti.
Ma, verso il tramonto, un lanzichenecco, en-
trato in Pescara per recare un messaggio a un
consigner del Comune, si mise in cantiua con atti
bravi a bevere; e quindi prese bravamente a gi-
rovagare. Come lo videro i tribuni, gli corsero
sopra. Tra le grida e le acclamazioni della plebe
lo spinsero lungo la riva, sine al lazzeretto. Era
il tramonto su le acque luminosissimo; e il bellico
rossore dell' aria inebriava li animi plebei.
Allora dall'opposta riva ecco una torma di
Castellammaresi, uscente di tra i salici ed i vimini,
darsi con molta veemenza di gesti ad inveire con-
tro r oltraggio.
Kispondevano i nostri con ' eguale furia. E il
lanzichenecco. imprigionato percoteva con tutta la
forza dei piedi e delle mani la porta della pri-
gione, gridando ■;
" Apriteme ! Apriteme ! "
' Tu adduormete a esse, e nen te n' incarica, "
gli gridavano per beffa i popolani. E qualcuno cru-
dehnente aggiungevagli :
" Ah, si sapisse quante se n' hanne muorte a
esse dendrel Siente Puddore? Nen te sMia cu-
menzate a smove nu poche la panze V "
324
LA GUERRA BEL.PONTE.
"Urra! Urra ! "
• Verso la Bandiera scorgevasi un luccichio di
canne di fucile. 11 sindaclietto veniva a capo di
un manipolo militare per liberar dal carcere il
lanzichenecco, a fin di non incorrere nelle ire del
Gran Nimico.
Subitamente la plebe, irritata, tumultuo ; grida
altissime si levarono contro quel vil liberatore di
Castellammaresi. >
Per tutta la via, dal lazzeretto alia citta, fii im
clamoroso accompagnamento di sibili e di contu-
melie. Al lume delle torce, la gazzan-a duro tin
che le voci non furon roche.
Dopo quel primo impeto, la rivolta si ando
svolgendo a mano a mano con nuove peripezie.
Tutte le botteghe si chiusero. Tutti i cittadini si
raccolsero su la strada, ricclii e poveri, in faini-
gliarita, presi da una furiosa smania di parlare,
di gridare, di gesticolare, di manifestare in mille
diversi modi un unico pensiero.
Ad ogni tratto giungeva un tribuno recando
una notizia. I gruppi si scioglievano, si ricompo-
nevano, variavano, secondo le correnti delle opi-
nioni. E, poiche su tutte le teste la liberta del
giorno era vitale e i sorsi delFaria letificavano
LA GUERRA DEL PONTE.
825
come sorsi di vino, si ridesto nei Pescaresi la nativa
giocondita beffarda; ed essi seguitarono a far ribel-
lione in una maniera gaia ed ironica, cosi, per il di-
letto, per il dispetto, per V amore delle cose nuove.
Li stratagemmi del Gran Nimico si moltipli-
cavano. Qualunque accordo rimaneva inosservato a
causa di abili temporeggiamenti die la debolezza
del piccolo sindaco favoriva.
II mattino d' Ognissanti, verso la settima ora,
mentre nelle chiese si celebravano i primi uffici
festivi, i tribuui si misero in giro per la citta,
seguiti da una turba che ad ogni passo accresce-
vasi e diveniva piu clamorosa. Quando V intero
popolo fu raccolto, Antonio Sorrentino arringo. La
processione, in ordine, quindi si diresse al Palazzo
comunale. Le strade erano ancora azzurre nel-
r ombra e le case erano coronate dal sole.
In vista del Palazzo un immense grido scoppio.
Tutte le bocche scagliavauo vituperii contro il le-
guleio; tutti i pugni si levavano in attitudine di
miiiaccia; tra un grido e Paltro, certe lunghe oscil-
lazioni sonore rimanevano nelP aria, come prodotte
da uno stromento; e su la confusion delle teste e
delle vesti i lembi vermigli delle bandiere sbatte-
vauo, come agitati dal largo soffio popolare.
- ■/"
320
LA OUERRA DEL PONTE.
Su '1 comunal balcone non appariva alciino. II
sole discendeva a poco a poco dal tetto verso la
gran ineridiana tutta nera di cifre e di lineo su
cui lo gnonione vibrava V ombra indicatrice. Dalla
Torretta dei D'Aummzio al campanil badiale torme
di colombi svolazzavano nell' azzurro superiore.
Le grida si moltiplicarono. Una mano di ani-
mosi diode I'assalto alio scale del Palazzo. II pic-
colo sindaco,- pallido e pavido, si arrese al volere
del popolo ; lascio .il seggio ; rinunzio all' ufficio ;
discese su la strada, tra i gendarmi, seguito clai
consiglieri. Usci quindi dalla citta ; si ritrasse su '1
colle di Spoltore.
Le porte del Palazzo furono chiuse. Un'anar-
chia provvisoria si stabili nella citta. Le milizio,
per impedire V imminente lotta tra i Castellauinia-
resi e i Pescaresi, feeero argine su-1'estremita si-
nistra del ponte. La turba, deposte le bandiere, si
avvio alia strada di Chieti ; poiclie di la era per
giungere il Prefetto chiamato in furia da un Com-
missario reale. I proponimenti parevano feroci.
Ma la mite virtu del sole a poco a poco pa-
cifico le ire. Nell' anipia strada venivano, uscenti
dalla chiesa, le femmine del contado tutte in vo-
sti di seta multicolori e coperte di gioielli gigau-
teschi, di filigrane d' argento, di collane d' oro. Lo
LA GUERRA DEL PONTE.
327
spettacolo di quelle facce, rubiconde e gioeonde
come grandi pomi, rasserenava ogni animo. I motti
ele risa nacquero spontaneamente; ed il non breve
tempo deir aspettazione parve quasi dilettevole.
Su '1 mezzodi la vettura prefettizia giunse in
vista. II popolo si dispose in semicercliio per cliiu-
derlela via. Antonio Sorrentino arringo, non senza
un certo sfoggio d'eloquenza iiorita. Li altri, fra
le pause dell' arringa, chiedevano in vari modi
giustizia contro li abusi, sollecitudine e validita di
provvedimenti nuovi. Due grandi sclieletri equini,
ancora animati, scotevano di tratto in tratto le
sonagliere, mostrando ai ribelli le gencive pallidicce,
con una smorfia di derisione. E il delegato di po-
lizia, simile non so a qual vecchio cantator di tea-
tro che ancora portasse per divozione in torno al
volto una fink barba di druido, moderava dall'al-
titudine del serpe P ardor del tribune, con cenni
gravi della mano.
Come il perorante nella foga saliva a culmini
di eloquenza troppo audaci, il Prefetto, sorgendo
su '1 predellino, colse il memento per interrompere.
Proferi una frase ambigua e timida che le grida
del popolo copersero.
~ A Pescara ! A Pescara ! "
La vettura cammino quasi sospinta dall' onda
328
LA GUERRA DEL PONTE.
popolare ed entro in citta ; e, poiche il Palazzo
era chiuso, si fermo dinanzi alia Delegazione. Died
nominati a voce dal popolo salirono insieme col
Prefetto, per parlamentare. La 'turba occupo tiitta
la via. Impazienze qua e la scoppiavano.
La via era angusta. Le case riscaldate dal solo
irraggiavano un tepor dilettoso ; e non so qual
lenta mollezza emanava dal cielo oltremarino, dal-
r erbe fliittuanti lungo le gronde, dalle rose delle
•finestre, dalle miira bianche, dalla fama stessa del
luogo. Ha il luogo fama d' albergare le piii belle
popolane pescaresi : vive e di generazione in ge-
nerazione nella contrada si va perpetuando una
tradizion di belta. La immensa casa decrepita di
Don Fiore Ussorio e un vivaio di bimbi floridi c
di fanciulle leggiadre ; ed e tutta coperta di pic-
cole logge clie sono esuberanti di garofani e clic
si reggono su rozze mensole . scolpite di masclic-
roni procaci.
A poco • a poco, le impazienze della folia si
placavano. 1 parlari oziosi propagavansi da un capo
airaltro; dalP uno alPaltro bivio.
Domenico di Matteo, una specie di Rodomontt'
villereccio,.motteggiava ad alta voce suir asinita c
r avidita dei dottori clie facevano morire li infermi
per prendere dal Comune una maggior mercede.
I
If
LA GUERRA DEL PONTE.
329
Egli narrava certe sue cure mirabili. Una volta
egli aveva un gran doiore al petto ed era quasi pros-
sinio alFagonia. Poiche il medico gli proibi di bere
acqua, egli ardeva di sete. Una notte, mentre tutti
dormivano, si levo piano piano, cerco a tentoni la
conca, vi tuffo la testa e rimase li a bevere come
un giumento, fin die la conca non fu vuota. La
mattina dopo egli era guarito. Un' altra volta egli
ed un suo compare, avendo da lungo tempo la feb-
bre terzana contro cui ogni virtu di cliinino pareva
inutile, decisero di fare una esperienza. Si trova-
vano su la riva del fiume, ed alia riva opposta
una vigna solatia li allettava con i grappoli. Si
spogliarono, si gittarono nolle fredde acque, ta-
gliarono. la corrente, toccarono V altra riva, si sa-
ziarono d' uva ; poi di nuovo attraversarono. La
terzana disparve. Un' altra volta, essendo egli in-
fermo di mal francioso ed avendo speso piu di
quindici ducati vanamente in opera di medici e di
medidne, come vide la madre attendere al bucato,
fu colto da un pensiero felice. Tracanno, V un
dopo I'altro, cinque bicchieri di lisciva; e si libero.
Ma ai balconi, alle finestre, alle logge la bella
tribii muliebre si affacciava tumultuariamente. Tutti
H uomini dalla via levavano li occhi a quelle ap-
parizioni e restavano con la faccia al sole per
330
LA GUERRA DEL PONTE.
guardare ; e. tutti, poiche la consiieta ora del pa-
ste era gia trascorsa, si sentivano la testa un
poco vacua e nello stomaco un languore infinito.
Brevi dialoghi dalla via alle tinestre si intreccia-
vano. I giovini gittarono motti salaci alle belle.
Le belle risposero cou gesti schivi, con scuotere
di capo ; o si ritrassero, o forte risero. Le fresclie
risa di quelle bocche si sgranellavano come col-
lane di cristallo, cadendo su li uomini clie gia il
desio incominciava a pungere. Dalle mura il ca-
lore s' irradiava piii largo e mescevasi al calor
dei corpi agglomerati. I riverberi bianchissimi ab-
barbagliavano. Qualche cosa di snervante e di stu-
pefacente discendeva su quella turba digiuna.
Apparve su una loggia, d' inipioyviso, la Cic-
carina, la bella delle belle, la rosa delle rose,
Tamorosa pesca, colei clie tutti hail desiato. Per
un moto unaninie, li sguardi si volsero verso di
lei. Ella, nel trionfo, stava seniplicemente, sorri-
dendo, come una dogaressa dinanzi al suo popolo.
II sole le illuminava la plena faccia di cui la carnc
e simile alia polpa di un frutto succulento. I capelli,
di quel color castaneo di sotto a cui par traspa-
risca una fiamma d' oro aranciato, le invadevano
la fronte, le tempia, il collo, mal frenati. Un na-
tivo fascino afrodisiaco lo emanava da tutta h
^^
LA GUERRA DEL PONTE.
331
persona. Ed ella stava semplicemente, tra due gab-
ble di merli, sorridendo, non • sentendosi offesa
dalle brame clie lucevano in tutti quelli ocelli in-
tent! a lei.
I merli tischiarono. I madrigali rustic! batte-
rono r al! verso la loggia. La Ciccarina si ritrasse,
sorridendo. La turba rimase nella via, quasi ab-
bac'inata dai riverberi, dalla vista di quella fem-
mina, dalle prime vertigini della fame.
Allora uno dei parlamentari, affacciatosi a una
finestra della Delegazione, disse con voce squil-
lante :
" Cittadini, si decidera la cosa fra tre ore ! "
L' EROE.
Gia i grandi stendardi di san Gonselvo erano
usciti su la piazza ed oscillavano neir aria pesan-
temente. Li reggevano in pugiio uoniini di statura
erculea, rossi in volto e con il collo gonfio di forza,
che facevano giuochi.
Dopo la vittoria su i Kadusani, la .gente di
Mascalico celebrava la festa di settembre con nia-
gnificenza nuova. Un meraviglioso ardore di reli-
gione teneva li animi. Tutto il paese sacrificava la
recente riccliezza del fromento a gloria del pa-
trono. Su le vie, da una finestra all' altra, le donne
avevano tese le coperte nuziali. Li uomini avevano
inghirlandato di verzura le porte e intiorato le so-
glie. Come soffiava il vento, per le vie era un on-
deggiamento immenso e abbarbagliante di cui la
turba s' inebriava.
Dalla cliiesa la processione seguitava a svol-
L' EROE.
333
gersi e ad allungarsi su la piazza. Dinanzi all' al-
tare, dove san Pantaleone era caduto, otto uomini,
i privilegiati, aspettavano il memento di sollevare
la statua di san Gonselvo ; e si chiamavano : Gio-
vanni Cure, rUmmalido, Mattala, Vincenzio Guanno,
Rocco di Ceuzo, Benedetto Galante, Biagio di Clisci,
Giovanni Senzapaura. Essi stavano in silenzio, com-
presi della dignita del loro ufficio, con la testa un
po' confusa. Parevano assai forti ; avevano 1' occhio
ardente dei fanatici ; portavano alii orecchi, come
le femmine, due cerchi d' oro. Di tanto in tanto
si toccavano i bicipiti e i polsi, come per misu-
rarne la vigoria ; o tra loro si sorridevano fugge-
volmente.
La statua del patrono era enorme, di bronzo
vuoto, nerastra, con la testa e con le mani d'ar-
gento, pesantissima.
Disse Mattala :
"" Avande ! "
In torno, il popolo tumultuava per vedere. Le .
vetrate della chiesa romoreggiavano ad ogni colpo
di vento. La navata s' empiva di fumo d' incenso
e di belzuino. I suoni delli stromenti giungevano
ora SI ora no. Una specie di esaltazione cieca pren-
deva li otto uomini, in mezzo a quella turbolenza
religiosa. Essi tesero le braccia, pronti.
334 l' eroe.
Disse Mattala :
"Una!... Dua!... Trea!..."
Concordemente, li uomini fecero lo sforzo per sol-
levare la statua di su Faltare. Ma il peso era sover-
chiante : la statua barcollo a sinistra. Li uomini non
avevan potuto ancora bene accomodare le mani in
torno alia base per prendere. Si curvavano tentando
di resistere. Biagio di Clisci e Giovanni Curo, meno
abili, lasciarono andare. La statua piego tutta da una
parte, con violenza. L' Ummalido gitto un grido.
" Abbada ! Abbada ! " vociferavano in torno,
vedendo pericolare il patrono. Dalla piazza veniva
un frastuono grandissimo clie copriva le voci.
L' Ummalido era caduto in ginocchio ; e la sua
mano destra era rimasta sotto il bronzo. Cosi, in
ginocchio, egli teneva li occhi fissi alia mano clie
non poteva liberare, due occhi larghi, pieni di ter-
rore e di dolore ; ma non gridava piu. Alcune
gocce di sangue rigavano V altare.
I compagni, tutf insieme, fecero forza un' altra
vol ta per sollevare il peso. L' operazione era dif-
ficile. L' Ummalido, nello spasimo, torceva la bocca.
Le femmine spettatrici rabbrividivano.
Finalmente la statua fu sollevata ; e V Umma-
lido ritrasse la mano schiacciata e sanguinolenta
che non aveva piu forma.
l' eroe.
335
"" Va a la casa, mo ! Va a la casa ! " gli gri-
dava la gente, sospingendolo verso la porta della
cliiesa.
Una femmina si tolse il grembiule e glieP of-
ferse per fasciatura. L' Ummalido rifiuto. Egli non
parlava ; guardava un gruppo d' uomini che gesti-
colavano in torno alia statua e contendevano.
" Tocca a me ! "
'' No, no ! Tocca a me ! "
" No ! A me ! "
Cicco Ponno, Mattia Scafarola e Tommaso di
Clisci gareggiavano per sostituire nelP ottavo posto
di portatore V Ummalido.
Costui si avvicino ai contendenti. Teneva la
mano rotta lungo il fianco, e. con 1' altra mano si
apriva il passo.
Disse semplicemente :
'*' Lu poste e lu mi'."
E porse la spalla sinistra a sorreggere il pa-
trono. Egli soffocava il dolore stringendo i denti,
con una volonta feroce.
Mattala gli chiese :
" Tu che vuo' fa' ? "
Egli rispose :
''Quelle che vo' sante Gunzelve." • •
E, insieme con li altri, si mise a camminare.
336
l' eroe.
La gente lo guardava passare, stiipefatta.
Di tanto in tanto, qualcuno, vedendo la ferita
che dava saogue e diventava nericcia, gli chiedeva
al passaggio :
"" L' Umma, che tieni ? "
Egli non rispondeva. Andava innanzi gravo-
mente, misurando il passo al ritmo delle musiche,
con la mente un po' alterata, sotto le vaste co-
perte che sbattevano al vento, tra la calca che
cresceva.
Air angolo d' una via cadde, tutt' a un tratto.
II santo si ferino un istante e barcollo, in mezzo
a uno scompiglio momentaneo ; poi si rimise in
cammino. Mattia Scafarola subentro nel posto vuoto.
Due parenti raccolsero il tramortito e lo porta-
rono nella casa piii vicina.
Anna di Ceuzo, ch' era una vecchia femmiiia
esperta nel medicare le ferite, guardo il membro
informe e sanguinante ; e poi scosse la testa.
" Che ce pozze fa' ? "
Ella non poteva far niente con P arte sua.
L' Umnuilido, che aveva ripreso li spiriti, non
apri bocca. Seduto, contem})lava la sua ferita, Iran-
quillamente. La mano pendeva, con le ossa stri-
tolate, oramai perduta.
Due tre vecchi agricoltori vennero a vederla.
I
L EROE.
337
Ciascuno, con un gesto o con una parola, espresso
lo stesso pensiero.
L' Ummalido chiese :
"" Chi ha purtate lu Sante ? "
Gli risposero :
" Mattia Scafarola."
Di nuovo, chiese :
"" Mo che si f a ? "
Risposero :
"" Lu vespre 'n museche."
Li agricoltori salutarono. Andarono al vespro.
Un grande scampanio veniva dalla chiesa " madre.
Uno dei parenti mise a canto al ferito un see-
ch io d' acqua fredda, dicendo :
" Ogne tante mitte la mana a qua. Nu mo ve-
nianio. Jame a senti lu vespre."
L' Ummalido rimase solo. Lo scampanio cre-
sceva, mutando metro. La luce del giorno comin-
ciava a diminuire. Un ulivo, investito dal vento,
batteva i rami contro la finestra bassa.
L' Ummalido, seduto, si mise a bagnare la
mano, a poco a poco. Come il sangue e i grumi
cadevano, il guasto appariva raaggiore.
L' Ummalido penso :
— E tutt' inutile ! E pirdute. Sante Gunzelve,
a te le offre. —
D* Annuxzio.
22
338
L EROE.
i i
■( I
II
J(
Prese un coltello, e usci. Le vie erano deserte.
Tutti i devoti erano nella cliiesa. Sopra le case
correvano le nuvole violacee del tramonto di set-
tembre, come figure d' animal i.
Nella chiesa la moltitudine agglomerata can-
tava quasi in core, al suono delli stromenti, per
intervalli misurati. Un calore intenso emanava dai
corpi umani e dai ceri accesi. La testa d' argento
di san Gonselvo scintillava dalP alto come un faro.
L' Ummalldo entro. Fra la stupetazione di tutti,
cammino sino alP altare.
Egli disse, con voce chiara, tenendo nella si-
nistra il coltello :
" Sante Gunzelve, a te le offre."
E si mise a tagliare in torno al polso destro,
pianamente, in cospetto del popolo clie inorridiva.
La mano informe si distaccava a poco a poco, tni
il sangue. Penzolo un istantc trattenuta dalli ultinii
filamenti. Poi cadde nel bacino di lame clie racco-
glieva le elargizioni di pecunia, ai piedi del pa-
trono.
L'Ummalido allora sollevo il moncherino saii-
guinoso ; e ripete, con voce chiara:
"" Sante Gunzelve, a te le offre."
I
TURLENDANA EBRO.
^j.
Quando e^li bevve P ultimo bicchiere, alPoro-
logio del Comune stavano per iscoccare due ore
dopo la mezzanotte.
Disse Biagio Quaglia, con la voce intorbidata
dal vino, come i tocchi squillarouo nel silenzio
della luna chiarissimi :
'' Mannaggia ! Ce ne vulemo i' ? "
Ciavola, quasi disteso sotto la panca, agitando
di tratto in tratto le lunghe gambe corritrici, far-
iieticava di cacce clandestine nolle bandite del
niarchese di Pescara, poiche il sapor selvatico della
lopre gli risaliva su per la gola e il vento recava
1' odor resinoso dei pini dalla boscaglia marittima.
Disse Biagio Quaglia, percotendo con i piedi
il cacciatore biondo, e facendo atto di levarsi:
' 'Jamo, Purie."
E Ciavola con molto sforzo si rizzo dondolan-
dosi, smilzo e lungo come un cane levriere.
i
1
340
TURLENDANA EBRO.
« ^
if
7amo; ca mo fanne lu passo," rispose, le-
vando la mano verso V alto, quasi in atto di au-
spicio, poiche forse pensava a una qualche migra-
zione di uccelli.
Turlendana anche si mosse; e, vedendo dietro
di se la vinattiera Zarricante die aveva fresche lo
gote e acerbe le poma del petto, voile abbiac-
ciaiia. Ma Zarricante gli sfuggi di tra le braccia,
gridandogli una contunielia.
Su la porta, Turlendana chiese ai due amici
un po' di conipagnia e di sostegno per un tratto
di cammino. Ma Biagio Quaglia e Ciavola, clie fa-
cevano un bel paio, gli volsero le spalle sgbignaz-
zando e si allontanarono sotto la luna.
Allora Turlendana si fermo a guardare la luna
che era tonda e rossa come una bolla pontificia.
I luoghi in torno tacevano. Le case biancicavano
in fila. Un gatto miagolava alia notte di maggio,
su i gradini della porta.
L' uomo, avendo nell' ebrieta una singolare in-
clinazione alia tenerezza, tese la mano pianameiite
per accarezzare 1' animale. Ma V animale, essenilo
di natura forastico,. diede un balzo e disparv(\
Vedendo un cane errante avvicinarsi, P uomo
tento di versare su quello la piena della sua be-
nevolenza amorevole. Ma il cane passo oltre, soiiza
. TURLENDANA EBRO.
341
\
rispondere al richiamo, e si mise in un canto del
trivio a rosicare certe ossa. II romore dei denti
jaboriosi udivasi distintamente nel silenzio.
Come dopo poco la porta della cantina si chiuse,
Turlendana rimase solo nel gran ^lenilunio popo-
lato di ombre e di nuvole in viaggio. E la sua
mente rimase colpita da quel rapido allontanarsi
(li tutti li esseri circostanti. Tutti dunq^ie fuggi-
vano? Che aveva egli fatto perche tutti fuggissero?
Comincio a muovere i passi incertamente, verso
il fiume. II pensiero di quella fuga universale, a
mano a mano ch' egli andava innanzi, gli occu-
pava con maggiore profondita il cervello alterato
(iai fumi bacchici. Avendo incontrato altri due cani
spersi, si fermo presso di loro quasi per esperi-
mentare e li chiamo. Le due bestie ignobili segui-
tarono a strisciarsi lungo i muri, con la coda fra
Ic gambe ; e scantonarono. Poi, quando furono piu
lontani, si misero a latrare; e subitamente da tutti
i punti del paese, dal Bagno, da Sant' Agostino,
(lair Arsenale, dalla Pescheria, da tutti i luoghi
luridi e oscuri i cani erranti accorsero, come a un
«uon di battaglia. E il coro ostile di quella tribu
di zingari famelici saliva fino alia luna.
Turlendana stupefatto, mentre una specie d'in-
quietudine gli si svegliava nelF anilno vagamente,
II
1
342
TURLENPANA EBRO.
i
I
riprese il cammiiio con passi piu spediti, di tratto
in tratto incespicando su le asperita del terreno.
Quando giunse al canto dei bottari, dove le ample
botti di Zazzetta formavano cumuli biancastri si-
mili a monunu^ifti, egli senti un interrotto resi)i-
rar bestiale. E, poiche il pensiero fisso delFosti-
lita delle bestie omai lo teneva, egli si accosto da
quella parte, con una ostinazione di ebro, per espe-
rimentare di nuovo.
Dentro una stalla bassa i tre vecchi cavalli di
Michelangelo ansavano faticosamente su la maii-
giatoia. Erano bestie decrepite die avevano logo-
rata la vita trascinando su per la strada di Cliieti
due volte al giorno la gran carcassa d' una dili-
genza plena di mercanti e di mercanzie. Sotto 1
lore pell bruni, qua e la rasati dalle bardature,
le coste sporgevano come tante canne secche di
una tettoia in rovlna ; le gambe anteriorl plegate
iM)n avevano quasi piu glnoccliia ; la scliiena era
dentata come una sega ; e il collo spelato, dove a
pena rimaneva qualche vestlglo della criniera, si
curvava verso terra cosi che talvolta le froge senza
pill soffio toccavano quasi le ugne consunte.
Un cancello di legno, malfermo, sbarrava la porta.
Turlehdana comincio a fare:
— Ush, ush, usli ! Ush, ush, ush ! —
TURLENDANA EBRO.
:
343
I
i
I cavalli non si movevano ; ma resplravano in-
sieme, umanamente. E le forme del lore corpi
apparivano confuse nelP ombra turchlniccla ; e 11
fotore dei loro aliti si mesceva al fetore dello
strame.
— Ush, ush, ush ! — segultava Turlendana, in
suono lamentevole, come quando spingeva Barbara
ad abbeverarsl.
I cavalli non si movevano.
— Ush, ush, ush ! Ush, ush, ush ! —
Uno del cavalli si volse e venne a mettere la
grossa testa deforme su '1 cancello, guardando dalli
ocelli che rllucevaiio alia luna come ripleni d'una
acqiia torblda. II labbro inferiore gll penzolava si-
mile a un lembo di pelle flaccida, scoprendo la
genglva. Le froge ad ogni soffio rlpalpltavano nel
tcnerume umidicclo del muso, e si schludevano
talvolta con la stessa mollezza d' una bolla d'arla
in una massa di llevito che ferinenta, e si rlchlu-
(levano.
Alia vista di quella testa senile, Febro si ri-
sovvenne. Perche dunque s'era empito di vino, egli
cosi sobrlo per consuetudlne? Un memento, in
mezzo air ebiieta obliosa, la forma di Barbara mo-
rd)ondo gll rlcomparve dlnanzl, la forma del ca-
mello che giaceva su '1 terreno e teneva su la
344
TURLENDANA EBRO.
!
\
paglia il luiigo collo inerte e tossiva come un uoiiio
e si agitava debolmente di tratto in tratto meiitre
ad ogni moto il ventre gontio produceva il lomore
d' un barile a meta pieno d' acqua.
Una gran tenerezza pietosa lo invase ; e V ago-
nia del camello.. con quelle scosse improvvise o
quelli strani singliiozzi rauchi die facevano sus-
sultare e vil)rare sonoraniente tutto V enorme car-
came semivivo, e con quelli sforzi atfaunosi del
collo die si sollevava un istante per ricadere sii
la paglia dando un romor sordo e grave mentro
le gambe si movevano quasi in atto di correre, e
con quel tremore continuo delli orecclii e qudP im-
mobilita del globo MV occhio die pareva gia,
spento prima d' ogni altra parte sensibile, V agonia
del camello gli ritorno nella memoria lucidamento
in tutta la sua miseria umana. Ed egli, appoggiato
. .al cancello, per un moto maccliinale della bocca
se^uitava a fare verso il cavallo di Miclielangdo :
— Ush, usli, ush ! Ush, ush, ush ! —
Con la persistenza inconscia delli ebri, con una
ebetudine crescente, seguitava, seguitava; ed era
una lamentazione monotona, accorante, quasi lu-
gubre come il canto delli .uccelli notturni.
— Ush, ush, ush ! —
Allora Michdangelo, che dal suo letto udiva,
TURLENDANA EBRO.
345
d' improvviso si affaccio alia finestra soprastante ;
e in furia si diede a caricar di contumelie e di
imprecazioni il disturbatore.
" Fijie di vatt' a jetta a la Piscare ! Vat-
tenne da ecclie ! Vattenne, ca mo pijie na varre.
Fijie di a turmenda li cristiani vuo' veni ?
"Mbriache 'vrette ! Vattenne ! "
Turlendana si rimise a camminare, verso il
liiuiie, barcollando. Al trivio dei fruttaiuoli una
torma di cani stava in conciliabolo amoroso. Come
r uonio si appresso, la torma si disperse correndo
verso il Bagno. Dal vicolo di Gesidio un' altra
torma sbuco e prese la via dei Bastioni. Tutto il
paese di Pescara, nel dolce plenilunio primaverile,
era pieno di amori e di combattimenti canini. II
mastino di Madrigale, incatenato a guardia d' un
bove ucciso, di tratto in tratto faceva sentire la
sua voce profonda che dominava tutte le altre
voci. Di tratto in tratto, qualche cane sbandato
I)assava di gran cbrsa, solo, dirigendosi al luogo
ddla mischia. Nolle case, i cani prigionieri ulu-
lavano.
Oia, un turbamento piu strano prendeva il cer-
vollo ddFebro. Dinanzi a lui, dietro a lui, in
torno a lui, la fuga imaginaria ddle cose rico-
ininciava piu rapida. Egli si avanzava, e tutte le
f
9
34G
TURLENOANA ERRO.
«|i
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cose si allontaiiavano : le nuvole, li alberi, le pietre,
le rive del fiunie, le anteiine delle bardie, le case.
Questa specie di repulsione e di reprobazione uni-
versale lo empi di terrore. Si fermo. Un gorgoglio
prolungato gli moveva le viscere. Subito, nella
mente scomposta, gli baleno un pensiero. — II
lepre ! Anclie il lepre di Ciavola non voleva piii
restare con lui ! — II terrore gli crebbe ; un tre-
mito gli prose le ganibe e le braccia. Ma, incal-
zato, discese fra i salici teneri e le alte erbe su
la riva.
La luna plena, radiante, spandeva per tutto il
cielo una dolce serenita nivalo. Li alberi s' incli-
navano in attitudini pacificlie alia contemplazione
delle acque fuggitive. Quasi un respire lento e so-
lenne emanava dal sonno del fiume sotto la luna.
Le rane cantavano.
Turlendana stava quasi nascosto tra le pianto.
Le mani gli tremavano su i ginocclii. D'improv-
viso, egli sent! sotto di se muoversi qualche cosa
di vivo : una rana ! Gitto un grido, si levo, si
diede a correre traballando, per mezzo ai salici,
in una corsa grottesca ed orrida. Pel disordino
de' suoi spiriti, egli era atterrito come da un fatto
soprannaturale.
A un avvallamento del terrene cadde, bocconi,
TURLENDANA EBRO.
347
con la faccia su P erba. Si rialzo a gran fatica, e
stette un memento a riguardare in torno li alberi.
Le forme argentee dei pioppi sorgevano imnio-
bili nelParia, taciturne; e parevano inalzarsi fine
alia luna, per un prolungamento chimerico delle
lore cime. Le rive del fiume si dileguavano inde-
finite, quasi immateriali, come le imagini dei paesi
nei sogni. Su la parte destra li estuari risplen-
(levano d' una bianchezza abbagliante, d' una bian-
cliezza salina, su cui ad intervalli le ombre gittate
dalle nuvole migratrici passavano mollemente come
voli azzurri. Piu lungi, la selva cliiudeva I'oriz-
zonte. II profumo della selva e il profumo del mare
si mescolavano.
" Oh Turlendana ! ooooli ! " grido una voce,
cliiarissima.
Turlendana, stupefatto, si volse.
"" Oh Turlendanaaaaa ! "
E P)inchi-Banche apparve, in compagnia di un
tinanziere, su '1 principle di un sentiero praticato
dai marinai tra il folto dei salci.
" Addo vai a 'st' era ? A piagne lu camelo ? "
cliiese Binchi-Banche avvicinandosi.
Turlendana non rispose subito. Si reggeva con
le mani le brache, teneva le ginocchia un po' pie-
,uato innanzi; e nella faccia aveva una cosi strana
I
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i
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348
TURLENUANA EBRO.
espression di stupidezza e balbettava cosi misere-
volmeiite die Binclii-Banche e il finanziere scop-
piarono in grasse risa.
" Va, va," disse V omiciattolo grinzoso, pren-
dendo V ebro por le spalle e incamminaiulolo verso
la marina.
Turlendana ando innanzi. Binchi-Banche ed il
finanziere seguitavano a distanza, ridendo e par-
lando a voce bassa.
Ora la verdiira terniinava e incominciavano lo
sabbie. Si iidiva niorniorare la niaretta alia foce
della Pescara.
In una specie di bassura arenosa, tra due dune,
Turlendana si incontro con la carogna di Barbara
non ancora sepolta. II gran corpo, tutto spellato,
era sanguinolento ; le masse adipose della scbiena
ancbe- erano scoperte ed apparivano d' un coloi'o
giallognolo ; su le gambe e su le cosce la pello
rimaneva con tutti i peli e i dischi callosi ; nella
bocca si vedevano i due denti enormi, angolosi,
ricurvi della mandibola superiore e la lingua bian-
chiccia ; il labbro di sotto era, clii sa perche, re-
ciso; e il collo somigliava ad un tronco di serpente.
Turlendana, in conspetto di quelle strazio, si
raise a gridare scotendo la testa. Faceva un verso
singolare, che non pareva umano.
TURLENDANA EBRO.
349
— Alio ! Aho ! Aho ! —
Poi, volendo chinarsi su '1 camello, stramazzo ;
si agito invano per rialzarsi ; e, vinto dal torppre
del vino, rimase senza conoscenza.
Binchi-Banche e il finanziere, come lo videro
cadere, sopraggiunsero. Lo presero, V uno da capo
e Paltro da.piedi; lo sollevarono, e lo adagiarono
luiigo su '1 corpo di Barbara, atteggiandolo a un
al)bracciamento d' amore. Sghignazzavano i due
operando.
E cosi Turlendana giacque co '1 camello, sino
air aurora.
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I ^ m^
SAN LAIMO NAVIGATOEE.
In un giorno di sole im pescatore discese alia
riva del mare con le nasse ; e camniino cosi veiiio
austro, a piedi nudi, su V arena ove il fiore saliiio
qua e la biancheggiava simile a un cristallo puro
e raggiante. II silenzio era grande nelPora, e lo
acque a pena fluttuavano. Come 1' uomo giunse al
punto in cui un ramo di fiume metteva foce nel
mare, si fermo per succingersi, poiclie 1' alveo qua
e la scoperto rendeva facile il guado. Un altro ramo
affluiva piu lungi; e il paradise del delta, pinguo
d' alluvioiii, in mezzo prosperava di piante e di
animali.
Volarono sopra il capo del guadante molti uc-
celli ordinati in triangolo, giocondi al cantare, e
discesero tra li alberi. Onde V uomo, allettato da
quella melodiosa delizia di richiami, sosto sul'altni
sponda ; e piacevolmente poi ando premendo la IVe-
SAN LAIMO NAVIGATORE.
351
schezza dell' erbe con le calcagna use alia sabbia
torrida, mentre le sue pupille fastidite dal candor
salino si riposavano nel verde.
Una dolce deita di pace ora f elicitava la selva :
da un albero all' altro saglienti si comunicavano i
cantici, s' aprivano a pie dei tronclii famiglie di fieri
versando aromi, e in alto tra li intervalli stellanti
delle fronde fioriva anche il cielo. Tutte le crea-
ture in quel rifugio esercitavano liberalmente la
vita. II suono de' passi tranquilli su i muschi me-
ravigliava nelP animo V uomo ; il quale cosi proce-
dendo per mezzo a quella mansuetudine di amori
si sentiva come da una pia unzione di balsamo le-
uire la fatica delle membra e purificare.
Ma quando giunse egli al centre della selva, un
miracolo gli si offerse alii occhi. Giaceva su la
natural cuna dell' erbe un infante e sorrideva, te-
norauiente luminoso, in una forma tra di essere
"inano candidissima e di fiore. Le cariii si piega-
vaiio in anella rosee ai polsi, ai malleoli, alia nuca;
e 1 piedi terminavano in quelle vaglie arborescenze
i
fj!
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354
SAN LAIMO NAVIGATORE.
SAN LAIMO NAVIGATOUE.
355
Nel lato di settentrione spaziava il parco riccliis-
sirno di selvaggina, ove tra li altri aniinali proli-
ficavano diecimila cervi e sessantamila fagiani.
Uomini esperti in opera di canto e di stromenti
arraonici dilettavano 1' aniino del signore e della sua
donna, serenavano le veglie, suscitavano gioia nei
conviti. Un unguentario componeva profumi. Uii
monaco, che tra una gente d' Arabia aveva appreso
ad usare le virtu delP erbe, coltivava i semplici, e
nei vegetali indigeni in vano cercava da tempo \u\
succo che rompesse la sterilita della matrice.
La donna del signore, infeconda, traeva i giorni
assorta in una nativa mestizia. I suoi occlii splen-
devano come puro elettro. Sotto la tunica si desi-
gnavano le forme verginali giovenilmente. E quando
ella saliva i gradini di porfiro, levata le mani verso
r altare, i capelli disciolti le inondavano la figuia
estatica, e le davano un' apparenza di deita.
Giunse al palagio 1' infante, come un dono cele-
ste. E per tutte le terre si sparse la novella ; e tutte
le genti soggette accorrevano.
Allora il sire magnifico bandi una luminaria con-
viviale. In segno di felicita, corsero giu per il collo
fiumi di vino biondi e vermigli ; si vuotarono vasi
di miele fragrante di timo ; si assaporarono frutta
grosse come una testa d' uomo ; mille giovenchi fu-
rono colpiti in un giorno, e fumigarono su le brage ;
furono sgozzati setteceiito porci enormi come rino-
ceronti ma di carni piu tenere che la coscia d' un
agnello ; cacciagioni e pescagioni furono prodigate
su vastissimi piatti d' oro, e dal ventre dei volatili
e dei pesci uscirono gemme, anelli, gioielli, mo-
neto insieme con P. uva di Corinto, co' i pistacclii
d' Italia, con le noci, con le olive. Su '1 golfo ar-
scro fuoclii di legni odoriferi, e faci illuminanti per
gran tratto il mare, cosi die galee veneziane e
saettie di corsali barbareschi da lungi videro il ros-
sore, e novellarono delP incendio di una citta fa-
volosa. II vapore delle gomme balsamiche sali al
cielo" in nembi; cantici di religione sonarono nel-
Taria, piu doici di ogni aroma; e tutte le fronti
si cinsero di corone.
L' infante si cliiamo Laimo. Adagiato in una
cuna mirabile, fatta di una conchiglia rara clie due
tritoni sorreggevano, egli volgeva in torno li occhi
aventi nel riso V umido splendore argenteo della
polpa d' un fiore. Vennero le nutrici, femmine plebee
dal seno opimo, vermigiie di salute ; ed egli ritrasse
^lal loro latte la bocca. Soltanto una cerva fulva
Jo nutrico. Questa mammifera mansueta restava a
i
I
356
SAN LAIMO NAVIGATORE.
lungo presso il fanciullo, coricata a pie della cuna ;
si cibava di fogliaini teneri, di fungbi, di froniento, e
beveva in un vaso di miina linfe pure. Al suo bra-
niito tremulo e dolce, una gioia di movimenti vivaci
animava le membra del poppante, e il piccolo anollo
delle labbra si scbiudeva spontaneamente nel riso.
Con una prodigiosa rapidita ascese Laimo dal-
V infanzia alia puerizia. Egli ebbe la testa di un
dioscuro tutta nera di ricci simili a grappoli di
giacinti. Nel suo corpo rifulse la bellezza di un
giovane Bacco, V armonioso componimento di una
statua fidiaca. II torso era una viva opera di co-
sello, poiche le coste si palesavano sotto la forma
nascente del torace; il gioco dei bicipiti nelle braccia
perfette come quelle delPAntinoo incideva su le
spalle talune lievi cavita mobilissime; le reni si
insertavano ai lombi con un' inflessione serpentina
di gimnaste; le musculature delle gambe avevano
la lunghezza agile di disegno d' un efebo ateniese;
ai malleoli si collegavano piedi scbietti e nervosi di
atleta corridore, terminanti in dita simili a un
gruppo di radici tenui ; tutta la persona gioiva nel-
V equilibrio della grazia e della forza, con mollezze
di cera ricoprenti fieri congegni di acciaio.
Cosi V effigio, in una lega di metalli nobili, un
artefice del quale ignoriamo la patria e il nonie.
SAN LAIMO NAVIGATORE.
357
Laimo non amo cavalli, ne falchi, ne cani. Egli
fu osperto nel trar d' arco pii^i clie un saettatore
parto ; e pure giammai freccia d' argento della sua
faretra feri tra li alberi una preda. Ma i grandi
combattimenti epici delli squali nel golfo, al tempo
(lelli amori, 1' attraevano. E come gli giungeva
pe '1 silenzio meridiano il fragore, egli balzava di
gioia; e, preso Parco, pianamente, non visto da
alcuno, scendeva giii per una corda di palmizio
nel parco e attraversava la selva fino al promon-
torio.
Due querci, simili a monumenti titanici del-
r epoca favolosa, componevano una porta di trionfo
alta duecento piedi. II sole illustrava di candori
argentei le scorze centenarie; e di la dalla porta
i laberinti della foresta si inabissavano nelP ombra.
II fanciullo su '1 limitare sostava, rapito nella
grandezza e nella dolcezza della solitudine. Poi,
come il fragore lontano lo riscoteva, egli, con una
agilita di veltro dietro un branco di lepri, insinua-
vasi tra fusto e fusto, strisciava tra le erbe altis-
sime,^ saliva scalee fatte di radici, saltava ostacoli
di aj-busti, piegava sotto i rami pesanti. II fragore
del combattimento si faceva a mano a mano piu
vicino e piu terribile. D' un tratto il mare chiuso
f
/•
358
SAN LAIMO NAVIGATORE.
in .un vasto anfiteatro di granito appariva splen-
diclissimo, e su le acque piu di tremila squali bat-
tagliavano.
Era un magnitico spettacolo. DalF alto del pro-
montorio il fanciullo seguiva con V occhio tutte le
vicende della strage illustrata pienamente dalki
luce solare.
I pesci, enorrai chimere d' acqua salsa, violacei
e verdi nel dorso, biancastri nel ventre, armati di
scudi ossei e d' un gran dente di narvalo, forma-
vano cumuli mobilissimi emergen ti crollanti risol-
levantisi con una rapidita indescrivibile. II balenio
delle lunghe spade d' avorio, il luccichio dei corpi
oleosi, li sprazzi d' iride nelle scaglie delle code,
lo spumeggiamento imraenso dell' acque, tutto quel
cieco furore di ferite, quelP odore acuto di grasso
e di sangue eccitavano il fanciullo.
I cadaveri, galleggianti co '1 ventre riverso den-
tro cui r avversario avea lasciato V arma, erano
sbattuti dalPonda contro le pareti di granito.
Squali, con la ftiascella rotta e priva del dente,
uscivano dal folto della zuffa e dibattendosi nelle
scosse ultimo della morte cangiavano i colori. Frani-
menti d' avorio nel cozzo erano lanciati a grandi
altezze per V aria. Avvenivano talvolta meravigliosi
intrecciamenti su la vetta dei cumuli. Talvolta
SAN LAIMO NAVIGATORE.
359
coppie di combattenti si distaccavano dalla falange
e venivano a tenzone singolare, operando prodigi
di ferocia. Larghe chiazze sanguigne si dilatavano
in torno, dissipate poi dai colpi delle pinne e delle
code; e il numero delli uccisi, crescendo rapida-
mente, avanzava quelle dei superstiti.
Allora Laimo, dinanzi alia enormita delF ec-
cidio, invaso da un fiero impeto tendeva P arco e
coniinciava a saettare. Le frecce acutissime pene-
travano sine alia cocca nelle carni molli e un
istante vi oscillavano. Ma, poiche li squali non
curando le nuove ferite persistevano nelPaccani-
niento delP ira, in breve tempo lo sterminio era
coinpleto. La sollevazione delle acque placandosi,
le schiume si dissolvevano : la tenacita della vita
in quel corpi aveva ancora qualche battito supremo
di coda e di pinne, qualche debole sussulto nella
fessura delle branchie. Poi, dalP ondeggiar supino
di tutti i cadaveri si levava un intense folgorio di
squame, e per li scoscendimenti delP anfiteatro
lunghi colli nudi d' avoltori si tendevano su '1
paste.
Cosi in Laimo li spiriti pugnaci si destarono ;
e un desiderio di avventure per le terre d'oltre--
mare a lui crebbe nelP animo. Egli passava lunghe
I
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360
SAN LAIMO NAVIGATORE.
ore guardando la marea salire o le vele fuggire
in distanza uella luminosita delle grandi acque.
Talvolta seduto ai piedi della signora, in fondo
a una loggia, seguiva sopra uno stromento di tre
corde le canzoni dei niarinari. Molte catene di fieri
pendevano giu per li intercolonnii : e dinanzi, nel
golfo calmo e tiepido, le testuggini marine doriiii-
vano su '1 fiore delF acqua dando al sole i larghi
scudi raggianti come un' ambra pura.
Laimo, d' un tratto, gittava da se lo strumento
6 scoppiava in lacrime, perche avea visto apparire
la prora di una galea nel lontano.
11 sire e la sua donna, ignorando la causa di
tanta tristezza, per letiziarlo chiamarono alia corte
i piu famosi buftbni e danzatori della cristianita ;
bandirono per lui conviti ove i piu rari cibi si
mangiarono tra suoni d' arpe e cori di fanciulle ;
gli donarono cavalli coperti di bardature gemmanti
e ricchissime armi cesellate da orefici di gran nome;
aprirono nel parco una caccia in cui durante tre
giorni mille cervi furono uccisi e dugento capri e
novanta cinghiali.
Poi, quando Laimo alfine chiese un naviglio, il
sire aduno artefici navali d' ogni patria, li prov-
vide di legno di cedro, di lino d' Egitto e di me-
talli. L' opera fu compiuta in died mesi.
SAN LAIMO NAVIGATORE.
361
Era una galea con cinque ordini di remi. L' an-
tenna maggiore, piu diritta e piu inflessibile che
un pino del monte Ida, cerchiata di argento, co-
ronata d' un gran gallo fiammeggiante come un
faro, portava una gran vela quadrata e due vele
triangolari. Su la prua, dipinta ad encausto, il
corpo magnifico di una nereide torcendosi a se-
conda della curvatura attingeva con i piedi la ca-
rena e in un gesto atteggiato di grazia tendeva
air alto le mani. Su per il bordo stavano scolpiti
agili putti bacchici che tutti insierae facevano com-
ponimento di una danza. II cedro immarcescibile
risplendeva ovunque tra li intarsi d' avorio e di
sandalo ; tende di tessuti asiatici ondeggiavano su '1
ponte ombrando letti di piume ; e tutta la galea
aveva apparenza di un naviglio su cui qualche bel
re felice volesse goder V amore delle sue spose.
Allora trassero molte genti dalle terre circon-
vicine, pe '1 giorno della prova ; e Laimo era in
vista luminoso di letizia, e il sire e la sua donna
gioivano.
Quando a forza di braccia la galea fu sospinta
nel mare, un grido immense di meraviglia eruppe
dalla folia suscitando per tutto il golfo li echi. II
mattino splendeva come in una conca di cristallo
c i fondi del mare trasparivano.
I
362
SAN LAIMO NAVIGATORE.
Laimo clopo i teneri commiati sail su '1 ponte.
Cinquanta remigatori ignudi, stropicciati d' olio di
oliva e di polvere gialla, tutti vivi di muscoli,
stretti d' una corda la testa a fin che nello sforzo
le vene della fronte non scoppiassero, si curvarono
su' loro banchi ; e la nave guizzo. Le genti dalla
riva e dai paliscalmi salutavano. Ma un subito
presentimento di sventura corse nelP animo del sire
e della sua donna, tra il lungo clamore delle sa-
lutazioni.
La galea conquistava- le lontananze, con una
crescente celerita di renieggio, inseguita dalle toi me
dei delfini. Era il mare in calma ; e i marinari,
come sogliono per alleggiamento della lor fatica,
a voce pari con la battuta dei remi cantavano. E
Laimo, poiche si sent! ventar su '1 volto V ania-
rezza della salsuggine e ridere nelP animo a quei
canti una forte gioia d' imprese, non lento d' in-
citar con le' voci e col gesto i remigatori. Egli do-
minava eretto su la sommita della prua : sotto di
lui le schiene servili s' incurvavano come arclii, i
bicipiti delle cento braccia nel guizzo enorme pa-
revano rompere la cute, le fronti si enfiavano di
vene violacee, tutte le membra stillavano.
Si mise il vento; fu spiegata la vela quadra
SAN LAIMO NAVIGATORE.
363
che un istante palpito malsicura : li uomini, rotti
dalla fatica, . si accasciarono sotto i banchi all' om-
hra. E il pilota, ch' era un erculeo vecchio della
terra di Natolia, chiomato come un barbaro, scorse
tre fuste di corsali appressarsi dalla parte di le-
vante, e disse, piegando i ginocchi davanti al
fanciullo :
" Volgiamo il tinione al ritorno, mio signore."
Laimo non udi il consigiio. I triangoli di lino
di Egitto furono liberati ; la galea fece impeto. E
come dalla parte di levante le tre fuste venivano
in contro a gran forza di remi e si vedevano gia
fuor de' bordi le bieche figure dei corsali, un su-
bito terrore invase la ciurnia. Laimo, cinto da pochi
valenti, su I'alto della prua, atteggiato d'ira aspet-
tava che le fuste giungessero a un trar d' arco.
11 fischio della prima freccia mise un gran moto
di scompiglio tra i predatori : un d' essi precipito
iieir acqua, colpito a mezzo della fronte. Altii, nel-
1' urto deir investimento, precipitarono.
Allora avvenne una breve zuffa. 1 corsali di Ci-
falonia vestivano cotte di maglia, erano agili come
gatti pardi, e gittavano urli rauchi vibrando i colpi.
Molti caddero per opera di Laimo, prima che le
loio mani toccassero la galea; molti si abbranca-
rono alle corde e conquistarono a palmo a palmo
(i
364
SAN lXimo navigatore.
il ponte. Qual vilissiino bestiame, la ciurma dei
servi dinanzi a quell' irrompere fuggiva o si pro-
strava, con gemiti. Cos! che Laimo, sopraffatto dal
numero, senza piii anne nel piigno, fii preso e vin-
colato.
Stettero i corsali lungamente poi a riguardarlo,
attoniti in vista ; e, sgombrando i cadaveri, di lui
sommessi favellavano nel loro idioma.
In breve tempo P eroe soggiogo 11 animi di
quella gente predace. Un giorno iielle acque di
Brandizio egli, salito d'un balzo sii una cocca di (ic-
novesi e separato per un colpo di mare dal leuno
corsaresco, si tenne saldo su '1 ponte nemico com-
battendo solo contro quaranta armati, uccidendone
buon numero in fascio con prodigiose ferite, te-
nendo in- distanza i rimaneuti fin che non giuiiso
il soccorso a compir la vittoria. Dopo quella gran
prova, le ciurme di Cifalonia con furiose acclania-
zioni lo elessero duce, e tutta la notte al lume del
fuoco greco banchettarono su la nave conquistata
e bevvero vino di Cipro tra molti canti bacchici.
Rapidamente la fortuna di Laimo crebbe e fioii.
Tutti i corsali del Mediterraneo e del Mar Nero,
attratti dalla sua fama, vennero a ingrossare la
flotta. Egli divenne su i mari piii potente dei re
SAN LAIMO NAVIGATORE.
365
e delle repubbliche. Una terribile avidita di con-
tiitti e di pericoli lo animava : per iattanza appicco
il fuoco alle galeazze del re di Spagna cariche
d' oro e ando a gittar le sue frecce in Malamocco.
Le ciurme gii obbedivano con impeti ciechi : per
seguire il suo grido passavano a traverse gli in-
cendi, si slanciavano contro selve di picche, si at-
taccavano con le mascelle ai parapetti delle galee,
assaltavano mura sotto fiutti d' olio bollente. Egli
sacclieggio le isole delF Arcipelago : predo mandre
di bovi e di cavalli, camelli, tessuti, vini, fromenti,
tesori di gemme e di metalli ; nulla tenendo per se,
tiitto prodigando ai seguaci.
Una volta insegui una nave carica di trecento
fanciulle tra le piu belle della Grecia e della Geor-
gia, comprate ed educate pe '1 CalifFo da un mer-
cante di Bagdad ; la raggiunse nolle acque di Scio,
e la predo. Poi, nella sera, dinanzi a un promon-
torio coperto di pini, egli bandi per la sua flotta
un convivio. La selva di pini incendiata illumino
e profumo di resina la festa ; i corsali, che nolle
continue fazioni avevano sofferto castita, fecero al-
lora una furibonda orgia di amore. I bellissimi corpi
delle fanciulle passarono di braccia in.braccia, tra
lo risa roche e le diverse favelle, versando il pia-
cere ; si bevve il vino dalle stesse bocche delli otri,
366
SAN LAIMO NAVIGATORE.
M
'J
si bevve nel concavo delli scudi e nei casclii di
rame ; scoppiarono tra la gioia molte contcse mor-
tal! ; r alba vide le ultime insanie. E all' alba ki
nave del mercatante, poiche fii novamente carica
delle trecento feminine, porto la non piu vergine
merce al Califfo di Bagdad.
Un'altra volta Laimo libero unaregina cliiusa
•in una torre a cui le nubi cingevano la sommitu.
Tenne V assedio per tre gionii e per tre notti, com-
battendo Saracini giganteschi armati di scimitarre
lunate. Molti legni gli s' infransero contro le sco-
gliere e molti uomini perirono prima che le porte
di bron'zo cedessero. Egli appicco quel cani d' iu-
fedeli ai merli della torre e ricondusse la bella
nel regno, in una citta die aveva case con tetti
d' oro e templi marmorei levantisi in alto come
scale di fieri.
Grandi festeggiamenti furono dati in gloria del-
Tarmata liberatrice e banchetti in cui quel truci
corsali mangiarono sotto rami di mirto e di lauro,
bevvero in crateri coronati di rose, si asciugaroiio
le mani in chiome di schiave asiatiche, si diste-
sero su tappeti magnifici a pie di fontane che li
deliziarono di una pioggia d' acque miste d' aronii.
La regina, presa d' amore, alletto Liiimo con una
lenta mollezza di blandizie: era tutta luminosa ed
SAN LAIMO NAVIGATORE.
367
odorosa naturalmente, le narici rosee le palpita-
vano ad ogni minimo desio, la bocca le fioriva di
porpora, e i capelli le cadevano giu per il collo
simili a grappoli d' uve mature.
Ella provo tutti li incanti su '1 forte animo del-
r eroe per trattenerlo : cieca, una notte gli offerse
la gioia delle sue membra e alPalba rimase ebra
tra i guanciali, con la testa pendula fuori della
sponda, con li occhi spenti, le braccia morte. Ma
poi, quando file di dromedari e di camelli con i
lunghi colli carichi di musici e di danzatrici por-
tando doni discesero dalla reggia al mare, le navi
delPeroe gia dirigevano ia prora per altri lidi.
Cosi Laimo divenne grande e famoso ; e fu ce-
lebrato nei canti dei poeti per le covti e nelle leg-
gende dei marinari. Una repubblica d' Italia gli
invio messaggi otfrendogii il supremo imperio della
flotta col governo di due province. II Gristianis-
siiho di Francia fece segrete pratiche per assol-
darlo, promettendogli alti uffici ed onori. I Sel-
giiicidi gli spedirono ambasciatori recanti su una
picca tre code di cavallo e gli offerirono la sultania
(li Rum, da Laodicea di Siria al Bosforo di Tra-
cia c dalle fonti dell' Eufrate all' Arcipelago.
Egli oppose superbirifiuti; ando in cerca di nuove
i
368
SAN LAIMO NAVKJATORE.
SAN LAlMO NAVIGATORE.
'( 1
terre, di nuovi pericoli, di iiuovi conflitti. Navigo
per mari tiitti coperti di fuchi natanti, dove i remi
s' impigliavano come in masse di gramigne tenaci.
Traverso immensi spazi dove V aria e V acqua tace-
vano in una immobilita di sonno, in un calore umido
e luminoso per mezzo a cui torme di uccelli ignoti
passavano simili a meteore. Incontro scogli deserti,
lieti di piante vergini, cinti d' una Candida corona
di corallo. Approdo a una terra abifata da uomini
scarni, co '1 ventre prominente, clie si coprivano di
fango per difendersi dalle punture delli insetti, si
tingevano di cinabro i capelli, parlavano una lingiui
dolce e sonora, e nulla amavano piii del ballo e
delle canzoni. Vide paesi di cui li uomini, tutti di-
pinti CO '1 frutto del genipo, ornati le labbra e li
orecchi d' enormi dischi di legno, agilissimi, feri-
vano nelP acqua a colpi di frecce i pesci addormeii-
tati prima da succhi di radici velenose. Vide isoletto
piene di una gente infetta d' elefanzia, infingarda,
che passava la vita fumando V oppio, nutrendosl
di riso, e prendendo diletto ai combattimenti dei
galli e d' altri animali. Risali correnti di fiumi dove
scimmie innumerevoli tra le pacifiche forme delli
ippopotami e delli elefanti schiamazzavano.
Tutti li indigeni dinanzi a lui si prostrarono,
offerendo in dono canne di bambu colme d' olio di
se9
cocco, frutti deir albero del pane, legno di sandalo,
ambra grigia, ignami, cera, bauane e canne di zuc-
cliero. Alcuni portavano alii orecchi bastoni di-
pinti, su la pelle avevano incise molte figure di
uccelli, e tenevano in mano archi lunghi dodici
piedi e scudi di cuoio di bufalo. Altri erano cinti
d' un perizoma di scorza, avevano la bocca e i
denti neri come V ebano per V uso delli aromi, i
capelli intrecciati di piume, e percotevano stromenti
composti di sei vasi di rame gradanti entro un
legno concave.
Ora, essendo Laimo nolle acque di una terra sel-
vosa, i naturali in gran numero gli vennero in
centre sui paliscalmi con suoni e con cantici per of-
ferirgli i doni che si ofFrono agli dei e per adorarlo.
Vigeva in quella terra la profezia di un antico
nume : « lo tornero un giorno sopra un' isola gal-
leggiante che portera cocchi, porci e cani. »
Quando Laimo ebbe attinto il lido, il re tra i
figli si avanzo verso di lui, gli gitto su le spalle
il manto, gli porse un elmo di piume, un ventaglio,
e innanzi gli depose pezzi d' oro, diamanti e perle.
Tutto il popolo mise alte grida; femmine quasi
ignude, dipinte d' ocra vermiglia, recarono piccoli
porci, noci e banane. Poi i grandi sacerdoti lenta-
mente uscirono dal folto delli alberi, portando i
D' Annunzio.
24
370
SAN LAIMO NAVIGATORE.
loro idoli coperti di drappi rossi. Erano quest!
idoli una sorta di statue di viniini, enormi, coii
ocelli composti da gusci di noce neri, attorniati di
madreperle, con mascelle irte di molti denti di
cane in due ordini. Mentre le forme orride e nuove
ondeggiavano nelF aria tra li inni della religione,
una turba di danzatrici irruppe in torno alP eroe, e
danzo rapidamente al suono di un flauto, lungo
cinque piedi, die cinque uoniini insieme sonavano.
Laimo traverse tutta V isola, in trionfo, come
fosse un bel dio, tornante fra i suoi popoli. I re si
inchinarono al passaggio, i sacerdoti prostrarono
la fronte nella polvere; il seguito delli elefanti e
dei cavalli carichi di doni si accrebbe a mano a
mano lungo la via, divenne innumerabile, occupo
la distesa di centosettanta miglia. Era la dovizia
delle terre in torno meravigliosa : le foreste si eri-
gevano ad eccelse altitudini, le urne dei fieri potc-
vano in se nascondere il corpo di un uomo, i pro-
fumi avevano la dolce forza letificante del vino e i
colori la vivezza del fuoco.
Su '1 limite di una boscaglia tluviatile le tigii
balzando dalle erbe si gittarono al ventre dei cava-
lieri. Laimo, fulmineo, tese V arco e con tal rapi-
dita le trafisse che quelle caddero prima d' avoi
SAN LAIMO NAVIGATORE. 371
raggiunta la preda, giacquero sulla schiena dibat-
teiidosi. Un subito grido di gioia e di stupore corse
per le genti ; e tutte lungo il cammino, cantando
nel loro idioma, ripetevano una parola : — Maha-
dewa ! Mahadeiva ! — .
Come il trionfo giunse alle rive del gran fiume,
ove mille templi facevano un immense adunamento
di colonne e di statue, al novello dio i sacerdoti
inostrarono una scala di porfido sagliente per una
reggia, costruita di mattoni e di calce.
Era un edifizio quadrangolare, composto di tre
piani con intervalli adorni di rilievi di pietra. I
terrazzi, aventi una lunghezza di ceutocinquanta
piedi, sostenuti da ventidue pilastri, portavano
sculture di corpi umani, di tigri, di elefanti e di
buoi. Ad ogni lato delP edifizio stava confitta nel
suolo una larga pietra in forma di testuggine : e
alia sommita, in torno a un serbatoio di acque, si
torcevano quattro tubi di bronze in forma di serpi.
Scale di porfido si slanciavano rapide a riunire
le moli, discendevano, salivano, tra mille probo-
scidi zampillanti ; le sale ricevevano il giorno dal-
1' oro delle pareti; i giardini avevano fieri vermigli,
liU'ghi in giro piu di otto piedi, che pesavano quin-'
^lici libbre, e frutti di cui la polpa succulenta po-
teva far sazi tre schiavi.
3^2
. SAN lAlMO NAVlGATOlifc:.
Lainio visse cola, in' riposo, cibandosi di uu
aroma restaurante, ungendosi di olii odoriferi, vo-
steiidosi di morbidi tessuti vegetali, e ad ogiii
tramonto di sole inebriando con la presenza del
suo corpo radioso una gente estatica nei niillc
templi. A lui cantavano i sacerdoti : — Noi t' invo-
chiamo, perche tu sei il Signoro degli dei c delli
uomini ! —
Fanciulle di tredici anni, che avevano la pellc
diafana e gialla come P ambra e lunghe sino ai
calcagni le chiome, erano a lui offerte dai padri;
ed egli molto si dilettava delP amore. Bufali ecci-
tati con ortiche venefiche e tigri furiose combat-
tevano dinanzi a lui, dentro gabbie di bambii
ampie come circhi. Anche uomini contro uomini di-
nanzi a lui combattevano con alte grida e con fra-
gore di stromenti percossi. Egli cosi deiticato viveva
neir oblio di tutte le melancolie umane.
Ma un di, mentre egli gioiva in diletti d' amore,
discese sopra il suo capo la colomba del cielo; e
un profondo fremito gli ricerco le viscere. Tar-
vegli allora di destarsi dopo un lungo soguo: i
suoi occhi si empirono di dolore, nolle sue foime
perfette discese una scarna vecchiezza. Le fanciulle
attonite lo riguardavano trascolorando, si copn-
SAN LAIMO NAVIGATORE.
373
vano le nudita con i capelli, poiclie un' improvvisa
vergogna le coglieva dinanzi a lui.
Come il tramonto del sole era vicino, sotto la
reggia un immense popolo tumultuando si fece ad
invocare il dio : — Mahadewa ! Maliadewa ! —
II sole, simile a un gran timpano polito, gittava
sciiitille su le vestimenta dei sacerdo.ti, invermi-
gliava le statue e le colonne, passando a traverse
i pilastri dei terrazzi incendiava tutto 1' editizio.
— MaJuidewa ! —
Apparve finalmente Laimo. Egli era trasfigurato.
Un nianto di scorza tessuta lo ricopriva, e si ve-
devaiio le corde dei nervi nei solchi delle sue
braccia. Come egli tese le mani verso la folia, una
mite aura di pace alio da quel gesto su tutte le
fronti. Li invocanti stupefatti si prosternarono; e
nei silenzio si udivano le fontane scrosciare sopra
le scale di porfido.
' popoli del iiume," grido Laimo nei vivo
idioma di quella terra. " Ascoltate la mia voce, poi-
clie io vi reco una nuova legge."
Un siissurro corse per tutte le genti, e nei dorsi
fu come un sommovimento di porci. I sacerdoti
sollevarono il capo.
' 1 vostri idoli sono argento ed oro, opera di
nu^fli d' uomini ; hanno bocca, e non parlano ; hanno
374
SAN LAIMO NAVIGATORE.
occhi, e non veggono; hanno orecchi, e non odono;
ed anche non hanno fiato alcuno nella loro bocca.
Simili ad essi sieno qnelli che li fiinno, chiunque
in essi si confida...."
"" No, no, egli non e il nostro dio ! " urlarono
i sacerdoti al popolo, interrompendo il profeta di
Gesu. E un gran tumulto agito la folia: taluni bal-
zarono in piedi, altri rimasero prosternati. La voce
di Laimo crebbe, cadde dair alto co '1 fragore del
tuono, e li echi dei templi sonori la ripercosseiu
"" Ascoltate la parola del vero Dio, uomini sclicr-
nitori che signoreggiate questo popolo, razza di
serpi, otri gonfiati, tamburi rimbombanti ! Egli scen-
dera su voi simile ad un flagello, dilaniera le vo-
stre carni, spargera il vostro sangue su le pietro,
spezzera le vostre ossa come vasi d' argilla, come
gusci di cocchi.
" Li artefici delle sculture son tutti quanti va-
nita, e i loro idoli non giovano nulla; ed essi son
testimoni a se stessi che quelli non veggono e non
conoscono. Essi tagliano un tronco, ne prendono
una parte, e se ne scaldano, ed anche ne accendono
fuoco per cuocere il cibo; ed anche ne fanno un
dio, e r adorano ; ne fanno una scultura, e le s' iu-
chinano, e le volgono orazione, e dicono : — Liho-
rami, perche tu sei il mio dio. — Essi non hanno
SAN rAlMO NAVIGATORE. 375
conoscimento alcuno: e i loro occhi sono incrostati
per non vedere; e i loro cuori per non intendere...."
" Taci ! taci ! " imprecarono i sacerdoti, con gesti
d'ira, minacciosi nella faccia. Li idolatri ascolta-
vano; altri da lungi accorrevano: ad ogni tratto un
clamor cupo si levava dalla turba, come un ribolli-
mento di flutti nel mare.
II profeta continuo. Egli diccva di un Dio vivente,
di un Dio grande, giusto ed eterno.
" La terra trema per la sua ira e le genti non
possono sostenere il suo cruccio. Egli spande la sua
ira sopra le genti che non lo conoscono, e sopra le
nazioni che non invocano il suo nome. Ecco, il male
passera da un' isola all' altra, e un gran turbine &i
levera dal fondo del mare; e in quel giorno li
uccisi non saranno raccolti, ne seppelliti: saranno
per letame sopra la faccia della terra."
""Taci! taci!" gridavano li idolatri, tendendo
le mani, atterriti dalla profezia.
Ma la voce di Laimo divenne d' un tratto dolce
come il suono d' uno stromento di corde, distesa
come un canto di religione. Egli diceva d' una fe-
licita seiiza fine, d' una giustizia imperante su tutte
le genti, d'una grande letizia d'amore nel giardino
dei cieli.
' Scendera il Dio, come pioggia sui campi di
376
SAN lAlMO NAVIGATORE.
SAN LAIMO NAVIGATORE.
377
riso riarsi; fara ragione ai figliuoli del misero, ai
poveri afflitti, e tiacchera V oppressore. II giusto
fiorira; e vi saia abbondanza di pace, fin die noii
vi sia piu lima. Le correiiti del fiiiine trarranno
polvere d'oro; riiscelli d' acqiie vivificanti scorre-
ranno per .I'erbe; ciascuii albero dara molte libbre
di gomnia odorifera e friitti ; ciascuii seme produvra
ricchezze; e le tigri saraiino mansiiete, i rettili uoii
avranno piu tossico, li elefanti e i bufali sosteminno
le fatiche della coltivazione. 11 Dio signoreggera da
un mare all' altro, e dal fiume fiuo alle estreinita
della terra. I re delle isole gli paglieranno tributo,
tutte le iiazioni gli daranuo inni e inceiisi di bd-
zuino; poiclie egli liberera il l)isogiioso die grida, e
il povero atflitto e colui die iion ha alcuno aiuta-
tore; egli riscotera la vita ddli sdiiavi da frode
e da violenza, e il sangue lore sara prezioso da-
vanti a lui...."
Cos! pailava il profeta, quasi cantaiido.
Le turbe ddli idolatri, soggiogate dal fasdiio
ddla voce, tacevaiio, con le fronti chine; e come
la pacificazioiie ddla luna scendeva su le foresto.
si spargeva per quelli animi un balsamo, una caliiia
piena di fresdiezza e di profumi.
Ora discese Laimo alia riva; e le genti lo segui-
tarono. Ed egli camminava innanzi ammaestrando,
i
e diceva di Gesu, del Dio novello che nacque da
una vergine, e che accomuno li uomini in una legge
d' amore.
" Egli e un Dio semplice e dolce : la sua faccia
risplende come il sole, e i suoi vestimenti sono
candidi come la luce. E tutto cio che a lui verra
chiesto con preghiere, sara fatto."
" Orsu," grido uno dei sacerdoti, " chiedi che
questa lancia dia fieri."
Prese Laimo, con un mite sorriso, la lancia dalle
niani delP uomo giallo, e la confisse dinanzi a se
nel terrene. Subitamente dal ferro sbocciarono fieri,
per prodigio, e tutte le nari aspirarono V effluvio.
Conf usi, li idolatri riguardavano. Uno di lore grido :
'^ Egli e protetto dai deinoni ! Egli ci fara
morire ! "
Altri incalzarono:
" Park, parla ; giustifica il tuo potere ! "
Un tumulto improvviso agito di nuovo la turba.
I lontani, che non aveano veduto il prodigio, fe-
cero iiYuenza con grandi clamori; e i sacerdoti in-
sinuandosi tra corpo e corpo andavano istigando
le ire, ripetevauo a gran voce:
" Egli e protetto dai demoni ! Sia gittato nel
fiume ! "
" Parla ! parla ! "
378
SAN LXIMO NAVIGATORK.
SAN LAIMO NAVIGATORE.
379
H profeta tento salire su uno delli icloli di pietra,
per dominare la tempesta. Ma la profanazione au-
dace inaspri li idolatri. Uno d' essi trasse a terra
il profeta; altri si gittarono su di lui percotendolo ;
altri gridarono:
" Al fiume ! al fiume ! Sia dato in pasto ai
gaviali ! "
Laimo, lanciato nelle acque, riapparvc incolunic
a mezzo dcUa correntia; e le frccce cadevano in-
nocue in torno a lui, come ramoscelli di belzuino.
Ed egli cosi all' albeggiare giunse alia focc; o
sopra un tronco tutto ancora lieto di fogiiamc na-
vigo pe '1 mare, lino ad un' isola dove i naturali
erano uomini pieni di tumori e di gozzi, coperti di
pelle squamosa, infetti d' una serpigine biancastra
e d'una sorta d'elefanzia. Questa gente povera e pa-
cifica non faceva uso del fuoco ; e per lo piu si nu-
triva di miele selvatico, di gomme, e dei nidi di certo
rondini indigene che prolificavano nelle caverne.
Fu accolto Laimo con segni di gioia, e gli fu-
rono offerte patate dolci su foglie di palmizio. Ed
egli, poi che per dono del Signore ebbe conoscenza
di queir idioma, parlava alii uomini e alle domic,
come un apostolo, e pazientemente li ammaestrava
in torno alle dottrine del Galileo. Molti infermi egli
guari per virtii di erbe e di fede; e a poco a poco
ando liberando 1' isola dal flagello della lebbra, pu-
rifico le scaturigini delle acque, diede insegnamenti
su I'accensione del fuoco, su la coltivazione delle
terre e su P arte di edificare le case. Visse in grande
umilta e in grande sofFerenza, espiando le antiche.
insanie, tormentato dai ricordi che per tutto gli
facevano udire lamenti di feriti e di moribondi,
vedere macchie di sangue su 'I suolo e ne '1 cielo.
Dopo lunga serie d' anni, quando i popoli del-
r isola prosperavano nel lavoro e nel buon culto di
Jesus, Laimo, che fuggiva la vita e che nulla alia
.vita omai chiedeva, fu preso d' un tratto da un infi-
nito desiderio della patria. E poiche il buon Dio
per segni manifesto d' esaudire la preghiera, egli sail
su un tronco di banano ancora carico di frutti, e
si affido alle onde.
Dinanzi al debole sostegno si apriva il mare in
calma; una torma di rondinelle indicava la via. E
il vecchio santo veniva predicando ai pesci che
tutti tenevano i capi fuori dell' acqua, e tutti in
grandissima pace e mansuetudine e ordine lo se-
guivano. Diceva egli del Diluvio, e di Giona Pro-
feta, e d' altri singolari misteri.
Come dopo cinquanta giorni apparve la patria,
vide Laimo con molto dolore una deserta aridita
380
SAN LAIMO NAVIGATORE.
I't"
di arene su i luoghi anticamente ubertosi. Le ron-
(lini lo guidarono al paradiso del delta, ancora fe-
lice di piante e di animali.
Cola, su '1 tiore delP erbe, egli si mise in ginoc-
chio, per meditare, con le braccia levate al cielo
e le palme supine ; e tenendo quella divota attitu-
dine, visse in un dolce rapimento d' estasi. II tempo
gli consuniava su le ossa le carni ; e le edere verdi
gli si attorcigliavano per i lianclii, per il petto, per
le braccia ; lentamente i caprifogli lo abbracciavano,
gli fiorivano in torno al collo, in torno ai polsi, in
torno alle caviglie sottili. I capelli di lui bianchi
cadevano ; li occhi prendevano una durezza di pie-
tra; nelli orecchi i ragni in pace tessevano la tela,
e nella palma delle mani due rondinelle avevano
fatto il nido.
Molte primavere cosi trascorsero ; e il santo an-
cora viveva in estasi, poiche li uccelli pietosi scen-
devano dai rami ar porgli le bacclie selvagge ncl
cavo della bocca inaridita. Poi finalmcnte un giorno,
su '1 vespero, P anima volo al cielo tra i cantici
delli angeli e il corpo si disfece in polvere conic
un' urna di creta.
Fine.
INDICE.
San Pantaleone Pag, 1
Annali d'Anna 21
L' idillio deUa vedova 96
La Siesta 1 10
La morte di Sancio Panza 140
II coinmialo 152
La Contessa d' Arrialfi 162
Turlendana ritorna 207
La line di Candia 223
I marenghi 241
Mungia 251
La fattura 264
II rnartirio di Gialluca 290
La Guerra del Ponte. Capitolo di eronaca pescarese 309
L' Eroe 332
Turlendana ebro 339
San Laimo navigatore 350