Arnaldo Cocchi * tt? * Le Chiese di Firenze * dal Secolo IV $ al Secolo XX wjv* V/JV W|V w{w <^Jw v/jv wjw Jfa * * tfc VOLUME I. Quartiere* * * di S. Giovanni La Basilica di San Lorenzo a' primi del secolo XV (Dal Codice di Marco di Bartolommeo Rustichi). FIRENZE . MCMIJJ & $ # $ STABILIMENTÒ PELLAS $ COCCHI CHI TI SUCCESS. X LE CHIESE DI FIRENZE DAL SECOLO IV AL SECOLO XX ARNALDO COCCHI LE CHIESE DI FIRENZE DAL SECOLO IV AL SECOLO XX Volume I. Quartiere di San Giovanni FIRENZE STABILIMENTO PELLAS Cocchi & Chiti successori 1903. Proprietà letteraria e artistica ÌHE 6ETTY CENTf R LIBRARY ALLA MEMORIA DE' MIEI CARI GENITORI. on l'assedio del 1530 fu decretata la rovina di un numero considerevole di sacri edifici che facevano corona a Firenze; ma il periodo più disa- stroso per le nostre chiese fu quello (sembra incredibile) del risorgimento artistico e lette- rario, in cui il piccone dei maestri guastanti compiè la strage. Dove non si giungeva a distruggere, si de- formava, si mutilava, si ricuopriva. Sembra si avesse in orrore l' antico per sostituire a questo il nuovo moderno. Così sparirono tanti pregevoli affreschi, furono remosse preziose ancone, sul cui fondo d'oro risal- tavano le immagini più belle e più venerande di Madonne e di Santi, che la mano del maestro con- dusse squisitamente dopo lunghe meditazioni. Quando non si trovarono altri affreschi da distruggere, si cuoprirono di calce i pietrami; e tal sorte ebbero i — Vili — macigni di San Lorenzo, i pilastri di Santa Croce, di Santa Maria Novella, di Santa Trinità, quelli di Santa Maria del Fiore. Le soppressioni degli ordini religiosi, ordinate nei secoli XVIII e XIX, causarono la chiusura o la trasformazione di molte chiese e quindi una nuova dispersione di cose d' arte. Quando poi Firenze di- venne sede temporanea della Capitale d' Italia, e la sua cerchia andò allargandosi, altri edifici sacri furono demoliti, senza che alcuno pensasse a ritrarne il mi- nimo ricordo. Infine nel riordinamento del vecchio centro della città cadevano le antiche chiesuole, scampate alla soppressione decretata da Pietro Leo- poldo e a quelle successive. Il rimpianto di tanti monumenti perduti, che pure nella loro modestia avevano tanta dovizia di memorie d'arte e di storia, mi spinse a ricercare le notizie delle chiese fiorentine. Gli Archivi di Stato, l'Arcivescovile e il Capitolare di Firenze e l'Archivio Vaticano mi offrirono pregevoli documenti e antichi elenchi, dei quali mi valsi per la compilazione del ca- talogo di tutte le chiese. Il Codice di Marco di Bar- tolommeo Rustichi, scritto nel 1425, mi fornì i disegni inediti di antiche chiese dell'epoca, molti dei quali riproduco. L' opera dovrà comporsi di cinque volumi : il 1° contiene le chiese del quartiere di San Giovanni; il 11°, ora in preparazione, comprenderà quelle del quar- tiere di Santa Maria Novella; il III , quelle del quartiere — IX — di Santa Croce ; il IV , quelle del quartiere di Santo Spirito. Tratterà inoltre anche delle chiese, oggi tutte scomparse, che sorgevano sui ponti. Il V° ed ultimo volume conterrà le notizie delle chiese suburbane. L'opera mia è frutto di ricerche pazienti e ac- curate, che solo quelli che hanno pratica di tali studi potranno apprezzare, e non saranno molti ; ma potrò chiamarmi largamente compensato se, richiamando T attenzione degli amatori d'arte antica su tante pre- ziose memorie scomparse, potrò risvegliare il desi- derio di ripristinare le chiese che ci restano — e sono ancora molte e importanti, — con bene intesi restauri, nella primitiva artistica ed elegante semplicità. Firenze, Marzo del 1903. UflfflBU LE CHIESE cenacoli, ossia le sale destinate per le quoti- diane refezioni, che ordinariamente erano cene, furono i primi edifizi, nei quali i Cristiani si con- gregarono occultamente per la preghiera. Negli Atti degli Apostoli si parla del cenacolo di Geru- salemme, ove dopo l'ascensione del Signore gli Apostoli e molti altri, nel numero di quasi centoventi, si raccolsero ad aspettare la venuta dello Spirito Santo e dove per timore de' giudei si ritiravano con gli Apostoli i novelli cristiani per fare le loro adunanze (i). Un altro cenacolo si rammenta (2), posto in Troade, ove essendosi con- gregati una domenica i fedeli di quella città per ricevere 1' Eucarestia, San Paolo predicò la sera fino alla mezzanotte. Le adunanze nei luoghi di orazione si dissero « ecclesia », nome che nel tempo della pace fu attribuito agli edifizi destinati al culto. A questi, generalmente eretti dai fondamenti, in tutte le città fu dato il nome di « basiliche ». In mezzo ai fòri delle città greche e romane, la Chiesa nascente vide uno splendido edifizio, la « basilica », ed essa lo adottò qual tipo architettonico per le sue solenni radunanze; e nell'oscurità delle (1) Marc, XIV, 15. (2) Ada Apost., XX, 7. 2 LE CHIESE catacombe il fossore cristiano, ai primi oratori che scavò nelle vi- scere della terra, dette subito la forma della basilica, che poscia, dopo la pace di Costantino, comparve più splendida, più ricca e più magnifica della profana. La Chiesa nell' adottare il tipo basilicale, ricopiò perfettamente non solo le linee generali dell' edifizio, ma ne mantenne il nome anche nelle parti accessorie. La più antica memoria del nome « basilica », con cui fu di- stinto il tempio cristiano, trovasi nei processi della causa di Felice vescovo, ove viene riferita una lettera di Alpio Ciciliano a Felice, scritta nell'anno 303, nella quale si dice: « Galatius unus ex lege vestra publice epistolas salutatorias de basilica protulerit. » Fino da quell' anno dunque la « domus in qua christiani conveniebant » è detta basilica (1). In essa si celebravano le agapi, le omelie, i cate- chismi, le ordinazioni, i concili, come ci dice Optato (2), aggiun- gendo che nel 305, cessate le persecuzioni, il concilio si radunò in Cirta, in casa di Carisio Urbano, perchè le basiliche non erano state ricostruite, e tra le ricostruite si annovera subito quella di Perpetua, nel concilio Cartaginese secondo (390). Splendide erano le basiliche cristiane anche prima della pace; onde fino da quel tempo vi si potè assegnare il posto a ciascun ordine di cristiani, come sappiamo facesse San Gregorio Tauma- turgo nella basilica da lui edificata a Neocesarea, cioè i « pec- catores » fuori della porta, gli « audientes » nel nartece, innanzi ai quali erano i « catecumeni » e i « subiecti », i quali dovevano tutti uscire dal tempio dopo la lettura della Sacra Scrittura e la istruzione, rimanendo con i fedeli i « consistentes », che prega- vano insieme ma non comunicavano, e i « comunticanti », ai quali clavasi il primo posto; gradi che sono espressi nel canone XI del concilio Niceno. Costantino nell'anno 324 ordinò che le piccole basiliche di Roma si diroccassero e a spese del fisco se ne facessero delle più (1) Armellini M., Lezioni di Archeologia Cristiana, Roma, 1898, pag. 269 e seg. (2) Era vescovo di Milevi, sotto Valentiniano e Valente. Scrisse contro i donatisti ed altri scismatici d'Africa. LE CHIESE 3 vaste, benché colla stessa forma. Esse erano vaste sale quadrilatere, divise ordinariamente in tre portici paralleli, con quello di mezzo il doppio più largo dei minori. Vi si accedeva da tre porte corri- spondenti a ciascuno dei portici, e l' estremità talvolta terminava in un' « abside », talvolta in tre. Nei portici stava raccolto il popolo ; nell' abside stavano i sa- cerdoti col vescovo. L' « abside » o « tribuna » aveva innanzi un grandioso arco detto maggiore, e il pavimento più alto, che dicevasi « bema », chiuso da cancelli o transenne. Nel fondo erano la cattedra episcopale e in giro i sedili per il clero. Due piccoli altari collocati a destra e a sini- stra dell'abside, detti uno « prothesis », l'altro « apodosis », servivano per l'oblazione liturgica, come tuttora si pratica nei riti orientali. Il corpo della basilica, detto « nave », soleva avere nel mezzo, presso l' altare, gli stalli per i cantori in due ordini paralleli alla lunghezza della nave, e poco discosto, il pulpito per 1' evangelio e l'epistola, detto « ambone », dal quale si spiegava la Scrittura e si predicava al popolo, i cui due sessi erano divisi da un tavolato. Davanti alle porte che davano accesso alla basilica era un portico, detto « portualium », e un atrio cinto di portici, nel mezzo del quale e talvolta allato della porta d' ingresso si trovava una vasca o pila, dove si lavavano le mani coloro che entravano per orare o per comunicare. Talvolta tra il « bema » e la « nave » si aggiungeva un braccio traverso ; cosicché la pianta della basilica prendeva la forma di una croce immissa (J), a cui congiungevasi il semicerchio dell'abside, che chiamavasi capo della croce. L' abside e le pareti interne della basilica erano generalmente coperte di pitture raffiguranti i grandi avvenimenti della Sacra Scrit- tura o gli atti dei martiri. Talvolta anche le pareti esterne erano decorate di dipinti. Le basiliche si dicevano « ad corpus » quando erano edificate sul sepolcro di un martire, e allora sotto l' altare avevano quella cripta che si chiama « confessione », che poi troviamo generalizzata per tutte le altre basiliche e nella quale si custodivano le reliquie dei santi. La parte più importante del tempio cristiano è 1' altare. 4 LE CHIESE L'espressione « altare » o « alta ara » o ara elevata, sulla quale si compievano i sacrifizi, è di gran lunga più antica del Cri- stianesimo. Le genti di ogni tempo e di ogni paese ebbero altari eretti in onore delle divinità da loro adorate. I santi padri non esitano a servirsi, come i pagani, della parola « ara » o « altare » ; essi sanno che non è possibile alcuna confusione, tanto è grande la distanza che passa tra il sacrifizio cristiano e l' immolazione pagana. Il primo altare fu realmente una tavola: la tavola della cena di nostro Signore, dove fu istituita V Eucarestia. Seguendo una costante tradizione, fu una tavola di legno quella su cui San Pietro celebrò a Roma i divini misteri nella casa del senatore Pudente. Questa prima disposizione non tardò a essere modificata nelle ca- tacombe. E certo che assai di buon' ora si cominciò a celebrare la liturgia sui sepolcri. Il decreto che ne ordina la celebrazione sui soli sepolcri dei martiri, è attribuito dal libro pontificale al papa San Felice (i ). Nelle basiliche cimiteriali l'altare fu quasi sempre collocato nel centro dell'abside, tra il popolo che occupava la nave e il clero. Nelle cappelle sepolcrali l'altare fu collocato nel fondo e addos- sato alla muraglia. Questo fu quasi sempre una tomba scavata nel tufo e ricoperta di una tavola di pietra detta « sepolcro a mensa », ovvero un sarcofago con un « arcosolium » di sopra. L'obbligo di celebrare la liturgia sulle memorie dei martiri è stato sempre rigorosamente osservato, e tuttora nel centro di ogni altare, in una piccola apertura, sono collocate delle reliquie di santi martiri. Questo piccolo sepolcro, che tiene luogo del grande se- polcro dei primi secoli, è talmente necessario, che se venisse a in- frangersi e fossero tolte le reliquie, non vi si potrebbe più cele- brare. La forma dei primi altari fu dunque or quella di una tavola, or quella di un sepolcro; ma la materia predominante nella loro costruzione fu la pietra. Raramente vi fu impiegato il legno, che non tardò ad essere rigorosamente proibito. Se la Chiesa or- dinò che soltanto la pietra fosse impiegata neh' erezione degli altari, (i) Duchesne, Liber Pontificalis. In vita S. Felicis : « Hic constituit super sepulcra martyrum missas celebrare ». LE CHIESE 5 e ciò in rapporto alla solidità e anche al significato simbolico, non per questo intese proscrivere l' uso dei materiali preziosi, i quali spesso furono adoperati nell'adornamento degli altari. Nella basi- lica lateranense Costantino fece collocare sette altari d'argento del peso di 260 libbre ciascuno (1) e in Santa Sofia di Costantinopoli ammiravansi altari interamente d'oro, di meravigliosa ricchezza. Verso il quinto secolo l'altare assunse ordinariamente la forma di un parallelogrammo allungato. Componevasi di sole tre lastre di marmo; due verticali all'estremità, sulle quali poggiava una terza lastra, che costituiva la mensa. Talvolta la parte anteripre era chiusa e veniva così a formare una specie di arca. Più spesso la mensa era sostenuta invece da due o da quattro colonne e anche da una sola. Una decorazione da non passarsi sotto silenzio e che rivestiva l'altare di maggiore splendore, fu una edicola a forma di baldac- chino, sostenuta da quattro colonne, inalzata sopra l'altare. Questo stupendo coronamento, tuttora esistente in molte basiliche d'Italia e specialmente di Roma, si chiamò « tegurium » o « ciborium » e la sua origine rimonta al secolo IV e serviva a sostenere i veli che chiudevano l'altare in alcuni momenti più solenni della liturgia. Alla vòlta del « tegurium », appesa a una catenella, si trovava la « colomba » o la « turricla » argentea, nella quale conservavasi l' Eucarestia, uso più comune tra i greci, che presso i latini (2). Alle così dette colombe eucaristiche furono sostituiti i vasi detti pissidi, che si conservavano prima sugli altari e poi in un tabernacolo detto « pastophorium ». Avanti il concilio di Trento si usava riporre il vaso con l'Eucarestia dentro un tabernacolo o armariolo, aperto nel muro, come quello in cui si conserva l'Olio Santo; ma ciò fu vietato nella sess. 13, c. 6, can. 7. (1) Duchesne, op. cit., voi. I. In vita S. Silvestri: « Huius temporibus « fecit Constautinus Aug. basilicas istas quas et ornavit: Basilicam Constan- « tinianam ubi posuit ista dona altaria VII ex argento purissimo pens. « lib. CC ». (2) Tra i ricchi donativi fatti da Costantino alla basilica di S. Pietro, il Liber Pontificalis ricorda : « patenam cum turrem, ex auro purissimo cum « columbam, ornatam gemmis prasinis et yachintis qui sunt numero mar- « garitas CCXV pens. lib. XXX ». 6 LE CHIESE La mensa dell'altare, durante la celebrazione dei misteri, era coperta dalle tovaglie di lino, che venivano tolte appena compiuti, uso tuttora in vigore nella liturgia del venerdì santo, giorno in cui torna a rivivere in gran parte l'antica liturgia di tutto l'anno, oltre la speciale sua propria. L'uso di porre sugli altari i lumi e i can- delieri, presso i latini fu introdotto circa il secolo X, mentre i greci mai l'adottarono. I lumi erano sparsi per la chiesa o situati innanzi le tombe dei martiri, come dice il libro pontificale, accen- nando a quelli donati da Costantino alle basiliche di San Pietro e del Laterano, ove erano situati « ante altare » (i). I candelieri che servivano alle messe solenni erano sostenuti dagli accoliti in numero di sette, i quali li deponevano in terra presso l'altare o in mezzo della chiesa e di là li toglievano due fra loro e talvolta tutti e sette, per accompagnare il diacono, che si recava all' ambone per cantare il vangelo. La forma tipica delle più antiche basiliche fiorentine possiamo desumerla da quella di San Miniato al Monte, sul genere della quale altre si trovavano in Firenze. Santa Reparata, dai ricordi che ci rimangono sparsi in molte antiche scritture, resulta che era simile a San Miniato e alla cattedrale di Fiesole. La maggior parte delle chiese di Firenze erano vòlte a oriente, di piccole proporzioni in origine e parche di ornamenti; tutte spiranti un senso di modesta e severa semplicità. Quasi tutte nei secoli XIII e XIV furono in- grandite e ricostruite nello stile architettonico allora in uso; però in quelle splendide ricostruzioni troviamo sempre osservato l'antico rito di separare mediante un muro, detto il « tramezzo », il san- tuario dalla parte riservata alle diverse classi di fedeli. Nel centro del tramezzo, oppure pendente dalla vòlta, vedevasi un grandioso Crocifisso dipinto, di cui resta tuttora qualche bellissimo esem- plare (2). I tramezzi sparirono affatto nel secolo XVI, resi inutili dalla modificata disciplina della Chiesa. (1) « farum cantharum ex auro purissimo, ante altare, in quo ardet oleus nardinus pisticus cum delfinos LXXX, pens. lib. XXX » Lib. Pont. In vita S. Silvestri. (2) Era la croce trionfale. Nella R. Galleria degli Uffizi di Firenze si ammirano tre grandi croci: una del secolo XII, una del secolo XIII e LE CHIESE 7 Il gusto cambiato e corrotto dei secoli XVII e XVIII alterò le forme di quasi tutte le chiese, nascondendo quelle parti che pote- vano apparire soverchiamente umili e modeste, per dar campo agli stucchi goffi e ineleganti, alle dorature, ai finti marmi e a tanti altri generi di ornamentazione, che vennero applicati dai primi del settecento in poi. Il culto pure, per quanto spetta agli addobbi degli altari, andò lentamente guastandosi fino al punto, che vediamo quasi in ogni chiesa trasformato V altare in una mostra di chincagliere, come giu- stamente osservava un dotto scrittore, ricoperto com' è di quadri, qua- dretti, vasi, fiori di carta, punto convenienti all' indole e alla storia della ecclesiastica liturgia e contro le rubriche, e dove spesso il minor luogo è concesso alla immagine del Crocifisso, che dovrebbe essere almeno la principale. E da augurarsi che, insieme al ripri- stinamento e ai restauri che man mano si vanno facendo alle nostre chiese, anche negli addobbi necessari al culto si tornì all' antica veneranda semplicità. una attribuita a Puccio Capanna, che risale al 1349. Se ne vedono altre in Santa Maria Novella, in San Marco, in San Felice in Piazza, in Ognissanti e in altre chiese. ECCLESIAE ATQUE ORATORIA QUAE FLORENTIAE EXISTUNT VEL EXTITERUNT QUORUM NOMINA ET VOCABULA AB ANTIQUIS CATALOGHIS DESUMPTA (1) S. Aegidii. S. Agathae. S. Ambrosi. S. Andreae ih Foro Veteri seu ad Ar cum , seu de mercato . S. Annae a Verzaria super Pra- tum. S. Antonii ad arcem Inferio- re m. S. Antonii super pontem ad Carrariam. S. Apollinaris Ep. et Mart. ex xn prioratibus (2). S. Apolloniae. SS. Apostolorum ex xn pr. SS. Augustini et Christinae in clivo, seu podio Sancti Georgii. S. Barnabae. S. Barnabae super pontem Ru- bacontis. * S. Bartholomaei in cursu Adi- mariorum. SS. Bartholomaei et Martini ad Munionem. S. Basilii ad angulum Molae, eadem est ac S. Spiritus. * S. Benedicti in Canonica. S. Bernardi abb. in Cafagiolo. S. Bernardi in Palatio. S. Bernardi in via Porcia. S. Blasii olim Sanctae Mariae supra Portam. S. Caroli ad angulum Cuculiae. S. Catharinae a Cippo. S. Catharinae ad Munionem. S. Catharinae super pontem Rubacontis. (1) L'elenco più antico delle chiese di Firenze e della diocesi risale all'anno 1275 e trovasi in un Codice dell'Archivio Vaticano, nel quale sono notate le decime imposte alle chiese della Toscana (Ardi. Vat. Cod. 240, Collectoria in Tuscia dal 1275). Con l'aiuto di questo e con i cataloghi del- l'Archivio Arcivescovile (Campione Vecchio N.° 1, Città) ho compilato l' elenco delle chiese di Firenze, trai asciando i moltissimi oratori, appar- tenenti alle confraternite, il cui elenco e le notizie storiche formeranno og- getto di altra pubblicazione. I titoli preceduti da asterisco appartengono al Codice Vaticano. (2) L'antica divisione della città in dodici priorie è affatto leggendaria. IO LE CHIESE DI FIRENZE S. Catharinae in Cafagio. S. Catharinae in Valle Funda, eadem est ac S. Vincentii. * S. Caeciliae in platea. * S. Christophori. S. Clementis, eadem est ac S. Gherardi. Conceptionis S. M. in via Scalae. Conceptionis S. M. in via Ser- vo rum. Conceptionis S. M. in Barbano. Conceptionis et S. Philippi Nerii. Corporis Domini. S. Crucis in via della Crocetta. S. Crucis ad Templum seu in Campo Martio. * S. Domini (canonica) (i). S. Dominici in Cafagio. S. Domnini, eadem est ac S. Ma- riae Nepotumcosae. S. Domitillae, eadem est ac S. Miniatis a Cippo. * S. Donati Vitulorum seu de Vecchiettis. S. Dionisii. S. Elisabethae in Capitolo. S. Elisabethae, vulgo delle Con- vertite. * S. Felicis in Pincis seu in platea. * S. Felicitatis ad caput pontis seu in platea. * S. Florentii. S. Francisci ad templum. S. Francisci a Paula. S. Francisci Salesii, vulgo il Conventino. * S. Frigidiani Ep. ex xn pr. S. Georgi i, vulgo dei Caval- leggeri. * SS. Georgii et Mamiliani in clivo seu in podio Sancti Georgii. S. Gerardi, eadem est ac Sancti Clementis. * S. Gregorii ad Moctios seu ad Arenaria. S. Hieronymi in podio Sancti Georgii. S. Hieronymi, vulgo delle Po- verine. * S. Jacobi inter vineas seu in Campo Corbolini. * S. Jacobi de S. Eusebio. * S. Jacobi inter foveas ex xii pr. * S. Jacobi Ap. super Arnum ex xii pr. SS. Jacobi et Laurentii. S. Jacobi a Ripulis. S. Jacobi Porcellanae seu Jesu Boni Pastoris. SS. Jesu, Mariae et Josephi, ea- dem est ac S. Onuphri Capuccinarum. Jesu Crucifixi Rinaldorum. (i) Con questo vocabolo nell'elenco Vaticano è indicata la canonica di San Giovanni. LE CHIESE DI FIRENZE S. T , • • • • A • lncarnationis in via Amons. S. Laurentii super pontem Ru- ! b. T « * "Pi A * A /1 ' 1 * \ Joannis Baptistae (basilica). bacontem. b. Joannis Baptistae in Arce * S. Leonis. Inferiori. S. Lucae in via S. Galli. S. Joannis Baptistae, vulgo S. Luciae ad Crucem de via. Bonifazio. * S. Luciae Magnuliorum. b. Joannis Baptistae de Freris, S. Luciae super Pratum seu prope portam Romanam. Omnium Sanctorum, seu e* b. Joannis Baptistae ad Tem- ad Sanctum Eusebium. plum. b. Joannis Baptistae, vulgo le iti o * S. Mariae, vulgo Badia. Santuccie. * s. Mariae degli Alberighi. S. Joannis decollati de S. Se- s. Mariae Angelorum in Cafa- pulcro ad caput pontis giolo. Veteris. s. Mariae Angelorum, vulgo s. Joannis Baptistae in Pinti, gli A?igioli?ii. eadem est ac SS. Josephi s. Mariae Angelorum in su- et Mariae. burbio S. Frigidiani. s. Joannis Baptistae fratrum s. Mariae Angelorum in Pinti. Xenodochorum S. Joan- s. Mariae Servorum seu in Ca- nis Jerosolymitani. fagio, seu Adnunciatae in s. Joannis Baptistae, vulgo dei Cafagio. Cavalieri. s. Mariae Adnunciatae, in via s. Joannis Evang. Bilioctorum. S. Galli. s. Joannis Evangelistae, vulgo s. Mariae Adnunciatae, vulgo San Giovannino. le Murate. SS. Josephi et Frigidiani. s. Mariae Adnunciatae, in via S. Josephi, vulgo dell' Uccel Lupicae. Falcone. s. Mariae Adnunciatae Orba- S. Josephi, eadem est ac S. Ma- teli. riae a Lilio. s. Mariae Adsumptae in arce, SS. Josephi et Mariae in Pinti. vulgo Belvedere. SS. Josephi et Mariae super * s. Mariae super Arnum. Pratum, eadem est ac s. Mariae Bigalli. S. Mariae. s. Mariae Boni Consilii. S. Juliani. s. Mariae in borg' Allegri. * s. Mariae in Campo. * S. Laurentii (basilica ambro- * s. Mariae in Capitolio ad Fo- siana). rum Vetus. I 2 LE CHIESE DI FIRENZE S. Mariae Carmelitarum. S. Mariae Charitatis ad pon- tem Rubacontis. S. Mariae ad Crucem de via. S. Mariae Ferlaupae. S. Mariae Floridae. S. Mariae in Foro Veteri, vulgo della Tromba. S. Mariae Gratiarum ad pon- tem Rubacontis. S. Mariae in horto S. Michaelis. S. Mariae Humilitatis, vulgo Sa?i Giovanni di Dio. * S. Mariae Hugonis. S. Mariae Innocentium. S. Mariae a Lilio, eadem est ac S. Josephi. * S. Mariae Majoris ex xn pr. S. Mariae Matris. S. Mariae Misericordiae Novae. S. Mariae Montis Domini. S. Mariae Monticellorum. S. Mariae in Monte Lauro seu in Candiculis. * S. Mariae Nepotumcosae. SS. Mariae et Nicolai de Cippo. S. Mariae Novellae. S. Mariae ad Nives in via S. Galli. S. Mariae ad Nives in via Gi- bellina. S. Mariae Pacis. S. Mariae Pietatis seu Cam- ptionis iuxtamoenia burgi Sancti Frigidiani. S. Mariae ad pontem Carrariae. S. Mariae de Populo. * S. Mariae supra portam, eadem est ac S. Blasii. S. Mariae in Prato, eadem est ac SS. Josephi et Mariae. S. Mariae Querceti in via S. Galli. S. Mariae Reginae Coeli, vulgo Chiarito. S. Mariae Ricciorum, vulgo la Mado?i?ia de' Ricci. S. Mariae Scalae. S. Mariae Templi. S. Mariae Virginum. S. Mariae Urbanae. * S. Mariae Verzariae. S. Mariae Magdalenae in via S. Galli. S. Mariae Magdalenae in Cafa- giolo. S. Mariae Magdalenae, vulgo le Malmaritate. S. Mariae Magdalenae in Pinti, eadem est ac S. M. Ange- lorum. S. Mariae Magdalenae in subur- bio S. Frigidiani, eadem est ac S. M. Angelorum. S. Mariae Magdalenae ad pe- dem podii S. Georgii. S. Mariae Magdalenae in Prae- torio. S. Marci Novi in Cafagio. S. Margaritae Romitarum in Cafagiolo. * S. Margaritae virg. et mart. S. Marthae, eadem est ac S. Lu- cae in via S. Galli. * S. Martini Ep., vulgo del Ve- scovo. S. Martini in via Scalae, sed primum ad Munionem. LE CHIESE DI FIRENZE 13 S. Matthaei. * S. Michaelis Bertheldae seu ad Antinorios ex xn pr. S. Michaelis ad crucem de via, eadem est ac S. Mariae Reginae Coeli. SS. Michaelis et Eusebii in po- dio canonica. S. Michaelis in horto. * S. Michaelis in palchito seu tubarum. S. Michaelis super pontem Sanctae Trinitatis. * S. Michaelis de Vicedominis. * S. Mineatis inter Turres. S. Mineatis de Cippo. S. Monicae. * S. Nicolai ultra Arnum ex xii pr. S. Nicolai in Cafagio. S. Onuphri Capuccinarum (vi- de SS. Jesu, Mariae et Josephi). S. Onuphri in Fuligno. * Omnium Sanctorum ad Car- raria. * S. Pauli ex xii pr. * S. Pancratii ad Sanctum Xys- tum. * S. Petri Cattuari, vulgo in Gattolino. * S. Petri Boni Consilii in Foro Veteri. * S. Petri Coeli aurei, vulgo Coe- lorum. * S. Petri Maioris. S. Petri mart. * S. Petri Scheradii ex xii pr. S. Philippi Nerii, eadem est ac SS. Conceptionis et S. Philippi Nerii. * SS. Proculi et Nicomedis. S. Raphaelis Archangeli in burgo S. Frigidiani. S. Raphaelis Arcangeli super pontem Rubacontis. * S. Remigii ex xii pr. * S. Reparatae (1). * S. Romuli de Ubertis. S. Rochi in Pomoerio. * S. Ruffilii ad portam urbis. Sacellum in palatio reali. * S. Salvatoris de Camaldulis. * S. Salvatoris ad Episcopium. S. Salvatoris de Ghiatto, ea- dem est ac S. Salvatoris de Camaldulis. S. Salvatoris in via S. Galli, eadem est ac S. Mariae Reginae Coeli. S. Salvatoris seu Jesu Pere- grini. S. Salvatoris in Pinti. S. Sebastiani Biniorum. S. Sebastiani in Coenobio San- ctae Mariae Servorum. S. Sebastiani prope Moenia. (1) Nel Cod. Vat. è ricordata la « Canonica fiorentina » ossia il clero di Santa Reparata. 14 LE CHIESE DI FIRENZE * S. Sepulcri de ponte Veteri. S. Sigismundi in clivo Sancti Georgii. S. Silvestri delle Santuccìe. S. Silvestri in Pinti. * SS. Simonis et Judae. S. Spiritus in Casilinis. S. Spiritus in podio, eadem est ac S. Georgii. S. Spiritus ad angulum molae, eadem est ac Sancti Basilii. S. Stephani ad Abbatiam. S. Stephani Papae in via Sca- lae, eadem est ac SS. Conceptionis. * S. Stephani ad pontem Vete- rem, seu de Canneto, seu ad portam Ferream. S. Teresiae. * S. Thomae in Foro Veteri. S. Trinitatis Catechumeno- rum. S. Trinitatis, vulgo Trinità Vecchia. * S. Trinitatis ad Pagum Re- gionis. S. Ursae si ve Ursulae in Ca- fagio. SS. Vincentii Ferrerii et Ste- phani Annalenae. S. Vincentii in palatio epi- scopi. S. Vincentii in Valle profunda, eadem est ac S. Catha- rinae. S. Viridianae. S. Xysti (fortassis). Xenodocliia, Nosocomia, Ptochotrophia, Brepliotropliia et alia aedificia quae vulgo hospitalia adpellantur S. Agnetis viduarum. S. Catharinae Rotarum. Cippi. S. Bartholomaei ad S. Petrum Cattuarium. S. Dorotheae Amentium. Capitis Pontis. S. Eligii Fabrorum. S. Catharinae ad S. Mariam Maiorem. S. Francisci. LE CHIESE DI FIRENZE 15 S. Galli. S. Gerard i. S. Gregorii. S. Jacobi in campo Corbulini, seu inter Vineas. S. Jacobi ad S. Eusebium. SS. Jacobi et Philippi de Cippo. SS. Jacobi et Philippi Porcella- nae seu Michiorum. Jesu Peregrini seu Sancti Salva- toris. S. Joannis Baptistae Baiulorum Nursinorum. S. Joannis Baptistae Bonifacii Lupi. S. Joannis Baptistae domus. S. Joannis Baptistae in Jeru- salem. S. Joannis Baptistae Decollati de S. Sepulcro Templi in Capite Pontis. S. Joannis Baptistae Fabrinio- rum. S. Joannis Baptistae ad portam veterem S. Nicolai. S. Joannis Baptistae ad portam S. Petri Cattuarii, deinde Parthenon. S. Juliani ad portam S. Ni- colai. S. Laurentii. S. Laurentii ad portam Anna- lenae. S. Luciae Bigalli. S. Luciae prope portam S. Fri- gidiani. S. Marci. S. Mariae Adnunciatae Orbatelli. S. Mariae Crucis ad Templum. S. Mariae Humilitatis seu Ve- spucciorum in suburbio Om- nium Sanctorum. S. Mariae Innocentium. S. Mariae Laudum ad S. Petrum Cattuarium. S. Mariae Misericordiae Veteris, seu Bigalli. S. Mariae Misericordiae ad S. Pe- trum Cattuarium. S. Mariae Novae. S. Mariae Scalae seu Polliniorum. S. Mariae Stincarum. S. Mariae in via Clara. S. Mariae Magdalenae in via Macciorum. S. Mariae Magdalenae, vulgo le Malmaritate . S. Martini pone Abbatiam. S. Matthaei (vide S. Nicolai Lemmi). S. Michaelis Broccardiorum. S. Nicolai ad Abbatiam. S. Nicolai Cippi. S. Nicolai Fantoniorum ad S. Pe- trum Cattuarium. S. Nicolai ad S. Felicem in platea. S. Nicolai Lemmi Balduccii, vul- go S. Matthei in Cafagio. S. Nicolai ad portam Crucis. S. Nicolai ad portam S. Nicolai. S. Onuphrii ad portam Justitiae, quod translatum fuit ad Uc- cellimi. i6 LE CHIESE DI FIRENZE S. Onuphrii in via S. Galli. S. Pancratii. S. Paulli Convalescentium. S. Paulli in Pinti seu S. Petri maioris. Pauperum prò Pinzocheris ad S. Mariam Novellarti. S. Petri Cattuarii. S. Petri Novelli. SS. Philippi et Lucae. S. Philippi Nerii seu Quarconiae. Pietatis. Purificationis Deiparae et S. Za- nobii dei Melanì. S. Reparatae. S. Rocci in via S. Galli. S. Salvatoris Bilioctorum. S. Salvii. S. Sebastiani. Spiritus Sancti ad S. Felicem. S. Thomae Aquinatis. S. Trinitatis Catechumenorum. S. Trinitatis Incurabilium. S. Trinitatis in Parione. BASILICA DI SAN LORENZO [ 393 ]- Da Paolino, diacono della chiesa di Milano, abbiamo il primo documento, d' incontrastabile autenticità, che si riferisce all' origine della basilica di San Lorenzo (i). Paolino scrive, che Sant'Am- brogio avendo inteso che il sacrilego imperatore Eugenio, sceso dalla Gallia, a gran passi si avvicinava a Milano, determinò di par- tire da quella città. Quando ciò avvenisse, non lo dice, ma sembra certo che la partenza di Ambrogio debba riferirsi all' anno 393 e non al 392, come vorrebbero il Baronio ed altri. Da Milano si recò a Bologna, quindi a Faenza, ove fermatosi alcuni giorni, ebbe invito dai Fiorentini di recarsi nella loro città per consacrare la basilica che era stata eretta in onore del martire San Lorenzo : Euge- nius suscepit ìmperiitm, qui tcbi imperare coepit, non multo post, petentibits Flaviano tum praefecto et Arbogaste comite, aram Victo- riae et sztmptus caeremoniarum, qitod Valentinianus aicgustae me- moriae adhuc in minoribus annis constitutus, peteìitibus denegaverat, oblitus fidei suae concessit. Hoc ubi cognovit Sacerdos [Ambrosius], derelicta civitate Mediola?ie?isi ad quam ille festinato veniebat, ad Bononiensem civitatem emigravit atque inde Faventiam zcsque per- rexit. Ubi cum aliqua?itis degeret diebus, invitatus a Florentinis ad Tus ciani usque descendit (2). (1) In Vita Sancii Ambrosii. (2) Sancii Ambrosii mediolanensis Episcopi, ecclesia; patris ac doctoris, opera omnia curante Paulo Angelo Ballerini. Mediolani, mdccclxxxiii, tomo VI, pag. 895 e seg. Cocchi, Le Chiese di Firenze. 2 i8 LE CHIESE DI FIRENZE È certo, che la Chiesa di Firenze era allora vacante del ve- scovo, come si deduce dallo stesso Paolino, il quale non fa parola di alcun vescovo nel descrivere la venuta e la dimora di Sant'Am- brogio a Firenze, ma lo nomina soltanto nel raccontare un fatto accaduto in questa città dopo la morte del santo arcivescovo: Intra Tusciam etiam in civitate Fiorentina, ubi mine vir S. Ze- nobius Episcopus est, quia promiserat petentibus illis eos se saephis visitaturum, frequenter ad altare quod est i?i Basilica Ambrosiana, qnae ibidem ab ipso constituta est, vistivi orare, ipso sancto viro sacerdote Zenobio referente, didicimus. E non si può ammettere che Sant'Ambrogio, esercitando un atto dei più solenni della episcopale giurisdizione in altra Chiesa, avesse tralasciato di rammentare il vescovo nel lungo ragionamento che tenne in quell' occasione, se il vescovo ci fosse stato e al quale, secondo i canoni, incombeva 1' ufficio di consacrare il tempio. Sant'Ambrogio giunse in Firenze nei primi mesi dell'anno 393 e probabilmente nei giorni quaresimali, ove accolto, come si può credere, con grandissimo giubilo di quel popolo, fece presso la Pasqua la solenne dedicazione della basilica, deponendo nell'altare le reliquie dei santi martiri Vitale e Agricola, che aveva recate da Bologna : In eadem etiam civitate basilicam constituit, in qua de- postili reliquias martyrum Vitalis et Agricolae, quorum corpora in Bononiensi civitate levaverat : posila enim era?it corpora Martyrum Inter corpora Jtidaeorum ; nec erat cognitum populo diri stiano, nisi se sa&cti Martyres sacerdoti ipsius ecclesiae revelassent. Quae cum deponerentur sub altaici quod est in eadem basilica constitutum , ma- gna illic totius plebis sanctae laetitia atque exultatio fuit, poena daemonum confitentium Martyrum merita. Quali fossero queste reliquie, sebbene non lo dica Paolino, si deduce dal discorso pronunziato da Sant'Ambrogio in quella occa- sione e che è conosciuto sotto il titolo : De Hortatione ad Virgì- nitatem, in cui chiaramente dice, che aveva recato seco il sangue trionfale, la croce e i chiodi, strumenti del martirio. Nel discorso trova pure conferma la tradizione, che fondatrice della basilica fosse una pia matrona di nome Giuliana, la quale aveva fatto voto di eri- gere un tempio in onore di San Lorenzo, se il Signore le avesse con- BASILICA DI SAN LORENZO 19 cesso un figlio (1). Qui ad conviviiim magnum ìnvitantur, apopho- reta seenni referre consueverunt. Ego ad Bononìense invitatus con- vivium, ubi sancii Martyris celebraia translatio est ; apophoreta vobis piena sanctitatis et gratiae reservavi. Apophoreta àutem solent Im- beve triumphos Principimi : et haec apophoreta triumphalia su ut ; Christi cnim nostri principis triumphi sunt martyrum palmae. A r cc vero huc dirigebam iter ; sed quia petitus a vobis sum, debili incanii de/erre quae aiiis parabantur , ne minor ad vos venir mi : ut quod in me minus est, quani praesumebatur, in martyre plus inveniretur. — Martyri nomen Agi'icola est, età Vitalis servus fuit ante, nunc cousors et collega martyrii. Precessit servus, ut providerct locum : sequutus est dominus, securus quod fide servii li ioni iuveuiret paratimi. Non aliena laudamus ; passio cìiim servi, domini disciplina est. Hic in- stila it, ille implevit. Nihil UH decerpitur ! Quomodo cnim minui potest, quod Christus donavitf Egregie et ille q 11 idem homi ni scr- viendo, didicit quomodo Christo placeret : hic tameu gcuuiuam tandem adquisivit, in ilio magisterii, in se martyrii. Certaverunt tamen inter se invicem beneficìis, postquam acquales esse meruerunt. Hic illuni ad martyrium praemisit, ille istituì accersivit. — Nullum ergo ad com- mendàtiónem hominis conditio adfert impcdimentiim : ncc dignitas prosapiae meritimi, sed fides adfert. Sive servus, sive liber, omnes in Christo unum suuius : e più sotto il Santo aggiunge : Detuli ergo vobis mimerà, quae mcis legi manibus, id est, crucis trophaea, cuiits gratta in in operibus agnoscitis Condant alij aurum atquc argentimi, ac de latentibus ernia ut veuis; legant pretiosa mo- nilium serta, tcmporalis ille thesaurus est, et saepe habentibus per- niciosus : nos legiiuus martyris clavos, et niultos quidem, ut plura fuerint vulnera quam membra. Clamare martyrem diccres ad po- pulum Judaeorum , cimi clavos eius colligcremus : mitte manus tuas in latus meum et noli esse incredulus, sed fìdelis. Colligimus san- gui ne ni triumphalcni , et crucis Ugnimi. — Haec sanctae vìduae negare (1) A questa Giuliana si crede che si riferisca il frammento di una iscrizione che si conserva nel vestibolo del Museo Buonarroti e che fu trovato nei sotterranei della basilica di San Lorenzo sul principio del se- colo XVIII. A f m Hic Requiescit In Pace (Anc)illa Dei Ju(lìana) que Vixit et 20 LE CHIESE DI FIRENZE non potiti 'miis postulanti. Munera itaque salutis occipite, quae nunc sub sacris altoribus reconduntur. Ea igitur trìduo, sonda est Juliana, quae hoc Domino templum paravit atque obtulit, quod hodie dedica- mus : digna tali oblatione, quae in sobole suo tempio iàtn Domitio pudicitioe, atque integritatis socrovit. Dum Julìanam volo dicere Judoeam dixi. Non erravit lingua ; sed definivit Sorse l'antica basilica fuori le mura della città presso il Mugnone, secondo 1' antico corso, e probabilmente in un predio di Giuliana. Dalla dedicazione fattane da Sant' Ambrogio, si disse da Pao- lino « basilica ambrosiana » ; titolo illustre che, ad onta delle vicende, ritiene tuttora, quale glorioso monumento della sua origine. Non abbiamo memorie sufficienti a provare se prima di questa chiesa altre ne esistessero in Firenze ; quindi è comunemente ritenuta per la prima e come cattedrale ; opinione che trova conferma nel ve- dere in essa deposto il corpo del vescovo San Zanobi. In una bolla del pontefice Celestino III, del dì 3 giugno del- l' anno 1 1 9 1 , diretta al priore ed al clero di questa chiesa, si legge, che essa fu il capo della Chiesa fiorentina: que caput ecclesie fioren- tine fuisse vide tur (1). Lo stesso è ripetuto in altra bolla (2) in data del 4 febbraio del 1225, diretta dal papa Onorio III a Ildebrando priore e ai canonici di San Lorenzo, nella quale si conferma la chiesa nel possesso dei suoi beni e diritti, che minutamente si de- scrivono. Papa Giovanni XXI, in una bolla dell'anno 1276, diretta al priore ed ai canonici di San Lorenzo, la riconosce come tale e la dichiara di nuovo sotto la tutela apostolica (3). Quando nel 1394 la Repubblica fiorentina decretò che per la festa di San Lorenzo i magistrati si recassero ad offerta, a ciò fu indotta per l' esservi morto San Zanobi, come correva fama, ed essere stata residenza del vescovo fiorentino. Marco di Bartolommeo Rustichi (4), orafo fiorentino, nel suo (1) Firenze, Arch. Cap. di S. Lorenzo, L. 8, Armadio H. (2) Idem, L. 9, Armadio H. (3) Idem, N. 36, Armadio H. (4) Apparteneva al popolo di Santa Maria Novella e fu matricolato nell'arte di Por Santa Maria il dì 8 giugno dell'anno 1420. (Archivio di Stato fior., Arte della Seta, 7, pag. 129 2 ). BASILICA DI SAN LORENZO 21 importantissimo codice intitolato: Dell' andata o viaggio al S. Se- polcro e al monte Sinai, compilato nell'anno 1425, ricorda la chiesa di San Lorenzo con queste parole: È vi lachiesa disanto lorenzo martire. E antichamente la detta chiesa sichiamò abrosiana era ildìiomo equivi santo zanobi abitava dipoi portato il chorpo di sa?ito ze?iobi insanta maria delfiore chongrande riverenzia (1). In un atto del 1440 di mano di ser Angiolo di Cinozzo Cini, parlandosi della nuova fabbrica della basilica, è detto : co?isiderato ipsìim temphim antiquitus ut dicitur fuisse maius civitatis E Francesco da Castiglione, in un suo discorso, afferma che alcuni adducevano de' contrassegni della sedia episcopale, che asserivano essere stata in San Lorenzo. Il Lami accenna pure alla stessa opi- nione; anzi, in nota ad una bolla di papa Alessandro III, dimostra che fu anticamente parrocchia (2). E affatto ignoto se la basilica prima del 1000 fosse restaurata o ampliata. Il Poccianti scrive, che nell'anno 828, essendo proposto di essa Gregorio IV, questi la restaurò perchè minacciava rovina e la consacrò, senza però rendere ragione donde abbia tratta questa notizia. Gregorio IV nell' 833 si recò in Francia per parlamentare con l'imperatore Lodovico il Pio e per interporsi nella riconcilia- zione tra esso e i suoi tre figliuoli, i quali gli avevano mosso guerra. E molto probabile che in questa occasione passasse da Firenze, e potrebbe ammettersi che per onorare l'antica chiesa di San Lorenzo se ne dichiarasse protettore o la ponesse sotto il patrocinio della Sede apostolica o desse mano perchè fosse restaurata, o già restau- (1) L'autore avanti di entrare nella propostasi materia, nello scrivere di alcuni santi, dei quali era in Firenze la chiesa, nel vasto margine ri- trasse in pregevoli miniature molte di esse. Questo codice apparteneva ai signori Vignali, ai quali sembra fosse rubato e per molto tempo si ritenne come smarrito. Nel 1803 fu ricuperato a vii prezzo da chi, non conoscen- done il pregio, era in procinto di farne un vile uso. Passò quindi in mano del sacerdote Antonio Dell' Ogna, rettore del Seminario fiorentino, e poi nell' Archivio Arcivescovile dove tuttora si trova. Mi è grato attestare la mia riconoscenza a Sua Ecc. Rev.ma Mons. Alfonso Mistrangelo per il permesso accordatomi di studiarlo e di riprodurre alcune delle miniature in questa mia opera. (2) EccL Fior. Mon., voi. III, pag. 1781. 22 LE CHIESE DI FIRENZE rata la consacrasse ; ma di ciò non si trova documento su cui ap- poggiare l'asserzione del Poccianti. Altre notizie riguardanti sicuramente il tempo della prima ba- silica, le abbiamo dal Regesto del Vescovado fiorentino, comune- mente detto il Bullettone (i), nel quale trovo registrato l'estratto di due contratti (2). Il primo è del 9 gennaio dell'anno 1043 e vi si legge che la chiesa di San Lorenzo era obbligata a pagare al Vescovado, a titolo di censo per certe terre da esso ricevute a fìtto, trenta soldi. La carta è di mano di Ugone notaro e copiata da Guernerio notaro, colla sottoscrizione di altri notari: Qualiter Ecclesia sancii laurentii fiorentini tenetur annuatim solvere Episcopatui fiorentino prò certis terris quas habuit ab Episco- pati nomine Census sololos triginta. Carta manti ugonis not. Exem- plata per Guernerium notarium sub M° XEIII V Idus Januarii. Il secondo è del dì 9 gennaio dell'anno 1044, e registra che Gherardo, vescovo di Firenze, concede in fitto perpetuo a prete Gisone, rettore della chiesa di San Lorenzo fuori delle mura, ot- tanta moggi di terra, posta in luogo detto Cecine ( Cetine o Citine) per l'annuo canone di trenta soldi lucchesi, da pagarsi al Vesco- vado. La carta è di mano di Pietro notaro, copiata dall'originale scritto di mano di Ugone notaro: Qualiter doni. Gherardus Episcopus florentinns concessit pre- sbitero Gisoni rectori sancii laurentii foras muros in perpetuimi imam sortem terre ad modios octoginta, positam in loco qui dicìtur Cesine, prò annuo fictu Episcopatui solvendo soldo s triginta lucensis. Carta manu Petri quondam paganucii not. ex autentico scripto 7nanu ugo- nis not. sub M° XLIIII quinto Idus Januarii Ind. 77/(3). L'antica chiesa doveva esser fatiscente e ruinosa per l'antichità, (1) Il Bullettone fu ordinato l'anno 1321 dai Visdomini, dei quali par- leremo a suo tempo, antichi custodi e amministratori della mensa del Vesco- vado fiorentino. Contiene un estratto d'istrumenti e scritture a quello appar- tenenti, che perirono in un incendio dell' Archivio Arcivescovile accaduto nel 1533. Ha universalmente tale autorità, che gli estratti che vi si riportano sono considerati come se fossero gli originali. Se ne conserva l'originale nell'Archivio Arcivescovile e una copia nell'Archivio di Stato. (2) Arch. di St. fior., Bull., pag. 19, n. 103. (3) Idem, Bull., pag. 19, n. 108. La basilica di San Lorenzo a' primi del secolo XV. (Dal Codice di Marco di Bartolommeo Rustichi, c. io'). BASILICA DI SAN LORENZO 25 quando i Fiorentini, per l' esortazioni del pio vescovo Gherardo, posero mano a riedificarla più bella e più grandiosa. Qual ne fosse la struttura, non è facile determinarlo, ma dai pochi ri- cordi che rimangono, si deduce che doveva comporsi di tre navi, senza la crociera, di buona architettura di ordine corintio, con archi semicircolari, conforme la cattedrale di Fiesole, la basilica di San Mi- niato e la chiesa dei Santi Apostoli. Era preceduta da un portico e aveva un'alta torre campanaria, come si può vedere dalla minia- tura di Marco di Bartolommeo Rustichi, dove la ritrasse conforme si trovava nel 1425. La consacrazione avvenne il dì 9 gennaio del- l'anno 1059 ab incamatione (1060 s. c.) per mano dello stesso Gherardo, allora papa col nome di Niccolò II, essendo stato eletto in Siena il 28 dicembre del 1058. Il pio pontefice, che aveva ri- tenuto il governo della Chiesa di Firenze, volle arricchire di una dote non piccola il tempio da lui consacrato, il che fece con una bolla data in Firenze il 20 gennaio dello stesso anno, diretta a Gisone rettore di esso, ai successori di lui e a tutti coloro che vi sarebbero vissuti in comune : Dilecto in domino filio gisoni ecclesie sancii hmrentii inxta flo- rentÌ7ie civitatis muros site ree lori suisque successoribus canon ice ibi- dem ordinandis omnibusque communiter victuris in perpetuimi (1). Oltre la conferma dei beni, che già possedeva, dona alla chiesa di San Lorenzo molte altre terre e possessi, che si trovavano nella parrocchia di San Marco Vecchio, ed è molto probabile che le fa- cesse donazione anche di quella chiesa. Prima di fare nella bolla la descrizione dei beni dei quali vuol darle l'investitura, ricorda il restauro della chiesa compiuto dai Fiorentini per le sue esortazioni, (1) Arch. Cap. di San Lorenzo, L. 1, Armadio H. Questa bolla con- servasi nel suo originale, munita del sigillo plumbeo pendente, in cui da un lato è effigiato San Pietro, il quale con la destra velata prende una chiave portagli da una mano che esce da una nube col motto all' intorno : Tibi Petro dabo claves regni Cel. Dal lato opposto vedesi una città con una porta e una corona con queste parole : Aurea Roma e intorno : Nicholai Papae secundi. La bolla è sottoscritta da sei cardinali, tra i quali in se- condo luogo è San Pier Damiani, che per umiltà si sottoscrive ego petrus peccator monachus, senza il titolo di cardinale e vescovo di Ostia e Velletri, quale egli era. 26 LE CHIESE DI FIRENZE la dedicazione da lui fatta, e quindi rivolgendosi al Santo lo sup- plica di accettare il volontario dono e il dominio dei beni di cui vuole arricchire la chiesa, affinchè nel tempio dedicato al suo nome, il religioso clero faccia risuonare inni di lode a Dio onni- potente : Ad gloriavi itaque illus per qnem vivimus et sumus pre- tiosissimi martyris chrìsti laarentii basilicam, nostro quidem torta- mi ne, florentinorum vero civinm sumptibus pulcra specie instauratavi episcoporum aggregato ceto propriis manibus reddidimus dedicatavi quavi nudam sine dote dimittere indignimi valde iudicavimus apo- stolica soliditate cui precipue competit honestati studendo omnibus ne dum iniuriam patientibus pia sollecitudine subvenire. Assistentium ergo fratrum hortatu, proprio quoque Consilio roborati presente fio- rentino populo prò peccatis eiusdem civitatis presidimi ob nostrani quoque devotionem denique propter totius populi salutem a nobis con- secrato altari prediorum et omnium suarum rerum quod saltem ad presens potuimus investituram apostolicam optulimus. Suscipe igitur sanctissime Laurenti Ubi iam dudum devotissimi Pape Nicolai vo- luntarium munus tuarumque rerum per me amodo et usque in sem- piternimi singulare et integrimi sine aliqua controversia aggredere dominium quatenus in aula tuo nomini dedicata religiosus clerus deo omnipotenti laudimi reboet cantica Descritti quindi i predi nei loro vocaboli, esenta la chiesa di San Lorenzo da ogni pensione e proibisce a chiunque d'ingiuriare o danneggiare gli ecclesiastici ivi canonicamente aggregati, o per qualunque motivo usurpare o diminuire le cose concedute o da concedersi loro, e a chiunque ciò tentasse, impone la pena di pa- gare centum libras prefate basilice, la metà fiorentino episcopo e il resto clericis eiusdem ecclesie. Il fine che il pontefice ebbe nel fare alla chiesa di San Lo- renzo questa donazione, fu di stabilire nel clero che la uffiziava la vita comune: cioè di abitare insieme entro il recinto della cano- nica, di cibarsi alla medesima mensa, nella maniera che costuma- vasi nel clero di molte cattedrali e, siuT esempio di queste, in altre chiese, le quali in progresso di tempo, con un titolo tanto bene appropriato, si dissero collegiate. BASILICA DI SAN LORENZO 27 Un importantissimo ricordo dell'antica chiesa lo abbiamo dal codice Rubricete Ecclesiae florentinae (1), in cui sono descritti i riti e le festività proprie della Chiesa di Firenze. Nella descrizione del rito che si praticava la domenica delle Palme, si dice che il vescovo col clero faceva la benedizione delle palme nella chiesa di San Lo- renzo e quindi processionalmente tornava a Santa Reparata pas- sando per il borgo e facendo sosta alla porta della città, la porta domus, che secondo il rito era chiusa: In dominica palmarum mane ante mediani tertiam pulsetur ad missam et clero et populo congregato imus cuni clero et populo ad ecclesiam sancii laurentii sicut consuevimus cruce precedente ibique tertia dicitur lectio et oratio etc. E qui è descritto il rito che pre- cede la benedizione delle palme: Quo finito benedicantur ab epi- scopo palme et olive secundum ordini sacramentarli quibus bene- dictis et incensatis et aqua sancta aspersis fiat senno ad populum quo facto omnes fratres nostri ibi accipiant palmani et olivas de manu episcopi vel sacerdotis et statini totus clerus et populus exeant i?i atrium ipsius ecclesie cruce precedente et faciant chorum in ipso atrio ita quod episcopus vel sacerdos cum ministris et aliis quìbusdam sociis ab occidente se colloce?it alius autem clerus ab oriente se ponat versis ad se vultibus et cruce posila corani clero qui est ab oriente episcopus vel sacerdos cum genuflexione incipial gloria laus et honor tibi sit et caìitet cum sibi absistentibus et alius clerus Rex Israel es tu etc. etc. Dani vero hec cantantur Crucifer pedetentim propinquare debet epi- scopo vel sacerdoti. Finitis vero dictis versibus episcopus vel sacerdos accipiat flores quibus dum crucem aspergit incipiat antifonavi occur- rerunt turbe qua cantata clerus ordinate cum populo revertatur can- tando antifonam pueri hebreorum et reliquas. Cum vero ventimi fuit ad portam civitatis aut ecclesie aliquantula mora ibi facta donec apc- riatur in ipso ingressa i?icipiat cantor Ingrediente domino et soncntur omnia sigila et vadant in chorum et dent palmas et olivas populo. Dalla chiesa di San Lorenzo prese nome una delle porte del secondo cerchio di mura, che chiudeva la città e non è improbabile (1) Biblioteca Riccardiana, Codice n. 3005, c. 34. Appartiene al se- colo XII. 28 LE CHIESE DI FIRENZE che 1' antica porta domus o porta episcopi del primo cerchio, talvolta fosse chiamata anche porta burgi sancii Laurentii dal vicino borgo che conduceva alla chiesa. Quando poi la basilica fosse veramente compresa nel secondo cerchio di mura, è assai incerto. Non fu sicuramente nell'anno 1078 o in quel torno, come scrive Giovanni Villani. Dal Bulletto?ie si apprende che nell'anno 1178 trovavasi fuori le mura vecchie: Qualiter dominus Julius Episcopus Florentinus concessit ad livel- lariam Morando filio quondam Martini imam domum positam supra portam bzirgi sancii laurentii extra muros veteres, de qzia dare et sol- vere promisit anntiatim Episcopatui fiorentino nomine livellari de- marios orto. Carta marni Johannis Noi. sub M° CLXXVIIJ pridie Idus Ja?iuar. Ind. XII (1). In un atto in data del dì 27 febbraio 1201, in cui vengono stabiliti i confini delle parrocchie di Santa Maria Maggiore e di San Lorenzo, il limite di quella di Santa Maria Maggiore è deter- minato a muro novo civitatis florcntie (2). Neil' anno 1 2 1 8 circa, il secondo cerchio di mura doveva essere compiuto e quindi, oltre le chiese di San Pier Maggiore e di San Jacopo tra' Fossi, doveva trovarsi già inclusa anche la basilica di San Lorenzo. A ciò non contraddice il diploma del vescovo Gio- vanni Mangiadori dell'anno 1273, nel quale conferma in perpetuo alla chiesa la proprietà dell' ospedale sotto il titolo di San Lorenzo positum prope ipsam ecclesiam iuxta muros civitatis florcntie (3), dovendosi intendere, che la chiesa si trovava presso le mura, bensì dalla parte interna. Nell'anno 1278 trovandosi in Firenze Fra Latino dei Fran- gipane, cardinale e vescovo di Ostia e Velletri, mandato da papa Niccolò III, quale legato apostolico, per pacificare la città divisa in sanguinose fazioni, dopoché il 18 di ottobre aveva solennemente benedetta la pietra fondamentale per la fabbrica di Santa Maria Novella, il dì 28 dello stesso mese consacrò nella basilica di San (1) Arch. di St. fior., Bull., pag. 318, inj°. (2) Lami, Eccl. Fior. Mon., voi. II, pag. 959. (3) Idem, voi. II, pag. 935. BASILICA DI SAN LORENZO 2 9 Lorenzo un altare, dedicato al Santo titolare, commettendo a Rug- gieri (1), arcivescovo di Pisa, di consacrare gli altari della Madonna e di San Michele Arcangiolo. Dei moltissimi ricordi relativi alla basilica di San Lorenzo, mi limiterò a riferirne alcuni dei più importanti, che riguardano co- stumanze ormai abbandonate, eccettuato 1' uffizio detto della porrea, che tuttora annualmente si celebra. In un libro di Entrata e Uscita si fa menzione di un censo, che il Capitolo pagava ogni anno il 22 di luglio, festa di Santa Maria Maddalena, alla famiglia Ughi, detta degli Avvocati, e con- sisteva in una spalla di castrato di cinque libbre, un anno cotta in forno e un anno con 1' intingolo, in una spalla castratina guani mìsimus Bindo de Advocatìs, nel 1405 lib. 5 di castrone per lardo erbucce e crocìtura del forno fu per censo. Nel 1420 lib. 5 e once 3 di castrone e per agresto e cipolle e lardo e salina ebbe V intin- golo La famiglia Ughi mandava in contraccambio al Capi- tolo una quantità di melloni (2) con quest'ordine: che un anno il Capitolo mandava la spalla di castrato agli Ughi e riceveva da essi i melloni ; un anno gli Ughi mandavano al Capitolo i melloni e ricevevano da esso la spalla di castrato. In una partita dell'anno 1359 si legge : in spalla castronis dato prò mellonibus e in un' altra del 1395 il camarlingo scrive: per una spalla di castro?ie per Nic- colò di Dante (degli Ughi) che manda i melloni e/c. mandagliene io : quest' anno che viene ho a mandare per esso (3). Qual fosse il motivo di questo censo e quando avesse prin- cipio, non si può determinare. Sembra però che gli Ughi avessero donato una parte del terreno, quando nel secolo XI fu riedificata la chiesa. Il censo fu regolarmente pagato fino all'anno 15 17, uè si sa per quale motivo cessasse. Il dì 26 dicembre di ogni anno, il Capitolo pagava alla Badia eli (1) Questi è l'arcivescovo Ruggieri, di cui parla Dante nell' Inferno^ Canto XXXIII. (2) Mellone, frutto simile alla zucca lunga ; però di sapore e colore simile al cetriuolo, ma più scipito. (3) Cianfogni Pier Nolasco, Memorie Istorichc dell' Ambrosiana R. Basilica di S. Lorenzo, pag. 133. 30 EE CHIESE DI FIRENZE Firenze otto denari distinti in 12 piccioli, i quali dopo presentati all'Abate inter missarum solemnia venivano restituiti per gli anni successivi. Sembra che questo censo fosse un' antica obbligazione unita a qualche fondo venuto al Capitolo per ragione di compra o di donazione fattagli. Dentro i quindici giorni dopo la festa di San Lorenzo, il Ca- pitolo era tenuto a celebrare un solenne anniversario in suffragio dell'anime dei priori, dei canonici, dei cappellani, dei chierici, dei famigliari e dei benefattori della chiesa, e in quella mattina si soleva imbandire nel refettorio una mensa, composta di carni di castrato e di porco, con altre pietanze e alcune torte di porri ; ond' è che l' uffìzio che si faceva in questo giorno era chiamato l'uffizio della porrea o porrata. Di una di, queste mense troviamo l'appresso ricordo: A dì 21 Agosto. Per la porrea libbre trentaquattro di castrone, do- dici di porco fresco, dodici di carne secca, fagiuoli, cavoli, zafferano, porri , dei quali se ne trovano notati ventidue mazzi, mostarda e una metadella di malvagia. Questa mensa trovasi ricordata l' ultima volta nell'anno 1409 e se fu veramente l'ultima non si sa, mancando per tre anni i libri del sagrestano. E certo però che fu dismessa, perchè nel 141 3 e nei seguenti non si trova più notata la spesa, ma solamente si trova una distribuzione in denari fatta al clero in quella mattina. Ma se cessò 1' uso della refezione propria di questo giorno, si continuò però 1' anniversario per tutti i defunti della fa- miglia con la benedizione delle sepolture, e questo uffizio chiamasi sempre 1' uffizio della porrea, dalla pietanza di porri che si dava in quel giorno. Una deliberazione della Repubblica in data del 10 febbraio 1394 stabiliva che i consiglieri della Mercanzia, 1' università dei Mercanti, il proconsolo e i consoli di tutte le arti dovessero recarsi ogni anno in perpetuo per la festa di San Lorenzo ad offerta et dimitterc torchiettos de cera, come si praticava per le feste titolari di molte altre chiese. Nelle prime decadi del secolo XV furono iniziati i lavori per la costruzione della nuova chiesa, minacciando l' antica di andare in rovina; non già per essere stata distrutta da un incendio, come BASILICA DI SAN LORENZO 31 scrisse il Del Migliore e altri ripeterono; la quale erronea opinione fu vittoriosamente combattuta dal Moreni (1). Il 22 di dicembre del 141 8 i canonici di San Lorenzo do- mandano che, dovendosi secondo il nuovo disegno allargare ed allun- gare la parte posteriore del corpo della chiesa per edificarvi le cappelle e la sagrestia, sia loro concesso di occupare la strada detta Via dei Preti e abbattere alcune case poste dentro quello spazio. Il dì 16 marzo del 1435 fu ordinato l'ingrandimento della piazza e il dì 10 marzo del 1448 si proponeva di riparare la chiesa e di condurre a perfezione il dormitorio della canonica. Dal Vasari (2) si rileva che due volte e con diverso disegno fu intrapresa la nuova fabbrica della chiesa : la prima volta dal Capitolo e dai popolani col disegno del priore, persona che faceva professione d'intendersi e si andava dilettando dell' architettura per passatempo ; la seconda dai Medici e da alcuni cittadini della par- rocchia, col disegno di Filippo Brunelleschi. Giovanni d'Averardo, detto Bicci, de' Medici, al quale Brunel- lesco aveva biasimato in più cose la nascente fabbrica e che era stato, dall' esortazioni di quello, animato a intraprendere, come ric- chissimo, un' altra fabbrica assai più magnifica, risolvè, secondo la promessa fattane, unitamente con Cosimo e Lorenzo suoi figliuoli e con le famiglie nominate dal Vasari, di porre mano all' opera e ne fece fare il disegno a quel celebratissimo architetto. Che questa sua risoluzione seguisse nell'anno 1421 si può arguire da un libro del camarlingo di quell' anno, in cui si legge questa partita : A dì 10 d' agosto per libbre dieci cialdoni, per pesche e finocchio, c noci schiacciate, per la seconda colazione che si fece in casa di Scr Neii e fuvvi il Vicario e gli operai e i maestri, che s' andò detta sera e detto il Vespro a processione ; ed ognuno e priore e canonici col- V ulivo in mano ; e poseronsi dietro al campanile, ed ognuno diede una marrata dove si debbon fare i fondamenti. Questi fondamenti da farsi, sembra non potersi mettere in dubbio esser quelli della (1) Descrizione della gran Cappella delle pietre dure e della Sagrestia vecchia di San Lorenzo, pag. 50 e segg. (2) Le opere di Giorgio Vasari con nuove annotazioni e commenti di Gaetano Milanesi, tomo II, pag. 368 e segg. 3-° LE CHIESE DI FIRENZE fabbrica che si doveva intraprendere dai Medici, non potendo inten- dersi quelli della prima, alla quale si sa per certo che fu dato principio, a spese del Capitolo e dei popolani, circa il 141 9. Fattasi dunque coli' accennata cerimonia la benedizione dei fon- damenti e atterrate le case di Via dei Preti, fu posto mano al la- voro della nuova fabbrica, lasciando però in piedi la vecchia chiesa per conservarla il più che fosse possibile al culto. L' antica chiesa estendevasi in lunghezza dalla porta maggiore fino presso le porte laterali della nuova; anzi la maggior porta trovavasi appunto ove è quella della nuova, avendo ordinato la Repubblica che tutto l'ac- crescimento di questa, si facesse per la parte posteriore di quella e ciò per non accorciare la piazza. Alla munificenza di Giovanni d'Averardo, detto Bicci, de' Me- dici, devonsi la sagrestia e due cappelle ; una dentro la sagrestia medesima, l' altra contigua ; i quali edifizi quando Giovanni morì, il che avvenne nel 1428, erano già compiuti. La cappella maggiore, insieme con tutto il corpo della chiesa, si deve a Cosimo pater pa- triae, il quale, vedendo che il Capitolo non ne veniva a termine, si obbligò di far costruire da' fondamenti quelle due fabbriche. Alla morte del Brunellesco era già compiuta la sagrestia, ma non così la croce della chiesa e la tribunetta, la quale non fu ese- guita conforme le intenzioni del Brunellesco. L'architetto che guastò il disegno fu Antonio Manetti, come si ricava da una lettera pub- blicata dal Gaye. Alla edificazione della nuova chiesa cooperarono i Rondinelli, i Ginori, i Dalla Stufa, i Neroni, i Ciai, i Marignolli, i Martelli e Marco di Luca, ai quali furono assegnate le cappelle (1) della cro- ciera, mentre ai popolani si concessero quelle lungo le navi minori. (1) Tra gli officia pia che si facevano per i defunti, era compresa la celebrazione del SS. Sacrifizio, che San Cipriano chiama sacrificium prò dormitione e il Sacramentario gelasiano, missa prò depositione. Le oblationes prò dormitione dei defunti ben presto divennero quotidiane e a queste in- tervenivano non solo i sacerdoti, ma gli amici e i parenti dei trapassati. Per queste adunanze si moltiplicarono i cubiculi nelle catacombe, i quali dopo la pace si vennero aggruppando intorno alle basiliche e poscia, in- corporando con queste, dettero origine alle odierne cappelle gentilizie delle nostre chiese. BASILICA DI SAN LORENZO 3-3 I migliori maestri concorsero ad abbellire con squisite opere d' arte questa basilica. Donato di Betto di Bardo, detto Donatello, oltre i due magnifici amboni, condotti a fine da Bertoldo, eseguì nella sagrestia i quattro tondi nei peducci della cupola con gli evangelisti e le porte di bronzo, decorate di bassorilievi bellissimi, il busto di terra cotta rappresentante San Leonardo, il cassone di marmo che si vede nel centro della sagrestia, sotto la gran tavola di porfido e di marmo, dove si parano i preti. Questo monumento trovasi sopra due antichi avelli della famiglia Medici e vi si leg- gono due iscrizioni, dovute al Poliziano : SI MERITA IN PATRIAM SI GLORIA SANGVIS ET OMNI LARGA MANVS NIGRA LIBERA MORTE FORENT, VIVERET HEV ! PATRIAE CASTA CVM CONIVGE FELIX AVXILIVM MISERIS PORTVS ET AVRÀ SVIS. OMNIA SED C/VANDO SVPERANTVR MORTE JOANNES HOC MAVSOLEO TVQVE PICARDA JACES. ERGO SENEX MOERET JVVENIS PVER OMNIS ET AETAS ORBA PARENTE SVO PATRIA MOESTA GEMIT Dalla parte opposta leggonsi queste parole : COSMVS ET LAVRENTIVS DE MEDICES V CL. JOHANNIS AVERARDI F. ET PICARDAE ADOVARDI F. CARISSIMIS PARENTIBVS HOC SEPVLCRVM FACIVNDVM CVRARVNT OBIIT AVTEM JOHANNES X KAL. MARTIAS MCCCCXXVIII PICARDA VERO XIII KAL. MAJAS QVINQVENNIO POST E VITA MIGRAVIT. Piccarda di Nannino d' Odoardo, donna piissima al par di Gio- vanni suo marito, a lui congiunta fino dal 1386, apparteneva alla nobilissima famiglia fiorentina de' Bueri, spenta nel 1494. Opera di Donatello è pure una cassa « a uso di zana fatta di vimini perchè servisse di sepoltura », ordinata dalla famiglia Martelli. Ad esso è pure attribuito il « lavabo », che altri vorreb- bero invece opera di Antonio Rossellino. Andrea Del Verrocchio eseguì la sepoltura di Giovanni e di Piero di Cosimo de' Medici, che si ammira nella cappella, che Cocchi, Le Chiese di Firenze. 3 34 LE CHIESE DI FIRENZE fino dall'anno 1677 fu dedicata alla Madonna. Questo monumento ornato di bronzi di sovrana bellezza, fu ordinato da Lorenzo il Magnifico e da Giuliano de' Medici e nel 1472 vi furono poste le ossa di Piero e di Giovanni, figli di Cosimo il Vecchio. Nel 1559 vi ebbero ricetto pur quelle di Lorenzo il Magnifico e di Giuliano. Vi si legge questa iscrizione : PETRO ET JOHANNI DE MEDICIS COSMI PP. FF. PET. VIX. ANN. LUI. M. V. D. XV. JOHAN. AN. XLII M. Il II. D. XXVIII H. M. H. N. S. (1) LAVRENTIVS ET JVL. PETRI FF. POSVER. PATRI PATRVOQVE MCCCCLXXII Fra Filippo Lippi, per la cappella degli operai dipinse l'An- nunziazione, e un' altra ne dipinse per la cappella dei Dalla Stufa, di cui oggi s'ignora la sorte. Desiderio da Settignano e Baccio da Montelupo lavorarono il tabernacolo per il SS. Sacramento. Il Bronzino eseguì il grandioso affresco del martirio di San Lorenzo, e Jacopo da Pontormo dipinse la cappella maggiore, rap- presentando il giudizio universale; pitture di cui oggi non rimane traccia. Giovanni Antonio Sogliani dipinse la tavola del martirio di Sant' Arcadio e Francesco d' Ubertino, detto Bachiacca, dipinse le piccole storie nel gradino. Giovanni da Udine, il Bugiardini, Niccolò Tribolo, Fra Gio- vannangiolo Montorsoli, il Vasari e molti altri, eseguirono opere d' arte importantissime. A Michelangiolo Buonarroti devesi quel monumento d' arte della Sagrestia nuova, ordinata da Leone X per tumularvi i cada- veri del fratello Giuliano e del nipote Lorenzo, ambedue a lui ca- rissimi. E sul disegno di Michelangiolo fu decorata internamente la porta principale, a' cui lati vedonsi due colonne corintie di pietra, sostenenti una trabeazione con loggia bellissima, dalla quale per (1) Queste abbreviazioni, tolte da antiche iscrizioni romane, significano: Hoc Monumentimi Heredes Non Sequitur. BASILICA DI SAN LORENZO 35 tre porticine si entra net. Sacrario dove si conservavano quarantacin- que vasi preziosissimi, contenenti insigni reliquie, donate nel 1532 da papa Clemente VII, forse con la veduta di far dimenticare a' Fioren- tini, con questo ricco dono, la perduta libertà. Questi bellissimi re- liquiari si conservano oggi in tre armadi nella cappella della Madonna. Annessa alla basilica trovasi la cappella comunemente detta dei Principi. Fu ideata da Cosimo I per servire quasi a gran se- polcreto dei suoi genitori, per sè e per i figli. Il primo a darne il disegno fu il Vasari, ma il progetto non fu eseguito neppure sotto Francesco I, figlio e successore di Cosimo. A Ferdinando I, suo fratello, era riserbato non solo l'effettuarne il progetto, ma innal- zarlo con idea nuova, assai più grandiosa e magnifica. A formare il progetto concorse anche Bernardo Buontalenti. Che questo edificio fosse eretto con la speranza di potervi collocare il sepolcro di Cristo, come molti scrissero, e che a questo fine nel 1604 fosse iniziata una spedizione in Siria, non è che un racconto destituito da ogni fondamento e solo appoggiato a una voce popolare, qual di fatto essa fu. Nonostante la seguente iscrizione, sembra che l'edifizio fosse incominciato nell'anno 1600, con l'assistenza di Matteo Nigetti e del Buontalenti suo maestro : « A dì 10 Gennaio 1604 si dette principio a' fondamenti di « questo tempio dominante Ferdinando I Gran Duca di Toscana, « al quale successe Cosimo figliuolo, e dipoi Ferdinando II Ar- « chitetto Principe Don Giovanni Medici, il Gran Duca comandò « Matteo Nigetti architetto fiorentino, che fusse col suddetto Prin- « cipe, e pigliasse l'ordine di fare i disegni e modelli, sì della mu- « raglia, che de' diaspri, altare e ciborio del santissimo Sacramento. « Che tutto si è eseguito, e si mette in opera sino a questo pre- « sente anno MDCXL, e si seguita per la Dio grazia ». La differenza di data si concilia in questa guisa: Nel 1600 si incominciarono gli scavi ; il 10 di gennaio del 1604, senza alcuna solennità, si gettò la prima pietra e il dì 5 del mese di agosto fu- rono solennemente benedetti i fondamenti, alla presenza di Ferdi- nando I e del principe Cosimo suo figlio, dall'arcivescovo, coll'as- sistenza del clero della metropolitana e di quello di San Lorenzo. 36 LE CHIESE DI FIRENZE Questa cappella o mausoleo con frase enfatica fu detta supc- riore di pregio alla casa aurea di Nerone et a quella del re Ciro, intitolata una tra le sette meraviglie. Le pareti sono riccamente in- crostate di diaspri, di agata, di calcedonio, di lapislazzuli, di ala- bastro orientale e di molte altre pietre preziose. BASILICA DI SAN GIOVANNI BATTISTA [662-671]. Perchè meglio fosse rappresentata la unità della fede e del battesimo, una fides unum baptisma, e perchè l'amministrazione del sacramento era riservata al vescovo, ogni città episcopale ebbe un solo battistero, uso che tuttora è osservato in molte città d' Italia. Solo nel secolo VI fu concesso anche alle parrocchie rurali. Circa il secolo V le chiese fabbricate a uso di battistero fu- rono dedicate al Battista, prendendo spesso il nome di San Gio- vanni in fonte, o ad fontes come il battistero milanese edificato da Sant'Ambrogio, quello di Napoli annesso alla chiesa di Santa Restituta, quello di Ravenna presso la basilica di Santa Anastasia. La forma ordinaria dei battisteri era quella ottagonale, come il Lateranense, quello di Santa Tecla a Milano, il nostro, quello di San Zenone di Verona, e d'Aix in Provenza. Se ne eressero anche di forma esagonale, come quelli di Siena, di Parma, di Aquileia; altri di forma circolare, come quelli di Pisa e di Pistoia. Quello di Bari nelle Puglie appartiene al secolo IV ; è rotondo al di fuori, e in- teriormente ha dodici nicchie, in ciascuna delle quali si trovava una immagine degli Apostoli. BASILICA DI SAN GIOVANNI BATTISTA 37 È ormai provato che il nostro San Giovanni, prima di essere chiesa cristiana, non fu un tempio pagano sacro a Marte, come vor- rebbero alcuni, i quali largamente interpretarono il passo della Di- vina Commedia : la città che nel Battista cangiò '1 primo padrone (i) o seguirono le leggende riferite da Giovanni Villani. Gli architetti, concordi col Nelli (2), hanno provato che questa basilica manca di quello stile classico romano, che dovevasi certamente riscontrare in un edifizio dell' età in cui si inalzavano templi agli Dei. Gli archeo- logi, col Lami (3), sono venuti a stabilire che con gli avanzi di edi- fizi dei tempi romani e se vuoisi con le colonne e gli architravi di qualche tempio pagano, forse anche di un tempio dedicato a Marte, si costruì questa chiesa per uso di battistero, all' età di Teodolinda e per opera dei Longobardi, che a protettore del loro regno ave- vano scelto il Santo Precursore (4). Il Lami anzi ritiene che se ne debba riferire l'origine tra gli anni 662 e 671 (5), cioè sotto il re- gno di Grimoaldo ; data che combina col governo della Chiesa di Firenze del vescovo Reparato, che nel concilio romano presieduto dal papa Agatone nel 679, si sottoscrisse: Rcparatus exiguus epi- scopio sanctc ecclesie fiorentine. Tra gli antichi marmi impiegati nella costruzione del San Gio- ii) Dante, Inferno, canto XIII. (2) Sgrilli, Descrizione dell'insigne fabbrica di Santa Maria del Fiore, Firenze, 1756. (3) Lezioni di Antichità Toscane, voi. I, pag. 135 e segg. (4) Paolo Diacono, lib. IV, cap. XXIV e segg. (5) Lezioni di Antichità Toscane, voi. I, pag. 127 e segg. L'architetto Aristide Nardini Despotti Mospignotti, nel suo accurato e pregevole studio 77 Duomo di San Giovanni, Firenze, 1902, sostiene invece che la costruzione debba risalire ai primi secoli del cristianesimo, ossia tra gli ultimi anni del secolo IV e i primi del V, e prendendo argomento anche dalla leggenda di San Zanobi, del falso Simpliciano, ritiene che in principio fosse dedicata al Santo Salvatore e che poi mutasse questo titolo in quello di San Giovanni, sotto il regno dei Longobardi e probabilmente sotto Teo- dolinda. 38 LE CHIESE DI FIRENZE vanni, trovasene uno nel parapetto del matroneo, forse proveniente da Ostia, col frammento di questa iscrizione : IMP. CAESARI DIVI ANTONINI Pll FI DIVI HADRIANI N DIVI TRAIANI PARTH1C DIVI NERVAE ABNEPOTI L. AVRELIO VERO AVG. ARMENIAE PARTHIC MAXIMO MEDICO TRIB. POT. VI IMP. V COS II. DESIGN AT. Ili. PROCOS COLLEG. FABR. TIGN. OSTIS QVOD PROVIDENTIA ET LI TE INDVL Un altro marmo porta incisa questa iscrizione, il cui carattere paleograficamente appartiene agli ultimi tempi della Repubblica : CANDL LINI S. P. C. (i) La basilica fu eretta nell' interno della città quasi accosto alle mura del più antico cerchio, e forse per essere stata edificata in loca- lità più comoda, o per la forma più bella, o per la maggiore am- piezza, divenne chiesa cattedrale in luogo della basilica di San Lorenzo e presso di essa i vescovi elessero la loro sede, trovandosi che fino dalla metà del secolo IX, vetuste scritture citano 1' episcopium sancii iùkannis, la domus sancii iohannis. Il documento più antico, ma di dubbia autenticità, nel quale si ricorda San Giovanni come pieve e quindi quale battistero, è la carta di donazione del vescovo Spe- (i) Sconosciuta ai compilatori del Corp. Inscr. Lai. fu già pubblicata, senza interpretazione veruna, da diversi e segnatamente nel tomo III del libro Firenze antica e moderna illustrata. Il chiarissimo prof. L. A. Mi- lani nel suo studio sopra le Reliquie di Firenze antica, edito nel voi. VI dei Monumenti antichi, pubblicati a cura della R. Accademia dei Lincei, ci fa sapere esser d' indole sacra e potersi riferire al tempio capitolino di Firenze o ad un presunto tempio di Apollo. Interpreta Cande labrum o can- delabra candl, trovando nel segno del d l'abbreviatura dell' e, le altre let- tere lini supplisce con Apoli^mi o Aedis Jovis capitolami e spiega la for- mula finale con s(ua) pie)c(uuia) posuit oppure s(ua) p(ecunia) costituii). BASILICA DI SAN GIOVANNI BATTISTA 39 cioso e che appartiene all'anno 724 (1). Vi sono descritte le dona- zioni comprese infra plebe et episcopio b. ioannis baptiste vel repa- rate martiris. Della chiesa di San Giovanni si fa parola in un placito del dì 4 marzo dell'anno 897, tenuto in Firenze da Amedeo conte di palazzo', Adalberto marchese e da altri messi e giudici imperiali, nel quale il vescovo di Lucca Pietro e Teutperto suo avvocato ot- tengono la rivendicazione di possesso di molte chiese e terre, da altri ingiustamente possedute : Dum ad preclaram potestatem domni lamberti piissimi imperatoris missus diccctus fuisset in finibus tu- scie amedeits comes palatii et convenisset civitate florentia in domani episcopi ipsius civitatis in atrio contra ecclesia sancii joanni batista in iudicis resideret (2). In altre carte è semplicemente detta Donius Dei e nell'elenco vaticano trovasi ricordata la canonica sancii domini, la quale non è altro che la canonica di San Giovanni (3). Tutti gli antichi scrittori ritennero che in origine avesse una sola porta d' ingresso nel luogo dove si trova la tribuna, e 1' altare dove si trova la porta principale. Con tutta probabilità tre furono sempre le porte anche in origine e d'altra parte sappiamo che fino dall'anno 1177, ai lati della maggior porta furono collocate le due colonne di porfido donate dai Pisani ai Fiorentini. Gli scavi praticati nel 1895 portarono alla scoperta dell'antica abside circolare, che senza dubbio è quella originaria e che fu sur- rogata dalla presente, detta la Scarsella, della cui erezione è in- certa l'epoca. La notizia che ci dà il Villani, più che alla ricostru- zione, deve riferirsi a un restauro, che potrebbe essere stato compiuto nel secolo XII. Le cronache fiorentine registrano come in quei tempi avvenissero spesso incendi in Firenze, talvolta anche gravissimi, e Ricordano Malespini nella sua storia ci narra (4) tra gli altri quello del 1177 con queste parole: « E nel detto anno medesimo s' ap- « prese il fuoco in San Salvadore del Vescovo, e arse insino a Santa (1) Arch. Capit. di Santa Maria del Fiore. (2) Lucca, Archivio Arcivescovile | N. 5. Fu pubblicata prima dal .Mu- ratori (Antiq. ital., I, 497-9) e poi nel tomo IV delle Memorie e docu- menti per servire alla storia di Lucca. (3) Archivio Vaticano, n. 240, Collectoria in Tuscia. (4) Cap. LXXIV. 40 LE CHIESE DI FIRENZE « Maria degli Ughi e insino al Duomo di San Giovanni, e insino « a San Piero Scheraggio con grandissimo danno della città ». Non è fuori di proposito che un così vasto incendio a contatto ap- punto della nostra chiesa apportasse all' esterno della tribuna danni tali da giustificare prima o poi dei restauri, tanto più c*he lo stile della sua decorazione, salvi i pilastri d'angolo e i frontespizi, nel suo complesso, rivelerebbe i caratteri di quell'età (i). La decorazione esterna, sebbene nel lungo corso dei secoli sia stata oggetto di restauri e di rifacimenti, vanta l'antichità della ba- silica. Il rivestimento di marmo, che gli scrittori dicono ordinato dalla Repubblica nell'anno 1293 e che il Vasari attribuisce a mae- stro Arnolfo, si riferisce certamente a un restauro e alla copritura di marmo, fatta ai pilastri ad angolo ottuso ne' contorni dell' otta- gono, che innanzi erano di macigno. La chiesa era circondata da sarcofaghi o avelli, che furono remossi nel 1288 per i lavori di rial- zamento del suolo, per i quali rimase interrato l'antico basamento e distrutta la scalinata che circondava il tempio da ogni parte, provan- docelo anche il fatto che per accedervi si scendono due alti scalini. La basilica apparteneva ai vescovi e 1' affidamento fattone al- l'Arte di Calimara fino dal 1 1 50 come attesta il Villani sembra che venisse lungamente contrastato dall' autorità ecclesiastica, come ap- parisce da una bolla di papa Innocenzo III dell'anno 1209, nella quale si ordina che la cura della chiesa e dei beni spettanti all' opera sia affidata a Pagano, proposto fiorentino, ?ion obstante quad hactc- nus per ocaipationem temerariam laicorum a floreyitinis mercatomm consulibus aliquiis operarius institutus seu deputatus fuisse dìcihir prò ipsorum voluntatis arbìtrio in eadem Nè sembra che le questioni su ciò si componessero così per fretta; imperocché nel 1296 furono stipulati dei patti tra il vescovo e i consoli dell'Arte, i quali pure non furono sufficienti per terminare le divergenze, per- chè nel 1330 la Signoria di Firenze stabiliva, con gravissime san- zioni penali a chi contravvenisse, che l'amministrazione e le ren- dite dell'opera di San Giovanni fossero devolute all'Arte di Calimara. (1) A. Nardini Despotti Mospignotti, // Duomo di San Giovanni, pag. 92. BASILICA DI SAN GIOVANNI BATTISTA 41 Nell'anno 1225 la tribuna veniva decorata di musaici per opera di fra Jacopo francescano, di cui si legge il ricordo in queste iscri- zioni, collocate nei peducci della vòlta : Il grandioso musaico della cupola ricorda 1' opera di Maestro Apollonio, di Andrea Tafi (4), il quale, come narra il Vasari, « fece « con molta sua lode, da per sè e senza l'aiuto d'Apollonio, nella « detta tribuna, sopra la banda della cappella maggiore il Cristo, che « ancor oggi si vede di braccia sette ». Il Baldinucci nota che il Ci- nelli prese errore neh" affermare che la mano del Cristo è fatta a rovescio ; poiché è chiaro che è così eseguita con ingegnoso av- vedimento, figurando di discacciare i reprobi. Questa imponente figura è alta metri 8.12. Tra i maestri che lavorarono i musaici di San Giovanni, il Va- sari attribuisce a Gaddo Gaddi « i profeti che si veggiono intorno nei quadri sotto le finestre », ma ciò, come osserva il Cavalcaseli, è molto incerto, come non si può con sicurezza affermare che ad Agnolo Gaddi venisse affidato il restauro del musaico e la nuova copritura della chiesa, a cui allude il Vasari. (1) Anno IX di papa Onorio III. (2) Anno V di Federigo II imperatore. (3) Frate Jacopo ricordato nella iscrizione, contemporaneo di San Francesco, è stato da molti chiamato Jacopo di Turrita, confondendolo con quell'Jacopo Turriti che lavorò di musaico in molte basiliche di Roma e che visse molto dopo del nostro. Nè meno si dica discepolo del Tafi, mentre è certo che lavorava prima che il Tafi fosse nato. (4) Andrea Tafi (n. 1250? viveva ancora nel 13251 apprese l'arte del musaico da Apollonio, che il Vasari dice greco, ma che invece sembra fosse fiorentino ( Le opere di Giorgio Vasari, con nuove annotazioni e com- menti di Gaetano Milanesi, tomo I, pag. 239. Commentario alla vita di Andrea Tafi). ANNVS PAPA TIBI NONVS CVRREBAT HONORI (1) AC FEDERICE TVO (2) QVINTO MONARCA DECORI HOC OPVS INCEPIT LVX MAI TVNC DVODENA QVOD DNI NOSTRI CON SERVET GRATIA PLENA VIGINTI QVINQVE CHRISTI CVM MILLE DVCENTIS TEMPORA CVRREBANT PER SE CVLA CVNTA MANENTIS SANCTI FRANCISCI FRATER (3) FVIT HOC OPERATVS JACOBVS IN TALI PRE CVNCTIS ARTE PROBATVS 42 LE CHIESE DI FIRENZE Negli spogli del senatore Carlo Strozzi (i), tra i maestri di musaico che oprarono in San Giovanni, negli anni 1402 e 1404 è ricordato Filippo di Corso, Donato di Donato, i quali eseguirono dei restauri al musaico della cupola, e Alesso Baldovinetti, che nel- l'anno 1455 e poi nel 1481 risarcisce e rischiara i musaici di questa chiesa. Lo Strozzi ricorda pure che al Baldovinetti erano state date dall'Arte alcune botteghe a vita per rassettare il musaico di San Gio- vanni e rischiararlo. Nel centro della basilica, sopra un ripiano trovavasi il grande fonte battesimale, a cui si accedeva da alcune scalette, collocate agli ottagani. Negli angoli del fonte vedevansi alcuni forami, dove stavano i battezzieri per non essere oppressi dalla folla ed anche per rimanere più prossimi all' acqua, come riferisce il Buti nel suo commento a Dante. Il poeta, volendo descrivere i fori in cui erano puniti i simoniaci, dice che erano grandi come quelli del battistero di Firenze: Non mi parean men' ampi, nè maggiori Che quei che son nel mio bel San Giovanni Fatti per luogo de' Battezzatori ; L' un degli quali, ancor non è molt' anni, Rupp' io per un che dentro vi annegava (2). Quel fonte antichissimo, dove erano stati battezzati tanti illu- stri nostri concittadini, fu distrutto neh' anno 1577 in occasione del battesimo di Filippo di Francesco de' Medici, che seguì il 29 set- tembre. Bernardo Buontalenti fu il promotore di questa vandalica demolizione; cosa che spiacque a tutti i Fiorentini, che veneravano in esso una delle più antiche memorie della città. Il luogo occu- pato dall'antico fonte, nell'anno 1782 fu ricoperto di marmi, che vennero sostituiti all' impiantito di mattoni, e fu allora collocata que- sta iscrizione : PRIMO BAPTISMI FONTE FLORENTINIS CIVIBUS INSIGNIS AREA ORN. A. D. MDCCLXXXII. (1) Arch. di St. fior., Fatti e memorie dell'Arte dei Mercatanti; spoglio del Sen. Carlo Strozzi. (2) Dante, Inferno, canto XIX. BASILICA DI SAN GIOVANNI BATTISTA 43 Il fonte ove oggi si amministra il battesimo, è pure antico e stava dove presentemente si trova 1' altare di Santa Maria Madda- lena e riceveva 1' acqua dal grande fonte centrale, per mezzo di un condotto sotterraneo. Fu collocato nel luogo attuale nel 1658. Posa sopra un ripiano a cui si accede da due scalini ed è recinto da un cancello, parte di bronzo e parte di ferro, che circondava l' antico fonte. E un pilo esagono e ciascuna faccia è decorata da un bas- sorilievo, esprimente la storia di un battesimo, come è indicato dalle seguenti iscrizioni : SACERDOS BAPTIZAT PVEROS CHRISTVS BAPTIZAT APOSTOLOS CHRISTVS BAPTIZAT JOHANNEM JOANNES BAPTIZAT CHRISTVM JOHANNES BAPTIZAT POPVLVM SILVESTER BAPTIZAT CONSTANTINVM Il Vasari lo crede opera di Giovanni Pisano, il Del Migliore di Andrea; però nè l'uno nè l'altro possono ritenersi per gli au- tori del fonte, perchè l' iscrizione scolpita attorno, lo dice fatto nel 1370, nel qual tempo Giovanni era morto da circa quarantadue anni e Andrea da venti. A. D. MCCCLXX FACTVS EST ISTE FONS BAPTISMATIS .... ALIBVS ISTIVS OPERIS DEPVTATIS A CONSVLIBVS ARTIS KALLISMALE AD HONOREM BEATI JOHANNIS BAPTISTAE 1 Nel centro dell' abside trovavasi la sedia episcopale e 1' altare vòlto a oriente. In un ricordo riferito dallo Strozzi si legge: 1336. Si volta l'al- tare dall' altra parte, e in testa vi si colloca il tabernacolo dentrovi (i) Il terzo verso si completa con la parola ab offici aiauvs e nel sesto e nel settimo, secondo il Richa ed altri, dovrebbero leggersi i nomi : Georgio Ricciardi de Riccis, Joannc Mannini, Paulo Michaelis Rondinelli, Zenobio Bianchi Bencivennis. 44 LE CHIESE DI FIRENZE una statua di San Giovanni, e ai due lati due angeli scolpiti da Andrea Pisano. Il tabernacolo fu barbaramente distrutto nel 1732 e i suoi avanzi furono comprati e custoditi per qualche tempo da Anton France- sco Gori, l'antiquario. Indi, se non tutti, in parte almeno passarono in possesso di Angiolo M. Bandini, che poi collocò nell' oratorio di Sant' Ansano a Fiesole. L' antico coro con la confessione, nella quale si conservavano insigni reliquie, fu distrutto per ordine di Cosimo I. Il moderno altare col presbiterio fu costruito nel 1732 sul disegno di Giro- lamo Ticciati. Con la distruzione dell' antico fonte, dell' altare e del coro, dovè perire anche il bellissimo pergamo, della cui erezione trovasi ri- cordo negli spogli del Sen. Carlo Strozzi : In chiesa di Sa?i Gio- vanni si faccia un bel pergamo di marmo, dove sia scolpita ittita V historia di San Giovanni (1320-1322). Item che siccome si è co- minciato a porre la figura di San Bartolommeo , così di marmo si ponghino intorno intornio tutti gli Apostoli et Evangelisti scolpiti di marmo come meglio e più bello pari'à (1). L' Arte di Calimara, a cui era stata affidata la conservazione della basilica, ne curò sempre religiosamente gli abbellimenti e l'ar- ricchì di opere d' arte e di arredi preziosi. Con una deliberazione del dì 6 novembre dell'anno 1329 ordinava, che le porte della chiesa di San Giovanni si faccino di metallo o ottone più belle che si può e che Piero d' Iacopo vadia a Pisa a vedere quelle che sono in detta città e le ritragga c dipoi vadia a Venezia a cercare di maestro che le faccia, e trovandolo che lui deva essere il maestro a lavorare la forma di detta porta di metallo (2). Pare che il detto Piero non trovasse in Venezia maestro a ciò sufficiente, perchè i Consoli il dì 9 di gennaio del 1330 allogarono la porta a maestro Andrea di Ser Ugolino da Pisa. Andrea mise mano all'opera il dì 22 gennaio ed ebbe per lavoranti, oltre Piero di Iacopo, gli orafi Lippo di Dino e Piero di Donato, e già il 2 di aprile dello stesso anno le storie di cera erano finite e la porta (1-2) Vedi nota 1 a pag. 42. BASILICA DI SAN GIOVANNI BATTISTA 45 era stata gettata nell'aprile del 1332 da maestro Lionardo del fu Avanzo, campanaio di Venezia. Ma nel gettarla, essendo venuta tanto torta da non poterla adoperare, fu dapprima commesso a Piero di Donato di raddrizzarla e non bastandogli poi l'animo di farlo, l'Arte 10 disobbligò, dando l'incarico ad Andrea Pisano, che lo prese a fare a tutto rischio dell'Arte, per il prezzo di 10 fiorini d'oro e nel termine di due mesi. A' 24 di luglio del 1333 fu pattuito con Andrea di fare di metallo 24 teste di leone e darle finite e dorate per il primo del prossimo dicembre, obbligandosi Andrea a com- metterle bene nella mezza porta o battente, che era allora neh' Opera di San Giovanni, e insieme a dorare le storie dell'altra mezza porta, che era già stata messa su. Tutto questo lavoro era finito e posto nel suo luogo nel 1336, anno in cui si trova la spesa di 11. 25 per 11 marmo della soglia, fatto venire da Carrara. Nella parte superiore di questa porta sta scritto a lettere di rilievo : ANDREAS VGOLINI NINI DE PISIS ME FECIT A. DNÌ MCCCXXX L' anno indicato dall' iscrizione, si deve intendere per quello in cui fu compiuto il modello di terra e incominciato il getto di metallo, a terminare il quale si richiesero cinque anni. E questa la porta più antica e fu dapprima collocata nella facciata principale. E divisa in 28 spazi, di cui venti rappresentano la storia del Battista e gli altri otto diverse Virtù. Nel 1403 venne commessa a Lorenzo Ghiberti quella di tra- montana, che fu compiuta nell'aprile del 1424 e messa a posto il 19 dello stesso mese. Come quella di Andrea Pisano è pure divisa in 28 spazi, rappresentanti vari fatti della vita di Gesù Cristo e degli Apostoli. La porta principale, che il Buonarroti giudicò degna del Para- diso, che il Varchi chiamò opera miracolosa e unica al mondo, e il D'Agincourt considerò quale uno dei più splendidi monumenti del- l'arte moderna, fu allogata al Ghiberti il dì 2 gennaio dell'anno 1424 (s. c. 1425). Per modellare la storia di cera occorsero sedici anni di tempo. Nel 1440 essendo il lavoro molto innanzi, fu com- perato l'ottone per il getto ; nel 1443 delle dieci storie di cui 4 6 LE CHIESE DI FIRENZE si componeva questa porta, ne mancavano soltanto quattro; nel 1447 erano del tutto finite e nell'aprile del 1452 erano anche dorate. Nella decorazione e nel numero degli spazi è differente dalle altre, essendo divisa in dieci quadri raffiguranti varie storie bibliche, eseguite su concetti del cancelliere della Repubblica Leonardo Bruni. Dei preziosi arredi ordinati dall'Arte di Calimara non rimane oggi che il magnifico dossale d'argento, due paci e parte di un magnifico paramento. Nel dossale lavorarono tra i più antichi i seguenti orafi : Betto di Geri, Leonardo di Ser Giovanni notaro, Cristoforo di Paolo, Mi- chele di Monte. Tra i più moderni : Antonio di Salvi, Francesco di Giovanni, Bernardo di Bartolommeo Cenni (Cennini), Andrea di Mi- chele del Verrocchio, oltre ad Antonio d' Jacopo del Poliamolo. La statua di San Giovanni, in argento, non è del Poliamolo ma di Mi- chelozzo, che l'eseguì nel 1451. La croce d'argento, alta tre braccia e due quinti, pesa lib- bre 141. Dal mezzo in su fu eseguita da Betto di Francesco Betti e la parte inferiore, con la base, da Miliano di Domenico Dei e Antonio d' Jacopo del Poliamolo che ne ebbero in prezzo fiorini d'oro 3036, 1. 6, s. 18, d. 4. Fu incominciata nell'anno 1457. Maso Finiguerra lavorò per San Giovanni due paci « con istorie minutissime della Passione di Cristo ». Le storie del paramento, di cui oggi non rimangono che po- chi quadri, furono disegnate da Antonio d' Jacopo del Poliamolo al quale perciò nel 1469 furono pagati f. 90. Il paramento fu com- piuto nel 1470 e oltre Paolo di Bartolommeo di Manfredi da Ve- rona, detto Paolo da Verona, nella professione del ricamo me- ritamente chiamato dal Vasari « divino e sopra ogni altro ingegno rarissimo », vi lavorarono Coppino di Giovanni da Malines, Piero di Piero da Verona, Niccolò d' Jacopo, Antonio di Giovanni da Firenze. Gli Spogli stroziani ricordano molti altri arredi di che l'Arte di Calimara volle dotata questa basilica ; arredi che in gran parte furono distrutti nell'epoca calamitosa dell' assedio : Candelieri due d'argento d'altezza di b. 2 I / 3 l'uno si fanno per la chiesa di San Giovanni da Antonio d' Jacopo del Poliamolo orafo. BASILICA DI SAN GIOVANNI BATTISTA 47 Due terribili d'argento si fanno per la Chiesa di San Gio- va?inì da Iacopo di Lorenzo orafo. Due altri terribili a" argento per la Chiesa di San Giovanni si lavorano per Ottaviano d' Antonio di Duccio orafo. Croce di bronzo per la Chiesa di San Giovanni si compra da Luca del Vantaggio. Candcllieri due di rame coperti d' argento si fanno per la Chiesa- di San Giovanni da Maso di Lorenzo di Bartoluccio. Messale nuovo si da a scrivere a Ser Zanobi Moschini e si da a miniare a Monte miniatore il quale messale doveva servire per la Chiesa di San Giovanni. In questa basilica riposano le ossa di Giovanni XXIII papa e di due illustri vescovi della Chiesa di Firenze. Baldassarre Coscia, fu creato papa in Bologna col nome di Giovanni XXIII nel 14 io. Venuto a Firenze per fare atto di sot- tomissione e prestare obbedienza a Martino V suo successore, fu da quello creato cardinale ad istanza della Repubblica. Sei mesi dopo, il 22 dicembre del 141 9, morì. Il monumento, squisita esecuzione di Donatello, porta questa iscrizione : JOANES QVODAM PAPA XXIII OBIIT FLORENTIE A NO DNÌ MCCCCXVIIII XI KALENDAS JANVARII. Fra V altare maggiore e il fonte trovasi il deposito del vescovo Giovanni da Velletri, che resse la chiesa per circa un quarto di se- colo e morì nel 1230. Sul monumento leggonsi queste parole: PATRIA VELLETRVM SANCTI FVIT ILLA JOANNIS QVI JACET HIC PRESVL CVI SIT PAX OMNIBVS ANNIS Il sepolcro del vescovo Ranieri è decorato da questa iscrizione: VOS QUI TRANSITIS CLAVSUM QVI SCIRE VENITIS HOS VERSVS LEGITE VOS QVI TRANSITIS FLORENTINORVM PASTOR DOCTORQVE BONORVM REINERIVS PRESVL FLORENTINORVM VIR BONVS ET IVSTVS SAPIENS FORMAQVE VENVSTVS ISTE FVIT PATIENS VIR BONVS ET IVSTVS 4 8 LE CHIESE DI FIRENZE SEDIT IN HAC VRBE PANDENS CELESTIA TVRBE SEXIES SEPTENIS SEDIT IN HAC VRBE BIS SENAM JVLIVS LVCEM NAM SPARSERAT ORBI TRANSIIT HAC VITA BIS SENAM JVLIVS ANNO MILLENO CENTENO TER DECIMOQVE HOC TEGITVR LAPIDE. Dalla iscrizione si rileva che Ranieri resse la Chiesa di Firenze per quarantadue anni e morì il 12 luglio dell'anno 11 13. A suo tempo papa Pasquale II radunò in Firenze un concilio contro co- loro che asserivano essere prossima la fine del mondo e già nato 1' anticristo, della quale opinione era caldo fautore Ranieri. Nondi- meno fu un vescovo dotto e pio, e fu a suo tempo che da Firenze partirono duemilacinquecento crociati. Della consacrazione della basilica si fa memoria nell'antichis- simo codice Rubricete Ecclesiae Florentinae (1) con queste parole: In dedicatìone ecclesie sancii iohannis baptiste que occurrit octavo ydus novembris sollepniter sicut in festivitatibus domini cuncta cele- brentnr (2). LA COLONNA DI SAN ZANOBI [1 150-1200]. Narra Giovanni Villani (2) che il gran diluvio del dì 4 no- vembre 1333 « abbattè in terra la colonna colla croce del segno di San Zanobi eh' era nella piazza » . E nelle rubriche del terzo li- bro degli Statuti dell' Arte di Calimala, sotto la data dello stesso anno, è ordinato che : La colonna con la croce che era nella piazza di San Giovanni a memorazione del miracolo di santo zanobio, la (ij Vedi nota 3 a pag. 27. (2) Cron., lib. XI, cap. I. LA COLONNA DI SAN ZANOBI 49 gitale cadde per lo diluvio si rilevi alle spese dell' opera San Gio- vanili. E 7 depositario de' denari della detta opera la faccia rile- vare lo piìc tosto che potrà, facendo nella croce opera moyse, com' era innanzi che cadesse, o altrameìiti acconciando come meglio parrà agli ufficiali dell' opera moyse. E per le dette cose fare possa spendere quello che bisognerà, secondo la deliberazione di detti ufficiali. Gli scarsi documenti che rimangono ci dicono: che nel 1334 la colonna si rassettava e si rizzava di nuovo con la spesa di fio- rini 10; che nel 1338 sulla colonna si collocava la croce; che nel 1375 da Tommaso Viviani vi si facevano scolpire le seguenti iscri- zioni e vi si poneva un olmo in ferro eseguito da Migliore di Nic- colò Spronaio. Nel collarino superiore della colonna leggonsi queste parole : + H. ARBOR SICCA FLORVIT TACTV CORPORIS S. ZENOBII EPI FLOR. A. D. CCCCXXXI DIE VII JAN. Nel fusto si legge : + ANNO AB INCARNATICENE DNI CCCC Villi DIE XXVI JANVARI TEMPORE IMPERATORVM ARCHADII ET HONORII ANNO XI FERIA QVINTA. DVM DE BASILICA SCÌ. LAVRENTII AD MAIOREM ECCLESIAM FLORENTINAM CORPVS SCÌ. ZANOBI FLORENTINORVM EPISCOPI FERETRO PORTARETVR ERAT HIC IN LOCO VLMVS ARBOR VT ARIDA TVNC EXISTENS QVAM CVM FERETRVM SCI. CORPORIS TETIGISSET SVBITO FRONDES ET FLORES MIRACVLOSE PRODVXIT IN CVIVS MIRACVLI MEMORIA CHRISTIANI CIVESQVE FLORENTINI IN LOCO SVBLATE ARBORIS HIC HANC COLVPNAM CVM CRVCE IN SIGNO NOTABILI EREXERVNT. Dalla deliberazione dell' arte di Calimala e dai ricordi conser- vatici dal Sen. Carlo Strozzi si rileva che non fu eretta una nuova colonna, ma fu rassettata la vecchia, il cui fusto cadde, ma non si Cocchi, Le Chiese di Firenze. 4 5o LE CHIESE DI FIRENZE ruppe, € sul quale certamente non si trovava iscrizione alcuna, che spiegasse l' origine del monumento. L' iscrizione fu compilata nel 1375 raccogliendo le false notizie, propagate dalle leggende. La falsità delle iscrizioni è dimostrata dalla loro discordia cro- nologica ; dal non essere l' anno 409 l' undecimo di Arcadio e di Onorio, ma bensì il secondo di Onorio e di Teodosio II; dall'essere caduto il 26 gennaio di quell'anno nel giorno di martedì e non di giovedì. Paolino diacono, che scrisse la vita di Sant'Ambrogio tra il 412 e il 420, dicendo in quella: In civitate fiorentina ubi mine vir Sanctus Zenobius episcopus est, ci fa con certezza conoscere che San Zanobi in quel tempo viveva ancora. E vero che l'anno di sua morte è incerto, ma gli antichi agiografi non la registrano avanti il 424 e altri più critici la pongono avvenuta nel 440. Oltre quel poco che ci attesta Paolino, non abbiamo alcun documento auten- tico degli atti di San Zanobi. La più antica e forse la più vera narra- zione che ci riferisce di questo nostro vescovo è quella di Lorenzo arcivescovo di Amalfi, che visse nel secolo XI e che, secondo l'Ughelli, fu vescovo dal 1024 al 1048, cioè in tempi ben lontani da quelli in cui visse San Zanobi. Egli confessa ingenuamente che a suo tempo non trovavasi alcuna memoria scritta degli atti di San Zanobi, essendo per incendio periti, e tutto quanto scrive dice di averlo rac- colto dai racconti di persone pie : Nulla vero sii cìiiquam deprecor ambiguitas de mìraculis sancii viri qne hic sunt fautore domino de- scribenda quoniam partini illa didicimus a persoìiis gravissimis, par- tivi vero sic per omnem Tusciani hodieque rutilant ut infidelibus ora claudere cogant et quodammodo reservare (1). Scrivendo poi della morte, l'Amalfitano narra che San Zanobi fu deposto in San Lorenzo, donde fu trasportato nella basilica di Santa Reparata: Ad eius ergo glorificatimi obituvi stylum vertimus quem nimirum Deus omnipotens abstractum a terris Arcadj et Ho- norii temporibus ad caelorum gaudia revocavit. E più sotto : . . . . corpus autem sacratissimum ipso die quo defunctus est, octavo sci- licet Kal. Junii reconditum est in arca marmorea et positum in ec- clesia s. Laurentii iuxta altare. Quod cum fuisset aliquot annorum (1) Bibl. Med. Laur., Cod. Aedil. CXXXIX. LA COLONNA DI SAN ZANOBI 51 cuniculis elapsis ob infestatio?iem quarundam gentium translatum in Sancte Reparatc basilicam tantam eius Deus ob meritum virtutem ostendit ut quedam arbor quanz feretrum eius cum adduceretur tetigerat continuo floruìsset. L'autore di una recentissima pubblicazione (1), tentò dimo- strare che la traslazione delle ossa di San Zanobi avvenne da San Lo- renzo a una chiesa dedicata al Santo Salvatore, che sarebbe la stessa basilica di San Giovanni, supponendo poi una nuova traslazione da San Giovanni a Santa Reparata, avvenuta circa il 1050. Probabilmente l'egregio autore si contentò di esaminare la leggenda del falso Sim- pliciano, tralasciando di leggere quella di Lorenzo arcivescovo di Amalfi, al tempo del quale le reliquie di San Zanobi trovavansi in Santa Reparata. E poi assai dubbio che la traslazione avvenisse nel quinto se- colo, come vorrebbero le due iscrizioni della colonna, giacché prima del secolo Vili non si fecero traslazioni, vietandolo una legge ema- nata nel 386 da Teodosio imperatore; e il vescovo cui questa si attribuisce governò la Chiesa di Firenze sul volgere del secolo IX (2). fi) A. Nardini Despotti Mospignotti, // Duomo di San Giovanni, Firenze, 1902, pag. 77. (2) Nella serie dei vescovi fiorentini sono ricordati due col nome di Andrea; uno nel secolo V, l'altro nel secolo IX. Del secondo abbiamo autentici documenti, che ne attestano con certezza l'esistenza, mentre del primo abbiamo un solo riscontro nella leggenda della traslazione di San Zanobi. Un solo pertanto è il vescovo Andrea, di cui sappiamo che l'im- peratore Lodovico II, con suo diploma de' 18 dicembre 869, lo nominava messo imperiale per una causa di Gerardo vescovo di Lucca, ove si re- cava. Nell'anno S73 dallo stesso imperatore ottenne una splendida dona- zione di tutto quello che apparteneva a San Giovanni. A lui scrive Gio- vanni Vili papa, perchè ponga in libertà un prete per nome Lupone, onde possa recarsi a Roma, avendo appellato al pontefice. Trovasi che prese parte ad un concilio di vescovi tenuto a Parma nell'876 e presieduto dal- l'arcivescovo di Milano. Tra i sottoscrittori dei capitoli si legge: Ego An- dreas florentinae Ecclesiae Episcopns subscripsi. Al primo marzo 893 con- fermò l'elezione di Idemburga, abbadessa di Sant Andrea in Mercato, chiesa, dopo oltre dieci secoli dalla sua fondazione, ai nostri giorni demolita. È ignoto l'anno di sua morte, ma sembra che ciò accadesse prima dell '898, trovandosi in quest' anno nella sede di Firenze il vescovo Grasulfo. Le ossa di Andrea riposano certamente in Santa Maria del Fiore e il Marti- rologio ne commemora i celesti natali a' 26 di febbraio. 52 LE CHIESE DI FIRENZE La festa annuale di questa traslazione è certamente posteriore al iooo: infatti non si fa memoria di essa nel calendario del più antico sacramentario della Chiesa fiorentina, che appunto appartiene al secolo IX (i) e sebbene nei sacramentari e nei libri liturgici del secolo XI (2) si commemori la festa di San Zanobi nell'ottavo giorno delle calende di giugno, non si fa parola poi di quella della traslazione. Il Codice Riccardiano Rubricete Ecclesiae florentinae, appar- tenente al secolo XII (3), non fa menzione di tale commemorazione; soltanto in margine a pag. 73, con carattere diverso, posteriore a quello del codice, si legge: prò translatione sancii zenobi pulsamus IIII vicibus omnes campanas et facimus totum de eo officiavi sicut in alia festivitate. E più sotto : hac die traìislatio corporis beati zenobii de ecclesia sancii laurentii ad islam Ne fa memoria però il codice Mores et consuetudines canonicae florentinae (4), del secolo XIII, in cui si legge: prò trans lattone beati zenobii quatuor vicibus campa- nas, missam in tertia et utrumque vespertini ad eius altare dicimus, totumque officìum facimus sicut in sua festivitate ipsumque paramus et per circuitimi mundetur pavimentur, et lampades reaptentur. La leggenda dell' Amalfitano narra che nel trasporto del corpo di San Zanobi da San Lorenzo a Santa Reparata, il feretro urtasse nel tronco di un albero secco, il quale immediatamente, benché fosse nel cuore del verno, germogliò fronde e fiori; ma questo preteso miracolo non è che uno di quei tanti abbellimenti di che sono ric- che le leggende medioevali e gli officia propria sanctorum ; d'altra parte 1' autore assicura di avere scritto sulla fede di chi gli riferiva. Forse ai tempi di Lorenzo di Amalfi non era stata ancora innal- zata la colonna a memoria della traslazione, non facendosene parola (1) Bibl. Med. Laur., Cod. Aedil. CXXI. • (2) Idem, Cod. Aedil. CXXIII. 13) Vedi nota a pag. 27. (4) Archivio dell'Opera di Santa Maria del Fiore, n. 21, serie I, Co- dice membranaceo del secolo XIII, probabilmente scritto tra gli anni 1228 e 1232, argomentando ciò, dal non farsi menzione in esso dei santi cano- nizzati posteriormente a quest'epoca, mentre si rammenta San Francesco d'Assisi ascritto tra i santi nel 1228 da papa Gregorio IX. È di pagine 31 e comincia con le parole : Infrascripti situi mores et coiisuetudines cauo- nice fiorentine. LA COLONNA DI SAN ZANOBI 53 nella leggenda. Credo di non andare lontano dal vero ritenendo che quel monumento sia contemporaneo alla introduzione della festa della traslazione, che deve essersi incominciata a celebrare nella seconda metà del secolo XII. La leggenda di San Zanobi che va sotto il nome di San Simpli- ciano (i) non è opera che di un vero e proprio falsario del secolo XIII. Il vero San Simpliciano, successore di Sant'Ambrogio, resse la Chiesa di Milano due soli anni, essendo morto nel 400, ossia molti anni prima della morte di San Zanobi, il quale nell'anno 412 viveva an- cora, come si ricava da Paolino diacono. La leggenda del falso Sim- pliciano è piena di assurdità, di favole e di errori storici. L'autore si descrive successore di Sant'Ambrogio e non teme di asserire di essersi trovato con lui in Firenze e di essere stato testimone ocu- lare di quanto scrive. La Chiesa di Firenze si valse di questa leg- genda per comporre le nuove lezioni per le due feste di San Zanobi, tralasciando le più antiche e più veritiere, che erano state tolte dalla leggenda dell'Amalfitano, per la ragione dell' essersi questi dichia- rato di averla compilata con le notizie raccolte da popolari tradizioni. Dallo studio quindi delle leggende e dei codici liturgici dal secolo IX al secolo XIII, si può sicuramente stabilire: che le reli- quie di San Zanobi da San Lorenzo furono recate nella basilica di Santa Reparata e che la memoria di questa traslazione s'incominciò a celebrare nella seconda metà del secolo XII, a cui rimonta l'origine del monumento che la ricorda presso il battistero. (1) Bibl. Med. Laur., pluteo XXVII, Cod. I. 54 LE CHIESE DI FIRENZE SANTA REPARATA [724?]. Il primo documento in cui abbiamo ricordo di Santa Reparata è la carta del vescovo Specioso, corrispondente all'anno 724 e nella quale egli fa donazione ai suoi canonici della corte di Cintoja o Cintoria, posta infra plebe et episcopio b. ioannis baptisie vel repa- rate martiris (1). Mancano poi documenti fino all'anno 987 (2); data quindi la dubbia autenticità della carta di Specioso, resta ben difficile determinare 1' epoca della edificazione di questa chiesa, la quale probabilmente non è anteriore al secolo IX e forse quando fu compiuta avvenne la traslazione delle reliquie di San Zanobi dalla basilica di San Lorenzo. A pag. 96 del codice Rnbricae Ecclesiae florentinae (3) trovo segnato nel margine, in carattere differente a quello del testo, ma sempre della fine del secolo XII, questo ricordo : consecratio altaris sancte reparate in die sancii leonardi . . . . , fuit consecratum ab epischupo andrea. Il vescovo Andrea resse appunto la Chiesa di Firenze nel secolo IX (4) ed è quello a cui si attribuisce la trasla- zione di San Zanobi. L' antico altare probabilmente fu ricostruito, perchè in una rubrica del codice Mores et consuetudines canonicae florentinae (5) si legge che fu consacrato dal vescovo Giovanni II : item eadem die consecratio altaris sancte reparate prò qua pulsamus tribus vicibus qitattuor campanas quod dominus ioha?i?ies secundns episcopus florentinus consecravit ipsum prima dominica post dietimi festuni omnium sanctorum et instituit ut semper prima dominica post (ij Arch. Cap. di Santa Maria del Fiore. (2) Idem, n. 971. Davidsohn, Geschichte von Florenz, voi. I, pa- gina 862, Berlino, 1896. (3) Vedi nota a pag. 27. 4) Vedi nota 2 a pag. 51. (5) Vedi nota 4 a pag. 52. SANTA REPARATA 55 dietimi f estum omnium sanctorum celebretur ipsa consecratio et instituit indulgentiam unius anni et XL dierum. Queste parole fanno supporre un altro Giovanni vescovo di Firenze a tutti fin' ora ignoto. Gio- vanni II, di cui si fa parola, è Giovanni da Velletri, che fu vescovo di Firenze dal 1205 al 1230 (1), il quale probabilmente rinnuovò la consacrazione dell' altare di Santa Reparata, che forse era stato rifatto. Quale fosse il motivo della dedicazione di questo tempio a Santa Reparata, è un punto di storia ancora oscuro e vuoisi spie- gare nel ricordo che i Fiorentini dovevano avere di una vittoria ot- tenuta contro Radagasio, per intercessione di Sant' Ambrogio, nel giorno della festa di questa Santa. Matteo Villani, corroborando l'asserzione di Giovanni (2), dice che dai priori del Comune di Firenze fatto esaminare nel 1353 il per- chè si nominasse Santa Reparata e perchè nel giorno della festa si corresse il palio, fu trovato in alcune scritture che la vittoria dei Fiorentini, riportata in quel giorno su Radagasio re dei Goti, che nel 407 erasi mosso a' danni di Firenze, fece determinare costoro, per reverenza a Lei, all'erezione di una nuova chiesa. « E perocché i nostri antichi non erano in troppa magnifi- « cenza in que' tempi ordinarono che in cotal dì corresse un palio « di braccia otto d' uno cardinalesco di lieve costo, a piede te- « nendosi al Duomo e movendosi corridori di fuori della porta « San Piero Gattolino: e per la rinnovazione di questa memoria il « Comune 1' ordinò di braccia dodici di scarlatto fine e che si cor- « resse a cavalli » (3). Ora se i Bollandisti e altri dubitano del motivo che dette ori- gine al nome di Santa Reparata alla cattedrale, resta pur sempre certo che esso è antichissimo e antica è l'usanza del palio nel giorno della festa titolare e che i Fiorentini amavano far coincidere la com- memorazione della loro venerata Santa col ricordo di una vittoria da cui essi riconobbero la propria salvezza. (1) Vedi a pag. 47. (2) Crou., lib. I, cap. LXI. (3) Matteo Villani, Cron., lib. Ili, cap. LXXXV. 56 LE CHIESE DI FIRENZE Dai ricordi sparsi nei documenti che ci rimangono si può sta- bilire che la chiesa di Santa Reparata era simile alla cattedrale di Fiesole e alla basilica di San Miniato e si ha per tradizione « che « la sua lunghezza fosse dalle prime alle seconde porte del fianco « e poco meno di quanto sieno la nave di mezzo della presente « chiesa e così circa ottanta passi » (i). E certo che aveva una cripta o confessione, la cui altezza è determinata dal ricordo lasciatoci da Giovanni Villani, il quale, narrando della piena d'Arno del 1333, dice « che in San Giovanni salì l'acqua infino al piano di sopra « all' altare, più alta a mezzo le colonne del profferito dinanzi alla « porta; e in Santa Reparata infino all'arcora delle volte vecchie « disotto al coro ». Dal citato codice Mores et consicetudines cartonicele florentinae re- sulta che la basilica aveva otto altari; però in origine debbono es- sere stati soltanto due: quello dedicato a Santa Reparata desuper voltas ossia sopra la confessione e l'altro subtus voltas nella cripta o confessione eretto sul sepolcro del patrono San Zanobi. Poste- riormente al 1000 ne furono aggiunti altri, che sono rammentati nel codice e che erano dedicati alla Madonna, a San Marco, a San Matteo, a Santa Lucia, e due cappelle, una dedicata a San Tommaso martire, l' altra a San Giovanni Evangelista, il cui altare era stato consacrato da Teubaldo vescovo di Arezzo (2). Nel centro del- l'abside, innanzi all'altare, trovavasi la sedia episcopale, come chiara- mente si rileva dall'atto di possesso, in data del dì 30 giugno del- l'anno 1286, in cui fu insediato il vescovo Jacopo da Perugia, frate domenicano : .... et dum fidi [Episcopus] in dieta ecclesia Sancte Re- parate ivit primo ad altare beati Zenobii et ibidem oravit et postquam oravit adscendit corum superbis .... et intravit in sacrestia diete ec- clesie .... Episcopo sic parato et calciato intravit in Ecclesiam pre- dictam Sancte Reparate precedentibus et circumstantibus vicedominis predictis et eo existente ibi iuxta sive prope et retro altare Sancte Re- parate predicti vicedomini et spìtialiter dominus Biridus et dominus Gherardus predicti eumdem dominimi Episcopum posuerunt in sederti (1) Bibl. Magliabechiana. Rosselli, Sepoltuario. (2) Arch. di St. fior., Diplomatico, Santa Felicita, 1040, 4 novembre. San Giovanni, Santa Reparata e la sua torre (Dal Codice il Biadatolo, c. 58). SANTA REPARATA 59 marmoream episcopalem que est retro sive post dicium altare Sancte Reparate Et postea vero surrexit et cepit ire versus Ecclesiam Sancii Johannis predictam existentibus semper predictis dominis Bindo et Gherardo Et duni descendisset de coro superiori Sancte Re- parate ad pedem scalar um de mar more (i). La cripta corrispondeva all'attuale sepoltura dei canonici, che trovasi nel centro della maggior nave di Santa Maria del Fiore ; infatti la seguente iscrizione ricorda che appunto in quel luogo era stato deposto San Zanobi : ZENOBIVS EPISC. HIC SITVS ERAT. QVO IN COELITES RELATO SEPVLCR. AD SACERDOTES TEMPLI HVIVS TRANSIIT QVOD COSMVS MED. Il DVX MARMOREO PAVIMENTO INSTAVR. CUR. L'unico ricordo della decorazione esterna di Santa Reparata, l'abbiamo dal codice detto il Biadatolo (2), dove a pag. 58 è ripro- dotta, in una bellissima miniatura, parte della facciata unitamente alla torre campanaria e alla basilica di San Giovanni. Sappiamo con certezza che il vecchio campanile era situato dalla parte op- posta a quella della torre di Giotto, cioè lungo la via che dalla piazza di San Giovanni andava alla porta di Balla (3), posta dove oggi la breve via dei Tebaldi, angusta come allora, sbocca sulla piazza di San Michele Visdomini. (1) Arch. di St. fior., Bull., pag. 357, 358. (2) Codice membranaceo in folio, già appartenente ai marchesi Tempi, ed ora, per legato dell' ultimo maschio di quella casa, si conserva nella Mediceo Laurenziana. È scritto da un tal Domenico Lenzi, biadaiuolo, il quale riferisce i prezzi del grano e delle biade in Firenze negli anni di carestia e i tumulti che avvennero nella città e in altri luoghi dì Toscana per quella cagione. Comincia dai primi anni del 1300 e, per essere mutilato in fine, arriva solamente al 1335 ; ma non doveva andare che poco più in- nanzi e forse fino al 39 o al 40. Esso è ornato di alcune belle e grandi miniature allusive ai fatti che si narrano. (3) « A dì 26 di gennaio (An. 1332 1 s'apprese il fuoco contro il cam- « panile vecchio di Santa Reparata dalla via di Balla, e arse una casa ». (G. Villani, Cron., lib. X, cap. 209. « E a dì xxvi di gennaio s' apprese il fuoco nelle case a rimpetto «al campanile vecchio di Santa Liperata e arsono da tre case». (Della Tosa Simone, Annali). 6o LE CHIESE DI FIRENZE Delle quattro campane che pendevano nella torre, una era detta la campana del clero, una volgarmente era chiamata la Cagnazza. Nel 1300 fu ordinata una grossa campana ad onore di San Zanobi e fu chiamata la Ferrantina, dal nome di messer Ferrantino Ferran- tini che la fece fare, e per la grandezza e per il suono era supe- riore alle più grosse campane della città. Il Rosselli nel suo importantissimo Sepoltuario accenna ad una pittura a fresco, già esistente nel chiostro di Santa Croce, nella quale a' suoi tempi vedevasi ritratto il tempio di San Giovanni e quello di Santa Reparata. La facciata doveva trovarsi più avanti di quella di Santa Ma- ria del Fiore « quindici o venti braccia, parendo agl'offiziali sopra « la fabbrica deputati, disdicevole che a macchina di Tempio così « grande, non corrispondesse la grandezza della piazza per farla « maggiore non solamente fecero rovinare più case, ma lo spedale « ancora di San Giovanni Evangelista (1) , che lo spedale di Duomo « si domandava che ivi era contiguo, il quale di poi poco lontano dal « primo suo luogo fecero riedificare e di più la stessa chiesa an- « cora ritirorno indietro quel tanto o quello incirca che di sopra « ho detto » (2). Santa Reparata prese il titolo di pieve per l' unione con la ba- silica di San Giovanni e non per avere avuto il fonte battesimale, che mai fu remosso, a mio credere, da San Giovanni. I vescovi si (1) Lo spedale di San Giovanni, detto di Duomo, è antichissimo, tro- vandosene memorie in un atto di donazione del dì 4 novembre dell'anno 1040. In esso si legge che Rodelando o Rollando chierico e canonico della santa regolare canonica fiorentina, figlio di Gottifredo, dona sull'altare di San Giovanni Evangelista, posto in Santa Reparata, tutte le case, terre, vigne, corti e chiese, e tutto ciò che possedeva o per eredità o di suo acquisto, le cui rendite dovessero essere destinate per i poveri e per i pellegrini, che venivano nello spedale ordinato, destinato e cominciato a tale effetto in Firenze, presso la chiesa di San Giovanni. (Arch. di Stato fior., Diplo- matico, Santa Felicita, 4 novembre 1040). Fu demolito per ordine del Comune nell'anno 1296 per ingrandire la piazza, ma ne fu ordinata la ricostruzione vicino alla porta della via nuova degli Spadai. Fu infatti nuova- mente edificato, ma sopra un terreno che corrisponderebbe lungo la via Ri- casoli e la strada che da San Giovannino conduce a San Michele Visdomini. (2) Arch. di St. fior., spoglio Strozzi-Uguccioni, n. 234. SANTA REPARATA 61 servirono di Santa Reparata per le funzioni liturgiche più solenni, come ne fanno fede i due codici ripetutamente citati nei quali sono descritti i riti della Chiesa di Firenze. San Giovanni e Santa Repa- rata furono considerate come una sola cattedrale, come osserva il Borghini: in Santa Reparata « vi fu messa una sedia propria pel « vescovo, non posticcia o amovibile, ma murata di marmo, per cosa « stabile e ferma ». Nel 1055 in Santa Reparata, papa Vittore II, presente l'im- peratore Arrigo III, adunò un concilio ecumenico. Vittore risiedette in Firenze, vi morì e fu sepolto in questa chiesa. Il successore Stefano IX, che ebbe parimente sede in Firenze e morì nel 1058, e Niccolò II (Gherardo di Borgogna), morto nel 1062, furono se- polti in Santa Reparata, e nel noi vi ebbe sepoltura anche 1' im- peratore Corrado di Alemagna, essendo morto a Firenze. Nel 1104 il pontefice Pasquale II vi tenne un concilio ecumenico. Che questa chiesa fosse spaziosa si argomenta pure dal fatto che il dì 28 luglio del 1343, mentre si ergevano allato di essa le mura della chiesa di Arnolfo, vi si adunarono in armi i cittadini grandi e popolani congregati dal vescovo Niccolò Acciainoli per eleggere 14 Rettori del Comune, da porsi al governo della Repubblica dopo di essere stato cacciato dalla città Gualtieri di Brienne Duca di Atene. La completa distruzione della vecchia Santa Reparata avvenne nel febbraio dell'anno 1375, in cui furono demolite le ultime mura, come si apprende dalla seguente deliberazione : Operarli stantiave- runt Bruno Dini populi scindi Petri Maioris, destruttori mu- rorum, prò destructioue brachiorum 115 vcteris muri ecclesie scinde Reparate fior, aureo s duos, libra ni imam, soldos dece ni et septem, et denarias iiiij (An. 1374 ab ine. febb. 27) (1). Della chiesa di Santa Reparata abbiamo un venerando ricordo in quella immagine della Madonna, anticamente detta Grafia rum Pienissima e poi la Madonna del Popolo, che oggi ha culto nella cappella di San Giovanni Evangelista in Santa Maria del Fiore. In una deliberazione del dì 4 dicembre dell' anno 1397, sopra il (1) Guasti, Santa .Maria del Fiore, doc. 237, pag. 226. 62 LE CHIESE DI FIRENZE provvedimento e modo dell' adornare la figura di Nostra Donna eh' è in Santa Reparata appresso della porta verso il cimitero, gli operai consigliarono che alloro parca che la decta figura s' onorasse per la devozione che vi cresce, e perchè il luogo ove è non è acto, si levasse di qicello luogho e ponesse si nella faccia della chiesa [nuova] dallato dentro tra le dite parti della chiesa, cioè tra la porta mag- giore e la porta dalla parte del campanile sopra ove sono le due arche di marino, cioè degli Adimari e de' Medici ; e dove sono r arche si faccia 7ino altare circundato di bastoni al presente, tolto via prima V arche ; e la detta figìira s' adoriti co?i cielo d' assi di sopra e intornio, come parrà agli operai (i). SANT' ANDREA [852]. Tra le residenze di antiche arti, tra i palagi maestosi e muniti a guisa di fortilizi, all' ombra dei quali furono un giorno i fondachi più ricchi e più accreditati, dove le famiglie della nobiltà fiorentina esercitavano i loro commerci e le loro industrie, trovavasi la chiesa di Sant' Andrea apostolo, della cui esistenza abbiamo memorie fino dal nono secolo. Nei documenti anteriori al mille è semplicemente detta abba- ziola o monastero di Sant'Andrea; nel 10 13 trovasi chiamata prope forum domini regis e propc arcum, poi ad arcum. Giovanni Villani (2) scrive che questa chiesa trovavasi nel centro del- l' antica città, senza accennare ad alcuna speciale denominazione. (1) Guasti, op. cit., doc. 405, pag. 293. (2) Cron., lib. Ili, cap. II. SANT' ANDREA 63 Vincenzo Borghini (1) in qualche luogo la chiama prope arcum; poi, dimentico di ciò che altrove ha scritto, non la distingue con alcun nome, essendo una sola in Firenze la chiesa dedicata a Sant'Andrea. Nondimeno non lascia inosservato l'arco e ritiene che fosse un arco trionfale esistente presso le case degli Elisei, impe- rocché da qualcuno è detto arcus Elisacorum e gli Elisei tro- vansi chiamati de arai. Talvolta è chiamata arciis pietatis, ma se ne ignora il motivo. Il Borghini ritiene che questo arco si trovasse sulla via Calimara, la quale era una delle prime strade e che allora tagliava la città e dritta conduceva dalla porta Santa Maria alla porta domus. Ferdinando Leopoldo Del Migliore opina che fosse un arco trionfale come se ne trovano in molte città e a cui si appendevano le spoglie dei nemici, le armi, le insegne (2). Domenico Maria Manni (3) crede che questo arco debba rite- nersi quale resto di un acquedotto, che conduceva le acque alle terme, ciò che non è verosimile ; imperocché gli acquedotti termi- navano presso le mura della città e le acque si raccoglievano in un serbatoio, donde per mezzo di condotti trasmettevansi nelle terme. Vi è poi da osservare che la chiesa si disse prope arcum e non prope arcus, come sarebbesi detta se così fosse stata chiamata dagli archi di un acquedotto, il quale appunto si compone di più archi. Altre località, che trovavansi fuori della città e tra gli archi dell' antico acquedotto, erano chiamate inter arcus, volgarmente tral- r arcora. Il Lami (4) ritiene che 1' arco fosse una vòlta o fornice a cui poggiasse qualche edifizio, come si vedeva anche presso il palazzo episcopale in questi ultimi tempi. Arcus doveva dirsi specialmente, perchè nell' antica città non esistevano altri di tale specie. La spiegazione delle dotte supposizioni degli eruditi l'avemmo quando, per il riordinamento del centro, questa chiesa antichissima (1) Disc, par. I, pag. 139, 213; par. II, pag. 399. (2) Fir. illustr., pag. 489, 491, 503. (3) Le Terme, lib. II, cap. IX. (4) Eccl. FL Mon., II, pag. 975. 6 4 LE CHIESE DI FIRENZE cadde sotto il piccone demolitore. Fu scoperto allora che un lato di essa poggiava sopra un grande arco e sopra le solide muraglie di una fabbrica dei tempi romani. Dall' arco forse prese nome una via, come risulta da un atto di commuta tra Lamberto vescovo di Firenze e Pietro o Petrone suddiacono. La carta, in data del 5 maggio dell'anno 1032, è evanida e lacera in diverse parti e specialmente dove con tutta probabilità è ricordata la chiesa di Sant' Andrea e una terra quc est posita in civitate florentia prope arco iuxta mercato qui dicitur vedo tamen de- cernìmus casa et terra Ma et a pedes qui dicitur decurrit eis via de ilio arco abentes exinde pedes viginti et sex de alia parte decurrit eis similiter via da ilio mercato abentes (1). Le denominazioni prope forum domini regis, de mercato, de foro veteri e 1' ultima di Sant' Andrea in mercato, con le quali è stata distinta la chiesa, sono originarie dai nomi che ebbe la prossima grande piazza, la quale a sua volta si chiamò forum domini regis, forum vehes (2), mercatum régis (3), mercato vecchio. La chiesa di Sant' Andrea era possesso dei vescovi di Firenze. Lodovico imperatore la donò alla chiesa di San Giovanni, perchè dal vescovo Rodingo fosse ordinata a monastero di donne da go- vernarsi da lui e dai suoi successori, e Rodingo adempiendo al vo- lere imperiale, dette 1' abito monastico a sua sorella Radburga e la elesse badessa. La carta è datata dall'anno XXXIII dell'impero di Lotario, che corrisponde all'anno 852 (4): In nomine dei et salvatoris nostri jesu christi Lotharius et Ludovicus divina operante clementia imperatores augusti anno im- (1) Arch. di Stato di Lucca ; San Poliziano, 5 maggio 1032. (2-3) Arch. di St. fior., Bull., p. 318, n. XII; p. 319, n. XXVIII: Oualitcr dominus Ildibraudus Episcopus florcntinus dedit ad livel- larium Johannifilio imam petiam terre cutn casa positam prope forum vetus de qua dare promisit certani quantitatem pecunie dieta episcupo et cpisco- patui sub M° XVIII regnante imperatore Augusto. Qualiter dominus Rimbaldus Episcopus florentinus concessit ad livel- larium philippo fitto marie qtioddam solum et terram positam in civitate florentia prope mercatum regis prò pensione sexdecim denariorum carta manu offredini notari regnante iìtipcratorc Ugone. (4) Arch. Cap., 11. 479; Lami, Eccl. Et. Mon. % voi. II, pag. 96S. SANT ANDREA 65 perii eorum trigesimo tcrtio quarto decimo Kal. Novembri^ ìndictione prima. Ego rodingus nunc sancte fiorentine ecclesie epi- scopio pp. dixi manifesta causa ut et in omnibus veritas claret, quia dominus ludovicus serènissimus augustus per suum preceptum, per meam petitionem , confirmavit predicte domili sancii joannis quan- dam abbatiolam, ubi parva congregatio puellai'um esse videtur, et est constructa intra eandem civitatem in honorem sancii andree eo ordine, ut ego, aut mei successores, ad ipsiim monasterium ordinandum et gubernandum, secundum nostrum propositum habuisseniìis potesta- tcm. Postea autem me vidente ipsum monasterium inordinatum esse, sic ordinavi ibi Radburgam deo devotam, que fuit germana mea, ut ipsa secundum dominimi inibi abbatissa permaneret, ve/ut etiam ipse dominus imperator cani per suum confirmavit preceptum , ipsam die- bus vite sue alendum, ac regendum secundum prima m prcccptìoncin . Ipsa vero radburga abbatissa defuncta ipsum sanctum locum nobis inordinahem remanere visum est. Providentes iuxta mercedem domino- rum nostrorum , iuxta dieta m etiam ordinationem ipsius monasterii, et iuxta illud preceptum , quod ipse dominus imperator in ipsam no- strani ecclesiam confirmavit, ut ego aut mei successores , ipsum ordinare debuissemus una cum clericis sancte nostre ecclesie ordinare et con- firmare providi de berta deo devota filici Huvepoldi comitìs palata ut tu inibi diebus vite tue abbatissa et rectrix ipsius monastcrii esse debeas iuxta ordinationem predicli ordina toris monastcrii et iam per dietimi preceptum domini imperatoris secundum dominion inibi ofifi- cialis et luminariis faciendum per te tuasque ministcriales et ipsas monachas regendum et gubernandum iuxta ipsius mona steri i institutioneni et una post aliam usque in /'meni secali de cadali cou- gregatione videlicet, unde tu cani secundum dominimi inibi constiiueris similiter et post te abbatissas eligere debeas. una cimi consensu pon- tificis, qui in liane sanctam ecclesiam lune temporis ordinaius fuerit ut ipse inibi diete abbatisse et rectrices simili modo sciant et tu labo- randum, imperandum, gubernandum , fruendum et faciendum iuxta morem ipsius monastcrii quidqitid volueris. meliorandum non peio- randum et inibi libellarios mittere debcatis vel alias conscriptiones miètere iuxta ipsius monasterii constihiHonem annue tradita m ad pie - dictam partem nostre ecclesie redderc debeatis prò ipso monUsterio ve- * Cocchi, Le Chiese di Firenze. 5 66 LE CHIESE DI FIRENZE stilimi unum bonum sicut ipsi monasterio in parte palatii persol- vendum consuetus fuit et ipse dominus imperator concessit nobis. Nani alia superimposita nihil f adente s tibi, a ut ad succcssores tuos de parte nostre ecclesie ; sed sic perpetualiter permaneat per hanc ordinationcni sicut nostra decrevit voluntas. Quidem et spondeo me ego suprascriptus rodingus episcopus vel mei successores ut si vos ita annue persolve- ritis et adimpleveritis iuxta ipsius monasterii institutionem , si ipsum vionasterium vobis prò quolibet capitulo retollere voluei'imus et ita ordinatimi esse non permiserimus sicut superius legitur, componituri vobis esse debeamus successoresque nostri auri libras quinque. Qui- dem et ego berta dicata abbatissa deo una per licentiam datam pre- dicto Huvepoldo domino genitori meo, promitto me et successores meas ut impleverimus et si ipsum monasteri uni de predicta ecclesia vestra et dominium subtrahere quesierimus et non pcrmanserimus in ea omnia, qualiter superius legitur tunc coniponituras nos nostrasque suc- cessores esse pro?nittimus a parte ipsius ecclesie vestre similiter pena auri libras quinque. Inde due chartule ordinationis uno tenore scriptas et eas tibi traditas. Aduni in civitate florentie in eadeni domo feliciter. f ego rondingus episcopus manu mea subsc. f ego bei r ta abbatissa manu mea subsc. f ego hvuepoldus comes palatii prò mea largitate factum est t e S° P e l rus e P- rogatus a suprasci r iptis marne mea subscripsi f ego domitianus presb. et vice f ego theubaldus diaconus subscr. f ego ai'itpaldus diaconus subscr. f ego rose hari presb. subscr. f e S° gambertus subscr. f ego vvalbr. archidiac. subscripsi f ego rocchisius presb. subscripsi f signum manus amac? r iperti testis f ego mervingo rogatus subscripsi f ego raimbaldus rogatus subscripsi f signum manus laaris vicecomitis testis f signum manus adalgauci vassalli d. alberti comitis testis. ego simperto notarius scriptor huius chartulae ex iussionc do- mini imperatoris post tradita compievi et dedi. SANT' ANDREA 67 Essendo di poi concessa in benefizio a Ugone duca di To- scana, a richiesta di Podo vescovo, volentieri e liberamente ne fece la restituzione. Podo donò chiesa e monastero alla Canonica fioren- tina, il che veniva confermato dal vescovo Gherardo, riservandosi egli e i suoi successori il diritto di confermare la nomina del rettore. Nell'anno 977 Otto imperatore rinnuovò la donazione al ve- scovo : Oualiter imperato}' Odo donavit cpiscopatui fiorentino mo- nasterium Sancii Andree de florentia ann omnibus bonis snis anno domini noningesimo septuagesimo septimo (1). Circa il 1000 le monache furono trasferite nel monastero di San Martino a Mensola e a quelle, secondo alcuni, sarebbero stati sostituiti per breve tempo i monaci cliiniacensi. Nell'anno 1013 chiesa e monastero furono donati dal vescov< > Ildebrando alla Badia di San Miniato al Monte : Anno ab incàr- natione tertiodecimo postmille quinto kal. maii ind. XI ego ilde- brandus sancte fiorentine ecclesie presiti indignns prò dei amore meeque remedio anime speque remuncrationis future et prò animabus antecessorum meorum scic sucecssorum episcoporum istius fiorentine civitatis nec non prò anima henrici senioris mei surque preclare co- niugis cunigunde monasterioque sancii miniatìs concedo atque confirmo similiter constituo atque ibidem concedo cenobium sancii an- dree quod est positum in civitate florcntic prope forum domini regis et prope arcum (2). Nel 1025 Lamberto vescovo di Firenze, come signore della chiesa e monastero di San Miniato al Monte, dona pctro primi- cerio andree filio et sichclmo clerico et pctro et gerardo et Ildebrando filiis alberghc integram ecclesia»! et oratoritim illud quod est in honorem sancte andree quod est situm in civitate florentia prope arcum ima cum offerta et mortuorum et cemeterio de ipso ecclesia Zina cnm casa et terra que est sita prope ipsam ecclesia m sed et terra illa que dici tur piscina le (3). GÌ' incendi che nel medioevo desolarono Firenze, danneggiarono più volte questo sacro edificio e specialmente quello dell'anno 1232, (1) Arch. di St. fior., Bull., pag. 7, 11. 8. (2) Lami, Etti. Fior. Mon., voi. I, pag. 42, 43. (3) Idem, pag. 573, 574. 68 LE CHIESE DI FIRENZE che arse le vicine case de' Caponsacchi e di altre famiglie che abitavano da Sant'Andrea, uccidendo molte persone (i); quello del 1304, appiccato per odio di parte da Ser Neri degli Abati, e quello del 1601 (2). Tali incendi possono spiegare anche le trasformazioni subite in varie epoche dalla chiesa, la quale ben poche tracce conserva- va della primitiva sua forma. La torre campana- ria, prima che fosse sa- crificata al piccone di- struttore di tanti antichi ricordi, fu per lungo tem- po adibita ad uso di piccionaia e come tale la riproduce la nostra incisione nella quale si vede anche il brutto mo- derno campanile. L'esile ed elegante torricella era coronata da una piramide depressa ; aveva le facce di filaretto di pietra con due ordini di finestre bifore adorne di colonnette di marmo sormontate da capitelli a nave; aveva delle cornici di ricorso in laterizio e nell' insieme poteva ritenersi (1) Villani, Crou., lib. VI, cap. X. (2) « Ser Neri Abati, cherico e priore di San Piero Scheraggio, uomo « mondano e dissoluto e ribello e nimico de' suoi consorti, con fuoco tem- « perato, e d'artifizio, in prima mise fuoco in casa i suoi consorti in Orto « San Michele, e poi in Calimala fiorentina in casa i Caponsacchi presso alla « bocca di Mercato Vecchio. E fu sì èmpito e furioso il maladetto fuoco col « conforto del vento a tramontana che traeva forte, che in quello giorno « arse le case degli Abati e de' Macci e tutta la loggia d'Orto San Michele, «e casa gli Amieri, e Toschi e Cipriani, e Lamberti e Bachini, e Buia- « monti, e tutta Calimala e le case de' Cavalcanti, e tutto intorno a Mer- « cato nuovo e Santa Cicilia, e tutta la ruga di porte Sante Marie infino sant'Andrea 69 opera del secolo XI. Le colonnette delle bifore erano adorne di capitelli con fregi grossolani e nelle forme e nelle decorazioni erano tra loro differenti. Sant' Andrea fu delle 36 antiche parrocchie, ma dipese sempre dalla cattedrale, che vi esercitava autorità di possesso. Anche i po- polani ebbero però diritto di patronato, in guisa che nel 1246 proce- devano alla elezione del rettore, che riceveva la conferma dal Capitolo. La parrocchia fu soppressa nell'anno 1785 e l'antica chiesa fu con- cessa ad una confraternita rimastavi fino al momento della demo- lizione. Tra gli oggetti d' arte, era ricordata una tavola di mano del Ghirlandaio, che trovavasi all'altare maggiore. « al ponte vecchio, e Vacchereccia, e dietro a San Piero Scheraggio, e le « case de' Gherardini, e de' Pulci, e Amidei, e Lucardesi, e di tutte le vi- « cinanze dei luoghi nomati quasi insino ad Arno, e insomma arse tutto il « midollo e tuorlo e cari luoghi della città di Firenze, e furono in quan- « tità, tra palagi e torri e case, più di millesettecento. Il danno d'arnesi, « tesauri, e mercatanzie fu infinito, e perocché in que' luoghi era quasi tutta « la mercatanzia e cose care di Firenze, e quella che non ardea, isgom- « brandosi, era rubata da' malandrini, combattendosi tuttora la città in più « parti, onde molti compagnie e schiatte e famiglie furono diserte, e ven- « neno in povertade per la detta arsione e ruberia. Questa pistolenza avvenne « alla nostra città di Firenze a dì 10 di Giugno, gli anni di Cristo 1304 » (Villani, Cron., lib. Vili, cap. LXXI). Circa all'incendio del 1601, fu credenza popolare che esso venisse domato per grazia della Vergine, la cui immagine si conservava in un ta- bernacolo sul canto di Via del Fuoco, strada scomparsa nel riordinamento del centro. Un poeta di quel tempo, Ciò. Batta. Strozzi, perpetuò la memo- ria dell'avvenimento con questi versi, che si leggevano sotto l'immagine: Arse, ruppe spezzò l 1 orribil fuoco Sin qui volando; ma l' immagin pia Ogni poter troncogli in questo loco. 7o LE CHIESE DI FIRENZE SAN MICHELE IN ORTO [895]- La memoria della fondazione di questa chiesa l' abbiamo da una pergamena della Badia di San Silvestro di Nonantola, del dì io di no- vembre dell'anno quarto dell'imperatore Lamberto, indizione XIV, ciò che corrisponde all'anno 895. Nella carta, la cui autenticità è alquanto dubbia, Leopardo, abbate del monastero di San Silvestro di Nonantola, incomincia a narrare che, molti anni avanti, Pietro aveva fatto erigere in Firenze, su terreno proprio, un oratorio in onore di San Michele Arcangelo, ordinando nel suo testamento che vi si facesse un monastero di donne da governarsi da una ba- dessa e che fosse soggetto alla Badia di Nonantola. Dovendosi ora eleggere la badessa, egli, di consenso del suo capitolo, elegge Alda figlia di Marino e la nomina badessa perpetua del monastero, nel quale essa con altre sei monache debbano servire a Dio e concede ad esse facoltà di nominare il prete per la celebrazione della messa. Quindi concede al monastero le corti di Pretorio, Folenciano, Mon- teminiario e Rufmiano. Curioso è il canone stabilito dall'abbate in segno di sogge- zione, nel quale viene imposto alle monache di fornire ogni anno all'abbate di San Silvestro di Nonantola, cinque camice di lana: et tu Alda abbatissa cum ìpse monache, qui tecum in ipso nominato monasterio fuerint, facere debeatis prò unoquoque anno de lana nostra, quem nos vobis transmiserimus per missi nostri, sta- mineas quinque bone, et nobis qui supra Leopardus abbas meisque successores transmittere debeamus missi nostri prò unoquoque anno de mense augustus ad ipsum monasterium beati archangeli Michaelis ad ipse stamineas recoliendum, et ibidem in ipso monasterio recipere debeatis ancillas nostras duodecim ad opera nostra faciendìim de lana SAN MICHELE IN ORTO 7? et lino, qiicm nos atque successoriòus nostris illomm transmise- ri mus (1). Il monastero probabilmente non ebbe lunga vita, non trovan- dosene altra memoria, e la chiesa dev'essere quella che nel 1046 si trova governata da un prete col titolo di proposto. Questa chiesa, le reliquie della cui abside tornarono a mostrarsi quando nella via Calzaioli fu costruito il gran collettore delle acque, trovavasi ove maestoso torreggia il sacro palagio di Or San Michele e per la sua speciale ubicazione si disse in hortu ; però tale denominazione non comparisce che a' primi del secolo XIII per distinguerla da altre chiese dedicate all' Arcangelo, che erano state erette in Firenze. Papa Onorio III nell'anno 1224 la annovera tra quelle di patronato del monastero di Nonantola; nel 1231 dominus Lutterius rector et aistos ecclesie sancii michaelis in orto, dà in affitto alcuni beni della chiesa. Il Richa ritiene che la denominazione in hortu fosse assai più antica e riferisce un documento dell'anno 1100, in cui si no- mina un Filippus Pieri Ranerii populi sancii Michaelis in Orto. Nell'anno 1239 sembra fosse demolita per dar luogo prima ad una piazza per il mercato del grano e poi ad una loggia. Solo nel 1300 i monaci istituirono formale processo contro il comune di Fi- renze e il dì 14 ottobre dello stesso anno, l'abbate Guido, unita- mente al suo capitolo, nominò sindaco e procuratore della causa maestro Malgherito di ser Bussolino da Forlì, il quale trasferitosi perciò a Ravenna, ove trovavasi allora il cardinale Matteo Orsini, ottenne una lettera in data del dì 13 novembre, diretta ad Arrigo da Cremona dottore dei decreti e vicario del vescovo di Firenze, nella quale si espongono i lamenti e le proteste dell'abbate di Nonantola: qnod cum Monasterium Nonantulc kaòeret Fiorenti* ec- clesiam Sancii Michaelis positam iurta palatili ni co ni in uni s civi- tatis eiusdem comniune ipsum eamdem ecclcsiani fundìtus destruxit reducente s solimi ipsius ecclesie ac domos circa ipsani posi fa ni in pia- team (2), e gli comanda perciò di citare il comune di Firenze a ren- dere ragione di questo fatto. Tra i preliminari della causa, i monaci (1-2) Tiraboschi G., Storia dell 1 augusta Badia di San Silvestro di Nonantola, Modena, 1785, tomo II, pag. 69, doc. LXIII. 72 LE CHIESE DI FIRENZE presentarono le loro proteste, perchè il comune di Firenze, prima an- cora di demolire la chiesa, aveva con violenza usurpati i beni, tra- sportando altrove i libri, gli arredi sacri, gli ornamenti, le suppellettili della chiesa e della casa, e fanno perciò istanza che, oltre alla rico- struzione della chiesa, si compensino i danni ad essi recati. Il comune di Firenze, al contrario, si duole che l'abbate di Nonantola abbia usurpato il dominio del castello di San Mariano e i beni che allora possedevansi dal monastero di Santa Maria in Mamma, e pretende dai monaci un compenso di 22000 fiorini d'oro. Di questa causa mancano le deposizioni dei testimoni eia sentenza del giudice. Sembra però che i monaci non ottenessero alcun compenso perla chiesa atterrata. Che fosse ricostruita e che poi perisse nell'incendio del 1304 è opinione priva affatto di fondamento; anzi ci sono degli argo- menti che possono provare il contrario. Non si trova ricordata la chiesa di San Michele in hortu nell'elenco vaticano dell'anno 1275 e neppure in quello del 1299 pubblicato dal Lami ( 1 ), mentre ci sono documenti nei quali è ricordata una tavola di grande bellezza, rap- presentante San Michele, che aveva culto sotto la loggia e che deve essere stata oggetto di venerazione nella chiesa omonima demolita. Nei più antichi capitoli della compagnia della Madonna d' Or San Michele, compilati nel 1294, Si ^ a parola di questa tavola, ordinando di tenerla coperta: Anche ordiniamo e fermiamo che cum ciò sia cosa che per cagione del mercato del grano e per altre cose che si fanno nella detta piazza sotto la loggia la tavola di mcsser santo Ali- gliele s' impolveri e si guasti li capitani siano temiti di farla stare coperta acioche si conservi nela sua bellezza e non si guasti salvo elici sabato dipo nona disfatto il mercato ladebiaiio fare discoprire e stare discoperta per tutto il die dela domenica. E così si faccia per le feste solenne che mercato non vi si faccia (2). Se fosse stata eretta altra chiesa in sostituzione della demolita, quella tavola non aveva ra- gione di rimanere sotto la loggia, ma sarebbe stata collocata nel nuovo tempio. La tavola perì certamente nell'incendio del 1304 e di quella più se ne parla. (1) Eccl. Fior. Man., voi. I, pag. 530. (2) Arch. di St. fior., Capitani di Or San Michele, Cod. 476, cap. XIIII. Tavola di Taddeo Gaddi già esistente in San Michele e ora nella R. Galleria Antica e Moderna. SAN MICHELE IN ORTO 75 La chiesa bellissima, vero gioiello d' arte, che trovasi di fronte al sacro palagio di Or San Michele, fu incominciata l'anno 1349 sul disegno del Fioravanti e di Benci di Cione ed è quella stessa di cui parla la provvisione del dì 30 luglio di queir anno e che do- veva essere dedicata a Sant'Anna, in memoria della cacciata di Gual- tieri di Brienne, duca di Atene. Infatti nella provvisione si ordina che si costruisca unam pulchram et honorabilem ecclesiam vel cap- pellani ad honorem et reverentmm beate sancte Anne propitiatricis et fautricis civitatis Florentie et eius nomine vocabulo et titillo spe- cialiter insignita. E più sotto : Possint etiam eisque liceat prò con- strutione et aedificatione praedictis emere vel alio justo titillo acqni- rere seu emi et acquiri facere vice et nomine ipsius ecclesie omnes et singulas domos plateas vel terrenum et res quaslibet quas prò edificatane et constructione diete ecclesie seu prò habitatione et sub- stentatione futuri presbiteri et rectoris eiusdem ecclesie viderint expe- dire seu convenire. Et ipsas domos sic emptas die ti comuni s existens super que previderetur fieri edificatio predicta destrucre seu destruì facere prò edificatione et constructione predictis ut viderint convenire. ha fabbrica di questa chiesa rimase sospesa per molti anni, ma nel 1379 furono ripresi i lavori per darle compimento e dedicarla non più a Sant'Anna, ma all'Arcangelo San Michele. Simone di Francesco Talenti disegnò la semplice ed elegante facciata, scolpì le ornative dei pilastri ai lati della porta e il frontespizio. Il coro- namento fu eseguito dopo la sua morte nel 1404. La chiesa, esempio bellissimo dello stile architettonico medio- evale fiorentino, non di grandi misure, si sviluppa però con eccel- lenti proporzioni. Murata tutta in pietra forte, sobria e corretta nelle sue linee, si presenta all'osservatore con tutto quel prestigio solito a trovarsi nell' arte cristiana del secolo XIV. La sua pianta è con- cepita con una semplicità di forma singolare, composta di una sola navata rettangolare, nel fondo della quale sopra alcuni scalini s'in- nalzano il presbiterio e l'abside decorati con pilastri poligonali, ar- chi e vòlte a tutto sesto. Il tetto è sostenuto da opportuni caval- ietti di stile, già deturpato negli ultimi secoli, ma convenientemente restaurato e poco rimarrebbe a farsi per compiere il ripristino ge- nerale. 7 6 LE CHIESE DI FIRENZE L'altare era decorato di una tavola di Taddeo Gaddi raffigu- rante « un Cristo morto che dalle Marie è pianto, e da Nicodemo riposto nella sepoltura molto divotamente ». A questa tavola, già erroneamente attribuita a Buffalmacco, fino dal 1616 fu sostituita una di Matteo Rosselli, commessagli dalla compagnia dei Lombardi, rappresentante la gloria di San Carlo e tanto così per fare o per non poterne fare a meno, dipinse nella stessa tela il San Michele, desi- gnandogli però un posto secondario, il quale San Michele, sembra posto lì non già per esaltare la mente dei devoti, ma piuttosto per chiedere all' arcivescovo di Milano, canonizzato da Paolo V, la ra- gione del ricevuto sfratto. Dal 1616 la chiesa si incominciò a chia- mare San Carlo e tuttora così volgarmente si chiama. SAN PANCRAZIO [929-964]. E una delle chiese più antiche di Firenze e di essa abbiamo ricordo fino dai tempi del vescovo Rambaldo, che resse la Chiesa fiorentina dal 929 al 964: Qualiter dominus Rimbaldus Episcopus Jlorentinus concessit ad livellarium Pctro Benedirti quandam posses- sionem positam prope murum civitatis sancii Brancratii. Carta manu petri notavi regnante Imperatore Ugone de qua promisit annuatim dare nomine pensionis dicto Episcopatui duos de?tarios argenti (1). Edificata nel pomerio, fuori le mura, da essa prese nome una delle porte del più antico cerchio, della quale il primo documento lo abbiamo dal Bullettone (2): Qualiter dominus Podo Episcopus fiorentinits dedit ad livellarium Adamo filio Sisii unam petiam terre positam foras murps civitatis florentie extra ja?iuam civitatis sancii (1) Arch. di St. fior., Bull., pag. 319, n. 27. (2) Idem, Bull., pag. 320, n. 32. — Presso la Porta San Pancrazio trovavasi tracciato il piede di Luitprando, che serviva di misura pubblica, SAN PANCRAZIO 77 Pancvatii prò annua pensione sex denariorum argenti. Carta manu Bonis not. regnante Imperatore Odone. Appartenne al Capitolo fiorentino e dal 1157 al 1225 si trova che vi fu annesso un monastero di monache, il cui primo docu- mento però risale solo al 1208. In esso si ricorda una badessa di nome Bentivoglio (1). Nel 1223 trovasi badessa Donna Cecilia (2) e nel 1236 il monastero era già passato ai monaci, trovandosi ri- cordato in quell' anno 1' abbate Zanobi (3). Non ci restano notizie circa la primitiva struttura della chiesa, la quale doveva essere divisa in tre navi e fabbricata conforme le antiche basiliche. Nel secolo XV fu rinnuovata a cura dei monaci e fu allora decorata di diverse cappelle in cui oprarono i migliori maestri dell'epoca. Nel 1574 fu tolto il tramezzo e il coro, che si trovava nel centro della chiesa, perchè era di grandissimo impedi- mento e perchè dreto a detto si facevano da secolari molte cose im- pertinenti et inhoneste. Il coro fu mandato a Vallombrosa et si con- venne con Don Lorenzo da Poppi abbate, che l a/lombrosa dessi al nostro monastero per parte di ricompensa scudi centoventicinque e barili quaranta di buon vino posto in Firenze ' 4 Tra le opere d' arte di cui era ricca San Pancrazio, vedevasi una bellissima tavola, che stava sull' altare maggiore. Era di mano di Agnolo Gaddi e raffigurava la Madonna con diversi santi, tra i quali San Giovanni Battista, San Giovanni Evangelista, San Pancrazio, i Santi Nereo e Achilleo. Il gradino aveva otto storie della Madonna e di Santa Reparata (5). Filippo Lippi, per la cappella Rucellai, dipinse una tavola e Francesco di Simone fiorentino, discepolo di Andrea del Verroc- chio, lavorò il monumento di Pietro Minerbetti morto nel 1482, come resulta da un atto di donazione in data settembre dell'anno 1108: a pede qui est designatimi in petra iuxta porta sancii pancratii (Arch. di St. fior., Diplomatico, Santa Maria Novella . (1) Arch. di St. fior., Diplomatico, San Pancrazio, 1208, 14 ottobre. (2) Idem, Diplomatico, San Pancrazio, 1223, 23 marzo. (3) Idem, Diplomatico, San Pancrazio, 1236, 17 maggio. (4) Idem, Convento n. SS, Libro di ricordi, dal 152S al 1598. (5) Questa tavola si trova nella R. Gallerìa Antica e Moderna; il gra- dino però è mancante di una storia. 78 LE CHIESE DI FIRENZE monumento che andò disperso quando la chiesa fu soppressa. Vi si leggeva la seguente iscrizione : D. S. PETRO MINERBECTO EQVITI INSIGNI DE REPVBBLICA DEQVE SVIS BENEMERITO HEREDES POSVERE OB1IT AN. SAL. MCCCCLXXXII VIXIT AN. LXX. M. Vili. D. XV. Luca della Robbia eseguì il sepolcro di Benozzo Federighi, vescovo di Fiesole, morto nel 1450 e che troveremo in Santa Trinità. Di questa antica chiesa non resta che la bella cappella Rucellai con la copia del Santo Sepolcro, eseguita da Leon Battista Alberti. Sulla piccola porta che mette nell' interno del sepolcro, si legge questa iscrizione : JOHANNES RVCELLARIVS PAVLI FIL. VT INDE SALVTEM SVAM PRECARETVR VNDE OMNIVM CVM CHRISTO FACTA EST RESVRRECTIO SACELLVM HOC AD INSTAR HYEROSOL. SEPVLCRI FACIVNDVM CV- RAVIT MCCCCLXVII. E nel fregio : YHESVM QVERITIS NAZARENVM CRVCIFIXVM SVRREXIT NON EST HIC. ECCE LOCVS VBI POSVERVNT EVM. La chiesa, completamente rifatta, fu consacrata il 29 di agosto dell'anno 1485 per mano di Alessandro vescovo Cimbaliense. Ri- chordo chome a dì 28 dagosto 1485 fu chonsecrata la chiesa della badia et monastero di sa?ito pancratio di Fwenze (1). Il Capitolo fiorentino vi conservò diritto di patronato essendo perciò tenuto 1' abbate di « invitare honorevolmente ogni anno alla « festa di S. Pancrazio il Proposto e Capitolo et honorevolmente « li ricevesse e facesse loro cantare solennemente la vigilia vespro « la mattina la messa maggiore al popolo, che la sera della vigilia « desse da bere al Proposto a Canonici e ai servitori e facesse « più altre cose ». Da questo obbligo furono esentati i monaci con (1) Arch. di St. fior., Convento n. 88, Libro di ricordi, ti. 65, pag. 24. SAN PANCRAZIO 79 un atto di transazione, stipulato il dì 22 di maggio dell'anno 1329, pagando al Capitolo cento fiorini d'oro per una sol volta (1). Annesso alla chiesa trovavasi un ospedale, la cui antichità è di- mostrata da un atto di donazione del dì 19 luglio dell'anno 1077 ( 2 )- Pagano del fu Giovanni e donna Imilla sua consorte donano alcune case e sei pezzi di terra, tutti descritti nei loro vocaboli e confini in hospitali venerabili loco quod positum est foras muros floreniie civitatis non longe ab ecclesia sancti paìicratii. In questo ospedale alloggiarono i primi frati domenicani quando dal convento di Ripoli si trasferirono in Firenze, ed è fama che vi si fermasse anche San Domenico. La chiesa di San Pancrazio fu di nuovo edificata nel 1752, però di proporzioni più limitate, occupando solo due terzi dello spazio occupato dall'antica. Compiuta nel 1755, veniva poi soppressa nel 1809. Il monastero, la chiesa, il cimitero furono trasformati dapprima in locali d' ufficio per la Direzione del Lotto e quindi per la Corte d'Assise; poi ad uso di magazzini e di laboratori per la R. Mani- fattura dei tabacchi. Le lapidi, gli stemmi furono trasportati nel Museo Nazionale. L'ultimo ricordo rimasto era il lastrone della tomba di Nannina de' Medici, moglie di Bernardo Rucellai, lastrone ornato di liste di marmo a vari colori. Fu rimosso dal conte Giovanni Rucellai nel 1884 e collocato nella cappella del Santo Sepolcro. Un affresco di Neri di Bicci, che non fu possibile rimuovere, fu munito di una grandiosa vetrata. La denominazione ad sanctum Xystum (3), con la quale venne talvolta chiamata questa chiesa, non è antica e devesi al canto di San Sisto a cui è prossima. (1) Arch. di St. fior., Diplomatico, San Pancrazio, 1329, 22 maggio. (2) Idem, Diplomatico, Badia a Ripoli, 1077, 19 luglio. (3) Lami,' Eccl. Fior. Mon., voi. Ili, pag. 15 14. 8o LE CHIESE DI FIRENZE LA CROCE AL TREBBIO E IL CANTO DI SAN SISTO [1338]- E ancora incerto se il Trivium, ossia il punto in cui convengono tre o più vie, o il tripudium, qualifica data ai ludi o ai resti di feste e superstizioni pagane, possano avere dato origine al nome trebbio. Forse l'opinione più vera è quella che ne fa un derivato dal Tribo o Triòus, nome che davasi dai Romani a quel quartiere della città ove si faceva la rassegna dei cittadini per distinguere le condi- zioni e le famiglie. Il Tribo o Tribìts, corrottamente sarebbesi detto Tribio, poi tribbio, finalmente trebbio. La denominazione tritio tro- vasi in una carta dell'anno 1092 e questo sembra che sia il più antico documento in cui si nomina un luogo detto tribio prope ci- vitate florentia (1). In un atto di donazione del mese di settembre dell' anno 1108, 1' ubicazione di Santa Maria Novella è determinata dal tribbio offerimus in ecclesia et oratorio beatissime semper virginis marie que nomina tur novella sito prope tribbio e la carta è datata dal tribbio. Aduni in tribbio prope civitate florentia (2). In un altro documento, che è un atto di allogazione, in data del dì 4 maggio dell'anno 11 18, è anche ricordata la chiesa di Santa Maria Novella presso il tribbio sancte marie que vocatur no- vella posile prope tribbio (3). Dal Trebbio prese nome una porta del secondo cerchio di mura, come resulta da una provvisione della Repubblica dell'anno 1287, nella quale si ordina 1' ampliamento della piazza di Santa Maria Novella. In essa si nomina la porta de Trebio e una strada per quam itur ad porta m de Trebbio (4). Nella carta (1) Arch. di St. fior., Diplomatico, Monastero di Luco, 1092, 15 no- vembre . (2) Idem, Diplomatico, Santa Maria Novella, 110S, . . . settembre. (3) Idem, Diplomatico, Santa Maria Novella, 11 18, 4 maggio. (4) Idem, Diplomatico, Santa Maria Novella, 1287, 16 gennaio. — Fi- neschi, P. V., Memorie sopra il cimitero antico della chiesa di Santa Ma- ria Novella di Firenze, pag. 8. LA CROCE AL TREBBIO E IL CANTO DI SAN SISTO 8l in cui vengono determinati i beni del Comune da erogarsi nella formazione della nuova piazza è ricordato il trivio delle fosse : . . . .... trevium fovearum a porta de trebbio usque ad portarti sancti palili (i). Il Borghini prendendo argomento dalla forma tortuosa di alcune fabbriche, che tuttora si vedono sulla piazzetta del trebbio, suppose in quel luogo 1' esistenza di un anfiteatro ; ma di ciò mancano affatto prove e documenti su cui appoggiare tale asserzione. La colonna di granito con la croce di marmo bianco fu eretta nell'anno 1338 e il Del Rosso nelle note all' Osservatore fiorentino (2) ne fa autore Andrea Pisano. Il capitello è ornato nella parte infe- riore di foglie di acanto e nella superiore dai simboli degli Evan- gelisti. Tra i bassorilievi che adornano la croce vedesi Pietro da Verona, detto San Pier martire, il cui zelo fiaccò in Firenze l'eresia dei Paterini, i quali furono combattuti e vinti presso il Trebbio e presso Santa Felicita. Nella cimasa circolare è incisa questa iscrizione : SANCTVS . AMBROSIVS . CVM . SANCTO . ZENOBIO PROPTER . GRANDE . MISTERI VM . HANC . CRVCEM HIC . LOCAVERVNT . ET . IN . MCCCXXXVIII NOVITER . DIE . X. AVGVSTI . RECONSECRATA EST . "P D~MN . FRÀCISCV FLOR. EPVM VNA . CV . EPO . AgrAI . Q . VNA . CV . ALIIS . EPÌS . MI Che Sant'Ambrogio e San Zanobi consacrassero in questo luogo una croce, non è che una leggenda, avendo già dimostrato che San Zanobi fu vescovo di Firenze dopo che Sant'Ambrogio era morto. Forse la croce fu eretta circa il 1000 per ricordare la vit- toria del cristianesimo sul paganesimo. La croce e la colonna cad- dero per il diluvio dell' anno 1333 e nel 1338 il monumento fu eretto di nuovo. Forse il fusto è l'antico e l'iscrizione fu compi- lata sulle popolari leggende. Il vescovo aquilaiense ivi mentovato è fra Angiolo Acciaiuoli domenicano, successore di Francesco Salvestri da Cingoli, che con- sacrò le nuova croce. Le parole propter grande misterium fecero (1) Arch. di St. fior., Diplom., Santa Maria Novella, 1287, 2 febbraio. (2 ) L' Osservatore fiorentino, Firenze, 183 1, tomo V. Cocchi, Le Chiese di Fhcnze. 6 82 LE CHIESE DI FIRENZE supporre che in quel luogo si trovasse nei primi tempi della reli- gione cristiana in Firenze un cimitero. Si suppone pure che presso il trebbio fosse stata eretta una chiesa in onore di un San Sisto, che alcuni vorrebbero ucciso in Fi- renze in odio alla fede nella persecuzione di Decio, ma ciò è pura leggenda e il San Sisto che vedesi dipinto nel tabernacolo sino dal secolo XIV è San Sisto papa e martire, al quale forse era dedicata in quel luogo una piccola chiesa; ma anche questa non è che una supposizione. Il canto di San Sisto avrebbe preso nome, se non da una chie- suola, certamente dal Santo effigiato nel tabernacolo. SANTA CECILIA [930], Forse fu eretta nel secolo IX, quando si diffuse maggiormente il culto verso la martire Santa Cecilia, dopoché il pontefice Pa- squale I neir anno 822 trasportò le reliquie della illustre eroina dal cimitero di Callisto alla basilica omonima in Trastevere. Il primo documento in cui si fa parola di questa chiesa, lo abbiamo dal Re- gesto fiorentino dove si legge : Qualiter dominus Rimbaldns Epi- scopus fiorentinns concessit ad livellarium Adolo Jìlio Bernardi quan- dam casam et solavi positavi floreiitie prope ecclesiam sancte Cicilic prò anmia pensione triuni denariomm argenti. Carta manu Sasonis not. Ugoìie imperatore regnante (1). Il documento si riferisce al- l' anno 929 o 930, quando ancora Ugone non erasi associato a suo compagno d' impero Lotario, il che avvenne nel 930. Da un diploma di Sichelmo vescovo resulta che il rettore di questa chiesa godeva il titolo di cardinale, ciò che trova spiegazione neh' uso, che i preti titolari delle parrocchie erano detti appunto (1) Arch. di St. fior., Bull., pag. 316, n. 38. SANTA CECILIA cardinali, qualifica che fu ristretta ai parroci e ai diaconi dei titoli di Roma e quindi ampliata fino al numero di settanta e confe- rita ai più degni soggetti del ceto ecclesiastico, mantenendo però 1' uso di prendere il nome e il possesso degli antichi titoli di Roma. La carta di Sichelmo è datata nel quinto anno dell' impero di Ottone, che corrisponde all'anno 966 : Sichelmus Episcopus Flo- rentinus concedit ad livellimi Rodulfo filio Michclis bona posila in loco Gello in plebe sancii Pelri de quarto, que pertinebant ad eccle- siam et cardinalem sancte Cecilie, prò denarii sex boni de argento. Anno quinto Imperii Ottonis Kal. Aprilis Indictionc nona (1). Fu collegiata con canonici fino all'anno 1250 e nel chiostro ivi annesso ebbero residenza i consoli dell'Arte del Cambio, come resulta dagli statuti compilati nell'anno 1299 e da quelli del 1300, nei quali si legge che tra le feste proprie dell' Arte è ricordata quella di Santa Cecilia, nella cui festività i consoli erano tenuti ob dei reverentiam off erre quolibet anno ecclesie sancte Cecilie ubi dieta ars et consules conveniunt et ad iura reddenda morantur duo- decimi cereo s (2). Nel 1275 si trova che il prete Uguccione, rettore di questa chiesa, era collettore delle decime (3). Nel 1304 rimase distrutta dall' incendio suscitato per odio di parte da Neri degli Abati. Fu ricostruita, ma corse pericolo di essere demolita da Gualtieri di Brienne, duca di Atene, il quale voleva più libera veduta innanzi al palazzo. Nel 1367 fu atterrata con la casa del rettore, per allargare la piazza. Ricostruita ancora, fu capo- volta ed ebbe allora l'ingresso sulla piazzetta dei Malespini. Nel 1627 fu nuovamente capovolta facendo la porta d'ingresso sotto il tetto dei Pisani per ovviare a molte indecenze e per maggior decoro di detto luogo, come riferisce la supplica avanzata al granduca dal ret- tore Giovanni Bongianni il dì 7 ottobre dell'anno 1627 (4)] Fu soppressa nell'anno 1783 e alla vicina chiesa di Santo Stefano fu recata la tavola del cav. Curradi, che decorava il mag- (1) Lami, licci. Fior. Mon., voi. II, pag. 141 7. (2) Arch. di St. fior., Arte del Cambio, n. 1 e 2, c. 18 r. (3) Archivio Vaticano, n. 240, Collectoria di Tuscia, c. 8. (4) Arch. di St. fior., Capitani di Parte Guelfa, n. 797, pag. 329. 8 4 LE CHIESE DI FIRENZE giore altare, rappresentante papa Urbano I, che assiste alla morte di Santa Cecilia. Vi fu pure trasportato 1' antico reliquiario con le in- signi reliquie della Santa martire, ottenute dalla casa Medici quando nell'anno 1595, sotto il pontificato di Clemente Vili, fu eseguita la ricognizione del sacro corpo. Tra gli oggetti cT arte di cui era ricca, trovavasi un prege- volissimo dossale sul quale era dipinta la Santa e in otto scom- partimenti erano rappresentati vari fatti relativi al martirio. Il Vasari lo attribuisce a Cimabue, ma sembra piuttosto opera d' ignoto del se- colo XIV. All' epoca della soppressione della chiesa anche questo dossale fu recato in Santo Stefano, donde nel 1841 passò nella Gal- leria degli Uffizi, ove tuttora si trova (1). Presso 1' altare maggiore vedevasi un bellissimo tabernacolo per 1' Eucarestia, scolpito in marmo, fatto eseguire da messer Be- nozzo Federighi, canonico fiorentino, rettore di questa chiesa e poi vescovo di Fiesole, al quale pure devesi una campana, che oggi trovasi sul campanile di Santo Stefano e sulla quale è ricordato il munifico benefattore con queste parole : TEMPORE DOMINI BENOZI EPISCOPI FESVI MCCCCXXXII Il ricordo di questa chiesa antichissima e veneranda, non resta oggi che nel nome della piazzetta che le dava accesso. SANTA MARIA MAGGIORE [929-964]. L'origine di questo vetusto tempio, che è il primo dedicato in Firenze alla Madonna, è coinvolta alla leggenda, la quale vor- rebbe che fosse stato consacrato dal pontefice Pelagio II nel secolo VI. Sembra però che non debba ritenersi più antico del secolo X. La tarda leggenda del miracolo della neve sul colle Esquilino a Roma, (1) Trovasi nel primo corridore al n. 20. SANTA MARIA MAGGIORE «5 non deve essere stata certamente la causa della fondazione di Santa Maria Maggiore, non trovandosi ricordata la festa della Madonna della Neve nel codice Riccardiano del secolo XII, Rubricae Eccle- siae florentinae, e nel codice Mores et consuetudines canonicae flo- rentinae del secolo XIII, nei quali sono descritti i riti e le feste della Chiesa di Firenze (i). Dal Regesto fiorentino abbiamo il più antico documento in cui si fa parola di Santa Maria Maggiore: Qualiter dominus Rimbaldus episcopus florentinus concessit in pheudum Petro Agiprandì terram cimi casa posìtam prope ecclesiam sancte Marie Maioris prò amino fiche trium denariorum dicto Episcopatui solvendorum per dietimi Peirum annuatim. Carta manu Rodulphi not. (2). Questo documento, privo di data, si riferisce all' epoca in cui il vescovo Rambaldo resse la Chiesa di Firenze, cioè dall' anno 929 al 964 circa. La demolizione dell'altare principale, effettuata nell'occasione del restauro eseguito dell' ing. ardi. prof. Giuseppe Castellucci, ha portato alla scoperta del muro dell'abside della chiesa primitiva. Il muro misura m. 0.73 in grossezza e conserva traccie di antichi affreschi. Dall'abside facilmente si deduce che l'antica chiesa doveva essere di modeste proporzioni. Da un compromesso del dì 31 marzo dell'anno 1222 dell'Ar- chivio capitolare di Santa Maria del Fiore, e riferito dal Lami, ri- sulta che era preceduta da un portico: Diotifcce prior et rector ecclesie et canonico sancte Marie Maioris Florcntie ex una et Die ti sa Ivi Morlani parochianns snns ex altera parte compromittunt in l 'bei tei - Inni filium Jamboni Orlandum Mensuratorem et Azzettnm filium Si- monettì magistros communis Florentie dijfcrcntiain verU ntem inter ipsos super quodam solo et platea qnam olim Rusticus predecessor in dieta ecclesia vendiderat dicto Dictisalvi quorum soli et platee ii sunt fines : a primo via a seenndo et tertio diete ecclesie a quarto murus vetus civitatis Florentie et super platea et cemeterio diete ec- clesie a via publica que est extra murimi integre civitatis usque ad aliam viam publicam que est et venit inter domimi die ti Dieti- (1) Vedi la nota a pag. 27 e la nota 4 a pag. 52. (2) Arch. di St. fior., Bull., pag. 143, n. 28. 86 LE CHIESE DI FIRENZE salvi et domos uxoris Joanni et filiorum Alberti Rìiffi. Aduni in civitate Florentie sub porticti diete ecclesie anno Dominice Incarna- tionis m. ccxxii pridie kalendas Aprilis ind. xiv (i). Fa parte delle chiese comprese nel primo cerchio di mura e delle dodici leggendarie priorie. Da un atto riferito dal Lami sembra che nell'anno 1182 fosse già chiusa nel secondo cerchio (2). E da supporsi che nell'anno 1224 il pittore Fidanza avesse oprato in Santa Maria Maggiore, trovandosi che in queir anno il priore Diotifece, col consenso del suo Capitolo, vende una casa posta in campo Corbolini per pagare un debito a maestro Fidanza (3). La chiesa fu rinnuovata nella seconda metà del secolo XIII per opera di Buono fiorentino ; quello stesso che lavorò alla cap- pella di Sant' Jacopo e in varie chiese di Pistoia. E indubitato che nelle costruzioni di stile ogivale in Firenze è la prima e quindi anteriore a Santa Maria Novella e a Santa Maria del Fiore. E a conferma di ciò, vale anche il fatto di trovare nelle decorazioni dei capitelli dell' abside teste umane scolpite di tutto rilievo, decora- zioni che non fanno seguito nelle costruzioni successive. La chiesa, bella nelle sue forme architettoniche, per la muni- ficenza dei Manovelli, dei Panciatichi, dei Del Beccuto, degli Or- landini, dei Carnesecchi, dei Boni, degli Agli e di altre famiglie, fu nelle interne parti ed anche nella sua facciata splendidamente decorata dai migliori dipintori dei secoli XIV e XV. Spinello Aretino, per commissione di Filippo di Barone Cap- pelli, dipinse neh' abside « molte storie della Madonna a fresco, ed « alcune di Sant' Antonio Abate, ed appresso la sagrazione di quella « chiesa antichissima il che tutto lavorò Spinello così bene, « che pare fatto tutto in un giorno e non in molti mesi come fu » (4). Neil' attuale restauro sono venute in luce due di queste pitture, una delle quali rappresenta la Strage degl' Innocenti. (1) Lami, Eccl. Fior. Mon., voi. Ili, pag. 1650. (2) Idem, voi. II, pag. 963. (3) Il testo originale del documento, nelle parti più importanti, fu pub- blicato dal Rumohr nel tomo II delle sue Ricerche Italiane, in nota, pag. 28. Vedi anche Lami, Eccl. Fior. Mon., voi. II, pag. 967. (4) Vasari, op. cit., tomo II, pag. 291, 292. — La lode del Vasari è un po'equivoca. Le pitture, a detta del Bottari, erano quasi tutte di verdaccio. Madonna bizantina. SANTA MARIA MAGGIORE 8 9 Della maniera di Spinello ritengono alquanto le pitture dei primi due pilastri a man dritta di chi entra in chiesa. Nel primo, appoggiato nella parete interna della facciata, si vede Santa Sco- lastica e San Giovanni Evangelista, figure assai belle. Nel secondo, che per essere isolato è dipinto intorno, ha in una faccia la Fede e San Giovanni Battista, nell' altra Santa Maria Maddalena e Santo Stefano ; nella terza San Sebastiano e Giona rigettato dalla balena e nella quarta una storia di San Niccolò di Bari e San Pietro, figura bellissima. Furono scoperte nel 1849, e liberate dall'intonaco che le aveva guaste e manomesse, per opera di Gaetano Bianchi furono ripulite e ritoccate. Per l' altare maggiore Agnolo Gaddi fece una tavola, sulla quale dipinse « intorno a una coronazione di nostra Donna un ballo d' angeli ragionevole ». Lippo nel 1383 dipinse nella cappella dei Del Beccuto gli atti di San Giovanni Evangelista, e sulla parete dove fu addossato il ba- rocco altare della cappella dei Carnesecchi gli atti di San Dionigi Areopagita. Di Lippo potrebbe essere anche il bellissimo affresco venuto in luce quando dalla cappella Orlandini fu remossa la tavola della Madonna, assicurandoci il Vasari che quest' artefice lavorò sulle pareti della chiesa molti altri dipinti. Masaccio eseguì una tavola per un' altra cappella, nella quale vedevasi la Vergine in mezzo a Santa Caterina e San Giuliano. Alla munificenza di Terrino Manovelli devesi la bellissima porta maggiore con la statua della Madonna, nella cui base leggonsi queste parole : HOC FECIT FIERI TERRINVS JÒHES DE MANOVELLIS. I Barucci godettero lungamente il patronato di questa chiesa e, secondo le usanze dei tempi, il priore ogni anno mandava ai pa- troni per la Pasqua di Resurrezione un agnello e per la Madonna di agosto delle carni o dei formaggi ed uova. Tale offerta è di data antichissima, trovandosi a' 17 di maggio del 1231 una sentenza a favore di Aldobrandino Barucci, nella quale si conferma il diritto dei patroni di ricevere annualmente in pasca Resnrrectionis inedie- 9 o LE CHIESE DI FIRENZE tatem uniiis ferculi agni assi pieni de quo fia?it tria fercula, et medietatem alterius ferculi carnis et tridure quando carnes commen- duntur, et quando carnes non commenduntur medietatem unius fer- culi casei cum ovis in festivitate sancte marie de mense augusti omni anno in futurum (i). La chiesa fino al 1 5 1 5 fu una insigne collegiata ; quindi passò in proprietà del Capitolo di Santa Maria del Fiore e al 31 ottobre del 152 1 venne affidata ai frati carmelitani della congregazione di Mantova, che prima stavano in San Barnaba. Tra le condizioni imposte ai frati dal Capitolo fiorentino leg- gesi quella che in fra due mesi dal sopradetto giorno habbino messa sopra la porta principale della chiesa V arme di nostro Signore Leone X e del Rev. m0 signor cardinale Giulio de' Medici fior eniÌ7io e l' arma del Capitolo (2). Il giorno in cui entrarono i frati, per la chiesa di Santa Maria Maggiore fu, sotto 1' aspetto artistico, giorno nefasto. Infatti, come avevano deturpata la chiesa di San Barnaba, misero mano a fare altrettanto in Santa Maria Maggiore. Demolirono gii antichi altari, sostituendone altri sul gusto barocco, che man mano si avanzava a deturpare quanto di bello e di buono avevano fatto gii antichi maestri. I pregevoli affreschi sparirono sotto la calce e sotto i pe- santi ornati. Le antiche finestre furono chiuse insieme al bellissimo finestrone dell' abside a bifora e colonnini di pietra, che oggi sag- giamente è stato ripristinato. Spostarono l'occhio della facciata per dar posto ad una cantoria per 1' organo e alle vòlte delle navi fu tolta tutta la bellezza delle linee ogivali. Nondimeno tra i dipinti ordinati dai frati ve ne sono alcuni importanti di mano del Poc- cetti e del Volterrano. Perfino il bellissimo campanile, lodato dal Varchi per una delle più belle torri campanarie della città, non fu risparmiato, e nei libri del convento, sotto la data del dì 19 marzo del 1630, trovasi ricor- dato come havendo fra Adamo Redini priore desideri d'abbellire, e restaurare la chiesa, e considerando il pericolo che minacciava di (1) Arch. Cap., doc. 433. (2) Arch di St. fior., Convento n. 114, Libro di ricordi, n. 31. Affresco della Cappella Orlandini. SANTA MARIA MAGGIORE 93 rovinare il campanile vecchio e V impedimento che rendeva ad una bella cappella determinai levarlo, onde havendone prima parlato ad aures con il Serenissimo Gran Duca fic rimesso il negozio nel sig. Giulio Cavallo, il quale havendo visto esso campanile, disse essere bene levarlo e diede il placet a nome di S. A. con la condi- zione però che la testa che era nel campanile rappresentante certa memoria antica, si accomodasse in luogo che fosse vista come canta la supplica segnata dal Serenissimo G. D. et havendone in questo giorno parlato con i PP. tutti capitolarmente congregati epoi con voti segreti anco essi diedero il placet cortesemente nemine repu- gnante, onde si messe mano il dì 20 detto et ancora si va levando tutto a gloria del grande Iddio e benefizio della nostra chiesa (1). L' antica memoria, cui allude il documento, esiste tuttora proprio in quella parte dove trovavasi il campanile e consiste in una testa sotto alla quale si legge « Berta ». Intorno a questo nome si sono ricamate le favole più strane : chi volle che fosse il nome della figlia dell' imperatore Eraclio di Costantinopoli, chi della madre di Carlomagno, chi una « trecca » o « cavolaia », la quale avrebbe fatto fondere una campana, perchè ad una certa ora suonasse nelle sere d' inverno, onde i lavoranti cessassero dalle veglie. I frati carmelitani, quando a' primi del secolo XVII fecero le nuove campane fondendo le antiche, sulla più grossa fecero scolpire questa iscrizione : f BERTA . PRIOR . CONFLAT . CARMELI . AVXERE . SODALES CHRISTIPARAE . EXCELSVM . NOMEN . VTRINQVE . GERO. MDCX 2 . Del resto, nessuna di queste leggende, parto di fantasie popo- lari, deve ritenersi per vera : sembra più probabile che quella testa, simile ad altre che si vedono nei costoloni dell' abside, sia stata collocata all' esterno del campanile forse per bizzarro ornamento, applicandole poi il nome col quale l' aveva battezzata il popolo. Nel cimitero di Santa Maria Maggiore ebbe sepoltura Ser Brunetto Latini, segretario della Repubblica, restauratore insigne li) Arch. di vSt. fior., Convento n. 114, Libro di ricordi, n. 31. (2) Comunicatami dal Rev. Padre F. Tenaglia dei ministri degli In- fermi. I crociferi di San Camillo occupano questa chiesa fino dal 18 16. 94 LE CHIESE DI FIRENZE dell' eloquenza e della poesia, maestro di Guido Cavalcanti e di Dante. Fiorì nel secolo XIII, essendo nato appunto nel 1230 e morto di anni 64. Vi sarebbe stato sepolto pure Salvino degli Armati a cui, senza fondamento, è attribuita V invenzione degli occhiali. Del sepolcro di Brunetto non rimane oggi che una delle quattro colonne che sostenevano il sarcofago; vi si vede scolpita lo stemma dei Latini, con queste parole : S. S. BRVNETTI . LATINI . ET. FILIORVM Salvino è ricordato da questa iscrizione di caratteri del se- colo XVII, sormontata da un piccolo busto proveniente da un'an- tica statua: f QUI . DIACE SALVINO . D'ARMATO . DEGLI . ARMATI DI . FIRENZE INVENTOR . DEGLI . OCCHIALI DIO . GLI . PERDONI . LA . PECCATA ANNO . D. MCCCXVII Queste memorie sono state raccolte nella cappella del Sacra- mento, dove all' altare è stata collocata la bellissima tavola bizan- tina scolpita e dipinta, esprimente la Vergine col Bambino, che prima stava alla cappella Orlandini, nascosta dietro pesanti e ba- rocchi ornamenti. SANTO STEFANO DEL POPOLO 95 SANTO STEFANO DEL POPOLO [969]- Una chiesuola dedicata a Santo Stefano protomartire, trovasi ricordata in una carta del dì 8 luglio dell' anno 969, nella quale si legge che Zanobi del fu Luca vende alla contessa Willa, per il prezzo di 200 soldi tutto il terreno cuni casa solariata qnc dicitur palclw et ciim ecclesia cui vocabuluvi est beati sancti stefa?ii e con le case eh' egli ha infra civitate florentia prope porta sancii petri (1). Di qui è derivato 1' assurdo contro ogni documento, che la chiesa del monastero, detta comunemente la Badia, eretta su quel terreno, fosse dedicata a Santo Stefano ; mentre è certo che le fu dato il titolo di Santa Maria, ritenendo però Santo Stefano come contitolare, in memoria dell' antica chiesuola eretta in onore del Santo protomartire, titolo che ebbe già la parrocchia prima che nell'anno 1479 fosse riunita \a San Procolo. Questa chiesa parroc- chiale trovasi detta talvolta di Santo Stefano ad abbattavi per essere stata edificata contigua alla Badia ; talvolta del popolo, o perchè edificata dal popolo o perchè vi si facevano specialmente le funzioni parrocchiali. E ricordata nel Diario di Marco di Bartolommeo Rustichi con queste parole : E vi lachiesa di santo Stefano de/po- polo la quale è apichata alla badia di firenze ( 2). L'antico titolo è oggi conservato dalla bella cappella Pandolfini, a cui si accede dal corridore, che serve di vestibolo alla chiesa detta di Badia e che fu edificata sul disegno di Benedetto da Rovezzano. E di ordine composito ed ha una splendida tribuna scolpita con quell' eleganza che egli sapeva così ben mettere nelle opere sue. Sull' altare si vede una tavola abbozzata dal Bilivert, che rappre- (1) Arch. di St. fior., Diplomatico, Badia. (2) Pag. 26 r. 9 6 LE CHIESE DI FIRENZE senta il martirio di Santo Stefano e ben mostra quanto di bello si poteva sperare se fosse stata condotta a compimento. Neil' impiantito di questa cappella si leggono le seguenti iscri- zioni, che fanno memoria di alcuni di casa Pandolfini : JOANNES BAPTISTA PANDVLPHINIVS PAND. FI L. SACELLVM HOC SVMMA PIETATE D. STEPHANO CONSTRVXIT NEC NON EIVSDEM FAMILIAE POSTERIS MONVMENTVM HIC SVBESSE VOLVIT QVOD DEINDE ROBERTVS EX FILIO NEPOS PAVIMENTO MARMOREO ORNANDVM TESTAMENTO RELIQVIT AN. DOM. MDLXXXII Quindi quest' altre : JANNOCTIVS PANDVLPHINIVS EPISCOPVS TROJAE ANNO DOM. MD. Asserisce Raffaello Sinibaldi da Montelupo nella propria vita, che suo padre Baccio aveva fatto la sepoltura per questo vescovo, alla quale lavorarono molti operai e dice che quella sepoltura « si « trova nella Badia di Firenze : no sè mai messa in opera : mancò « questo vescovo e poi no si seguì ». BERNARDVS PANDVLPHINIVS EPISCOPVS TROJAE MDLX NICOLAVS PANDVLPHINIVS S.R.E. CARDINALIS ANNO D. MDXIX SAX PIER MAGGIORE 97 SAN PIER MAGGIORE [969]- Gli atti apocrifi di San Zanòbi, compilati nel secolo XIII, fanno memoria di ima chiesa dedicata a San Pietro, presso la quale il Santo avrebbe operato il miracolo della resurrezione di un fan- ciullo (1). L'esistenza di questa chiesa fino dai tempi di San Zanobi, (1) La resurrezione del fanciullo è narrata, oltreché nella leggenda del falso Simpliciano del secolo XIII (Bibl. Med. Laur., Pluteo XXVII, cod. 1 . anche in quella più veridica del secolo XI di Lorenzo arcivescovo di Amalfi (Bibl. Med. Laur., Plut. XX, cod. I, II). Il luogo su cui San Zanobi si prostrò per ottenere il miracolo, fino dai tempi dell'Amalfitano era detto Geniculum e a quello fermavansi i novelli vescovi, quando da San Pier Maggiore si recavano a Santa Reparata per compiere la funzione dell'inse- diamento : Et cium idem dominus Episcopus fuit apud quendam lapidem qui dicitur lapis sancii Zenobii ubi proni dicitur quendam puerum defunctum beatus Zenobius florcntinus episcopus i)i simili adventu (?) florentiam suscita- va hi dicto buì'go santi petri maioris ibi aliquaululum resi Hit e oravit IH post dictam oratiouem geni/pici' il super dicto lapide \ Et postmodum surgeli s iter assumpsit versus dictam ecclesia m sane te reparate. (Bui/., pag. 3571. Nel lunedì di Pasqua, quando il clero recavasi processionalmente alla stazione a San Pier Maggiore, al ritorno si fermava al Geniculum, dove cantata l'antifona e detta l'orazione di San Zanobi, a ricordanza della le- tizia provata dalla madre del fanciullo risorto e dello stupore del popolo, si scioglieva la processione e tutto il clero tornava confusamente a Santa Reparata. La processione fu perciò detta degli scappati. Onesta funzione non è ricordata nel codice Rubricete Ecclesiae florentinae (Bibl. Rice, n. 3005J e neppure nell'altro del secolo XIII, intitolato Mores et consuetudine* cauouicae florentinae (Arch. dell' ()p. di S. M. del Fiore, n. 21, serie Ij. Il luogo ove accadde il miracolo è ricordato dalla seguente iscrizione, che trovasi in Borgo degli Alhizi, sotto una finestra a terreno del palazzo Altoviti. Fu collocata oltre la metà del secolo XY1 dal sen. Baccio di Fi- lippo Valori : Z¥N 0EQ B. ZENOBIVS PVERVM SIBI A MATRE GALLICA ROMAM EVNTE CREDITVM ATQVE INTEREA MORTVVM DVM SIBI VRBEM LVSTRANTI EADEM REVERSA HOC LOCO CONQVERENS OCCVRRIT SIGNO CRVCIS AD VITAM REVOCAT AN SAL CCCC. Cocchi, Le Chiese di Firenze 7 9 8 LE CHIESE DI FIRENZE è opinione affatto priva di fondamento ; quello che resulta con cer- tezza si è, che da una chiesa dedicata a San Pietro, prese nome una porta della città, che si trova ricordata in un atto del dì 8 lu- glio dell'anno 969, già da me riferito (1). La chiesa si disse dapprima semplicemente San Pietro ; ma nel 103 1 (2) comparisce 1' aggiunta del vocabolo maggiore per di- stinguerla da altre chiese, che circa quel tempo erano già state erette in onore dell' Apostolo. Un insigne monastero sorse nel secolo XI presso questa chiesa veneranda per opera del vescovo Pietro (3), alle cui donazioni si (1) A pag. 95. (2) Arch. di St. fior., Diplomatico, Badia, 103 1, 26 agosto. (3) Il vescovo Pietro, fondatore del monastero di San Pier Maggiore, non è che il vescovo Pietro Mezzabarba, nato a Pavia, soprannominato il Simoniaco, perchè fu detto che egli aveva ottenuta simoniacamente la Chiesa di Firenze. A questo vescovo si riferisce l'avvenimento della prova del fuoco, a cui si sottopose il monaco Pietro Aldobrandino che per averla felicemente superata si disse perciò Igneo. Narra 1' Ughelli [Italia Sacra, tomo III, pag. 95) che papa Alessandro II nella piena convinzione della reità del vescovo Pietro, lo abbia deposto dalla sede, sostituendogli un altro vescovo di nome Pietro, che, a distinzione del simoniaco suo ante- cessore, sarebbe stato detto il Cattolico, e finalmente poi narra, che quello pentito della sua colpa siasi recato a farne penitenza nel monastero di Set- timo, e tuttociò stabilisce avvenuto nell'anno 1063. Ma, con buona pace del- l' Ughelli e di quanti da lui copiarono la notizia, è invece a sapersi che resulta da documenti (Fiorentini, Memorie della gran contessa Matilda, lib. I, pag. 95 e pag. 141; Brocchi, Vite dei SS. e BB. fior. ; Lami, Eccl. Fior. Mon., voi. I, pag. 103 e seg.) che il Mezzabarba mai fu deposto dalla sua sede; o se pur lo fu, vi venne ben presto ristabilito. Quanto alla prova del fuoco, sarebbe accaduta nel 1068 e non nel 1063. Perciò non a due, ma a un solo vescovo Pietro appartengono le notizie che di due differenti vescovi recò l' Ughelli, e perciò il documento di cui egli fece menzione e che attribuì al suo Pietro il Cattolico, appartiene all'unico Pietro che resse la Chiesa di Firenze dal 1060 al 1068. Ed è il documento a favore del mo- nastero di .Santa Maria di Firenze, dato all'abbate eli esso il dì 15 gen- naio dell'anno 1064 ab incarnatione (s. c. 1065). Ammesse le prove documentate del Fiorentini, del Brocchi, del Lami, anche il diploma del vescovo Pietro a favore di San Pier Maggiore, non- ché la successiva bolla di papa Alessandro II a conferma di quanto era stato disposto da lui, entrambi del 1067, devonsi riferire all'unico Pietro che visse a quei giorni, e non all' immaginario Pietro soprannominato il Cattolico. Ed egli stesso e non altri fu il Pietro che il dì 8 luglio dell' anno 1068 sot- SAX PIER MAGGIORE 99 aggiunsero quelle di Kisla o (risia, figlia della b. m. di Rodolfo. Nell'atto (i) in data del dì 27 febbraio dell'anno 1066 ab incar- natone (1067 s. c.) è descritta la donazione di tutti i beni che Kisla possedeva dentro i confini della Toscana con 1' intiera quarta por- zione della sua corte posta in Firenze, cum ecclesia sane/e marie que dieta est ferlaupc et cu ni ecclesia sancii remigiì (2) et cum ceteris rebus ad eamdem curtem pertinentibus una cum omnibus rebus quas habeo per successionem patris et matris mec tam in predieta civitate flore lilla posila quam et de foris cum ecclesia sancii petri scragii et cum ecclesia sancii felicis et cum omnibus rebus ad eamdem curtem et res pertinentibus. Quindi nella carta sono descritte tutte le corti, terre, castelli, torri e chiese di cui Kisla volle dotare il monastero, con la proibizione a chiunque di alienare o cambiare in altri usi i beni donati, e quando ciò accadesse dichiara che vengano destinati per la fondazione di un altro monastero ad honorem omnipotentis dei et sancii petri ubi sanctum corpus eius requiescit sub potestate romane ecclesie cum omnibus supradictis bonis quia hoc quod beato pctro dare decrevi sub hac conditione confinilo. Il dì 27 novembre dell' anno 1073, Kisla fa donazione al monastero di San Pier Maggiore dell' intiera metà e della intiera sua corte e nello stesso giorno il vescovo Ranieri conferma al mo- nastero il possesso dei beni e le donazioni di Kisla e specialmente ecclesia ni beate marie ferlaupc que ita dieta est et ecclesia m beati petri in scraragio et ecclesiam sancii remigi et ecclesiam sancii felicis propc /lumen cum omnibus rebus et causis ad supradictas ecclesias et curtes pertinentibus (3). toscrisse a una sentenza della contessa Beatrice a favore di Broccardo ar- cidiacono di Lucca. È probabile che in quest'anno egli sia morto, giacché appunto nel 1068 si trovano memorie, che ci mostrano la Chiesa di l'irenze affidata in amministrazione a Rodolfo vescovo di Todi. (1 ) Arch. di St. fior., Diplomatico, San Pier Maggiore, 1066, 27 febbraio. La pergamena fu pubblicata da Ippolito Camici Della Rena, nel tomo XXII dei Duchi e Marchesi di Toscana, a pag. 72; però è errata l'indicazione dell'anno e della indizione, poiché egli lesse 1076 ind. XIV invece di Y. ( 2i L'Ughelli e altri lessero San Benigno, ma è chiaramente indicato San Remigio. 131 Arch. di St. fior., Diplom., San Pier Maggiore, 1073, 27 novembre. IOO LE CHIESE DI FIRENZE Papa Eugenio III nel 1152 (1), Ambrogio vescovo di Firenze nel 1156 (2), papa Celestino III nel 1192 (3), confermarono al monastero il possesso dei beni e delle donazioni di Kisla. Dalla carta del vescovo Pietro chiaramente si apprende che 1' antica chiesa di San Pietro, circa l'anno 1066, fu restaurata, forse anche ampliata e rinnuovata nella sua facciata: Est quedam ecclesia in honorem scindi petri non longe a fiorentina urbe posila florenti- noriun suinptibus decorata facie innovata guani iti pulchriorem ino- rimi dirigendam fr iteti fi care desiderans elegantiam redegi (4). Nel secolo XIV fu completamente rinnuovata, essendo per l'an- tichità ruinosa e fatiscente. Tra i legati e i lasciti per 1' ampliamento della chiesa, si trova che un tal Guernerio lascia un braccio di pie- tre murate a calcina a sue spese : prò augmentando dictam ecclesia ni unum brachium lapidem muratimi ad calcinam suis expensis e dopo la morte di Gemma sua moglie ordina che si venda la casa di sua abitazione e se ne impieghi il prezzo per il rifacimento della chiesa (5). I lavori furono incominciati ai primi del secolo, ma dovettero pro- cedere lentamente, tanto che nel 13 10 il vescovo Antonio D'Orso faceva appello alla carità di tutti i fedeli della sua diocesi, perchè concorressero con elemosine ad perfeciionem honorabilis et sumptuosi opcris ecclesie sancii petri maioris (6). Nei libri di spese degli anni 1369, 1370, 137 1 e seguenti, sono registrati dei pagamenti fatti a Niccolao, a Tuccio, a Matteo di Pacino, dipintori (7), che avevano oprato in San Pier Maggiore. (1) Arch. di St. fior., Diplomatico, San Pier Maggiore, 1152, 15 aprile. (2) Idem, Diplomatico, San Pier Maggiore, 1156, (3) Idem, Diplomatico, San Pier Maggiore, 1192, r aprile. (4) Idem, Diplomatico, San Pier Maggiore, 1066, .... maggio. (5) Idem, Diplomatico, San Pier Maggiore, 1303, 2 aprile. (6) Idem, Diplomatico, San Pier Maggiore, 1310, 5 agosto. (7) Idem, San Pier Maggiore, Libro di ricordi, n. 50, pag. 62, anno 1370: « Niccolao dipintore dee avere per disegnare la tavola dellaltare di S. Piero ». A pag. 9, 137 1 : « Tuccio di nanni dipintore dee avere queste opere scritte » ; seguono i giorni in cui lavorò da giugno a ottobre. « di XXVIIII di 110- « vembre devo dare atuccio per colori per larcho della cappella 11. I s. X ». Anno 1378: « A di X dicembre ricevette tuccio dipintore da francescho del « teghiaio per lo lavorio chevuole che tuccio gli faccia sopra le sepolture « sua fior, uno doro ». SAN PIER MAGGIORE IOI Nei secoli successivi altri restauri e rifacimenti tolsero a que- sta vetusta chiesa quel poco che conservava dell' antica forma. Aveva tre navi ed era ricca di opere d' arte. Andrea di Cione Orcagna aveva eseguito una tavola bella e grandiosa che, quando la chiesa fu distrutta, fu comprata dai si- gnori Francesco Lombardi e Ugo Baldi e poi venduta al Museo Nazionale di Londra. Lorenzo Monaco aveva dipinta la cappella dei Fioravanti. Pietro Perugino lavorò un Cristo morto, con San Giovanni e la Madonna. L' affresco pregevolissimo trovavasi in capo a una scala, e all' epoca della distruzione della chiesa fu trasportato in una cap- pelletta del 2° piano del palazzo Albizi. La cappella Palmieri era decorata di una bellissima tavola, sulla quale era dipinta 1' Assunzione della Vergine di mano di Sandro Botticelli, che 1' eseguì secondo il disegno e il concetto di Matteo Palmieri. Questa tavola fu tenuta molto tempo coperta per cagione di essere stata dipinta « secondo una certa opinione che aveva il detto « Matteo intorno alle anime nostre et alla natura degli angioli, la « quale insieme con un' opera da lui composta fu dannata, e lui « dopo morto dissotterrato et arso ». L'opinione del Palmieri non era che l' errore di Origene, il quale ammetteva che i nostri corpi fossero animati dagli angeli, rimasti neutrali nel fallo di Lucifero. Sembra però, che quel dipinto fosse fatto cuoprire per invidia o per ignoranza, perchè fu dipoi riscontrato, che non aveva vestigio al- cuno di quelle opinioni. La pittura, che era importantissima altresì per vedersi nel fondo una parte dei contorni di Firenze, dopo varia fortuna, con disdoro di chi doveva curare il patrimonio artistico della nostra città, è finita in mani straniere. Raffaellino Del Garbo e Baccio da Montelupo oprarono in San Pier Maggiore e Desiderio da Settignano fece il tabernacolo di marmo per 1' Eucarestia, che, sebbene privo di figure, era di bella maniera e di grazia squisita. Dopo la rovina della chiesa fu tras- portato in una bottega di marmista in piazza Madonna e oggi se ne ignora la sorte. Questa chiesa antichissima, minacciando rovina, fu demolita nel 1784, senza che alcuno protestasse contro siffatto vandalismo. 102 LE CHIESE DI FIRENZE Non rimase che il portico eretto nell'anno 1638 da Matteo Nigetti e sul quale si legge l' iscrizione : DEO IN HONOREM PRINCIP. APOSTOL. LUCAS DE ALBIZIS AN. MDCXXXVIII che ricorda la munificenza del senatore marchese Luca degli Albizi. Come le più importanti basiliche ebbe annesso uno spedale, la cui fondazione rimonta all'anno 1065. In chiesa erano mol- tissime sepolture, che ricordavano antiche famiglie fiorentine. Vi furono sepolti anche Lorenzo da Credi, detto il Ghirlandaio, Piero di Cosimo e Mariotto Albertinelli. Al vescovo Pietro sembra rimonti l' istituzione di quella cu- riosa cerimonia detta « lo sposalizio della Badessa », che si rinnuo- vava ogni volta che il vescovo nuovamente eletto prendeva possesso della sede. Infatti, avendo egli installate le monache in una delle più ragguardevoli nostre basiliche, e avendo fatta loro donazione di alcune terre, non sembra erroneo l'ammettere che volesse per- petuarne la memoria e in certa guisa il vassallaggio con quest'atto d' infeudazione per annuhim, da rinnuovarsi da ciascun successore. Il più antico ricordo del cerimoniale tenuto in questa circo- stanza l'abbiamo dal Bullettonc (1) nella descrizione del possesso (1) Pag. 356 e seg. In un libro di ricordanze (Arch. di St. fior., San Pier Maggiore, 51, c. 27) sotto la data dell' anno 1383, trovansi registrate le seguenti « spese per la venuta del vescovo » : per spagho et refe per la materassa s. 7 ; per VI staia di grano IL XII ; per una mina di salina 11. II ; battitura la banbagia d. 8 la lib. 11. II s. XIII d. 4 ; per facitura lamaterassa s. 32 ; per lib. 39 di lardo a d. 20 la lib. 11. 3 s. 5; per I soma di sarmenti per le pere 11. X s. VI ; per lib. 700 di carboni dicerro il c7° 11. VI s. VI; per III starne 11. I ; per 9 capponi a s. 14 d. 6 luno 11. VI s. X d. VI; per un paro chapponi per cascio di forma et per lib. 143 divitella a d. 28 la lib. 11. XVI s. XIII; alpera per vino biancho fior. 3 doro 11. I s. 5 ; per rechatura 2 barili s. 26 al sensale 11 s. 3 ; alfante chemeno elcavallo s. X ; SAN PIER MA< r( rIORE IO3 del vescovo Jacopo da Perugia, avvenuto il 30 di giugno del- l'anno 1286 e della quale riferirò quella parte, che riguarda la ce- rimonia compiuta in San Pier Maggiore: .... dum dictus dominus Episcopus fuit in platea sancii petri predicti dominus Episcopus de- scendit de equo. Et dirti vicedomini eum in suis brachiis receperunt et cu ni eo iverunt usque ad altare beati petri predicti. Ut postca dum separabat se iverunt semper eum eo habendo eum semper in suis brachiis scilicet iuvando eum subportare et cum eo iverunt usque ad cameram et i?i camera domine abbatisse dicti monastcrii in qua ca- mera dictus dominus Episcopus pulcerrimum lectum quem dieta do- mina abbatissa prò eo fieri fecerat inventi et super eodem ledo re- quievit ad voluntatem suam. Et postea exivit de ipsa camera et venit in claustrum dicti monasteri in quo crani posile tabule causa come- dendi ibidem. Qui dominus Episcopus ibidem coni ali t et tota sua fa- mi Ha et quedam etiam plures clerici et plures etiam de dictis \ 'ice- dominis cum eo. Quod prandium factum fuit esficus is domine abbatisse et monasteri predicti clictum antan equum quem equitarii dictus Dominus Episcopus per civitatem florentie habuit abbatissa dicti mo- nasteri. Frenimi autem et sellam eiusdem equi habucrunt ftlii pacis per t6 mazze s. 24 ; aportatori s. 4 ; alla famiglia designori f. 1 doro; per rena s. 28 a d. 8 la s.° 11 s. iS d. 8. ; per mezzane 11. 4 ; azanobi pacini 11. 3 ; apiero ducei 11. 1 s. X ; per rechatura polli s. 1 d. 8; per 11. 42 di pancia per 11. 21 j discamerita a d. VI la lil>. 11. 4 s. 1 d. 4 ; per 11. 8 disugnaccio a d. 26 la 1. s. 17 d. 4; per 11. 247 divitella apacino a d. 3; per vino vermiglio bar. 4 et metadella V a s. LY1 il barile 11. XI s. VI; al chnffia chuoco f. 1111 diegii per marcilo ; per portare et rechare le cose della cucina 11. IIII; a francescho bicchieraio f. 4 doro et abenino di guccio f 11 di penna per lo piumaccio f. II et s. 18 d. 8. Onesta nota di spese si riferisce all'ingresso in Firenze del vescovo Angelo Acciainoli. io4 LE CHIESE DI EIREXZE bianchi Die autem se quatti vi de licci die Kalcndarum fulii Vicedomini predicti redierunt in mane ad dictam canterani ubi erat dictus Dominus Episcopus et datti ipse vellet intrare predictam ec- clesiam sancii petti et ire ad altare beati petti predicti duo ex die ti s Vicedominis , aliis Vicedominis precedentibus et sequenHàus eos cu tu sertis in capite quilibet corinti iuxta eumdem Dominimi Episcopum iverunt culti co usque ad dictam Ecclesiam sancii petti ad altare. Qui dotti inus Episcopus ibidem iuxta altare ipsius Ecclesie se pa- ravi! Postquam fuit paratus dixit quondam orationem qua dieta predicti duo de Vicedominis posuerunt dietimi dotti inulti Episcopum in sede que est post dietimi altare Sancii petti predicti autem duo qui predicta fccerunt fuerunt: Dominus Bindus Baschierc dela tosa et Dominus Gherardus Index fìlius Vberti de Vicedominis. Et ante autem quatti exiret et recederei de dieta ecclesia Sancii petti die predicta in mane totus clerus florcntinus et omnes religiosi et monaci diete civitatis venerunt ci obviam usque ad dictam ecclesiam sancii petti et eis redeuntibus ab cadetti Ecclesia et precedentibus eutti venerunt antecedentes ipsum usque ad ecclesiam Sancte Reparate Elorentie Nell'atto, di possesso del vescovo Lottieri Della Tosa, avve- nuto il dì 24 febbraio dell'anno 1301, è detto che in San Pier Mag- giore pranzarono col vescovo Enrico Della Tosa, Gherardo dei Visdomini e altri canonici, il che suscitò una protesta per parte di prete Chello, sindaco del monastero, ricordando che il vescovo se- condo l'antico costume doveva pranzare solo, intendendo che que- sta novità non dovesse apportare alcun pregiudizio al monastero. Dipoi il vescovo, a istanza della badessa e delle monache, pose nel dito anulare della badessa un anello d'oro con zaffiro per conti- nuare l'antica consuetudine: Item eodein die .... corani diefis testi- bus existentes religiosa domina Phy lippa Abbati ssa predicta et et io ni DD Benedicta Jacoba Petronilla Joamiina Guidotti et alia Joanna Margherita Instino et Eucia tnotiiales dicti monasterii corani vene- rabili patre domino Locterio Dei et apostolico sedis grafia Episcopo Elorentino dixeruut et protestate fuerunt corani co quod de antiqua et approbata consuetudine per tantum tempus cuius memoria homi- num non erat venerabiles patres domini domini olitti episcopi fiorai- BADIA tini qui prò tempore fuerunt ipsa die qua primo intra/veruni eivita- teui florentie et venerunt ad hospitandum ad dicium monasterium consueverunt dare et conferre abbatisse dicti monasterii que prò tem- pore fuit et dederunt et opiulerunt quendam annidimi aureum anulari digito diete abbatisse. Oliare eidem venerabili patri domino Loeterio fiorentino episcopo Jiumiliter supplicaverunt ut seeundum predietam eonsuetudinem ipsi domine Phylippe tunc Abbatisse dieti monasterii anulari digito dietimi annulum dignaretur conferre qui venerabiUs Pater predietis annuens supplieationibus abbatisse et monialium pre- dictarum et volens dietam eonsuetudinem si ita est observare de pre- dietis omnibus a pluribus personis fide dignìs diligenter inquisivi! et veritate reperta quendam annulum aureum eum uno zaffiro di- gito anulari optulit et dedit abbatisse prelibate dietam eonsuetudinem approdando ( i ). Da questo documento si deduce, che la cerimonia dell'anello doveva essere stata già da vari vescovi abbandonata; infatti non se ne fa parola nell'atto di possesso del vescovo Jacopo di Peru- gia, e Lottieri della Tosa prima di compierla volle ricercarne la verità presso persone degne di fede. BADIA [973]. A Willa, figlia del marchese Bonifazio di Toscana, moglie di Uberto marchese di Spoleto e di Camerino, devesi la fondazione della celebre Badia di Firenze. Le leggende ne attribuirono l'ori- gine al conte Ugo (2), figlio di Willa, e tanto si radicò questa opi- (1) Arch. di St. fior., Diplomatico, San Pier Maggiore. (2) Il conte Ugo da vari scrittori è stato erroneamente detto ora Magdeburgense, ora Brandeburgense e talvolta, come nell'iscrizione del suo sepolcro, Andeburgense ; ma tanto egli, quanto Uberto suo padre erano italiani. ioó LE CHIESE DI FIRENZE nione, che i monaci lo onorarono difatti quale il benefico fondatore e ad esso nel 1469 innalzarono il bellissimo monumento che ne accoglie le ceneri (1). La carta di fondazione è in data del dì 31 maggio dell'anno XI dell' impero di Ottone III, indizione VI, il che corrisponde al- l'anno 978, e vi si legge che Willa dona alla Badia, che aveva eretta dai fondamenti nel suo proprio territorio, ventilila tra case e casine, trenta mansi di terra che aveva a Gignoro e a Montedomini, le corti di Scandicci, di Signa e di Greve, i beni di Villamagna, Marina, Montemillinaio presso Vertinola, la corte di Garimberga in Valdelsa e Bibiano presso Fosci. Willa investì del possesso V abbate con le cerimonie in uso in quel tempo, consegnandogli il coltello per si- gnificare la potestà di tagliare e mietere, il fistuco o pastorale, os- sia il bastone per la giurisdizione sopra le persone e le cose, il (1) La sepoltura del conte Ugo fu allogata a Mino detto di Fiesole la prima volta nell'anno 1469. Poi il 25 di giugno tra il maestro e i mo- naci di Badia furono stipulati dei nuovi patti, tra i quali quello che Mino nel termine di diciotto mesi dovesse dare compiuta la sepoltura e che il monastero per questo lavoro gli dovesse dare milleseicento lire, computati quei denari che già gli erano stati dati. Finalmente si trova che il dì 4 gen- naio dell'anno 1481 è fatto creditore di 1777 lire, soldi 14 e denari 6, per- chè aveva aggiunta la spalliera di marmo alla sepoltura e fattovi di marmo alcune cose, che secondo il primo disegno dovevano essere di macigno (Arch. di St. fior., Convento n. 78, Libro di debitori e creditori dal 1471 al 14S0, c. 134). Il conte Ugo nell'anno 1002 non era più, e per conseguenza ben pensò il Della Rena che la sua morte avvenisse appunto nel 1001, nel giorno di San Tommaso ap., per l'antica costumanza di farne in tal giorno ogni anno i funerali, della quale ricorda anche Dante (Paradiso, canto XVI ) quando dice: Ciascun che della bella insegna porta Del gran Barone '1 cui nome '1 cui pregio La festa di Tommaso riconforta. Tuttora, innanzi a questo monumento, nel giorno di San Tommaso, secondo il primitivo costume, i monaci celebrano l'anniversario, ponendo sul feretro un' armatura di ferro, che il volgo stoltamente crede che sia quella del conte. Prima della soppressione del monastero eravi l'uso di recitare anche l' orazione funebre e di esporre un dipinto di Cristofano Al- lori, raffigurante il conte vestito di paludamento reale e con la destra pog- giata sul campanile di Badia e nella sinistra un cartello su cui leggevasi la leggendaria fondazione di questa e di altre sei badie. BADIA IO7 guanto quale simbolo dell' investitura, il guascone o la gleba fiorita per il dominio del terreno trasmesso nell' abbate e un ramo di al- bero, perchè si conoscesse 1' alienazione del fondo ; quindi Willa fu dall' abbate scacciata, quasi a significazione eh' essa aveva perduto ogni dominio su quei beni. Dal documento resulta che la chiesa era dedicata alla Vergine: . .... Umde ego in dei nomine zvilla comitissa lege vivente sa- liga filia bm. bonefaci qui fuit marchio obtimum duxit per anime mee remedium edificavit ecclesia monasterium ad fundamentis in pro- pìzio territorio meo in onorem beate sancte marie semper virginis sita infra civitate florentia iuxta muros ipsius civitatis ubi in ipsum sanctum loctim de rebus meis aliqtdt offerre et co7ifirmarc volo ubi et per ha?ic offersionis pagina prò anime mee remedhim off ero dono et ipsius ecclesie monasterio sancte marie e più sotto : . . . le- gitima facio vestatura et traditionem per cultellum, fistiami noda- tum et wansonem terre adque ramum arboris me exinde foris expu- lit warpevit absisitum fecit et ipsius ecclesie monasteri ad proprictatem sicut superius legitur ad abendum conce ssit (1). Nel gennaio dell' anno 997 il conte Ugo conferma alla Badia la ricca donazione della madre e aggiunge l' offerta di altri vasti possedimenti. In questo documento si conferma che la chiesa era dedicata alla Madonna e che Willa ne era la fondatrice : . . . . Offcro et trado in ecclesia sancte marie que est posila in civitate florcntiìia qiie genitrice mea a ftmdamentum construxit (2). Il monastero e la chiesa furono appoggiati alle antiche mura per braccia sessantasei e mezzo nella corte appunto di Willa, che estendevasi per mensuram ad iuxta pertica m mcnsuratas scalas ccnlum. Non ha alcun fondamento il credere che quando nell'anno 1255 fu ingrandito il palazzo, che fu poi del Potestà, la cui costruzione era stata incominciata cinque anni innanzi, si dovesse tagliare la chiesa della Badia; se qualche danno patì, ciò fu nelle case edifi- cate dai monaci. E non si può prestar fede al Puccinelli e al Richa, che vorrebbero la chiesa primitiva ampia e magnifica, essendo in- (1) Arch. di St. fior., Diplomatico, Badia, 978, 31 maggio. (2) Idem, Diplomatico, Badia, 997, .... gennaio. io8 LE CHIESE DI FIRENZE vece manifesto il contrario : i ° perchè avendo la facciata a ponente e ricorrendovi a tergo le mura, non potevasi allungare di troppo; 2° perchè tutti gli scrittori che potevano averla veduta affermano che era umile e disorrevole (i). Di più non si può ragionevolmente credere che da quest'epoca fino al 1285 stesse guasta e cadente; e finalmente lo contradicono i fatti, poiché lo stesso Puccinelli dice come nel riordinare il pavimento della nuova chiesa furono ritro- vate le fondamenta di quella costruita da Willa, la cui tribuna e le due cappelle laterali erano tagliate fino all' altezza delle finestre e ripiene di terra, le quali si estendevano quasi quanto era l' antico presbiterio, che vuoisi ricostruito da Arnolfo. Il Comune tenne la Badia sempre in gran conto; tantoché es- sendo in Firenze altre badie, questa sola fu chiamata La Badia, quasi per eccellenza sulle altre. Nelle case e nella torre di Badia, dalla parte di San Martino, si adunavano il Capitano del popolo e la Signoria. E se pure è vero che circa il 1250 fosse manomessa e guasta, nell'anno 1285 sa- rebbe stato commesso ad Arnolfo di Cambio di riedificarla e con molta magnificenza, mentre avanti era umile e disorrevole. Nè si deve credere che ciò si facesse a spese dei monaci, come vanta il Puccinelli, ma a spese della Repubblica, che a ciò fu mossa perchè l'antica minacciava rovina. E forse per ricordare i benefici del Co- mune, i monaci erano tenuti di offrire ai Priori, a titolo di censo, un migliaccio ogni due mesi, che recavasi sopra una barella ornata e a suon di trombe e pifferi, censo che poi fu cambiato nell'offerta di quattro ceri, da farsi nel giorno di San Bernardo nella cappella di palazzo, come resulta da un atto rogato da ser Alberto del fu Luca. Il Comune alla sua volta il giorno di San Benedetto faceva alla Badia 1' offerta di un cero, intervenendovi in antico la Signoria, il Capitano del popolo, i sei di mercanzia e i consoli delle arti. Nell'anno 1307 avendo i monaci ricusato di pagare una certa imposta, chiuse le porte in faccia all' ufficiale esattore e quindi (1) « E nel detto anno (1285) si cominciò a rinnuovare la Badia di Fi- « renze, e fecesi il coro e le cappelle che vengono in su la via del Palagio « e il tetto, che prima era la Badia più addietro piccola e disorrevole in « sì fatto luogo della cittade ». (Villani, Cron., lib. VII, cap. XCIX). La Badia a' p ri: mi del secolo XV. (Dal Codice di Marco di Bartolommeo Rustichi, c. 25). BADIA I I I suonato a stormo, il comune fece abbattere il campanile fino alla metà. Si vuole che fosse opera dello stesso Arnolfo e il rifacimento del 1330 fu eseguito conforme era la parte non demolita. Di ciò abbiamo ri- cordo dal Villani, il quale sotto la data del 1330 scrive, che « s'alzò « e compiè il campanile di Badia; e per noi fu fatto fare a prego « e istanza di messer Giovanni degli Orsini di Roma, cardinale e « legato in Toscana e signore della detta Badia e della sua en- « trata » ( 1). Papa Giovanni XXII nell'anno 1327 ridusse la Badia in com- menda conferendola a Giovanni Gaetano Orsini, cardinale del titolo di San Teodoro e suo legato in Toscana, il quale a detta del Vil- lani ritraeva una rendita di oltre mille fiorini d'oro all'anno (2). Tale rimase fino al 1434, in cui papa Eugenio IV vietò che mai più fosse data in commenda. Nel 1345 la chiesa e il monastero guasti per gl'incendi e per le inondazioni dell'Arno furono restaurati per cura del cardinale Andrea Niccolò Malpighi, che ne era abbate commendatario. Il primo ottobre del 1357 la Badia fu messa a fuoco dagli stessi monaci perchè mancanti del bisognevole, essendo le rendite com- pletamente sfruttate dal commendatario Francesco Atti da Todi. Nè a piccol rischio si trovarono i monaci nell'anno 1378, allor- ché il 21 di luglio i Ciompi occuparono il campanile e le case at- torno, donde scagliavano pietre, per assaltare poi a loro agio il palazzo del Potestà. Dell'antica chiesa, dal Vasari attribuita ad Arnolfo, non scorgesi internamente vestigio, nè dalle confuse parole del Puccinelli e di altri scrittori se ne può avere una idea chiara. E certo che il mag- giore altare, come era già nella chiesa fabbricata da Willa, fu la- sciato volto a oriente, e la parete esterna che risponde sulla via del Proconsolo mostra ancora esattamente (piai fosse l'architettura a tergo della chiesa. Cinque sottili pilastri di macigno, a uguale distanza tra loro, dividono in quattro scompartimenti questa parete tutta in- crostata di pietra concia, quasi fino all' ultima cornice. I due di mezzi» (ì) Croniche, Hb, X, capi LXX. (2) Idem, lib. X, cap. LUI. I I 2 LE CHIESE DI FIRENZE mostrano tutta la larghezza della cappella maggiore e vanno a ter- minare in un sol frontespizio, cui coronano sottili cornici, sostenute da piccolissime mensoline, mentre il pilastro che scende per il mezzo di questa facciata, divide in due un finestrone rimurato. I due scom- partimenti laterali, in ciascuno dei quali si scorge un finestrone bislungo in parte murato, mostrano che formavano le cappelle ai lati della maggiore, e con la loro tettoia che si distende da ambo i lati a guisa di padiglione, fanno un insieme vaghissimo, che pel- le cornici semplici che ritraggono più del romano che del gotico, ha un'aria di magnificenza e gravità, quale addicevasi alla nobiltà della fabbrica e alla maestà dell' edifizio. Tuttora si scorge, special- mente dalle case vicine, la facciata volta a ponente e bene si com- prende come dovesse avere poco meno che la stessa lunghezza, che quella a levante e il medesimo angolo di frontespizio, con il sim- bolico occhio sulla facciata. La cappella maggiore ergevasi sopra undici gradini, che si estendevano in lunghezza dal pilastro allato della porta moderna, fino a quello dell'attuale altare maggiore. L'altare lo aveva fatto consacrare l'abbate Azzone II nella domenica di Passione del- l'anno 13 io da Giovanni Gaetani, arcivescovo di Pisa, intervenendo a tal festa il potestà con moltissimi nobili fiorentini. Giotto aveva dipinta la tribuna e la tavola dell'altare, e don Lorenzo, monaco camaldolense, una bellissima Annunziata ( 1 ). In luogo della tavola di Giotto, nel secolo XVI fu commesso al Va- sari la grandiosa tela, che oggi si vede a quel finto organo sopra il monumento del conte Ugo, nella quale figurò l' Assunzione della Vergine, conducendo il lavoro con tanta diligenza e con tanta com- piacenza, che volle ritrarre sè stesso in uno degli Apostoli. Ai lati di questa cappella, che era a sesto acuto e in volta, sulla stessa linea e con l'arco di fronte come la maggiore, corrispondevano due altre cappelle più piccole, ma simili alla medesima. Quella dalla parte dell'epistola apparteneva alla famiglia Covoni e Giotto vi aveva dipinto varie storie della vita di San Giovanni Evangelista a 1 1) Fino al 1812 rimase in Badia e quindi passò nella Galleria di Belle Arti. BADIA 113 cui era dedicata e Puccio Capanna la tavola dell' altare. L' altra, dalla parte del vangelo, era dei Giuochi e Bastari, a spese dei quali Buffalmacco aveva dipinta la Passione di Cristo. Dai capitelli dei due pilastri della tribuna muovevansi due grandi archi a sesto acuto e posavansi poi sopra due altri pilastri grandi e quadrati, che rimanevano isolati in faccia ai primi, poco più oltre della linea che divide per il lungo il pavimento della chiesa, tanto che la porta dove è ora, riusciva appunto in mezzo della parete, che faceva come di testata a questo braccio di crociata. A questo pilastro isolato, dalla parte del vangelo, vedevasi quella tanto cele- brata pittura di Tommaso Guidi da San Giovanni, detto Masaccio, che vi aveva rappresentato Santo Iovone di Brettagna, figurandolo in una nicchia perchè si vedesse il di sotto dello scortar dei piedi, e dipingendo in basso vedove e pupilli in atto di chiedere l' elemo- sina. E stato gran danno, che nella riedificazione della chiesa an- dassero distrutte sì mirabili pitture e si conservasse solo la testa del Santo, la quale, segata col muro su cui era dipinta, fu trasferita nelle camere dell'abbate. Masaccio ebbe la sua bottega nelle case di Badia e trovasi che pagava di fitto due fiorini all'anno. A mezzo di questo pilastro quadrato era appoggiata una vòlta, che andava a posarsi sulla parete a destra della porta, ove oggi si vede il bassorilievo di marmo che rappresenta la Vergine in mezzo ai Santi Lorenzo e Leonardo; sotto questa vòlta eravi un'altra cap- pella dei Covoni, dedicata a Santa Maria Maddalena, ove il giorno » della festa recavasi a udire la messa il potestà con i suoi ministri. Sopra la cappella trovavasi il coro per i conversi e serviva anche per secondo palco della musica, restando in faccia all'organo, che era dalla parte ove adesso è la cappella dello Spirito Santo. L'or- gano è del celebre maestro Onofrio Giusti da Cortona, che mori nel 1570 ed ebbe sepoltura in Badia. Prima che la chiesa fosse rico- struita era ricordato dalla seguente iscrizione : Maestro No/eri Giusti da Cortona fabbricatore di questo organo requiescat in pace. Sotto l' organo era la cappella che Bernardo del Bianco fece edifi- care nell'anno 1490 a Benedetto da Rovezzano, il quale mirabilmente vi aveva fatta spiccare l'arte sua, volgendo sulle colonne archi con fregio di cherubini e ornamenti bellissimi, acconciandovi molte statue Cocchi, Le Chiese di Firenze. S ii 4 LE CHIESE DI FIRENZE di terra invetriata, lavoro egregio di Benedetto Buglioni, ultimo di quelli a cui rimase il segreto di Luca della Robbia. Bartolom- meo della Porta dipinse la bella tavola dell' altare, raffigurante San Bernardo, e che oggi trovasi nella Galleria Antica e Moderna. In una lunetta sopra l'altare eravi un dipinto a fresco dello stesso autore, che andò perito nel rifacimento della chiesa. Il monumento del conte Ugo era allora dentro la cappella maggiore, appoggiato alla parete che dividevala da quella de' Giuochi ; quello dei Giugni rispondeva in faccia alla porta presente della chiesa, restando ap- poggiato al muro della sagrestia, che estendevasi appunto ove si trova ora l'aitar maggiore e il coro. La sagrestia, dopoché fu arsa nel secolo XIV, fu rifatta dai Covoni ed era attigua, come riferisce il Vasari, alla cappella di San Giovanni Evangelista, corrispondendo con una parete nella via già detta dei Librai. Di questa sagrestia vecchia non resta altro vesti- gio che una piccola cappella, che fu già delle reliquie. Teneva in lunghezza quasi fino alla metà del moderno altare maggiore e aveva un altare dedicato a San Placido. Entravasi dalla parte del mona- stero per una scala, la quale metteva anche al coro notturno dei mo- naci, e sul piccolo ripiano di questa eravi un altare dedicato all'An- nunziazione e Visitazione di Maria, concesso alla famiglia Buonafede e su cui vedevasi una tavola con l' iscrizione : Iacoòus Boncfidei ad honorem Dei et prò salute anime sue et suorum hoc opus fieri fecit an. Dni MCCCLXXVI. Dall'altra parte di questo ripiano era altra scala da cui scendevasi al coro vecchio dei monaci. Tra le varie cappelle delle quali fu ordinata la fondazione in Badia, si trova che nel 1309 Duccio del fu Giovanni -di Manerio de' Manerii di Firenze, lascia per suo testamento 200 fiorini d'oro per fondo d'una cappella in Badia o in San Firenze. Gregorio del fu Guarente Ruffacani, del popolo di Sant' Appollinare, ordinava del pari per suo testamento che si facesse in Badia una cappella de- dicata al Santo di cui portava il nome. La chiesa attuale ebbe principio nell'anno 1627 e fu compiuta a forma di croce greca con bei pilastri di pietra serena, i cui ca- pitelli compositi, con finezza di gusto furono scolpiti da Giovani! Masoni. Su questi ricorre un elegante cornicione, sul quale, a piombo BADIA 115 dei pilastri, altri ne sorgono a sostenere il soffitto maestrevolmente intagliato da Felice Gamberai. Sebbene, colpa dei tempi, un po' trito, fu tenuto per allora per un capolavoro, tanto che Carlo di Enrico duca di Ghisa, che allora dimorava in Firenze, lo stimò uno dei più belli d'Italia e così corse fama che il Duca di Modena e molti altri principi e signori avessero commesso a quell'artefice molte altre opere, le quali egli condusse a termine, non smentendo la rinomanza di sè stesso acquistata. Dell'antica Badia, dopo il rifacimento del secolo XVII, non ri- mane che il campanile, uno dei più belli di Firenze, e il chiostro chiamato degli aranci, con i dipinti della loggia superiore, reputati anteriori all'epoca di Spinello d'Arezzo (1). Marco di Bartolommeo Rustichi ci conservò il disegno della Badia come trovavasi ai suoi tempi. Alla Badia fu anche annesso un ospedale sotto il titolo di San Niccolò, la cui fondazione risale al 2 novembre dell'anno 1301 per opera dell'abbate Pietro II. Egli in ordine alla costituzione di San Benedetto, che stabilisce di alloggiare tutti i forestieri, . . . omnes supervenìentes hospites tamquam Christus sitscipiantur, per rimedio dell'anima sua, degli abbati suoi antecessori, dei monaci, dei frati, di Ugo marchese, di Willa fondatrice della Badia, di Lamberto vescovo, degli imperatori, re dona per la fondazione di questo ospedale una terra ortiva presso il parlagio maggiore (2) e presso l'orto domnicato del monastero: Concedo ìgitur prefato Iwspitali qucindam partem terre in qua hortus esse cernitur et est posita prope pcrilasium inaiorem et iuxta hortum domnicatupi nostri monasteri! (3). (1) La maniera con cui sono condotte queste pitture, dimostra che si riferiscono ad epoca assai posteriore a quella di Spinello e come pure l'architettura del chiostro non è tale da giudicarlo di quei tempi. (2) Pcrilasium, Parlagium o Parlagio, così era chiamato l'antico an- fiteatro sulle cui fondamenta sorsero le abitazioni che formano le vie Torta, Torcicoda e la piazza dei Peruzzi. L'ambito del Parlagio è attraversato dalla via Anguillara e dal borgo dei Greci. Non lungi dalla chiesa di San Remigio trovavasi il Parlagio minore o piccolo (Arch. di St. fior., Di- plomatico, Vallombrosa, 1085, i° luglio), il quale non era che un teatro di proporzioni più limitate dell'altro. (3) Arch. di St. fior., Diplomatico, Badia, 103 r, 2 novembre. n6 LE CHIESE DI FIRENZE Tra coloro che sottoscrissero la carta trovasi Jacopo Bavaro, vescovo di Fiesole. Dell'ospedale di San Niccolò oggi non scorgesi vestigio; ma è certo che trovavasi compreso tra San Procolo, il Parlagio e presso quella porta della città, che nell'anno 979 è chiamata di Salo- mone: posterula que fuit Salomonici) e nel 1137 è detta porta della Badia: caso/are et terra que posita est in civitate Jìorentia prope pusterula de abadia (2). Sembra che lo spedale cadesse presto in abbandono. Nel 1064 l'abbate Pietro lo restaurò, ne riparò i guasti dotandolo di nuove possessioni, tra le quali alcune in Pietra Piana. E tanto parve che se ne compiacesse, che stabilì una squisita imbandigione da darsi ai monaci ogni anno il giorno di San Niccolò (3). Nell'anno 1231, Ardingo vescovo di Firenze si volgeva alla carità dei Fiorentini, perchè con elemosine concorressero per il sostentamento dei poveri nello spedale di Badia (4). Nel 1276 si trova che è spedalingo un tal Ranieri; quindi sembra che fallisse ogni tentativo per rendere vita a questo ospedale, non trovandosene altre memorie. SAN PIER COELORUM [962]. Il Muratori (5) riferisce una carta dell'imperatore Ottone I in data del dì 9 aprile dell'anno 962 nella quale si legge, che tra i beni di cui si conferma il possesso al monastero e alla basilica di San Pietro eelum anreum presso Pavia, sono comprese ea, que in partibus Tic- scie videtur habcre, ecclesias, possessiones cum omni honorc et in episcopati florcntie ecclesiali unani cdificatani in honorc b. petri. (1) Arch. di St. fior., Diplomatico, Badia, 979, 27 gennaio. (2) Idem, Diplomatico, Acquisto Strozzi Uguccioni, 1137, Ir agosto. (3) Idem, Diplomatico, Badia, 106... (4) Idem, Diplomatico, Badia, 1231, marzo. (5) Antiq. Medii Aevi, tomo VI, pag. 68. SAN PIER COELORUM 117 La chiesa edificata in Firenze in onore del beato Pietro, la cui origine è tuttora incerta, è quella che per essere soggetta al mo- nastero ticinense trovasi poi detta parimente in coelo aureo. A questa chiesa allude il diploma di Ottone III del dì 20 luglio del- l' anno 996, in cui si confermano al monastero di San Pietro in celo aureo, dove presiede il venerabile abbate Azo, i beni posseduti, tra i quali quelli infra civitatem Florentiam curtem unam cum ecclesia et casa cum tribus caminatis et ìino solario et duobus ortis et omni- bus aliis suis pertinentibus (1). Che fosse soggetta al monastero ticinense viene confermato da un atto del 108 1 nel quale l'abbate Benedetto concede a Giovanni diacono e canonico della chiesa di San Giovanni di Firenze, rice- vente e stipulante per Rozone proposto e per altri canonici, un certo campo prossimo alla chiesa di San Pietro, per l' annuo censo di denari otto lucchesi da pagarsi per la festa di San Pietro (2). La denominazione in coelo aureo con la quale è distinta questa chiesa, comparisce dopo il mille e si riscontra la prima volta in una carta dell'anno 1032 : . . . . terra sancii petri quc dicitur celum aureo (3). Corrottamente poi si disse celorum o celoro e sotto questo vocabolo si trova citata nel catalogo vaticano dell'anno 1275. Della sua antica struttura non appariscono oggi vestigia di sorta; credesi però che conservi la sua primitiva estensione. Fu delle trentasei antiche parrocchie e fu soppressa nell'anno 1448 da papa Niccolò V, il quale la ridusse in semplice benefizio, conce- dendo facoltà al Comune di demolirla e di fabbricare in suo luogo una pubblica biblioteca (4). Tra i rettori sono rammentati prete Cambio nel 1308, prete Fran- cesco nel 1356, e nell'anno 1286 si trova che era cappellano un prete di nome Tegrimo (5). Quando fu soppressa era rettore il prete Niccolò Pieri. (1) Monumenta Germaniae Historica. Diplomata, tomo II, n. 218, pag. 629-630. (2) Lami, Eccl. Fior. Moti., voi. II, pag. 1403. (3) Arch. di St. di Lucca, San Poliziano, 5 maggio 1032. (4) Le bolle di soppressione furono pubblicate dal Lami nell' opera Eccl. Fior. Moti., voi. II, pag. 1410. (5) Lamt, Eccl. Fior. Moti., voi. II, pag. 1000, 1024, 1135. n8 LE CHIESE DI FIRENZE Nell'anno 1680 anche la biblioteca fu soppressa e i locali di- vennero sede del Capitolo di Santa Maria del Fiore e del prege- volissimo archivio ricco d'importanti documenti (1). I numerosi co- dici furono allora confinati in un' oscura stanzetta sotto la cura del magistrato dell'Opera, donde non furono tolti che nel 1783 per ordine del granduca Leopoldo I e collocati in gran parte nella Biblioteca Mediceo-Laurenziana e 52 stampati del secolo XV alla Biblioteca Magliabechiana, oggi Nazionale. Nel fregio della porta d' ingresso leggonsi queste parole, allu- sive alla pregevolissima raccolta di libri di ogni genere, che si conservavano : SAPIENTIA AEDIFICAVIT SIBI DOMVM. Nella casa che le resta a tergo sembra che abbia abitato Sant'Antonino nella sua infanzia, del che fa fede l'appresso iscrizione: DOMVM . HANC ORTV . AEDVCATIONE . ET . SANCTITATIS TYROCINIO DIVI . ANTONINI . ARCHIEPISCOPI . FLORENTINI . INSIGNEM . ESSE EX . ANTIQVIS . TABVLIS . COMPERTVM . EST ANNO . S. . CIO . IO . CC . XXXI SAN MARTINO DEL VESCOVO [986]. È una delle poche chiese di cui possiamo con sicurezza stabi- lire l' origine. Era dedicata ai Santi Martino, Cristoforo, Cosimo e Damiano. Rimonta all' anno 986 e ne fu il fondatore Giovanni arcidiacono di Fiesole, da alcuni creduto zio di Regimbaldo vescovo di quella città, al quale si riferisce la denominazione del Vescovo, con (t) È da augurarsi che il Rev. m0 Capitolo imiti il sapientissimo Leone XIII, che rese pubblico l'archivio vaticano, e tanti altri Capitoli di cattedrali, che aprirono alle ricerche degli studiosi i loro archivi. Un Archivio importante come il Capitolare di Firenze dovrebbe essere aperto al pub- blico e a ciò dovrebbe provvedere anche il Ministero della P. I. SAN MARTINO DEL VESCOVO 119 la quale nel 1070 si trova detta questa chiesa ecclesia sancti martini que dici tur de episcopo (1). La carta di fondazione sembra perduta; fu però pubblicata dal Puccinelli (2) e nelle parti più im- portanti dal Lami (3): Anno ab Incarnatione . . . DCCCCLXXXV1, quarto kal. Augusti, Indictione XIII. Ragembaldus diaconus filius b. in. Recardi, qui et Bonizo fuit vocatus. Manifestus suni qui ab Domino lohannes Archidiaconus , qui fuit barbano meo a funda- mentis edificavit ccclesiam prò amore domini nostri Jesu Christi in honorem beati Martini confessoris, seu Cristo/oli, et Cosmae et Da- miani gloriosissimi martyris et aliorum multorum reliquias intro- ducere fecit, ut infra. Ipsc Johannes Archidiaconus dotare et con- firmare previdìt et clericos admisit prò celebrandis officiis divinis et missis, iota cum aliis suis ajfinibus, ipsam ccclesiam prioratus con- sistens Aduni Florcntic. Il fondatore aveva stabilito che a rettori e a custodi si eleg- gessero i suoi discendenti, finche se ne trovassero atti, e non es- sendovene si eleggessero estranei. Vi nominò perciò Teuldascio chierico suo fratello e Guido chierico suo nipote. Questi, che fu poi arcidiacono, nominò rettore Regimbaldo diacono e questi un altro Regimbaldo chierico, figlio di Riccardo, chiamato anche Ri- ghizzo, che poi fu ordinato vescovo. Era egli dei prossimi parenti di Giovanni arcidiacono e in una carta dell'anno 1017 lo chiama barbano genitoris mei (4). In quell'anno Regimbaldo vescovo nomina rettore di San Martino Tegrimo chierico suo nipote : . . . . ego Ragembaldus episcopus .... per liane cartulam ordinationis ordino et confinilo Ubi Tegrimo cle- rico dilecto nepote meo, filo b. m. /olia uni, qui fuit germana s incus in integra tertiam portionem de ipso ecclesia sancii martini ... (5). Cessa quindi ogni dubbio del non trovare nominato questo Tegrimo in altra carta del 1069, nella quale si asserisce che Regimbaldo vescovo, circa l'anno 10 17, aveva ordinato alla detta rettoria Ugo suddiacono e Bernardo chierico, cioè per le altre due parti. Ber- li) Ardi, di St. fior., Badia, Diplomatico, 1070... novembre. (2) Cronica detP Abbazia di Firenze. (3) Eccl. Fior. Mòn., voi. II, pag. 1124. 14-51 Arch. di St. fior., Diplomatico, Badia, 1017, 4 gennaio. I 20 LE CHIESE DI FIRENZE nardo però dopo la sua nomina lasciò ogni suo diritto a Ugo, per rendersi monaco della Badia. Tegrimo suddiacono venne presto a rimanere unico rettore di San Martino; perocché nel 103 1 Lamberto della b. m. di Lamberto e Porzia di Bonizza sua donna, Pietro di Petronio ed Ermingarda sua donna, agnati dell'arcidiacono Giovanni, ordinarono che Tegrimo ne fosse rettore in quanto spettava a loro (1) e Alberto e Gherardo della b. m. di Petronio promisero di non molestarlo e cederongli tutte le ragioni loro (2). Anzi Alberto nello stesso anno donogli quella porzione di cui avevano diritto i suoi genitori. E finalmente Pietro, Giovanni, Rambaldo, Manfredo fratelli, figli del fu Sichelmo, chia- mato Sizio, con atto stipulato a Vincigliata nell'anno 103 1, vende- rongli l'intiera porzione del patronato della chiesa e oratorio di San Martino con i beni posti dentro e fuori della città presso San Pietro per il prezzo di un anello d'oro e di un cavallo . . . . amilo de auro uno et caballo uno (3). Nel 1034 Tegrimo donò al monastero e all'abbate di Badia due parti del patronato (4) e poco appresso fece donazione anche delle rimanenti e ciò perchè non essendovi altri della sua famiglia atti a ri- ceverne l' investitura, volle, piuttostochè ad estranei, cadesse alla Badia e sembra probabile ch'egli pure si facesse monaco. Nel 1059 a lui ebbesi a richiamare contro Signorello diacono, figlio di Ram- baldo o Regimbaldo vescovo (5), che contendeva la chiesa di San Martino e sue pertinenze all'abbate. Gottifredo I duca di Toscana gli concesse l'investitura e il possesso ad salvarli querelavi usque davi predicto Signorello diacono ad placituin venisset et legem et iustitia ex inde fecisset (6). Questo Signorello è quel medesimo Ugo suddia- cono di cui si trova che nel 1045, dichiarandosi rettore e proposto (1) Arch. di St. fior., Diplomatico, Badia, 1031, 26 agosto. (2) Idem, Diplomatico, Badia, 1031, 27 agosto (3) Idem, Diplomatico, Badia, 103 1, 29 agosto. (4) Lami, Eccl. Fior. Mon., voi. II, pag. 112S. (5) Arch. di St. fior., Diplomatico, Badia, 1059. Non è da meravigliarsi il trovarlo così citato (sebbene questi si dica poi figlio di Minuta), non solo perchè si prova, per antiche carte, che molti preti allora avevano figli, ma perchè in quel tempo il clero fiesolano non lasciava di sè troppa buona fama. (6) Idem, Diplomatico, Badia, 1059, 10 settembre. SAX .MARTINO DEL VESCOVO I 2 I di San Martino, loca a livello una terra (i). E ciò si prova per una carta dell'anno 1069 in cui egli si appella figlio di Minuta e dia- cono qui et Seniorello vocatur custos et prepositus ecclesie sancii mar- Uni de civitate Florentie e discendente pure di quel Giovanni arci- diacono qui fuit bai'bano de avio meo. Ora questo Ugo, attenendosi alle disposizioni del fondatore, nomina rettori di San Martino certi suoi parenti, cioè Uberto diacono figlio di Liuza e un figliuolo della b. m. di Petronio: Joanncm accolitum a pucritia monachimi nec non et Regimbaldum clericum si se monachimi sancte marie flo- rentìa fecei'it monasterio (2). Così sembra che fosse terminata la lite, scegliendosi da Ugo, forse per tacita convenzione, a rettori di San Martino que' della schiatta medesima del fondatore, purché mo- naci di Badia, il che meglio si prova per una carta del 1069 (s. c. 1070) con la quale Ildebrando notaro, figlio della b. m. di Giovanni e Pietro di Lamberto, preti ambedue, e Guglielmo di Gherardo sapendo come dai loro congiunti fosse data alla Badia la chiesa di San Martino del vescovo, ordinano che Uberto diacono, ( Giovanni accolito e Re- gimbaldo chierico, loro parenti monaci, fedelmente la ufizino e nel giorno di San Martino facciano imbandire a cinquanta poveri una mensa di cibo et potu optimo et pu I mento bene condito (3). Trovasi poi che nell'anno 1076 Teuzonc della b. m. di Gherardo teneva a livello beni di questa chiesa in un luogo detto Montelatico, iuxta le mura antiqua, cui ex una parie est finis ipsiim n.urum 1 .4); che nel 1107 l'abbate concedeva a livello una terra posta in detto luogo a Fiorenzo di Ugo e ai suoi figliuoli (5 ); come il 19 giugno del 1 189 prete Tolomeo rettore di San Martino facesse querela contro Ma- galotti Diotaiuti e Ranieri di Donati del Pazzo (6). Nel 1247 ne era rettore prete Rustico, a cui il 15 di gennaio dell'anno 1248 don Bar- tolommeo abbate di Badia fa la consegna di diversi codici e arredi sacri, tra i quali : / salterium . / collectarium . / antifonarium de die . (1) Ardi, di St. fior., Diplomatico. Badia, 1045, 5 agosto. (2) Idem, Diplomatico, Badia, 1069, 23 marzo. (3) Idem, Diplomatico, Badia. 1069, 23 mar/o. (4) Idem, Diplomatico, Badia, 1076, 2 ottobre. (5) Idem, Diplomatico, Badia, 1107, 13 settembre (6) Idem, Diplomatico, Badia, 1189, 19 maggio. 122 LE CHIESE DI FIRENZE / Diissale . i manuale . i antifonarium de nocte . i pistolarium . i omiliarc . i completorium . i passionale . i omiliare . / paliuni al- taris . i planetam novam . i paramentum feriale completimi de al- tare . i calice argenteum . i stolam . i manipulum . i camice cum stola et manipulo . i cassettam ad tencndum rcs sagrastas (i). Nel 1 287 si trova che era rettore un certo Bene. La chiesa di San Martino fu parrocchia e gli antenati del di- j- -r— — — • - — vino Alighieri ne furono ( popolani, trovandosi fino dall'anno 1 189 che Prei- tenetto e Alaghieri figli del fu Cacciaguida pro- mettono a prete Tolo- meo e ai suoi successori di tagliare, ogni volta ne fossero richiesti, un loro fico che avevano presso il muro che è di San Martino (2). Nel 1202 trovasi un Alle- ghiere figlio di Borghe- se, che pure nel 1224 comparisce testimone in una certa lite. Il dì 11 settembre del 1277 i vicini della parrocchia di San Martino si oppongono ai monaci di Badia, che volevano fabbricare innanzi alla porta della chiesa verso tramontana e ridurre la strada a sole b. 3 1 j A , tanto che si potesse passare per entrare in chiesa (3). Nel 1346 molti di casa Donati, anch'essi del popolo di San Martino, danno a fitto certo terreno, per il quale andavasi nella loro corte, a Ranieri del fu Rustico del popolo di San Remigio (4). Nel 1479 la parrocchia fu soppressa e riunita a San Procolo e la chiesa, divisa in due, per metà fu data alla congregazione dei L (Dal Codic< Marco di Bartolommeo Rustichi, 25 s )- (1) Arch. di St. fior., Diplomatico, Badia, 1248, 15 gennaio. (2) Idem, Diplomatico, Badia, 1189, 9 dicembre. (3) Idem, Diplomatico, Badia, 1277, 11 settembre. (4) Idem, Diplomatico, Badia, 1346, 26 giugno. SAN LEO 123 sarti e per l' altra ai Buonomini, detti di San Martino, che fino dal 1441 aveva istituiti l'arcivescovo Sant'Antonino. L' attuale chiesuola, che ha l' ingresso dalla parte opposta del- l' antica, è internamente decorata da dodici affreschi, nei quali sono espresse le opere di carità esercitate da quei pii provveditori dei poveri vergognosi. In essi parve al Rumohr di riscontrare la mano giovanile di Filippino Lippi, mentre altri li credettero opera di Ma- saccio. Infatti il criterio artistico sulla maniera di Masaccio essendosi da molti e per molto tempo formato erroneamente sulle storie della cappella Brancacci del Carmine, che non a lui ma a Filippino ap- partengono, falsando il giudizio, ha indotto alcuni a scrivere e molti a credere che Masaccio stesso fosse autore anche delle pitture di San Martino, mentre è certo che non poterono esser fatte se non circa cinquantadue anni dopo la morte di questo artefice. Difatti i Buonomini si adunarono in una porzione di chiesa concessa loro dal- l' abbate di Badia fino al 1481, anno in cui vennero ad abitare la stanza, che è la presente chiesuola, acquistandola dai monaci stessi di Badia. E quindi ragionevole il supporre che i Buonomini non vi facessero dipingere sino a che quel luogo non fu proprietà loro ; ed ecco che Filippino nel 1482, quando fu rogato lo strumento di com- pra e nella età sua di ventidue anni, potè fare queir opera, la quale, coincidendo appunto con la prima gioventù di questo pittore, può benissimo aver preceduto il lavoro della cappella Brancacci (1). SAN LEO [1013]. L' antichità di questa chiesa ci è dimostrata dal Bullcttone, che la ricorda come già esistente nell'anno 1013: Qualitcr dominus II- dibra?idinus episcopus florentinus conce ssit ad livellar ium iohanni filio Benis iohannis, quandam domimi cum terra et fabricis quas ha- (1) Richa, Notizie istoriche delle Chiese fiorentine, tomo I, pag. 208, 209, 227. 124 LE CHIESE DI FIRENZE bcbat in populo sancii Ley de Florentia, de quibus dare promisit et solvere annis singulis in futurum dicto episcopo et episcopatui tres viodios grani ad rectam mensuram. Carta manu Fiorentini not. sub MXIII de mense maii (i). Fu una delle trentasei antiche parrocchie e trovavasi sulla piazzetta dei Brunelleschi, chiamata poi piazza dei Marroni. Nel citato catalogo vaticano si trova semplicemente detta ecclesia Sancii Leonis. In Firenze, per corruzione di nome, si disse comunemente S. Leo, talvolta dei Brunelleschi, dalla famiglia che ne diven- ne patrona, la quale ebbe presso la chiesa case, torri e loggia (2); si disse anche dei Rigattieri, dalla strada in cui si trovavano molte botteghe di quell'arte ; del Vescovo, forse dalla fami- glia Arrigucci, custode del vescovado di Fiesole, la quale, probabilmente, prima che i vescovi fiesolani aves- sero in Firenze Santa Maria in Campo, dava loro allog- gio nelle sue case, prossime alla chiesa. La facciata, in allusione al nome del Santo, era de- corata di due magnifici leoni di marmo, collocati sopra due pilastri della porta, sulle cui teste si ponevano dagli Arrigucci due corone (Dal Codiceli Marco di Bartolommeo Rustichi, c. 30). (1) Bull., pag. 319, ri. 18. (2) La loggia dei Brunelleschi era quasi di faccia alla piazzetta dove fu la chiesa di San Leo. Nelle demolizioni furono trovati diversi voltoni, che, molto probabilmente, facevano parte di questa loggia. SAN SALVATORE 125 nel giorno della festa titolare. Vi si vedeva murato anche il davanti di un' arca scolpita in pietra, che appartenne ai Brunelleschi. In principio la chiesa non ebbe che un altare; successivamente ne furono aggiunti altri due. Al maggiore, di patronato dei Brunelle- schi, trovavasi una bellissima tavola raffigurante la Vergine con di- versi santi, tra i quali San Leone Magno, a cui era dedicata la chiesa, e nell' imbasamento aveva la seguente iscrizione: Hanc Tabulavi Fecit Fieri Alderottus De Brunclleschis Guani Dimisit Salvester Pa- tronus Suus Pro Remedio Anime Sue Ft Suorum. A. D. 1394. Sulla tavola era anche indicata la data 9 Novembris. Fu soppressa nell' anno 1785 e il locale cambiato in una umile casetta, che nascondeva ogni traccia dell' antica e bella chie- suola. Nelle demolizioni per il riordinamento del centro ne fu rintrac- ciata la porta, che era decorata di cornici e di un fregio a mostac- ciuoli di marmo, che furono trasportati nel museo della vecchia Firenze, annesso a quello di San Marco. Ultimamente venne anche in luce una parete tutta di fìlaretto di pietra, nella quale si apriva una delle antiche finestre. Il Rustichi ne riporta il disegno come trovavasi ai suoi tempi, e la ricorda con queste parole: /: vi lacliiesa di santo /ione papa (1). SAN SALVATORE [1032]. Di questa chiesa abbiamo notizie tino dall'anno 1032 essendo ricordata nell'atto di commuta tra Lamberto vescovo di Firenze e Petrone suddiacono, già da me riferito (2) : . . . . prope ecclesia et domus sancii Johanni et ecclesia sancii salvator is. Incerta è l'ori- gine, ma è affatto rigettata l'opinione di alcuni, che la designarono quale prima cattedrale di Firenze, come non ha fondamento quella di coloro che la dicono edificata in memoria del primitivo titolo (1) A c. 30. (2) A pag. 64. 126 LE CHIESE DI FIRENZE che avrebbe avuto la cattedrale. Forse se ne deve la costruzione per opera di qualche vescovo e in ciò troverei la spiegazione dei sette candellieri che si vedono sulla facciata. Il Vasari scrive che fu edificata nel 1221 da un maestro Lapo(i), ma questa notizia deve riferirsi alla ricostruzione. Di antico non conserva oggi che la parte inferiore della facciata e non intatta. Alessandro dei Medici, arcivescovo di Firenze, che poi fu papa col nome di Leone XI, nell'anno 1574 la costruì di nuovo e final- mente fu ancora riedificata di proporzioni più vaste, nel 1737, dal- l'arcivescovo Giuseppe Maria Martelli. Nell'interno, sulla maggior porta, trovasi questa iscrizione: CHRISTO SERVATORI ECCLESIAM HANC ANTIQVITVS DICATAM SVBLATO SQVALORE VETVSTATIS ABSIDE FORNICE SACRISQVE PICTVRIS ORNATAM JOSEPH MARIA MARTELLI ARCHIEPISCOPVS FLORENTINVS SIMVL CVM ARA MARMOREA CONSECRAVIT V IDVS NOVEMB. AN. CIO. IO CCXXXVIII Fu delle trentasei antiche parrocchie e venne soppressa da papa Eugenio IV nell'anno 1441. SAN BENEDETTO [1032]. E un'antica chiesuola, la cui origine deve risalire indubitata- mente a poco dopo il 1000 ; però il primo documento in cui si trova ricordata è l'atto di commuta stipulato nell'anno 1032, tra Lam- berto vescovo di Firenze e Pietro o Petrone suddiacono, già rife- rito (2). Nella carta importantissima, sebbene evanida e lacera in (1) Le opere di Giovo- io ì 'asari con nuove annotazioni e commentì di Gaetano Milanesi, tomo I, pag. 282. (2) A pag. 64. SAN BENEDETTO — SANTA MARGHERITA 127 molte parti, sono nominate varie chiese di Firenze, tra le quali quella di San Benedetto. Il Richa(i) cita varie denominazioni con cui fu distinta que- sta chiesa, ma che non sono convalidate dai documenti, nei quali è sempre chiamata semplicemente chiesa di San Benedetto. Sarebbe quindi stata detta di San Benedetto a Santa Reparata, per la pros- simità di questa basilica; poi ai Bonizi, de' Tebaldini, dalle case di tali famiglie; quindi alla piazza delle Pallottole, in Canonica, e ciò per la sua ubicazione, essendo stata compresa nel recinto della nuova canonica, il che avvenne nel 141 8, e probabilmente fu allora in parte atterrata e fabbricata di proporzioni più limitate. Fu capovolta, e l'antica porticina, restaurata in questi ultimi anni, si può tuttora ve- dere dalla parte di via dello Studio. Vi si vede scolpito lo stemma dei Tebaldini, antichi patroni, con ai lati quello dell'ospedale di Santa Maria Nuova a cui passò il patronato. Nel 1700 corse pe- ricolo di essere distrutta, quando cioè l'arcivescovo Leone Strozzi voleva ridurre il locale a uso di seminario. Fu delle 36 antiche parrocchie della città e rimase soppressa nell'anno 1 7 7 1 . E ricordata nel Diario del Rustichi con queste parole: È vi lachicsa disanto benedetto sotto il governo depreti (2). SANTA MARGHERITA [1032]. Se non ci è dato stabilire l'anno in cui fu eretta questa chiesa, abbiamo però un documento che ne attesta l' antichità; trovandosi compresa tra i beni donati alla Badia di Firenze da Ridolfo notaro, figlio di altro Ridolfo infermo, il quale con atto del dì 1 1 maggio dell'anno 1032, oltre i beni che possedeva in Montesanto, Mezana, Montegottoli e lungo il fiume Ema ed in qualunque altro luogo, per- (1) Notìzie {storiche delle Chiese fiorentine, tomo Vili, pag. 272. (2) A c. 27. 128 LE CHIESE DI FIRENZE venutigli da Ragimberto di Pietro, dona tutte le case e i beni di Firenze atque ecclesiam scinde margarite posticini infra ipsa c ivi Ita te prope ipso monasterio. . . . (i). Che la chiesa fosse ingrandita o restaurata in memoria dei quie- tati tumulti tra i Bianchi e i Neri, il che sarebbe accaduto nel giorno della festa di Santa Margherita, non ci sono documenti che pos- sano provarlo; trovandosi però nel secolo XIV che il patronato dì essa era passato nelle famiglie Donati, Cerchi e Adimari, possiamo trarne argomento che queste famiglie ne avessero curato l'amplia- mento o i restauri, se fatiscente. Trovasi talvolta detta dei Giuochi forse dalle case di questa fa- miglia, che ebbe prossime alla chiesa. Tale denominazione fu letta dal Ridia (2) nel libro dei morti di Santa Maria Novella, che trovavasi nell'archivio arcivescovile e che da qualche anno è andato smarrito. Nel testamento di Cionetto del fu Uberto Giuochi del popolo di Santa Margherita di Firenze, fatto il dì 5 luglio dell'anno 1363 in ecclesia sancii Egidij hospitalis sancte marie nove, tra i molti le- gati si legge quello di 11. 20 in sussidio della copertura del tetto di questa chiesa: et ecclesie sancte margherite de florentia in auxilium copriture tecti diete ecclesie II. vigiliti (3). Fu delle 36 antiche parrocchie e in essa ebbero le cappelle i Salviati, i Portinari, i Borromei di San Miniato al Tedesco, scesi a Firenze nel 1347. Tra i dipinti artistici trovavasi un'antica tavola raffigurante la Santa titolare, creduta di mano di Giotto e che oggi sta nella chiesa della Madonna de' Ricci. L'altare maggiore era de- corato di una tavola attribuita a Lorenzo di Bicci, che rappre- sentava la Madonna con ai lati diversi santi, e nel gradino eravi dipinta, in sei scompartimenti, la leggenda della Santa. Appiè del- l'altare maggiore ebbero sepoltura i Donati; il lastrone con le armi di questa famiglia porta questa iscrizione: IOANNES DON ATVS PETRI F. SEPVLCRVM A MAJORIBVS SVIS SIBI POSTERISQVE POSITVM INSTAVR. CVR. A. MDCV. (1) Ardi, di St. fior., Diplomatico, Badia, 1032, 11 maggio. (2) Notizie (storiche delle Chiese fiorentine, tomo I, pag. 136. (3) Ardi, di St. fior., Diplom., Santa Maria Novella, 1363, 5 luglio. SAN PROCOLO La facciata, tutta di filaretto eli pietra, venne liberata dall'in- tonaco in questi ultimi anni: degli stemmi delle tre antiche famiglie patrone, e che erano scolpiti sulla porta, non rimane oggi che quello dei Cerchi. All'antico titolo di Santa Margherita nel 1831 fu so- stituito quello di Santa Maria Maddalena penitente, dal nome della confraternita che Fuffizia. SAN PROCOLO [1036]. Tra le donazioni fatte dal vescovo Atto alla canonica fioren- tina, descritte in una carta in data del mese di novembre del- l'anno 1036, è ricordata la terra di San Procolo: Revizo filius Lcpisti, prò salute anime sue, in ecclesia sancii tohannis con- tulit, vel in cadem canonica tcrram sancii Proculi in predicta plebe guani Davizo Viccdominus eiusque nepos Iohannes, prò salute anime sue predicte contulerat canonice (1). Da ciò si deduce, che in quel- l'anno già esisteva questa chiesa, dalla quale prendeva nome la terra. Il dì 15 gennaio dell'anno 1065 (s. c.) Pietro Mezzabarba, vescovo di Firenze, la concede a livello a Pietro abbate della chiesa e del monastero di Santa Maria, per 1' annuo censo di dodici denari d'argento, da pagarsi nella festa di San Giovanni di giugno e con l'obbligo dell' officiatura della chiesa: . . . ,ego pctrus episcopus sancte fiorentine ecclesie, quia prò nostra convenicntia et quia dare adque habendum et ecclesia illa reconciandum et presbytero vestro mittcndum , oficium dei, missam et orationem, incensimi et luminaria ibidem facere fiore debeatis, et terris et rebus tcncndum, laborandum et laborarc faciendum et firuendum seo et mcliorandum dare providi Ubi petrus abbas de ecclesia et monasterio sancte marie de ipsa civ itale florentia. Idcst integris ecclesia, casis, terris et vincis, que sunt positis prope (1) Lami, Eccl. Fior. Mon., voi. I, pag. 91. Cocchi, Le Chiese di Firenze. 9 130 LE CHIESE DI FIRENZE ipsa dieta civitate fiorentia et non fogni de porta sancti petri, que dicitur malore et prope ipsa ecclesia et monastcrio sane te marie tam- quam decernimns ipsa ecclesia, que vocatur s aneto proculo et casis et cascinis et terris et rebus ibidem pertine?ites, que de u?ia parte est fini tej r ra de ipso episcopio et de baroni de sancto martino et loculi inter- medio fossa. De alia parte est fini terra de filiis iohanni grassi et de prefato monasiei'io sancte marie intermedio muro decerni. De tertia parte est fini terra et vinea sancti appolenari intermedio fossa decermi. De quarta parte est fini cai'bonaria (i) de civitate fiorentia. Ideo predicta ecclesia, terris, rebus et casis et cascinis una cum omnibus edificiis suorum super se et infra se habentibus in integrimi eas Ubi quis petrus abbas et tuis subeessores, dare et firmare providi. Et mi chi quis petrus episcopus et meis subeessores tu petrus abbas et lui subees- sores dare nobis debeatis pensionem prò ipsa ecclesia et casis et cascinis, terris et rebus per omne anno in festivitate sancti iohannis, que est de mense iunio ad curie et episcopio sancti iohannis in predicta civitate fiorentia, nobis aut misso nostro per vos, aut misso vestro argentimi denarii duodecim boni et spendibili et non amplius (2). Tre giorni dopo, Gherardo del fu Petronio, Pietro del fu Gio- vanni, Davizo e Guido fratelli, nipoti del fu Giovanni, che probabil- mente avevano dei diritti su questa chiesa, confermano la donazione, con l'obbligo di pagare loro ventiquattro denari di argento, ogni anno, per la festa di San Giovanni di giugno (3). Sembra che il censo da pagarsi al vescovado venisse poi ri- dotto, perchè nel Bullettone è registrato che la Badia pagava soli soldi cinque : Qualiter monasterium sancte marie fiorentine habuit ab Episco- patu Fiorentino Ecclcsiam sancti Proculi et certas decimationes, prò quibus annuatim tcnctur et debet solvere dicto Episcopatui, nomine ccnsus perpetui solidos quinque honorum denariorum et expendibi- lium. Et de eis habet Episcopatus predictus, p li tra publica instru- (1) Carbonaria, così era detta la fossa che scorreva lungo le mura della città. (2) Arch. di St. fior., Diplomatico, Badia, 1064, 15 gennaio. (3) Idem, Diplomatico, Badia, 1064, 18 gennaio. SAN PROCOLO menta ìnsimul ligata de qziìbus in fine kuius partis Ecclesiarum fit plenior mentio ( i ) . Restaurata e probabilmente ricostruita nel secolo XII, sembra che fosse consacrata il dì 16 settembre dell'anno 1187 ( 2 ) e quindi di nuovo restaurata nel 1278, come si deduce dalla seguente iscrizione, trovata nel gettare i fondamenti dell'altare maggiore, rinnuovato nel 1567 da Orlando Fazzi, canonico di Fiesole, che ne era rettore: + ANNO MILLENO CVRSO SEPTEMQVE DECENO BIS CENTVM IVNCTIS OCTO PATEAT BENE CVNCTIS HOC OPVS EXPLETVM CONSTAT DECORAMINE LETVM TEMPORE RECTORIS DIOTAIVTI LAVDIS HONORIS SIC MERITO DIGNI CELESTIS DENIQVE REGNI JVRE DEODATVS ABBAS EST TVNC DOMIN ATVS. Questa iscrizione si riferisce all'anno 1278 e l'abbate Deodato che vi si nomina, fu eletto nel 1272, il quale il dì 9 giugno del- l'anno dopo elesse Diotaiuti a rettore di San Prccolo. Nell'anno 1622, essendo rettore Domenico Pasquini, la chiesa fu totalmente rinnuovata e capovolta, collocando l'altare principale a ponente ed aprendo la porta a oriente, ove prima era l'altare. Anticamente era preceduta da una piazzetta, alla quale faceva capo una strada, che riusciva appunto in faccia alla porta del palazzo pretorio. La stradella fu chiusa e ridotta ad arsenale per ripon i i carri che servivano per le feste di San Giovanni. Nel 1742 fu nuova- mente restaurata e ridotta quale oggi si vede. In San Procolo ebbero cappelle e sepolture i Rustichelli, i Valori, i Ricciardi, i Salviati, gli Arrighi, i Niccolini e altri. Vi si trovavano non pochi oggetti d' arte, tra i quali una pregevolissima ancona di Andrea del Castagno, che stava all'altare maggiore. Quando fu remossa, fu tagliata in tre parti. Oggi trovasi nella Galleria Antica e Moderna. Ambrogio Lorenzetti dipinse alcune storie relative agli atti di San Niccolò da Bari, che nel 18 10 furono trasferite nella Gal- leria suddetta. (ij Arch. di St. fior., Bull., pag. 9, n. 3. (2) Bibl. Riccardiana, Baldovinetti, Scpoltuai io, c. 349 -. 132 LE CHIESE DI FIRENZE La parrocchia fu soppressa nell'anno 1778. È priva di fonda- mento T opinione di coloro che la dicono dedicata ai Santi Procolo e Nicomede, in memoria di una chiesa di San Nicomede, che vo- gliono esistita precedentemente a questa. In tutte le antiche carte è sempre indicata col solo titolo di San Procolo, che corrottamente trovasi anche detto San Brocolo. SANTA MARIA SOPRA PORTA [1038]. In un diploma del dì 23 luglio dell'anno 1038, l'imperatore Corrado prò orationibus theuzonis fa donazione alla Badia di Firenze di molte terre e mansioni, di cui una prope portavi sancte marie (1). Questa porta del primo cerchio di mura, prese appunto nome dalla vicina chiesa di Santa Maria, la quale a sua volta si disse sopra porta dalla porta stessa della città. Il dì 13 febbraio dell'anno 1197 ab incarnatione , con lodo pro- nunziato dai preti Guerio e Bene, da Luciano diacono, monaci di Santa Trinità e da Bencivenne, vengono determinati i confini par- rocchiali tra Santa Maria sopra porta e la chiesa di Santa Trinità (2). Fu collegiata con canonici e una delle trentasei antiche parroc- chie. Si trova citata nell'elenco vaticano dell'anno 1275, tra le chiese che pagavano la decima. Canonica sancte marie snpra portavi de florentia IL XXXI (3). Dai molti incendi che desolarono questa parte di Firenze deve essere stata più volte danneggiata e specialmente da quello fa- moso del 1304, suscitato per odio di parte da Neri degli Abati, dopo il quale fu nuovamente edificata, ma non precisamente nella stessa ubicazione dell' antica (4). (1) Arch. di St. fior., Diplomatico, Badia, 23 luglio 1038. (2) Idem, Diplomatico, Santa Trinità, 13 febbraio 1197. (3) Arch. Vaticano, Cod. cit. (4) Manni D. M., Delle antiche Tenne di Firenze, cap. X. SANTA MARIA SOPRA PORTA 133 Nel secolo XV al primitivo titolo di Santa Maria le fu unito quello di San Biagio v. e m., titolo che poi fu completamente so- stituito all'antico. E ricordata nel codice di Marco di Bartolommeo Rustichi (1) con queste parole: E vi la chiesa di santa maria sopra- porta eanchora etitolata di santo biagio e di santo dionigio fanno ufficiare gli capitani della parte guelfa, ai quali fu concessa da papa Giovanni XXII nell'anno 14 10. Il priore era tenuto di pagare annualmente per la festa di San Dionigi ai capitani di parte un censo, di cui troviamo ricordo nei libri del catasto degli anni 1430 e 1438: da di censo lamio e Idi di santo dionigi alla parte guelfa uno cero di libbre dieci costale comunemente II. cinque (2). Nel 1456 fu ridotta a semplice oratorio, togliendole anche gran parte delle rendite, ma nel 1587 le fu di nuovo concesso il titolo di prioria. Un formidabile incendio suscitato il dì 22 agosto dell'anno 1706, in occasione di una festa religiosa, la devastava totalmente, distrug- gendo preziosi arredi e pregevoli dipinti. Restaurata dai capitani di parte, fu di nuovo aperta al culto il dì 20 luglio del 1707 e final- mente nell'anno 1785 fu soppressa e oggi serve di arsenale per il corpo dei pompieri. Presso questa chiesa, in Mercato nuovo e in por Santa Maria, nei quindici giorni precedenti la festa di San Giovanni, si faceva il così detto giuoco dei sassi, introdotto dopo la cacciata del duca di Atene e che durò fino al 1670 con grandissimo danno dei tetti e delle botteghe vicine. Nella portata al catasto di Santa Maria sopra porta, dell'anno 1438, si trova preventivato l'onere imposto al priore di restaurare i tetti delle case appartenenti alla chiesa : A di spesa iu- fare rachonciarc e tetti di sopradette botteghe sono spesati pclfare asassi i?i mcrchato nuovo \ e \ in porta sancta maria e in acchon- cimi desse botteghe f quindici più (3). Tra gli oggetti d'arte va ricordato un tabernacolo di marmo con lo stemma dei Carosi, nel quale fino al 1590 si custodiva l'Eli- ti) A c. 26. (2-3) Arch. di St. fior., Catasto, n. 602, pag. 50. 134 LE CHIESE DI FIRENZE carestia, e da quell'epoca vi furono riposte alcune scaglie credute del Santo Sepolcro, che servivano per la cerimonia della benedi- zione del fuoco nel sabato santo. In Santa Maria sopra porta ebbero sepoltura i Giandonati e sul loro avello leggevasi questa iscrizione: SEP. GERII DE SCHIATTA DE GIANDONATIS MCCCXXXVI DE MENSE JVNII. SAN CRISTOFORO [1040]. Trovasi compresa tra i vasti possedimenti di cui Rodelando o Rollando, chierico della santa regolare canonica fiorentina, fa do- nazione sull'altare di San Giovanni Evangelista, posto in Santa Re- parata, a favore dell'ospedale, che si erigeva per i poveri e per i pellegrini: .... anno dominice incarnationis quadragesimo post mille pridie nonus novenbris indictione no?ia feliciter .... ego rodelandus . . . clericus et canonecus sane te fiorentine regularis canonice et filius quoddam gotti/redi prò dei timore et anime mee remedium et per anc cartata ojfersionis nomine a presenti die dare et tradere adque offerre previdi in ecclesia et saper altare dedicato in onore beati johannis apostolo et evangeliste in civitate fiorentia et in ecclesia beate reparate martyris .... consecrato manibus gloriosi dm. thendaldi aretini episcopi .... integris casis curlis et ecclesia sancii cristofori et fortis et domnicatis terris vineis et rebus tam de mea ereditate ; . . . .... infra terrilurio plebis sane te reparate sito in civitate fiorentia et sancte marie sito vitinula et sancte marie sito pineta et sancii ale- xandri sito iugulo positis ipsis rebus in loco qui dicitur cedda et moriano iìitegram in ea portione de ecclesia sancii remigi cum suas pertinentias que est posila prope civitate fiorentia seo terra et campo ilio integro quem fuit genitore meo qui est posilo prope ipsa ecclesia qui vocatur campo grasi . . . . (1). (1) Arch. di St. fior., Diplomatico, Santa Felicita, 1040, 4 novembre. SAN CRISTOFORO 135 Nessun ricordo ci è rimasto dell' antica struttura di questa chiesa; sappiamo però che fu restaurata nell'anno 1525 per cura dei fratelli della Misericordia, che vi si radunavano, e ai quali era sottoposta, per concessione di papa Clemente VII. La compagnia della Misericordia vi rimase fino al 1576. Fu poi completamente rinnuovata nell'anno 1732 dal dot- tor Francesco Foggini, che ne era rettore. Prima di questo restauro, l'altare maggiore era decorato di un'ancona attribuita all'Orcagna, sulla quale era dipinta la Madonna con ai lati San Niccolò, San Cri- stoforo, Sant'Appollonia e San Leonardo. In San Cristoforo ebbero sepoltura gli Adimari, i quali fino dal 1400 ne furono i patroni ; anzi, secondo il Richa (1), avrebbero dato nome alla chiesa, che sarebbesi detta San Cristoforo degli Adimari ; ma questa denominazione non è convalidata dai pochi do- cumenti che rimangono. Vi furono sepolti i pittori Alessandro, An- giolo e Cristofano Allori, che erano ricordati da questa iscrizione: Sebastianus et Alexander Allorii Chris top hori filii Angelo cognomento Bronzino Cosmo genito sibiq. et suis desce?ide?itib. Montini. P. Vix ille annos ipsos LXIX. Picturam vintavi nec non loquentem ca fe- licitate exercnit ut hominum memoria seviper vivere dignus sii ea vitae et morum integriate ut in coelis perpetuo degere sii crede?idus. Heleonorae Sufferoniae viatri fevii?iae spectatiss. Danieli Castonello Sororis marito et Angelo filio infayiti suavissimo Alexander Allorius cuvi Sebastiano fratre moerentes posuere vixit Hel. annos LXXVI atque obiit III No?i. Aug. CU ID LXXX. Dayiiel annos L VI et obiit V ?ion. Julii CU U LXXIII A?igelus vero quinq. tantum mensibus et X dier. completis hi Coeluvi evolavit V Kal. Aug. CU U LXXX (2). Fu soppressa nell'anno 1786 e il locale ridotto a private abi- tazioni. L'ubicazione di questa antica chiesa va ricercata sulla piaz- zetta degli Adimari, a cui si accede da via Calzaioli. (1) Notizie istoriche delle Chiese fiorentine > tomo VII, pag. 237. — La via dei Calzaioli si disse già Corso degli Adimari, dalle case, dalle torri e dalla loggia che vi aveva questa famiglia. Prevalse poi il nome dei Cal- zaioli, dalle molte botteghe di fabbricanti di calze di panno. (2) Bibl. Marucelliana, Burgassi, Sepoltuario, c. 58 2 . 136 LE CHIESE DI FIRENZE SAN REMIGIO [1040]. Fu delle dodici leggendarie antiche priorie e se ne trova me- moria nella prima metà del secolo XI. E compresa nella donazione che Rodelando o Rollando, chierico della santa canonica fioren- tina, figlio di Gottifredo, il dì 4 novembre dell'anno 1040 fa sul- l'altare di San Giovanni Evangelista, posto nella chiesa di Santa Reparata. Nell'atto, oltre le case, le terre, le vigne, le corti e la chiesa di San Cristoforo, è compresa la integravi portionem de ec- clesia sancii remigii qne est posita prope civitatem flo- rentia (1). Nell'anno 1065, Gisla, figlia di Rodulfo, ne fa donazione al monastero di San Pier Maggiore (2). Nel 1265 ne è patrona la famiglia Bagnesi e un secolo dopo circa, il patronato passò nel ve- scovo e quindi nei popolani. L'origine di questa chiesa con tutta probabilità si riferisce al- l'esistenza di un piccolo ospedale, fondato per alloggiare i pelle- grini francesi, che si recavano alle perdonanze in Roma. Trovasi detto lo spedale di San Romeo. Nel secolo XIV fu edificata di nuovo, certamente di propor- zioni più grandi dell'antica e si potrebbe supporre che fosse stata eretta su disegno di Fra Sisto e Fra Ristoro, conversi dome- nicani, o dei loro discepoli Fra Giovanni da Campi e Fra Jacopo Talenti, piuttosto che credere, come altri vogliono, che fosse già da tempo edificata e che servisse di modello ai due celebri frati ar- chitetti per l'erezione di Santa Maria Novella. Il Rosselli (3), considerando che il primo arco della nave mag- giore, a destra di chi entra, possa essere stato eretto a spese o (1) Vedi documento a pag. 134. (2) Vedi documento a pag. 99. (3) Arch. di St. fior., Sepoltiiario. SAN REMIGIO 137 col concorso della famiglia Pepi, della quale si vedeva lo stemma appunto nella chiave dell'arco medesimo e nel pilastro che lo so- stiene 1' iscrizione : S. PIERO DEL BENE PEPI ET SVORVM ritiene che la costruzione dell'edifizio possa rimontare all'anno 1350 circa, trovandosi che questo Piero del Bene Pepi viveva intorno a quel tempo e nell'anno 1350 faceva parte della Signoria. San Remigio è una delle più belle chiese di Firenze e una delle poche le cui linee generali non sieno state deturpate dagli innovatori del seicento e dei secoli successivi. Ben poco resterebbe a fare per ridurla totalmente all'originario aspetto. Era ricca di oggetti d'arte, dovuti ai più grandi maestri del- l'antichità. Tommaso, detto Giottino (1), lavorò per questa chiesa una tavola « con tanta diligenza ed amore, che di suo non si è mai ve- « duto in legno cosa meglio fatta ». Rappresenta « un Cristo morto « con le Marie intorno e Nicodemo, accompagnati da altre figure, « che con amaritudine ed atti dolcissimi ed affettuosi piangono « quella morte, torcendosi con diversi gesti di mani, e battendosi « di maniera, che neh' aria de' visi si dimostra assai chiaramente « l'aspro dolore del costar tanto i peccati nostri. Ed è cosa mara- « vigliosa a considerare, non che egli penetrasse con l'ingegno a sì « alta immaginazione, ma che la potesse tanto bene esprimere col « pennello. Laonde è quest'opera sommamente degna di lode, non « tanto per lo soggetto e per 1' invenzione, quanto per avere in « essa mostrato l'artefice in alcune teste che piangono, che ancora « che il lineamento si storca nelle ciglia, negli occhi, nel naso e « nella bocca di chi piagne, non guasta però nè altera una certa « bellezza, che suole molto patire nel pianto, quando altri non sa « bene valersi dei buoni modi nell' arte » (2). Questa tavola, veramente stupenda, decorava il tramezzo che separava il coro e il santuario dalla parte riserbata al popolo ; tro- vasi oggi nella R. Galleria degli Uffizi. (1) Oprava nel secolo XIV. (2) Le opere di Giorgio Vasari con nuove annotazioni e commenti di Gaetano Milanesi, tomo I, pag. 627. 138 LE CHIESE DI FIRENZE Andrea Orcagna, Zanobi Strozzi (i), Jacopo di Giovanni Fran- cesco, detto Jacone (2), eseguirono pure pregevolissime tavole, ri- cordate dal Vasari, delle quali oggi si ignora la sorte. La lunetta sopra la porta principale era stata dipinta da Agnolo Gaddi. L'an- tico affresco perito venne sostituito da una moderna pittura, rap- presentante il Santo titolare. La dedicazione della chiesa non avvenne che nell'anno 1568, per mano del cardinale Alessandro de' Medici, allora arcivescovo di Firenze. SAN MINIATO TRA LE TORRI [1046]. È una delle chiese soppresse nell'anno 1785. Abbattuta diè luogo a un casamento, onde non rimase di essa alcuna traccia, e soltanto la piazza sulla quale prospettava e la stradella che la fiancheggiava ne conservarono il nome fino all'epoca del riordinamento del centro. E una delle chiese comprese nel primo cerchio di mura e fu delle trentasei antiche parrocchie. Eretta tra una vera selva di torri, che ricordavano i nomi illustri dei Pilastri, dei Palermini, degli Strozzi, de' Pilli, degli Erri, de' Sassetti, de' Minerbetti, degli Elisei, dei Lam- berti, si disse perciò San Miniato tra le Torri. Il Del Migliore (3) scrisse di avere veduto un frammento di scrittura dell'anno 1106, stipulata nello stesso anno del secondo concilio fiorentino, sotto papa Pasquale II, nel quale lesse : ecclesia sancii Miniati que dici- tur inter turres vel testimonii fidei. Sarebbe l'unico documento in cui la chiesa è chiamata testimonii fidei, parole che potrebbero ri- ferirsi a qualche leggendaria memoria di San Miniato e sulla quale sarebbe stata poi eretta la chiesa. (1) Fu allievo del Beato Angelico ; morì nell'anno 1468. (2) Fu discepolo di Andrea del Sarto ; morì nel 1540. (3) Firenze illustrata, pag. 551. SAN MINIATO TRA LE TORRI 139 Sebbene di origine antichissima, nondimeno la dedicazione at- tribuitane a un papa Pelagio nel VI secolo, sostenuta anche in re- centi pubblicazioni, non è che una favola. E probabile, però, che sia contemporanea all'erezione della basilica di San Miniato al Monte. Il primo documento in cui si fa parola di questa chiesa, è un placito dell'anno 1046 octavo idus decembris .... tenuto in Firenze in palacio de ecclesia et piscopio sancii iohannis, nel quale si legge che Azzo, proposto della chiesa di San Michele di Firenze, sog- getta al monastero di Nonantola, insieme con Martino di Reuzo avvocato della sua chiesa, viene a disputa con Guglielmo di Raim- baldo chierico, che occupava la chiesa di San Miniato e con Gio- vanni di Maruccio suo avvocato e ottiene la decisione che la chiesa sancii miniati acni area sua que est posita in civitate florcncia di- penda dal monastero nonantolano (1). Questo diritto dovè ben pre- sto cessare, perchè sul principio del secolo XIV, il giuspatronato passò nei Pilastri, nei Palermini e nel monastero di Settimo, per ces- sione fattane il dì 20 giugno dell'anno 13 26, da Donna Nesa ve- dova di Cione de' Pilastri. Nel 1400 ne erano patroni per una parte gli Strozzi e per un'altra gli Spinelli ni, e in mancanza di questi il patronato spettava alla compagnia del Bigallo. L'onorificenza di questo patronato era cosa molto cospicua; imperocché i rettori dovevano riconoscere i patroni, inviando loro nel giorno di San Miniato, sull'ora di terza, certe vivande in catini di legno, coperti di rami di alloro e accompagnati da trombe. Di tale consuetudine abbiamo ricordo in un atto del dì 25 ottobre del- l'anno 1327, nel quale si legge che il prete Pietro, rettore della chiesa di San Miniato tra le Torri, volendo adempiere la sua annua obbligazione verso i patroni, che allora erano per metà i Pilastri e il monastero di Settimo e per l'altra metà i Palermini, in pre- senza di Cione del fu Stoldo Pilastri, di Donato monaco e procu- ratore del monastero di Settimo e di certo Andrea Palermini, li riconosce e confessa come legittimi patroni e sull'ora di terza mi- sit per quosdam adolescentes ad domani habitationis dicti C ionis (1) Tiraboschi Girolamo, Storia de IP augusta Badia di San Silve- stro di Nonantota, Modena, 1785, tomo II, doc. CLXI. 140 LE CHIESE DI FIRENZE unum catìnuvi novum de Ugno plenum buglione (1) et super ipso catino erant quedam vìrge lignee super quibus crat una petia car- nium manze copte ponderis librarum decem cum aliqicibus ramis al- lori fixis super ipsis carnibus et ad domos monasterii de septimo videlicet fiorentie loco dicto cafaggiuolo misit unum simile catinum plenum tridura copta super quo erant quedam virge lignee super quibus erat ima petia carnium porcinarum coptarum masculini ge- neris ponderis librarum decem cum aliquibus ramis allori fixis su- per ipsis carnibus et ad domos de Palerminis duos similes catinos unum videlicet cum buglione et carnibus del manzo ( ! ) et virgis cum alloro et cum tridura et carnibus porcinis et virgis et alloro et sic teneid eisdem annatim in dieta die et hora assentii et confessus full di et us presbiter Petrus rector diete ecclesie prò dieta ecclesia (2). Tra i rettori di questa chiesa è ricordato un prete di nome Fede che morì nel 1303, il quale ebbe per successore Maso di Ar- gomento del popolo di San Giusto di Montalbino, canonico della chiesa di Santa Cecilia di Firenze (3). In una carta del dì i° lu- glio dell'anno 13 18 è nominato presbyter Mannus rector ecclesie sancti miniatis inter turres (4), a cui probabilmente successe Pietro, il quale era sempre rettore nel 1327. La chiesa sebbene fosse capovolta nel secolo XV conservò in gran parte l'antica struttura. La facciata era decorata dal pennello * del Poliamolo, che vi dipinse San Cristoforo (5), e sulla porta vede- (1) Forse era una specie di minestra. (2) Arch. di St. fior., Diplomatico, Cistercensi, 1327, 25 ottobre. (3) Idem, Diplomatico, Cistercensi, 1033, 25 settembre. (4) Idem, Diplomatico, Cistercensi, 1318, 1 luglio. (5) Era di proporzioni colossali. Il Baldinucci [Notizie de' professori del disegno, tomo IV, pag. 535) nella vita di Antonio del Pollaiolo, così lo descrive : « Fino ne' nostri tempi si vede di sua mano la maravigliosa « figura di San Cristofano a fresco, alta dieci braccia, che esso dipinse nella « facciata della chiesa di San Miniato fra le Torri, figura che ebbe lode « della più proporzionata, che fosse stata fatta fino a quel tempo. Sta una « gamba del Santo in atto di posare, e l'altra di levare; e sono così ben « disegnate, proporzionate e svelte, che è fama che lo stesso Michelangelo « Buonarroti in sua gioventù per suo studio molte volte le disegnasse ». Le leggende, che resero favolosi gli atti del Santo, fecero credere che chiunque ne avesse implorata la intercessione guardando la sua figura, SAN MICHELE BERTELDE 141 vasi una Madonna di Luca della Robbia. Aveva tre altari ed era ricca di oggetti d'arte. All'aitar maggiore trovavasi una tavola, di mano di Andrea Del Castagno, raffigurante l'Assunzione e i Santi Miniato e Giuliano. Il Baldinucci vi lesse una metrica iscrizione la- tina, dalla quale si ritrae che fu ordinata nel 1449 dal rettore Ser Lionardo di Francesco di Nardo de' Falladanzi da Orte e costò 104 lire. Ne lavorò il legname Manno di Benincasa per 16 lire. Tra gli arredi sacri trovavasi un pregevole ostensorio di cri- stallo orientale, legato in rame dorato. Nel piede aveva lo stemma de' Pulci lavorato a smalti, con questa iscrizione: FACTVM EST HOC PRO ANIMA DOMINE DE PVLCIS e nel nodo : ANNO DOMINI M CCG XXX TEMPORE R. PRESBITERI PAVLI PRO ECCLESIA SANCTI MINIATIS INTER TVRRIS Un reliquiario del secolo XIV con insigni reliquie del Santo titolare, conservasi oggi nella chiesa detta di San Gaetano, dove fu recato quando la chiesa di San Miniato tra le Torri fu soppressa. Aveva anche un antico libro corale, che sul primo foglio portava scritta la leggenda della dedicazione della chiesa. SAN MICHELE BERTELDE [1055]- Se ne trova ricordo in una carta in data del dì 16 marzo del- l'anno 1055: in civitate Florcntia, intus casa nostra domni- cata prope ecclesiam sancti Michaelis qui dici tur Bertilde (1). E que- in tutto quel giorno sarebbe stato sicuro da qualunque pericolo di morte. Di qui nacque l'uso di dipingere San Cristoforo di figura gigantesca, perchè meglio fosse visibile, e di dipingerlo nei luoghi più esposti al pubblico o più frequentati, come sulle facciate delle chiese e sulle piazze. Si dipingeva di forme colossali perchè le leggende lo descrivevano di grande statura da supporlo un gigante. (1) Rena-Camici, Serie cronologie o-diplomatica deq-li antichi Duchi e Marchesi di Toscana, tomo III, pag. 95. 142 LE CHIESE DI FIRENZE sta la denominazione più antica, trovandosi poi detta Bcrtclde, Berteldi o Bertelda e corrottamente Bertelli. Forse Bertelde era il nome della località dove fu edificata la chiesa. Il Lami riferisce una carta dell'anno 1225 nella quale si nomina uno pctium terre posite in Berteldi (1). Fu detta anche di San Michele a piazza Pa- della (2), dalla piazza che la costeggiava; San Michele de' diavoli da una figura del Santo Arcangelo, avente sotto i piedi i demoni. Alcuni troverebbero la spiegazione di questo vocabolo, da un prete, famoso esorcista di spiriti maligni. Circa l'anno 1490 incontrasi la denominazione di San Michele degli Antinori, dalla famiglia che dal quartiere di Santo Spirito venne ad abitare nel palazzo che fu dei Buoni delle Catene (3). Fu collegiata con canonici ed è compresa tra le dodici leg- gendarie priorie. Dipendeva dal monastero di San Silvestro di No- nantola, che vi esercitava secolare autorità di possesso. Di qui le continue liti tra i canonici e il monastero e che i primi cercassero pretesti per sottrarsi alla giurisdizione dei secondi. Nell'anno 1217 insorse una lite, che ebbe fine molti anni dopo. Nel 12 18, Rai- mondo abbate e Pietro sindaco del monastero di Nonantola per una parte e Bencivenne priore della chiesa di San Michele Ber- telde per l'altra, scelsero concordemente ad arbitri delle loro con- tese due abbati bolognesi, cioè Azzo abbate di Santo Stefano e Jacopo abbate di San Procolo. Questi, esaminata accuratamente la causa e riunitisi il dì 3 agosto nella canonica di San Pietro, sen- tenziarono che il priore di San Michele Bertelde eletto dal col- legio dei canonici, dovesse ricevere l'investitura dal priore della chiesa di San Felice in piazza, che era la principale tra quelle che il monastero di Nonantola aveva in Firenze; che mai più si do- vesse recare molestia a questo monastero per il diritto di patro- nato che aveva sopra San Michele; che il priore di San Felice potesse recarsi in questa chiesa a cantare la messa con un diacono e un suddiacono per la festa titolare, per San Silvestro e per 11) Eccl. Fior. Man., voi. II, pag. 983. (2) Le opere di Giorgio Vasari con nuove annotazioni c commenti di Gaetano Milanesi, tomo I, pag. 282. ( 3) Richa, Notizie istoriche delle Chiese fiorentine, tomo III, pag. 195. SAN MICHELE BERTELDE 143 San Bartolommeo e dovesse essere trattenuto a desinare; che quando l'abbate di Nonantola passasse per Firenze per recarsi a Roma per farsi consacrare o per intervenire a un concilio generale, il priore di San Michele fosse tenuto accompagnarlo nell'andata e nel ritorno e mantenerlo nel suo passaggio con otto cavalli e do- dici persone, compreso l'abbate, e che per l'altra parte il priore di San Felice dovesse pagare le decime a quello di San Michele, se- condo il privilegio concesso a questa chiesa dall'abbate Bonifacio, delle quali il priore di San Michele potesse disporre a suo piacere e che l'abbate di Nonantola dovesse confermare a questa chiesa tutti i privilegi, che le erano stati concessi dai suoi antecessori. I canonici di San Michele Bertelde non si sottomisero a una tale decisione e sembra che mal soddisfatti del loro priore Benci- venne, che aveva pregiudicato ai loro diritti, si eleggessero un al- tro priore, cioè Manello, e procurassero di avere altri giudici. Nel 1290 si trova che era cessato ogni diritto di patronato per parte del monastero di Nonantola sopra San Michele Bertelde. La chiesa fu completamente rinnuovata nel secolo XIII, se- condo il Vasari, per opera di un maestro Lapo e nell'anno 1553 fu concessa ai monaci Olivetani, che ridussero la canonica a pic- colo monastero, che serviva quasi di succursale a quello che essi possedevano fuori la porta San Frediano. Nel 1592 gli Olivetani dovettero cedere il posto ai chierici regolari della congregazione sorta a Chieti nell'Abruzzo e detta perciò dei Chietini o dei Teatini dal nome di quella città. « Sonci in questo anno (1593) venuti di Roma, col favore « del nostro cardinale e Arcivescovo di Firenze, i Padri Chietini « delle calze bianche, e hanno avuto per habitazione la chiesa di « San Michele sulla piazza degl' Antinori, che possedevano i Mo- « naci bianchi di Montoliveto: i quali con molte contese e recal- « citramento maraviglioso, son convenuti con loro e tornati in « San Pulinari con certa ricompensa (1). Hanno scasato di quel (1) Gli Olivetani, riducendosi di mala voglia a lasciare San Michele, avevano domandato in cambio la chiesa di San Paolo o quella di Santi Apo- stoli con uguale entrata e abitazione o l'equivalente in denari. 144 LE CHIESE DI FIRENZE « distretto che era clreto a detto convento le Stufe, e l' osteria e « meretrici che vi facevano stanza, che è stata molto buona opera: « et hanno chiuso la piazza che si diceva Piazza Padella, e in- « corporata quell'isola per opera e molta fatica fatta da un R. do Pa- « dre di loro, detto Don Paolo, valente e devoto predicatore, e « nobile di sangue, il quale havendoci predicato molte volte, e più « di due quaresime, captò gran benevolenza universale, et è stato « fondatore in questa città della sua Religione » (i). Il dì 22 agosto deiranno 1604, per mano di Alessandro Marzi Medici, vescovo di Fiesole, fu benedetta la prima pietra della nuova chiesa della quale fu architetto Gherardo Silvani, che la innalzò sul disegno del teatino Anselmo Cangiano, architetto e matematico ce- lebratissimo. La grandiosa chiesa e il vasto convento sorsero con i soccorsi largamente profusi da casa Medici e dalle famiglie Mar- telli, Del Rosso, Tornaquinci, Franceschi, Mazzei, Ardinghelli, alle quali furono concesse le cappelle. L'antica chiesa, di fronte all'ampiezza della moderna, era di modeste proporzioni e di essa non rimane vestigio. Tra le memorie sepolcrali, il Rosselli rammenta quella di Ser Giovanni di Neri da Castel Franco padre del gran San Filippo Neri. La sepoltura, an- data dispersa con tante altre memorie, oltre lo stemma aveva que- sta iscrizione: SEP. SER IOHANNIS DE CASTRO FRANCO (1) Dalle memorie fiorentine di Baccio di Ser Giammaria di Ser Baccio Cecchi, pubblicate nella Miscellanea fiorentina di Erudizione e Storia, voi. I, n. 3. Paolo Tolosa è il padre qui ricordato, e di lui sono più suppliche al Granduca, nelle filze dei capitani di Parte, tutte relative alla edificazione della chiesa e convento. Un rescritto del 17 luglio 1592 gli concede di ser- rare il chiassolino tra la Stufa degli Obizzi e la vecchia chiesa di San Mi- chele Bertelli, la via che conduceva alla piazza degli Agli e gran parte della piazza Padella ecc. ; un altro del 7 ottobre 1593 gli accorda di occu- pare con la fabbrica (attuale canonica) parte del terreno davanti la Stufa e una striscia del cimitero a mezzodì, per farvi le cappelle; un terzo re- scritto del 14 luglio 1594 riguarda la liberazione della fabbrica conventuale dalla servitù che le recavano le finestre, terrazzi e luci delle case circo- stanti : un altro finalmente del 20 agosto dello stesso anno, approva che facciasi quell'aggiunta di fabbrica su' beccatelli nella via Teatina. SAX ROMOLO 145 In San Michele Bertelde ebbe sepoltura Don Stefano Bonsignori, fio- rentino, cosmografo di Cosimo I e autore di varie importanti mappe geografiche e topografiche, tra le quali quella della città di Firenze. Nell'interno, sulla maggior porta, si legge questa iscrizione, che ricorda la dedicazione solenne del nuovo tempio, comunemente detto San Gaetano : TEMPLVM HOC D. MICHAELI ARCHANG. CAELESTIS MILITIAE PRINCIPI SACRVM. QVOD VETVSTA ECCLESIA SOLO AEQVATA CAROLI CARD. MED. PRAECLARA MVNIFICENTIA STATVIT. VBI XIII. KAL. SEPTEM. A. S. MDCXXXXV. OB EXIMIAM IN CLERICOS REGVLARES DILECTIONEM EPISCOPVS SABINENSIS INI TIARI VOLVIT. THOMAS SALVIATVS EPISCOPVS ARETINVS QUADRIENNIO POST IV KAL. SEPT. SACRIS CEREMONIIS DEDICAVIT. INNOCENTIO X 3VM. PONT. FERDINANDO II. M. D. ETRVR. PETRO NICCOLINIO FLORENTIAE ANTISTITE. QVI INGREDERIS DOMVM DEI ET PORTAM COELI SVBIRE TE COGITA. ILLAM DECET SANCTITVDO PER HANC IVSTI INTRARE DEBENT. CAVE NE SVB OCVLIS EIVS QVI EST CANDOR LVCIS AETERNAE MACVLAS CONTRAHAS SI QVAE SVNT LACRIMIS ELVE. HIC REGI SAECVLORVM IMMORTALI HYMNVM ET SI LENTIVM REDDE 1 . SAN ROMOLO [1060]. Forse fu eretta, (mando per la traslazione delle reliquie di San Romolo dalla vecchia cattedrale di Fiesole a quella edificata dal vescovo Iacopo Bavaro, avvenuta nell'anno 1028, si diffuse mag- giormente il culto verso questo santo vescovo. La sua festa è com- memorata tanto nel codice Riccardiano Rubricete Ecclesiae floren- tinae, quanto nell' altro Mores et consuctudincs canonicae florcntinac , dell'Opera di Santa Maria del Fiore (i) Pollini, Firenze antica e moderna illustrata, tomo VII, pag. 321. Cocchi, Le Chiese di Firenze. io 146 LE CHIESE DI FIRENZE Dell'esistenza di questa chiesa abbiamo ricordo nella carta di donazione di papa Niccolò II alla basilica di San Lorenzo, in data del dì 20 gennaio del 1060 (1), e quindi in un atto dell'anno 1075 e in un altro del 1089, ambedue riferiti dal Lami (2). Nel citato catalogo vaticano dell'anno 1275 è detta di San Romolo de Ubertis e pagava di censo 11. 30: tale denominazione si riferisce al tempo in cui la chiesa era di patronato degli liberti. Sembra fosse danneggiata per opera di Gualtieri duca di Atene, il quale, per rendere più ampia la piazza del Comune, aveva fatto distruggere il cimitero, una bottega e le case alla chiesa apparte- nenti. Perciò il dì 9 dicembre del 1345 prete Guidone, rettore di San Romolo, domanda ai priori del Comune che venga data licenza per la ricostruzione delle case e del cimitero (3). Nell'anno 1349, mentre veniva decretata la demolizione del- l' antica chiesa per dare un regolare assetto alla piazza, veniva or- dinato altresì, che fosse di nuovo edificata con la casa del rettore, in altra parte della piazza medesima (4). A detta del Vasari, Agnolo Gaddi ne fu l' architetto (5). L'antica chiesa, di piccole proporzioni, era vòlta a oriente; ubicazione che non potè essere mantenuta nella costruzione della nuova, perchè si voleva rendere libera e ampia la piazza. Sembra che i lavori procedessero molto lentamente, perchè nel 1381 la nuova chiesa non era compiuta, trovandosi a' 20 febbraio di quel- l'anno che Donato di Giovanni Talenti e Jacopo Lapi promettono intonìcare et candidare ccclesiam sancii Romuli de Florentia ad cal- cinavi, renavi, pontes, acutos dicti operis, ita quod dicti magistri nil teneantur mietere de eorum, visi solimi et diuntaxat magiste- rium et ferramenta, acta ad laboranduvi cum cis, et hoc prò prctio (1) Arch. Cap. di San Lorenzo, L. t, Armadio H. (2) Feci. Fior. Mon., voi. II, pag. 1427 e 1436. (3) La provvisione fu pubblicata dal Frev, Die Loggia dei Lanzi zu Florenz, pag. 207. (4) Gaye G., Carteggio inedito d' Artisti, pag. 499. Frev C, op. cit., pag. 208. (5) Le opere di Giorgio Vasari con nuove annotazioni e commenti di Gaetano Milanesi, tomo I, pag. 641. SAN ROMOLO 147 et nomine pretii prò ipsorum salario et mercede cunislibet bracini quadri denariorum septem cum dimidio (1). Era divisa in tre navi ed era ricca di opere d'arte e di me- morie sepolcrali. All'altare maggiore trovavasi già una tavola di Neri di Bicci, della quale si ignora la sorte. La porta era architet- tura di Bernardo Tasso. La torre campanaria aveva una grossa campana benedetta da Sant'Andrea Corsini, vescovo di Fiesole, e sulla quale leggevansi queste parole: OB REIPVBLICE SALVTEM CONSECRAVIT ANDREA CORSINVS EPISCOPVS FESVLANVS ANNO Sulla torre erano dipinte le armi della Repubblica e del po- polo e si trovava quella meridiana che tuttora si vede, sebbene cam- biata di posto. Nell'anno 1722, nel rinnuovare il lastrico, fu scoperta una la- pide con un bassorilievo, che presentava la figura forse di un ca- nonico o di un rettore della chiesa e vi si leggeva questa iscrizione: + HIC IACET DISCRETVS VIR SER NERI CEDERNELLIS ECCLESIE SANCTI ROMVLI MIGRAVIT AD DOMINVM A. D. MCCC IND. XV. DIE XIV DECEMBRIS ANIMA CVIVS REQVIESCAT IN PACE. La chiesa fu vandalicamente soppressa e demolita nel 1769 e il locale ridotto a private abitazioni. E ricordata dalla seguente epigrafe: A S. ROMOLO V. E M. CUI VENIVANO A OFFERTA I COLLEGI ERGEVASI UN TEMPIO NEL SECOLO X (2) QUI DOVE L'INGEGNERE FRANCESCO BOMBICCI LE CASE A PROPRIO USO EDIFICAVA L' ANNO MDCCLXXXVI. (t) Frev C, op. cit., pag. 217. (2) Mancano i documenti che possano provare che la chiesa sia origi- naria del secolo X. 148 LE CHIESE DI FIRENZE SANT' APOLLINARE [1065]. Era nel numero delle dodici leggendarie priorie. Sebbene di origine incerta, nondimeno non mancano documenti comprovanti la sua antichità. Nella concessione livellaria della chiesa di San Pro- colo a don Pietro abbate di Badia, in data del dì 15 gennaio del- l'anno 1065, è chiamata a confine la vinea sancii Appolenari (1) e in un altro atto del dì i° febbraio del 1065, è descritto uno pethini terre posite extra muros civitatis flore?itie prope ecclesiam sancti apollinaris (2). Trovavasi dapprima fuori le mura; fu collegiata con canonici, i quali menavano vita comune. Il chiostro è ricordato in un atto del 1 1 3 1 : actum est hoc infra clanstrum ecclesie sancti appolenarii civitate florentie (3). Della primitiva basilica non ci sono rimaste che poche notizie, e T iscrizione che ne attribuiva la fondazione alla famiglia Sacchetti è priva di fondamento. Dev'essere stata ricostruita nel secolo XIV e fu allora che Andrea Orcagna e Bernardo suo fratello, tanto neh' in- terno che all' esterno la decorarono di pregevolissimi dipinti. Aveva tre navi ed era vòlta a oriente. Nell'anno 1592 fu concessa ai monaci Olivetani, quando per compiacere a Ferdinando I cedettero la chiesa di San Michele Ber- telde ai chierici teatini. Gli Olivetani vi rimasero fino al 1755, anno in cui la chiesa e il chiostro furono destinati per residenza del Santo Uffizio. Spiacque ai monaci di perdere quest' antica chiesa e non mancarono di farne rimostranza a papa Benedetto XIV per mezzo dell' abbate generale don Serafino d' Anna napoletano. Recatosi questi dal papa « per presentargli un memoriale su di ciò, subito « che intese il pontefice Benedetto, che era venuto alla sua pre- (1) Vedi a pag. 130. (2) Lami, Eccl. Fior. Mon., voi. Ili, pag. 1425. (3; Arch. di St. fior., Diplomatico, Acquisto Strozzi-Uguccioni, 1131, 28 aprile. SANT' APOLLINARE 149 « senza per parlargli di quest' affare, lo cacciò via da sè e non potè « neppure presentargli detto memoriale ». Nel mese di settembre il papa emanò il decreto di soppressione della chiesa e canonica « aun annexis et connexis qaomodolibet spectanctibits il quale « fece temere alla bella prima per ragione di questa clausola anche « maggior pregiudizio del monastero di quello della perdita della « sola chiesa e canonica ; ma poi fu considerato, che detta clausola « non aveva altra ragione che in ordine al suolo o luogo di detta « chiesa e canonica. Tal decreto pervenne a mons. arcivescovo di « Firenze, Gaetano Incontri volterrano, come delegato apostolico « in tale affare, con ordine di fare la sentenza di soppressione di « detta chiesa e canonica, che fu dal medesimo pronunziata nel « mese di settembre dello stesso anno 1755; nella quale v'era in- « serita la clausola, che il monastero potesse ritirare tutti i mobili, « e arredi sacri e profani tanto della chiesa, come della sagrestia « e canonica e tutte le suppellettili etc. siccome il priore, e le con- « gregazioni o compagnie, erette in detta chiesa tutte le loro robbe, « come di poi seguì. «Nel mese finalmente d'aprile 1756 essendo stata fatta da « mons. Filippo Gondi canonico della metropolitana, e vicario gc- « nerale di mons. arcivescovo, la sconsacrazione di detta chiesa di « Santo Apollinare, rimase la medesima, e l' annessa canonica se- « colarizzata » (1). La chiesa era stata completamente restaurata nell'anno 1636 dalla famiglia Sacchetti, e in memoria di ciò, nell' interno, sulla mag- gior porta leggevasi questa iscrizione : FAMILIAE DE SACCHETTIS TEMPLVM HOC MVLTIS ANTE SAECVLIS MAIORVM SVORVM PIETATE CONSTRVCTVM AC B. APPOLLINARI DICATVM RESTITVIT EXORNAVITQVE AN. SAL. CIO IO CXXXVI fi) Da un libro ms. intitolato : Ricordanze del monastero di San Jìar- tolommeo di Afonie Oliveta di Firenze, gentilmente mostratomi da I). Pla- cido Lugano O. S. B. LE CHIESE DI FIRENZE Vi ebbero le cappelle i Sacchetti, i Sinibalcli, le monache della re- ligione di Malta, gli Olivetani, lo spedale di Santa Maria Nuova, l' arte dei cuoiai. Soppresso anche il tribunale del Santo Uffizio, i locali vennero ridotti a private abitazioni e non sono molti anni che in parte ser- virono per 1' erezione di una cappella protestante, presso -la quale si possono vedere i resti dell' antico chiostro. Nel 1258 sulla piazza di Sant'Apollinare fu decapitato il cardinale Tesauro Beccaria, inviato a Firenze da papa Alessandro IV, quale suo legato a Firenze per comporre le discordie tra i guelfi e i ghibellini. SAN PIETRO SCHERAGGIO [1066]. Tra i beni che Rolando del fu Azzo vende a Kisla o Gisla sua madre e che -sono descritti in una carta del dì 19 dicembre dell'anno 1066, trovasi compresa la chiesa sancii petri qui dicihtr scraio (1). Il dì 27 febbraio del successivo anno 1067, Gisla la dona al monastero di San Pier Maggiore e nell'atto è chiamata ecclesia (1) Arch. di St. fior., Diplomatico, San Pier Maggiore, 1066, 19 di- cembre. Il documento non è originale: si tratta di una copia assai poste- riore alla donazione di Kisla o Gisla al monastero di San Pier Maggiore. SANTA MARIA FERLAUPE [847]. In questa stessa carta, prima, tra le chiese che Rolando vende a Gisla sua madre, è nominata quella di scinda maria que vocatur forlapc, la cui origine risale indubitatamente alla prima metà del secolo IX, per opera di una certa donna di nome Fereleuba, deo dicala, ossia vestita del velo mona- cale, la quale ne fece dono al monastero di San Zenone di Verona. Nel diploma dell'imperatore Lodovico il Pio, la cui data risale al dì 25 agosto dell'anno 847, tra i beni dei quali viene confermato il possesso a quel monastero, si trova la basilicam de fiorentina civitate quam Fere- leuba f emina deo dicaia per chartam traditionis ad sanctum Zenonem obtulit cum omnibus adiacentiis suis (Lami, Feci. Fior. Jlfon., voi. II, pag. 1492;. SAN PIETRO SCHER AGGIO s aneti p etri scragii(i). Nella carta di Rinieri o Ranieri vescovo di Firenze, nella quale il dì 27 novembre del 1073 conferma al mona- stero i beni e le donazioni di Kisla, è detta chiesa beati petri in scra- ragio (2). L' Ughelli lesse in horlagio e ciò fece supporre al Lami che queste vocabolo fosse derivato da parlagio, essendo il parlagium minus prossimo alla chiesa (3). Trovasi anche detta ecclesia sancii pet? r i de scaradio, ad Scheradiiim, Scradii e finalmente Scheraggio. La derivazione di questo vocabolo non è ben definita, ma sembra che questo nome fosse barbaramente attribuito al fosso che scorreva fuori le mura del primo cerchio e che serviva a raccogliere le acque piovane della città e quindi metteva in Arno appunto presso il luogo ove sono gli Uffìzi, dando così il nome all'antica chiesa che si tro- vava prossima. Tra le altre supposizioni citerò anche quella di chi crede che Sicherado o Scheradio fosse il nome di chi edificò la chiesa; ma i documenti tacciono affatto su questo proposito e il Sicherado o Scheradio, fondatore e patrono della chiesa, sfugge alle ricerche del critico. Sebbene il diploma ci assicuri dell' esistenza in Firenze di questa basili- chetta, fin' oggi non si è potuto stabilirne l'ubicazione. Il Lami ritenne che fosse la stessa chiesa di Santa Maria sopra porta, ma ciò non è che una supposizione e forse si può con sicurezza ritenere che Santa Maria Ferlaupe sia un'altra chiesa, se non propriamente compresa nel primo cerchio di mura, per lo meno esistente nei luoghi suburbani. Nell'anno 1014 si trova di nuovo citata in un diploma dell'impera- tore Enrico I, nel quale si confermano al monastero di San Zenone sul- l'Adige, tutti i beni posseduti, tra i quali in civitate Florentie capcllam sancte marie que dicitur Ferleuba cum pcrtinentiis suis .... (Lami, Eccl. Fior. Mon., voi. II, pag. 1157). Il dì 27 febbraio dell'anno 1067, Gisla ne fa donazione al monastero di San Pier Maggiore (vedi doc. a pag. 99). Nella carta è detta Santa Maria Ferlaupe e così pure è chiamata da Rinieri vescovo di Firenze nell'atto del dì 27 novembre del 1073, ne l quale si confermano le possessioni al monastero di San Pier Maggiore. Posteriormente all'anno 1073 non si trovano altri documenti che ne parlino; si può quindi ritenere per certo che andasse in rovina o che pe- risse in uno dei tanti incendi o inondazioni che desolarono Firenze. (1) Arch. di St. fior., Diplomatico, San Pier Maggiore, 1066, 27 feb- braio (ab Inc.). (2) Idem, Diplomatico, San Pier Maggiore, 1073, 27 novembre. (3) Lami, Eccl. Fior. Mon., voi. II, pag. 1158. LE CHIESE DI FIRENZE Che questo vetusto tempio fosse originario del secolo V o del VI, non è che una favola, e per quanto non si possa sicura- mente provare, pure sembra che non sia più antico del secolo XI. Faceva parte delle dodici leggendarie priorie ed era una delle chiese più belle e più venerande della città, e per ampiezza di poco inferiore a Santa Reparata. Aveva tre navi separate da colonne di macigno di ordine composito. Come le basiliche di quell'epoca, aveva le finestre lunghe e strette, il presbiterio elevato dal suolo con l'altare nel centro; era preceduta dal portico, aveva il cimitero e la canonica. Nel 14 io, quando fu allargata la strada che fiancheggiava il palazzo dei Signori, le fu demolita una nave e così la basilica restò defor- mata. Nell'anno 1561, per la fabbrica degli Uffizi, venne abbattuta anche l'altra nave minore, che era stata separata dalla maggiore con un muro e ne era stata fatta sede della compagnia degli Sti- pendiati. In tale occasione si demolirono il campanile, il cimitero e parte della nave maggiore dal lato della facciata. Nel 158 1 fu soppressa la parrocchia, e la chiesa, ridotta da papa Gregorio XIII a semplice benefizio, venne assegnata al mantenimento del Padre Inquisitore di Firenze. Era decorata di non pochi pregevoli dipinti, tra i quali il Vasari cita una tavola di mano di Lorenzo, monaco camaldolense, dipinta per la cappella Sangalletti, che poi fu dei Cocchi-Donati. Alla cappella della compagnia della Ninna, che rimaneva a tergo della chiesa e dava il nome alla strada, si trovava una tavola cre- duta di Cimabue. Nella demolizione compiuta nell'anno 1561 andarono perdute importanti memorie sepolcrali, tra le quali il monumento di Fran- cesco La Cecca (1), sul quale leggevasi questa iscrizione: FABRORVM MAGISTER CECCA NATVS OPPIDIS VEL OBSIDENDIS VEL TVENDIS HIC JACET VIXIT ANN. XLI MENS. IV. DIES XIV OBIIT PRO PATRIA TELO ICTVS PIAE SORORES MONVMENTVM FECERVNT ANN. MCCCCLXXXVIII (1) Francesco soprannominato La Cecca (e non il Cecca come lo chiama il Vasari) nacque nel 1447. Mortogli il padre nell'agosto del 1460, SAN PIETRO SCHER AGGIO 153 Sull'antica facciata era scolpito in marmo il Carroccio, che ricordava quello preso ai Fiesolani. In San Pietro Scheraggio nel 1292 si fecero le leggi contro i grandi, vi si creava il gonfaloniere, a cui si consegnava il gonfalone bianco con la croce rossa. Una erronea iscrizione manoscritta faceva memoria della dedi- cazione della chiesa in onore della Madonna e dei beati Apostoli Pietro, Andrea, Giacomo, che sarebbe avvenuta la prima volta nel- l'anno 1068 e poi nell'anno 1279 per mano del cardinale latino, vescovo di Ostia e Velletri. Sul volgere del secolo XVIII fu completamente distrutta e di essa non rimasero che due colonne incastrate nel muro aderente al fabbricato degli Uffizi, da quella parte che guarda sulla via della Ninna. Erano del medesimo stile di quelle tanto pregiate che si ve- dono nel portico di San Jacopo oltr' Arno. Queste due colonne segna- vano il luogo ove fu San Pietro Scheraggio. Nel 1854 si atterrarono quelle memorie, per fare un'immensa e informe finestra. Nella suburbana chiesa di San Leonardo in Arcetri si ammira un'importante reliquia di San Pietro Scheraggio, collocatavi nel 1782, e consiste nell'antico ambone, che senza fondamento si ritiene prove- niente da Fiesole, donde sarebbe stato recato a' primi del secolo XII alla decadenza di quella città. E opera del secolo XII e i rozzi bas- sorilievi rappresentano i principali misteri della vita di Gesù. egli rimase con tre sorelle maggiori alla cura di monna Pasqua sua madre, la quale lo mise a imparare il mestiere del legnaiuolo nella bottega di Francione, maestro di quadro, d'intaglio e di tarsia dei più reputati di Firenze. La Cecca superò ben presto il maestro e divenne tanto celebre che fu adoprato in molti lavori e opere per conto della Signoria. Fu inge- gnere e architetto e come tale riattò la torre e la campana del palazzo pub- blico a Firenze e dette il disegno della nuova stanza dei provvisionati a Livorno. Trovandosi nel 1488 con l'esercito fiorentino alla espugnazione della rocca di Piancaldoli, stata occupata per l' innanzi dal conte Girolamo Riario signore di Forlì, mentre la mattina del 26 aprile attendeva con in- gegni e cave a far rovinare una torre, fu ferito di un passataio nella testa e dopo pochi giorni morì. Per cura delle sorelle fu seppellito in San Pie- tro Scheraggio. L' iscrizione fu dettata da Angelo Poliziano. 154 LE CHIESE DI FIRENZE SAN DONATO DE' VECCHIETTI [1068]. Il primo documento che fa parola di questa chiesa, è una car- tapecora dell'archivio capitolare fiorentino, nella quale si legge che nel mese di marzo dell'anno undecimo dell'impero di Enrico III, che corrisponde all'anno 1067 ab incarnatìone (1068 s. e), Adam vocatus ubertus filius b. m. Petroni promisit Joanni filio b. m. Berte et Bono filius b. m. Corbizi non alienare claustrum casas et terras positas in civitate Florentie ad orientem mxta capitolhim e nella de- scrizione dei confini ad quartam partem est ipsa ecclesia sancti Doìiati (1). Nel libro delle decime dell'anno 1275 (2) è detta ecclesia sancti Donati de Vecchiettis e in quello del 1299(3) è detta de vecchis e trovasi tassata di 11. 6 e sol. 4. Da ciò si deduce che nella se- conda metà del secolo XIII era di patronato della famiglia Vec- chietti, alla quale era stata ceduta dal popolo a cui dovevasene la erezione. Fu collegiata con canonici ed è annoverata tra le trentasei an- tiche parrocchie della città. Marco di Bartolommeo Rustichi ce ne ha conservato il ricordo nel suo pregevolissimo codice, raffiguran- dola come si trovava ai suoi tempi (4). I Vecchietti, non appena ne divennero patroni, la considera- rono come cosa loro, e quindi la beneficarono, l'arricchirono e la de- corarono più e più volte. Il restauro più importante, che tolse alla chiesa tutta la semplicità delle antiche forme, rimonta all'anno 1584. Fu compiuto a spese del ricchissimo e munificentissimo senatore Ber- (1) Arch. Capitolare, n. 289. Lami, Eccl. Fior. Morì., voi. II, pag. 1425. (2) Arch. Vaticano, n. 240, c. 10. (3) Lami, Eccl. Fior. Mon., voi. I, pag. 531. (4) A c. 30. SAN DONATO DE' VECCHIETTI 155 nardo Vecchietti, che in questi lavori si valse dell'opera di Giam- bologna, che doveva al Vecchietti la sua fortuna di artista. Il Giambologna fece di nuovo l'altare maggiore d'ordine co- rintio e scolpì di propria mano lo stemma che ne adornava il fron- tespizio. All'antica tavola ne fu sostituita un'altra bellissima, sulla quale Santi di Tito aveva dipinto magistralmente 1' Adorazione dei Magi. Il soffitto a cavalietti fu successivamente coperto da una vòlta dove il Botti dipinse degli sfondi architettonici e il Nannetti delle figure. Sulla facciata vedevasi un bassorilievo dei Robbia rappresen- tante il Santo titolare. Un restauro fu compiuto nel 1708 e finalmente fu soppressa nell'anno 1785. Per quanto nella soppressione fosse profanata, spogliata e ri- dotta ad uso di magazzini, pure nelle demolizioni eseguite per il riordinamento del centro, si trovarono alcuni oggetti sfuggiti, chi sa come, alla dispersione. Un ciborio di elegantissime forme, alcune porte del secolo XV, diversi stemmi con iscrizioni funerarie, dei frammenti di pile per l'acquasanta, una vaga statuetta acefala figu- rano oggi nella collezione del Museo della vecchia Firenze in San Marco, insieme ad un piccolo affresco, che merita un cenno partico- lare. E a forma di rettangolo e vi sono graffite e leggermente colorite le figure del Crocifisso, della Vergine e di San Giovanni Evangelista, di linee dure, ma singolari per un ingenuo sentimento e per un certo accenno di studio dal vero, che si riscontra nei vestimenti. Di fianco alla chiesa trovavansi le torri dei Vecchietti, i quali avevano il loro principale palagio (masi di fronte e una loggia sulla piazza, segno di alta nobiltà, distrutta e incorporata di poi in una casa corrispondente da tergo, in via de' Ferravecchi, nel luogo che è detto fino dal secolo XIII il canto de' Diavoli (1). (1) Il nome ricordava una singolare leggenda di un diavolo in forma di cavallo, che sarebbe apparso in quella località mentre Pier da Verona, detto San Pier martire, predicava contro i paterini. 156 LE CHIESE DI FIRENZE SANTI APOSTOLI [1075]- La leggenda ne attribuì la fondazione a Carlo Magno e tanto era radicata questa opinione, che nel secolo XVII venne scolpito il busto di quell'imperatore e collocato sopra una delle porticine aperte nell'abside. La seguente iscrizione, che si legge sulla fac- ciata, si riferisce appunto alla leggendaria fondazione della chiesa: Vili V° DIE VI APLÌS IN RESSVRRECTIONE DNI KAROLVS FRAC ÒR REX A ROMA REVERTES IGRÉSSVS FLORENTIAM CV MAGNO GAVDIO ET TRIPVDIO SVSCEPTVS CIVIVM COPIAM TORQVEIS AVREIS DECORAVIT ET IN PENTECOSTEM FVNDAVIT ECCLESÌA SACOR" APLOR T ALTARI INCLVSA E LAMINA PLVMBEA IN QVA DESCRIPTA APPARET PFACTA FVNDATIO ET COSECRATIO FACTA P ARCHIEPM TVRPINVM TISTIB ROLANDO ET VLIVERIO E riportata dal Vasari e da altri, i quali bonariamente cre- dettero che Turpino, Rolando e Oliviero fossero personaggi storici. Narra Coluccio Salutati (1) che ai suoi tempi nell' altariolo de- dicato a San Giovanni Battista, in una piccola arca di bronzo, si trovarono preziose reliquie di santi ignorate dal clero e dal popolo e che furono ritenute appartenere a Carlo Magno. Ma ciò non è che leggenda. Dal Regesto fiorentino abbiamo il più antico documento in cui è ricordata questa chiesa: Qualiter Durante vocatus Rustichcl- (1) Invectiva in Antonium Luschum Vincentinutn, Florentiae, 1826, pag. 170. SANTI APOSTOLI 157 lus quondam Gherardi de burgo sanctorum apostolorum optulit et donavìt prò remedio anime sue Domino Ranerio Episcopo fiorentino et Episcopatni imam domimi positam prope Eccle siavi sanctorum apo- stolorum. Carta marni Rodulphi. Notar, sub M.LXXV. V Kal. Maii Ind. XIII {1). Il borgo Santi Apostoli è forse il primo borgo formatosi presso la città: trovavasi fuori la porta Santa Maria e talvolta era sempli- cemente detto Burgus, perchè essendo il primo, non aveva bisogno di altri vocaboli che lo distinguessero. Sextus burgi non era che il borgo Santi Apostoli, che aveva dato nome ad un sestiere della città. Dopo il documento del Regesto, abbiamo una carta del dì 29 ot- tobre dell'anno 1080 nella quale è ricordato il borgo Santi Apo- stoli: prope civitate florcntia infra burgo sancii apostoli intus casa martini filio bm. petri eilini (2). Nei protocolli di Ser Ri- nieri Baldesi (1 262-1 277) è semplicemente detto via burgi (3) e così in molti altri documenti. Varie sono le opinioni circa l'epoca in cui si suppone eretta la chiesa, alla quale si vorrebbe attribuire un'antichità anteriore al secolo X; però, osservando che i primi documenti nei quali si fa pa- rola della chiesa e del borgo formatosi presso di essa, apparten- gono alla seconda metà del secolo XI, sono di opinione che l'ori- gine debba riportarsi ai primi di quel secolo o agli ultimi anni del secolo X. Fu collegiata con canonici e una delle dodici antiche priorie. Nell'elenco vaticano dell'anno 1275 trovasi che pagava il censo di 11. 20 e sol. 8 (4). Ben poco rimane oggi dell'antica costruzione. La chiesa tanto nell'interno che all'esterno ebbe le mura tutte di filaretto di pie- tra; la luce scendeva tranquilla per le lunghe e strette finestre aperte nell'alto della nave maggiore e lungo le pareti delle navi minori. Un'altra se ne apriva nell'abside, nel cui centro trovavasi l'altare (1) Arch. di St. fior., Bull., pag. 317, n. iij. (2) Idem, Diplomatico, Passignano, 1080, 29 ottobre. (3) Idem, Prot. di Ser Rinieri Baldesi, c. 41*. (4) Arch. Vaticano, cod. cit. 158 LE CHIESE DI FIRENZE e innanzi il coro, al quale si accedeva salendo alcuni gradini. Forse ebbe la cripta o confessione. Nel secolo XIV fu totalmente restaurata dal priore Ugolotto, il quale resse questa chiesa per circa cinquant' anni ; ad esso de- vesi il rifacimento del tetto, la fabbrica della casa canonica, come si rileva dall' iscrizione che ne ricorda la morte : + ANNÓ~DNI-MCCCXXXIII-DIE XXIII ■ MAY OBIIT d¥s VGHOLOCTVS PRIOR HVIVS ECCLESIE QVI EIVS TECTVM DECORO OPERE RENOVAVIT ■ DO MOS A FVNDAMENTIS EREXIT REDDITIBVS AMPLIAVIT ■ EAMQVE LIBRIS ET ALIIS THESAVRIS SVFFICI ENTER ORNAVIT • ET PER L ■ FERE ANNOS ECCLESIAM IPSAM ET POPVLVM FELICITER REXIT • ELEMOSIN ARVM MAXIMVS ELARGITOR ■ ET REFVGIVM OMNIVM MISERORVM CVIVS CORPVS HIC IACET INFERIVS ANIMA VERO QVIESCAT IN CHRISTO AMEN - .- Presso 1' abside, nel pilastro in cornn evangelii, trovavasi il pa- stophorium, le cui traccie apparvero nel recente restauro e al quale nel secolo XVI fu sostituito il bellissimo tabernacolo dei Robbia, che si ammira in capo alla nave sinistra. L' opera di trasformazione dev' essere stata iniziata nel se- colo XV; è certo che a' tempi del Vasari erano già state costruite le volticciuole e diverse cappelle nelle due navi minori. Il piano della chiesa, nel secolo XVI, fu rialzato di circa trenta centimetri, na- scondendo così l'antico impiantito di smalto rosso e bianco e le basi delle colonne, alle quali furono sovrapposte altre dissimili dalle antiche e dissonanti, per cui le colonne sono rimaste fuori delle necessarie proporzioni. Il bellissimo soffitto a cavalietti, egregiamente dipinti nel se- colo XIV, fu nascosto dalla stoia a botte, costruita nel secolo XVIII. Questa piccola, graziosa chiesa, chiamata dal Vasari « opera di tanta buona maniera, che tira alla vera bontà antica », servì di modello al Brunellesco per la costruzione di San Lorenzo e di Santo Spirito. Tra gli oggetti d'arte di cui era ricca, va ricordata una tavola di mano di Spinello Aretino, che stava sull'altare mag- giore. Era dipinta a tempera e rappresentava la discesa dello Spi- rito Santo sopra gli Apostoli. Brogi) Affresco della facciata di Santi Apostoli. SANTI APOSTOLI 161 È pregevolissima la tavola della Concezione, dipinta da Gior- gio Vasari per commissione di Bindo Altoviti. All'antica porta nel secolo XVI veniva sostituita quella squisitamente bella, fatta sul di- segno di Benedetto da Rovezzano, al quale devesi anche il bellis- simo monumento di Oddo Altoviti, la cui memoria è ricordata da questa iscrizione: IVSTORVM VITA PERPETVA SOLI DEO OPT. MAX. HON. ET GLO. ODDVS ALTOVI BINDI F. PRATI PRAEPOSI VIXIT AN. LUI. M. IX D. IMI SIBI ET. OBIIT XII NOVEMBRIS ANTONIO FRATRI M.D.VIi. DVLCISS. PO Nel 1884 la facciata venne liberata dall'alto strato d'intonaco che ne ricuopriva i pietrami; apparvero allora le tracce dell'antica decorazione architettonica. Al disotto delle cornici che segnano l'in- clinazione dei tetti delle navate, si vedono i segni degli antichi e leggiadrissimi archetti di terracotta stati barbaramente distrutti fino al piano della facciata, probabilmente quando fu ricoperta d'into- naco. Nel 1884 fu anche restaurato il bellissimo affresco che si trova sopra la porta e che rappresenta la Vergine col Bambino, opera del secolo XIV. Nel 1900 furono iniziati dei lavori di restauro, che portarono al parziale ripristinamento dell'antica abside e alla ricostruzione del- l'altare, più omogeneo allo stile della chiesa (1). La chiesa ebbe annesso un importante cimitero, di cui fa pa- rola il Regesto di papa Onorio III, al dì 9 ottobre dell'anno 1217: Potcstati et populo florentinis. Invehit in eos, quod ecclcsiam sancto- rum Apostolovum Florentinam provocare ausi fuerant ad belhim (i) Giova sperare che i restauri vengano continuati, che l' intonaco venga tolto da tutta la maggiore nave, che venga remosso l'organo e demo- lita la stoia a botte che nasconde i cavalietti. Causa i mezzi limitati, il re- stauro è stato condotto tanto economicamente, fino a collocare dei colon- nini di terra cotta, invece che in pietra, a sostegno dei due altari in fondo alle navi minori. Cocchi, Le Cliiesc di Firenze. IÓ2 LE CHIESE DI FIRENZE propter quamdam discordiam qiiam habent super cimiterio et rebus aliis citm filiis Longobardi civibus florentinis. Laterani VII. Id. Oct. anno secando (i). In Santi Apostoli si conservano quelle scaglie di pietra, dette del Santo Sepolcro, che si custodivano nella chiesa di Santa Maria so- pra porta, prima che fosse soppressa. Secondo la leggenda sarebbero state recate da Gerusalemme da Pazzo di Ranieri de' Pazzi quando fece ritorno dalla crociata che Urbano II aveva bandita nel 1088. Da queste pietre, secondo il rito, si trae il nuovo fuoco la mat- tina del sabato santo. Senza entrare in merito all'autenticità di esse, mi piace ripetere l' osservazione che altri fecero, cioè che il Santo Sepolcro non è composto di pietra silice o focaia; quindi potreb- bero essere invece state raccolte sul monte Oliveto, dove si trovano sparse molte selci o pietre focaie; anzi i pellegrini ebbero in uso raccoglierne e recarne alle loro case con religiosa considerazione, essendo pietre di quei luoghi che furono illustrati dalla presenza di Gesù. Ciò potrebbe anche riferirsi a qualcuno della famiglia Pazzi, o che veramente avesse preso parte alla crociata, o che, peregri- nando nei luoghi santi, avesse raccolte di quelle selci, le quali fu- rono poi considerate quali pietre del Santo Sepolcro. E incerto quando furono depositate in Santa Maria sopra porta; antichissimo però è il costume di prendere il fuoco santo da que- sta chiesa, trovandosene memoria nel codice Mores et consuetudine* canonicae florentinae della prima metà del secolo XIII, nel quale si legge: hora competenti mittimus nuntium nostrum ad eccle- siam saiicte marie supra portam ut cereum benedicto igne accensum hunc afferatur (2). Forse quest' uso non è anteriore agli ultimi anni del secolo XII, perchè il codice Riccardiano Rubricete Ecclesiae florentinae non ne fa parola: .... Sacerdos induìt alba et stola et pluviali veniens cum ministris ad locum convenientem cruce prece- dente benedicit ignem decristallo vel silice noviter excussum cum proprio officio aspergit illuni acqua benedieta et incenso (3). (1) Pressutti, Regesta Honorii Papac III, voi. I, n. 830. (2) Vedi nota 4 a pag. 52. (3) A c. 41. SANTI APOSTOLI 163 Giovanni Villani che finì di scrivere la sua cronaca nel 1348, essendo morto in quell'anno, mentre accenna al rito praticato in Gerusalemme, descrive quello che praticavasi in Firenze senza far parola della chiesa donde traevasi il fuoco santo : « Si benedice « nelle fonti l'acqua « del Battesimo, e « il fuoco ordinato; « e spandesi il det- « to fuoco santo « per tutta la città « al modo si facea « in Jerusalem che « per ciascuna casa « v'andasse uno a « accenderlo, e di « quella solennità « venne alla casa j « de' Pazzi la di- « gnità che hanno « della grande fa- « cellina intorno « quà di 140 anni « per un loro an- « tico nomato Paz- « zo, forte e grande « della persona che « portava maggio - « re facellina che « nullo altro ed era « il primo che por- tasse il fuoco santo, e poi gli altri da lui » ( 1 ). La grande facellina non era che una grossa fiaccola a cui deve essere stato sostituito un carro col quale in gran pompa e festa (Edi*. Brogi PORTA-FUOCO (sec. XV). (1) Cron., lib. I, cap. LX. i6 4 LE CHIESE DI FIRENZE andavano quelli della famiglia Pazzi a prendere i primi il fuoco benedetto, il che sembra si possa arguire altresì dal braciere col fuoco che vedesi in cima del carro disegnato nel Priorista di Luca Chiari (i) e dalle torce o fiaccole che si vedono agli angoli del medesimo. Nella portata al Catasto dell'anno 1438, si trova che la chiesa di Santa Maria sopra porta aveva di spesa ogni anno pel cero (che) fa fare per portare e/sabato sancto elfuocho benedetto asancta maria olelfiore el quale vi si porta honorevolmcnte (cioè) con chompagnia di molti preti e colle trombe fiorini trenta (2). (1) Bibl. Magliabecchiana, II, I, 262, c. 38. (2) Arch. di St. fior., Catasto Firenze e Fiesole, n. 602, pag. 50. A titolo di curiosità, mi piace di riportare alcune note di spese fatte nell'anno 1397 per l'anniversario della dedicazione. Sono estratte da un libro di spese del cappellano: « Ser Andrea di Giovanni da terranuova » il quale tolse « a gho verno da Ms. Agnolo priore di sanfriano chamarlingho et « prucchuratore del reverendissimo misser agnolo per dio gratia chardi- « naie fiorentino et commensale della chalonicha overo chiesa di santo apo- « stolo di firenze » : « A di X di gennaio per fare achonciare il battaglio della seconda chan- pana soldi cinque s. V; Item di detto per una choreggia et una fibbia per la detta chanpana soldi quattro s. IIII; Item adi XI gennaio per sei libbre et mezzo di fune per le chan- pane soldi venti s. XX ; m ccc 1 xxxx vii di xviiii di gennaio per la festa per alloro soldi sedici s. XVI ; per aghuti et uncinelli et bollette soldi dieci e denari 6 s. X d. VI ; per due para danpolle soldi otto s. Vili; per ispagho dapicchare alloro soldi cinque s. V; per una oncia doncenso soldi due s. II. per due lanpane soldi sei s. VI. per uno paro di diatene et luminello soldi quattro s. IIII; per una fune per la detta lampana lire una 11. j ; per farla aconciare achecco becchamorto soldi dieci s. X ; per una funicella p la chanpanuzza di chiesa soldi quattro s. IIII ; per una choreggia cholla fibbia per la terza chanpana soldi quat- tro s. IIII; per fare bandire la sagra soldi tre s. Ili ». A c. 42 2 : « per la festa domenicha adi XX digennaio ispesi per ottanta nuova per danari sette la coppia per ella 11. I s. Ili d. UH ; SAN RUFFILLO I6 5 Nella seconda metà del secolo XV, al cero dev'essere stato sostituito l'artistico porta-fuoco, ordinato dai capitani di parte guelfa, i quali, come vedemmo, ebbero il patronato di Santa Maria sopra porta. E composto di tre parti distinte, riunite senza troppo cri- terio: il soggetto principale è lo stemma della parte, consistente in un'aquila, che tiene tra' suoi artigli un drago; lo stemma è sormon- tato da una colomba, trattata più sommariamente e di fattura più antica ; al di sotto trovasi una scatoletta, a forma di braciere, di rame dorato lavorato a sbalzo e fatta in modo da contenere il fuoco. L'aquila, il drago e le volute sono di ferro ricoperto di smalti rossi e verdi, colori della parte. Il porta-fuoco è un insieme di pezzi disparati ed ha più l'aspetto di un emblema politico che religioso. SAN RUFFILLO [1077]. In una carta di donazione fatta da Aldobrandino di Teuzo nell'anno 1077 alla canonica fiorentina, tra i testimoni trovasi sot- toscritto Joanncs òonizo populi sancti Rufilli tcstis (1). Questo per libbre trentanove darista per denari venti la libbra lire tre 11. Ili; per due paia di ehapponi lire tre 11. Ili; per cervella et pancia soldi dodici s. XII; per libbre nove di lardo soldi quattordici s. XIIII; per onde due di spezie a soldi cinque s. X ; per sapa pile pere soldi otto s. Vili; per libbre una clanici chonfetti soldi quindici s. XV; per cinquanta pani bianchi lire una et soldi cinque 11. I s. V ; per trenta melarancie soldi otto; per sedici bicchieri che si ruppeno et per una metadella et uno fia- scho di quarto soldi quattordici et mezzo ; per acchattatura alari et schodelle et altre cose da salvestro soldi otto; al chuocho per sua faticha el chonpagno lire due; per uno paio di pippioni grossi soldi undici ». fArch. di St. fior., Convento n. 78, filza n. 331, Ecclesìàrum Jàeculà- rium, pag. 18). (1) Lami, luci. Fior. Man., voi. II, pag. 1427. Arch. Cap., n. 219. i66 LE CHIESE DI FIRENZE è il primo documento dell' antichità della chiesa di San Rumilo, che alcuni scrittori, anche recenti, ritennero dedicata all'Arcangelo San Raffaello, credendo il nome Rumilo quale corruzione di Raf- faello, ma resulta invece che era veramente dedicata a San Rumilo vescovo di Forlimpopoli. Il codice Riccardiano Rubricete Ecclesiae florentinae ricorda San Rumilo quale vescovo e confessore, De Sancto rqffillo epi- scopo et confessore, e il codice Mores et consuetudines canoiiicae florentinae, da me più volte citato e nel quale sono notate le feste proprie della Chiesa di Firenze, nel giorno in cui il martirologio commemora i celesti natali di quel santo vescovo, ne nota la festa con queste parole: prò sancto ruffllo duas squillas. Marco di Barto- lommeo Rustichi, scrivendo della chiesa di San Rumilo, narra anche un particolare della leggenda del Santo : E vi lachiesa disanto ru- fello ilquale fue dichartagine di barberia efu veschovo dipopolonia delchontado dipisa ilquale prese imo dragone che noìisipotea habitare inquesti paesi dettolo alpopolo. Ilpopolo luccise e fede assai mira- c ho li fue sommo chonfessoro (i). Era compresa nel primo cerchio di mura e, per la sua vici- nanza alla porta della città, trovasi detta ad portam urbis, e così era anche chiamata la porta Domus (2). Fu delle trentasei antiche parrocchie e in una carta dell'anno 1198 si trova che nella sua giu- risdizione aveva la piazza commissariorum episcopi fiorentini prope palatium ipsius episcopi. La piazza commissariorum episcopi è quella che poi fu detta dell' Olio, e quella detta caballariorum o dei Ca- vallari, che tuttora esiste, era così chiamata, perchè vi abitavano i cursori (apparitores) del comune di Firenze. Ebbe dapprima 1' ingresso sulla piazzetta dei Cavallari, ma nella rinnuovazione compiuta nell'anno 1620 dal rettore Domenico Ghisi, fu capovolta e le fu aperto l' ingresso sulla piazza dell' Olio. Nel 1441 papa Eugenio IV ne ampliò la parrocchia unendovi quella soppressa di San Salvatore. In questa piccola chiesa eravi una cappella nella quale Iacopo (1) A c. 33. (2) Lami, Eccl. Fior. Mori., voi. II, pag. 952. SANTA TRINITÀ I6 7 da Pontormo aveva dipinto a fresco la Vergine e alcuni santi (1) e Filippino Lippi una tavola raffigurante il Crocifisso con due an- geli che raccolgono il sangue che sgorga dalle piaghe del costato e delle mani (2). Il Rosselli e il Burgassi riportano la seguente iscrizione che si leggeva scolpita nell' architrave della porta : RVFFILLI VETVS HOC VENERATE SACELLVM PONTIFICIS QVO SVB LAETA RAVENNA FVIT (3) Fu soppressa nell'anno 1785 e il locale ridotto in una casetta nella quale tuttora si vede la porta che serviva d'ingresso alla chiesa. SANTA TRINITÀ [1077]- L'esistenza di una chiesa o di un oratorio, dedicato alla Ma- donna dello Spasimo, nel luogo dove si trova la chiesa di Santa Trinità, non è che una pia supposizione nata nel secolo XVII, man- candoci affatto documenti sui quali fondare questa asserzione, anche recentemente ripetuta e forse dovuta al culto verso un antico di- pinto della Madonna Addolorata, che tuttora si conserva e al quale è attribuita un'antichità assai maggiore di quella che ha realmente. Il primo documento che, a parer mio, fa parola della chiesa di Santa Trinità è un atto del dì 19 luglio dell'anno 1077, nel quale si legge che Ranieri detto Pagano, figlio del fu Giovanni e Imilla sua consorte, figlia del fu Pietro, donano allo spedale posto fuori le mura di Firenze, poco distante dalla chiesa di San Pan- crazio, alcune case con sei pezzi di terra, tutti descritti nei loro (1) L'affresco fu trasportato nella cappella dei pittori, posta nel chio- stro grande della SS. Annunziata. (2) Questa bellissima tavola sembra che si trovi nella Pinacoteca di Berlino. (3) Bibl. Riccardiana, Baldovinktti , Sepoltuario, c. 520. i68 LE CHIESE DI FIRENZE vocaboli e confini. L'atto è rogato foras muros florcntic Civita tis prope ecclesiali sancte trinitatis (i). L'erezione di questa chiesa, attribuita dalla leggenda a Carlo Magno, può riferirsi con tutta probabilità al secolo XI, quando per opera dei monaci si propagò la festa della Santissima Trinità, il che fu appunto in quel secolo e specialmente sotto il pontificato di papa Alessandro II (1061-1073), il quale portò il suo giudizio su tale festa, che troviamo poi ovunque diffusa nel secolo XII. Mancano è vero documenti comprovanti a chi se ne debba at- tribuire la fondazione, ma non dubito che ne sieno stati fonda- tori gli stessi monaci vallombrosani, provandolo il fatto di vedere conferito da papa Gregorio VII il titolo di priore a don Erizo Buonaguisi, patrizio fiorentino e quarto generale dei monaci vallom- brosani, di cui fu istitutore San Giovanni Gualberto. E come tale trovasi ricordato, secondo alcuni nel 1078, secondo altri nel 1094. Mori nel 1096 e fu sepolto a Vallombrosa. Fino all'anno 11 20 non si ricordano altri priori. Successore a don Erizo comparisce il monaco don Florenzio, col semplice titolo di custode, e nel 11 20 troviamo priore don Ugo (2). La fon- dazione del monastero avvenne nell'anno 11 46 essendo vescovo di Firenze Rinieri. Resti importantissimi dell'antica chiesa vennero in luce pel- le escavazioni praticate nel sottosuolo in occasione dell'ultimo gran- dioso restauro. Da essi resulta che aveva la forma delle basiliche cristiane della pianta che dobbiamo ritenere quale tipo fiorentino del secolo XI. Era a tre navi, divise tra loro da colonne di marmo; aveva la cripta o confessione sulla quale trovavasi l' abside col coro, a cui si accedeva per mezzo di due scale, addossate ai fasci di co- lonne, che stavano ai lati dell'abside stessa. La cripta ha, si può (1) Arch. di St. fior., Diplomatico, Badia a Ripoli, 1077, 19 luglio. ( 2) Idem, Convento n. 89. Santa Trinità, n. 62. Estratto eli documenti antichi. Anno 11 20 : Signor elio nominato Cai ietto e altri da JMontebuoni concedono a livello al sacro monastero di Santa Trinità di Firenze e all'ab- bate Don Ugo priore, terre e vigne nel popolo di S. Maria a Pineta, no- minate Monte e Vemiano. Rog. Ser Piero Not. scrittore del detto contratto. La pergamena originale sembra andata smarrita. SANTA TRINITÀ 169 dire, tre absidi ed è formata di piccole vòlte sorrette da svelte e graziose colonnine, parte di pietra e parte di marmo verde. Que- sta importantissima costruzione, guasta e deturpata nel secolo XIII per causa della fondazione dei nuovi pilastri, fu dipoi adibita ad uso di sepoltura e di ossario; quindi, per impedire che venisse spesso invasa dalle inondazioni dell'Arno, fu riempita e in gran parte di- strutta. Nondimeno ne rimasero in piedi parti importantissime e del rimanente si trovarono tracce così evidenti da poterne fare, senza difficoltà, un fedelissimo e completo ripristinamento. La larghezza dell'antica chiesa era di poco inferiore a quella della chiesa attuale senza le cappelle, e per lunghezza, avendo la facciata collocata sulla stessa linea della presente, giungeva poco oltre l'attuale nave maggiore. La chiesa, che per eleganza di forma, per ricchezza di marmi e di decorazioni doveva essere bellissima, fu completamente rifatta in proporzioni maggiori e di carattere affatto differente nella se- conda metà del secolo XIII. Le turbolenze tra guelfi e ghibellini erano a quei giorni in- cessanti e terribili. I guelfi avevano dovuto lasciare la città per ri- tornarvi nel 1250, anno in cui, secondo Giovanni Villani, venne pure in Firenze Nicola Pisano, celebre scultore e architetto, al quale sembra venisse affidato l'incarico di redigere il piano del nuovo tempio. Il Vasari, parlando di Giovanni e Nicola Pisano, indica Ni- cola come disegnatore della chiesa di Santa Trinità, nell'anno in cui egli tornò in Firenze, cioè nel 1250 quando tornarono i guelfi; però l'affermazione del Vasari non è avvalorata da documenti che possano accertarla. Don Gregorio monaco vallombrosano (1 ), abbate (1) Tra i molti privilegi concessi all'abbate di Santa Trinità vi era tinello di eleggere il custode del Ponte. Troviamo infatti che il dì 31 agosto del 1229 Giovanni, vescovo di Firenze, concede questa facoltà all'abbate don Gregorio : In nomine domini dei eterni. < bino ab incarnatione millesimo ducentcsimo vigesimo nono pridie kalendas settembris. Indictione secunda felieiter. Donnus Johannes honorabìlis et omnimodo venerandits dei omni- potentis gratta episeopns florentinus. Auctoritatem suam eligendi et mietendi pontiseiannm pontis novi de fioroni ia de lacararia dedit et concessit Donno Grigorio abbati et rectori ecclesie et monasterii sancte trinitatis de f/orentia recipienti prò se et suis subeessoribus in perpetuimi prò dieta ec clesia sane/e 170 LE CHIESE DI EIRENZE dell'antica chiesa, governò a vita chiesa e monastero dall'anno 1227 all'anno 1259. Sembrerebbe quindi, avuto riguardo a questa ultima data, che la prima pietra del nuovo edifizio dovesse essere stata posta durante il governo dell' abate Gregorio. La costruzione del nuovo tempio, oltre di aver proceduto len- tamente, dev' essere stata più volte interrotta e il disegno in parte modificato, di guisa che il compimento delle tre navi con le cap- pelle dai due lati non avvenne che nel XV secolo. Secondo i ricordi lasciatici dai monaci, la dedicazione della chiesa sarebbe avvenuta nell'anno 1327, quando era ben lontana dal compimento e mancante delle cappelle. Ciò che gli ultimi restauri hanno posto in luce in fatto di affreschi, può dare un' idea dell' importanza e della ricchezza colla quale i monaci e le famiglie più cospicue del popolo decorarono le navate e le cappelle di questa splendida chiesa. Disgraziatamente tra la fine del secolo XVI ed i primi del XVII cominciò l'opera di tras- formazione, inspirata da quello strano gusto che portava allo sfarzo di marmi e di pietrami e contemporaneamente al disprezzo delle an- tiche decorazioni. In tal guisa si alterarono tutte le cappelle, si fe- cero sparire gli archi di sesto acuto, si sfoggiarono pietrami, marmi, stucchi, dorature e si giunse a manomettere tuttociò che aveva carat- tere di antichità, e fu cosa eccezionale se all'opera vandalica dell' im- bianchino sfuggirono le mirabili pitture di Domenico Ghirlandaio. Cappella dei Gianfigliazzi. Apparteneva a questa famiglia avanti 1' anno 1463, e se anche già costruita, fu però riccamente decorata e dotata da quella famiglia, poco dopo queir anno. L'ar- tvinitatis et nomine diete ecclesie recipienti ut dicium est, plenam et liberam potestatem eligendi et vocandi et mictendi pontiscianum et custodem dicto ponti novo et in ejus domo ibi posila iuxta portam de carraria et in omni- bus bonis et possessionibus et iuribus dicti pontis habitis et habendis seu ha- bituris ut de inceps dictus Grigorius abbas et rector diete ecclesie et mona- sterii sancte trinitatis et eius subeessores libere et expedite pacifice et quiete sine alicujus contradictione et molestia eligat vocet et mictat pontiscianum et custodem dicto ponti novo et domo ejus et bonis pertinentiis et mribus ci eum inde expellat et extrahat si non curarci negotia pontis (Arch. di St. fior., Diplomatico, Santa Trinità). SANTA TRINITÀ 171 chitettura e le originali decorazioni furono conservate finché nel secolo XVII, per ordine di un Vincenzo Gianfigliazzi, si eseguirono le bizzarre e veramente fastose impellicciature di pietra, che ma- lauguratamente furono rispettate neh" ultimo restauro, non essendo davvero giustificata la loro prepotente invasione nella cappella, nè il loro sovrapposto cupolino mistilineo, nè il terrazzino ricorrente, atto solo, come osservò il Castellazzi (1), a ricevere dei nani o dei bambini. Il patronato di questa cappella passò ai monaci per cessione fatta loro dai Gianfigliazzi, ai quali fu concesso quello della cap- pella maggiore. Era dedicata a San Benedetto. Il Crocifisso che si trova nel tabernacolo è una importante scultura del secolo XIV. « Questo Crocifisso era già in un pilastro fra la cappella dei Da- « vanzati e Bombeni, e avanti era un candelliere grande di ferro « dove s' applican le candeluzze e il popolo 1 J aveva in grandissima « venerazione e vi trovava particolarità nel tempo de' tuoni, tem- « peste » (2). Nel restauro venne scoperto 1' importantissimo affresco, che costituiva il fondo del vano, nel quale era l' arca sepolcrale dei Gianfigliazzi. Raffigura il vescovo San Zosimo in atto di porgere l'Eucarestia a Santa Maria Egiziaca. Nell'imbotte dell'arco si ve- dono alcuni vaghi angioletti, in parte barbaramente deturpati. Sotto l'altare fu collocata la seguente iscrizione, che ricorda il restauro della cappella, compiuto nell'anno 1889: FERDINANDVS . DE . LOTH ARINGIIS . ANGELI ET . ALOYSIAE . G VICCIARDINIAE . FILIVS . PATR. FLOR . EQUES . ET . MARCHIO . MONTISDOLII COMES . SANCTI . JANVARII . A . CAMPO . LEONIS ABBAS . COMMENDATARIVS . SACELLVM HOC . GIANFILIATIAE . GENTIS . AD . MARIOREM DEI . GLORIAM . ET . IN . HONOREM . SANCTI BENEDICTI . INSTAVRANDVM . CVRAVIT. ANNO . SALUTIS . M D CCC LXXXIX. ( 1 ì La Basilica di Santa Trinità e i suoi tempi. (2) Arch. di St. fior., Convento n. S9, Codice n. T35. 172 LE CHIESE DI FIRENZE Nella parete sinistra leggesi altra iscrizione : D. 0. M. D. FRANCISCUS RASI PATRITIUS ARETINUS PRAELATUS VALLUMBROSANUS OMNIGENA LITERATURA DICENDI FACUNDIA MORUM PRAESTANTIA CLARUS THEOLOGIAE MYSTICAE SAPIENTIA EXPERIENTIA PRAEDITUS MIRIFICO IN JESUM FERVENS AMORIS IGNE ET ERGA PROXIMOS IN QUORU PROCURANDA SALUTE CONSUMMATUS IN BREVI OBIIT IV. NON. DECEMB. ANNO P. C. N. M DC LXXVII AETATiS SUAE XLV. Sulla parete esterna della cappella, sotto la vòlta della nave minore, vedesi un affresco di scuola fiorentina, appartenente al se- colo XV, raffigurante San Benedetto nel roveto di Subiaco, ed al- cune badie da lui fondate. Cappella Davizi. I Davizi, ricchissimi cittadini che abita- vano in Porta Rossa, elove possedevano il palagio che fu poi dei Davanzati, edificarono e dotarono questa cappella alla fine del se- colo XIV, epoca abbastanza vicina a quella della costruzione del tempio. Fu detta dapprima la bianca, per non essere stata deco- rata da affreschi; quindi successivamente dei Santi Giovanni Battista e Niccolò a cui era dedicata; del Salvatore, dello Spasimo o dei Tribolati, della Madonna, di Santa Maria Maddalena, a seconda dell' immagine che vi si venerava. Nell'anno 1640, il monastero ne assunse il temporaneo patro- nato, finché non fu concessa a Giovanni Ronconi medico, il quale fece subito cancellare ogni traccia della prima storia della cappella, facendo eseguire le irragionevoli incastonature di pietra sovrapposte alla semplice costruzione medioevale, senza rispetto neppure alle parti più nobili e sostanziali di essa. Questo lavoro di manomis- SANTA TRINITÀ 173 sione ebbe termine nell'anno 1645. Il dì 27 dicembre del 1742, la cappella passò di nuovo al monastero, essendo spenti i Ronconi ; quindi nei Ruspoli, poi nei Vivai e in ultimo nel marchese Pietro Bartolini-Salimbeni-Vivai , il quale a proprie spese la fece re- staurare. Sotto l'altare si legge questa iscrizione collocata quando nel- ' anno 1890 fu completamente restaurata: AEDEM PATRONIS COELESTIBUS SACRAM JCANNI ET NICOLAO QUAM ANNUO REDITU ET FUNDO EQUES NICOLAUS RONCONIUS BARPTOLEMAEUS RUSPOLIUS RONCONIUS LIBERALITER DITAVERUNT NOBILISSIMA HORUM GENTE EXTINTA PETRUS BARTOLINIUS SALIMBENIUS MARCHIO PETRI VIVAI! EX TESTAMENTO HERES AN. M. DCCC. LXXXX ELEGANTIORA EXEMPLA SEQUI PROHIBITUS IN HANC FORMAM INSTAURAVA Sul pavimento, la seguente iscrizione ricorda il sepolcro del medico Giovanni Ronconi : JOANNES RONCONI PHISICUS CI VIS FLORENTINUS FERDIN ANDI II MAGNI DUCIS ARCHIATER S. STEPHANI EQUES QUI CURANDIS CORPORIB. SEXCENTA RECIPE DEDERAT ID UNUM SIBI POSTAERISQ. SUIS SANUM PRAESCRIPSIT RECIPE RES HAERES JESUS ANIMAS HAEC CORPORA TERRA MDCXLV. Cappella Sercialli da Petrognano. La storia di questa cappella incomincia dal dì 8 novembre 1350, perchè in cui ci giorno apparisce che messer Ciallo di Dino da Petrognano, notaro e nobile, del popolo di Santa Trinità, comprò all'uopo per 250 fiorini da Francesco Betti, del popolo di San Pancrazio, due case unite in poste via di Parione e confinanti con quelle dei Gianfigliazzi e dei Fagioli. Però soltanto il dì 3 gennaio dell'anno 1363, essendo abbate don Simone Bencini, gli esecutori testamentari di messer Ciallo stabili- rono il luogo preciso per fabbricare la cappella, che doveva esser 174 LE CHIESE DI FIRENZE dedicata a San Luca Ev. : volente s edificare et edificavi facere unam cappellani in ecclesia sancte trinitatis predicte ad honorum dei et beati Luce evange liste iuxta disposi tio?iem dicti ser dalli desegna- verunt locum ubi fieri deb et dieta cappella vide licei in dieta ecclesia ex lettere illuni locum ubi cadit tertia cappella ex cappellis quo noviter hedificaverunt in dieta ecclesia et qui locus et quo cappella est et erit ex oposito cappelle sancte Caterine existentes hi dieta ecclesia ex altero lettere diete ecclesie » (i). Il giorno 19 dello stesso mese, essendo da sei mesi morto il testatore, veniva commessa a maestro Stefano del fu Matteo la costruzione della cappella, assegnandosi all' uopo tre anni di tempo per il compimento. Ser Ciallo testava che la sua cappella dovesse essere decorata di pitture e fornita di ogni corredo necessario per potervi celebrare quotidianamente una messa. Nell'anno 1550 la cappella era passata ai Sernigi ; nel 1598 fu concessa alla compagnia della crocetta dei PP. Trinitari del Ri- scatto e ultimamente al comm. Luigi Pisani, che a sue spese la fece ridurre all'antica semplice decorazione dal pittore Dario Chini. L' altare di pietra costruito sullo stile del secolo XIV ha una bel- lissima tavola di Neri di Bicci, proveniente dai magazzini delle RR. Gallerie di Firenze, che rappresenta la Madonna in trono col Bambino in braccio, avente ai lati Santa Caterina, Santa Barbera, San Niccolò di Bari e Sant' Andrea. Nella predella è dipinta la Pietà, la Madonna, Santa Maria Maddalena, San Raffaele Arcan- gelo, San Giovanni Evangelista, San Francesco e San Sebastiano. Sulla parete esterna vi è soltanto lo stemma Sercialli, consi- stente in un toro rosso, passante sopra tre bande verticali rosse in campo d' argento. Cappella Bartolini-Salimbeni. La sua costruzione risale alla fine del secolo XIII, quando cioè si stava proseguendo il la- voro del tempio. Nell'anno 1363 era di patronato della famiglia Bartolini-Salimbeni e nel 1405 fu maggiormente arricchita da un Salimbene Bartolini, figlio di Lionardo e di Dada, unitamente al fratello Bartolommeo. (1) Arch. di St. fior., Diplomatico, Santa Trinità, 1363, 3 gennaio. SANTA TRINITÀ 175 Il bel cancello di ferro battuto, che chiude l'ingresso alla cap- pella, mutilato del suo fregio superiore, è lavoro dei primi anni del secolo XV ed è il solo che sia rimasto nel tempio, tra i tanti già esistenti all' ingresso delle altre cappelle e certamente stati venduti per basse speculazioni o stati levati da mani barbare e ignoranti. Gli affreschi dei quali è decorata tutta la cappella, furono liberati dalla calce che li ricuopriva. Rappresentano vari fatti della storia della Madonna; si conservano quasi intatte le due grandi storie che occupano le pareti laterali e che sono ammirabili per gran- diosità di composizione, purezza di disegno, gaiezza di colore. Sulla fronte esterna è raffigurata l'Assunta in cielo in mezzo a due angeli. Sono attribuiti al celebre don Lorenzo monaco, al quale si deve anche la bellissima ancona sul cui fondo d'oro dipinse l'Annunziazione che si vede sull' altare. Nel gradino sono quattro piccole storie rappresentanti la Visitazione, la Natività, 1' Adorazione dei Magi e la Fuga in Egitto. Nel centro della cappella, sotto lo stemma della famiglia pa- trona, col motto per non dormire, si legge questa iscrizione : BARTHOLOMEVS . ET . SALIMBENES ■ LEONARDI . FILM . BARTHOLINI EX . EA . STIRPE . SALIMBENIORVM QVAE . AN . CIRO . M . CC . L . INTER . MOTVS . FACTIONVM . CIVILIVM SENIS . EIECTA IN . FIDEM . ATQVE . IN . CIVITATEM . FLORENTINORVM . RECEPTA . EST PATRIA . VETERE . PER . SALIMBENEM . PROAVVM . AMISSA ET . NOVA . PER . BARTHOLINVM . AVVM . COMPARATA TEMPLVM • CONLATA . PECVNIA . AMPLIANDVM ET . SACELLVM . GENTILITIVM CVM . MONVMENTO . FACIEND . CVRAVERVNT CVI . SACELLO . PRAEDIVM . ADTRIBVERVNT . NOMINE . TVTELAE ET . SACRORVM . ANNO . MCCCCVII FILM . MARCHIONIS . ZENOBII . BARTOLINI . QVI . ET . SALIMBENIVS EQVITIS . STEPHANIANI . TRIBVNI . MI L . IN . EXERCITV . CAROLI . VI . AVG. MARCH . ALAMANNVS . CVBICVLARIVS . FRANCISCI I . JOSEPPI II . AUG. ITEMQ . PETRI . LEOPOLDI . AVSTRIACI . M . D . N ET . MARCHIONES. PETRVS. FRANCISCVS. ET. JOANNES . FRATRES . EIVS LOCVM . MARMORE . ADORNAVERVNT . ET . SCRIPTVRAM . ADDIDERVNT AD . MEMORIAM . ORIG1NIS . SVAE . JVRISQVE . PATRONATVS POSTERITATI . CONSERVANDVM . ANNO . M . DCC . LXXXIV 176 LE CHIESE DI FIRENZE Nella parete destra, sotto la storia dello Sposalizio della Madonna, in memoria del restauro della cappella, fu posta la seguente epigrafe : AEDEM GENTIS SALIMBENIAE IN HONOREM MARIAE DEI PARENTIS DESIGNATAE A BARTHOLOMAEO ET SALIMBENE FRATRIBUS AN. MCCCCV NOVO EXORNATAM CULTU AC PICTURIS LAURENTII MONACHI AB ANGELIS PRAEDIOQUE ADDITO AD SACRUM QUOTIDIANUM SOLEMNEMQUE PATRONAE DIEM CELEBRANDUM PETRUS BARTOLINIUS SALIMBENIUS VIVAIUS MARCHIO AN. M. D. CCC. LXXX. VII. FELICI AUSU PER AUGUSTUM BURCHIUM OPERIBUS UDO ILLITIS IN PARIETE DETECTIS ANIMO CONTRA DISSIDENTES INVICTUS IN PRISTINUM DECUS RESTITUENDAM CURAVIT Cappella Ardinghelll La sua fondazione risale all'anno 141 2 per opera di Niccolò Ardinghelli gonfaloniere della Repubblica, il quale la volle consacrata al santo suo protettore. A detta del Vasari, gli affreschi e la tavola dell'altare sarebbero stati di mano di Lorenzo monaco ; cosa molto dubbia perchè le pitture della vòlta furono comin- ciate da un frate Domenico, non sappiamo di quale ordine religioso, e quelle delle pareti sembra invece che fossero fatte da Giovanni Toscani, per commissione di Neri di Pietro di Neri degli Ardinghelli. Vi si ve- devano i ritratti di Dante e del Petrarca. Nel restauro vi fu collocato lo stupendo altare marmoreo, opera di Benedetto da Rovezzano, che i Sernigi avevano fatto costruire presso la porta maggiore. Nel vano della parete si legge questa epigrafe: QUESTA ANTICA CAPPELLA DEGLI ARDINGHELLI DEDICATA A S. NICCOLÒ E POI A SAN TORELLO FU DIPINTA DA LORENZO MONACO VERSO L'ANNO MCCCC E DETURPATA INTIERAMENTE NEL SECOLO XVII I MONACI VALLOMBROSANI FECERO RESTAURARE L'ANNO MDCCCLXXXVIII E QUI FU TRASLOCATO L'ALTARE DI BENEDETTO DA ROVEZZANO CHE STAVA ALL'INGRESSO DEL TEMPIO SANTA TRINITÀ 177 Organo. Fu costruito nel 157 1 da M.° Noferi (Onofrio) e da M.° Giovanni Battista di Giovanni Paolo da Cortona. Costò al mo- nastero f. 24.J e tutta la spesa sommò a IL 591 s. 18 che II. 236 si piglionno dalle lìmosìne nell' indulgenza plenaria concessa a questa chiesa in forma di giubileo nel giorno di S. Benedetto da Pp. Cle- mente X (1). Cappella Palla Strozzi. Serve oggi di sagrestia, ma fu lungamente adibita a uso di coro per la notte. Nel 1698 furono tolti gli stalli per collocarvi gli armadi fatti a cura del converso Neri Guasti, per riporre la ricca suppellettile liturgica. Deve- sene la fondazione a Onofrio di Pallante di Jacopo Strozzi, il quale con suo testamento lasciò a suo figlio Palla l'obbligo di costruire una cappella, per raccogliere degnamente i sepolcri della sua famiglia. Obbediente alla volontà del padre, Palla fece com- prare le case vicine alla chiesa, lungo la via di Parione, dal lato di tramontana, e nell'anno 142 1 ebbe termine la bellissima cap- pella, la quale è uno dei particolari più interessanti del tempio. Anche l'epoca stessa in cui venne costruita, accenna al prossimo risorgimento dell'arte, come lo possono provare la porta d'ingresso, le finestre decorate da modini dell'arte rinnuovata, la cornice este- riore della fabbrica, il modo diligentissimo di murare la pietra ta- gliata e finalmente lo splendido mausoleo di Onofrio di Palla Strozzi, lavoro di maestro Piero di Niccolò, del primo periodo del risorgi- mento. La cappella è dedicata a Santo Onofrio e la storia della sua fondazione è ricordata da questa epigrafe: ANNO MCCCCXXI HANC CAPPELLAM SANCTIS HO NOFRIO ET NICOLAO DEDI CATAM TESTAMENTO CL. VIRI HONOFRII PALLE DNÌ IACOBI DE STROZZIS MAGN. EQVES PALLAS EIVS FILIVS PERFICIENDAM CVRAVIT (1) Arch. di St. fior., Convento n. 89, Codice n. 135. Cocchi, Le Chiese di Firenze. 12 i 7 8 LE CHIESE DI FIRENZE ET PRO CELEBRATIONE QV OTIDIANARVM MISSARVM ET DICTORVM SANCTO RVM FESTO QVOTANNIS SOLEMNITER CELEBRANDO DVOBVS MILIBVS FLORE NORVM MONTIS COMVNIS DOTAVIT ITA VT NEMO PRAETER DESCENDENTES EORVM IN EA SEPELLIRI POSSINT. All'altare trovavasi quel prodigio di tavola, opera di Gentile da Fabriano, rappresentante l' Epifania e che oggi è conservata nella Galleria di Arte Antica e Moderna (i). Fu dipinta per commissione di Palla Strozzi nel 1423 e pagata 150 lire. Essa è autenticata dal nome e segnata dell'anno in una scritta a lettere d'oro, nella quale si legge: Opus . Gentilìs . De . Fabriano . MCCCC . XX. Ili . Men- sis mail. Nel gradino il Gentile dipinse tre storie : la Nascita di Gesù, la Fuga in Egitto, che tuttora sono unite al quadro, e la Presenta- zione al Tempio. Quest'ultima, trasportata a Parigi nel 18 12, si custo- disce attualmente nel Museo del Louvre. Nella tavola l'autore ripro- dusse se stesso e si riconosce in quella figura con un berretto di color vinato in capo, che si vede subito dietro al re, che è in piedi. Le pareti della cappella erano decorate di pitture a fresco, scom- parse poi sotto lo strato di calce. Cappella Sassettl Fu dapprima dei Fastelli o Petriboni e circa il 1485 passò ai Sassetti. Conserva sempre i pregevolissimi dipinti di Domenico Ghirlandaio, che rappresentano i fatti princi- pali della vita di San Francesco di Assisi, cui è dedicata la cap- pella. Vi si vede la piazza e il ponte a Santa Trinità, con l'antica facciata della chiesa, il palazzo degli Spini, oltre parecchi illustri personaggi del tempo, quali Maso degli Albizi, Angelo Acciaiuoli, Palla Strozzi, Lorenzo de' Medici, Francesco Sassetti e madonna Nera sua moglie. La tavola che fu collocata sull' altare dopo (ij È distinta col n. 165. SANTA TRINITÀ 179 il restauro del tempio, non è che la copia di quella stupenda, rap- presentante la Natività di Gesù, di mano dello stesso Domenico, che fu trasportata nella Galleria di Arte Antica e Moderna (1). Giuliano da San Gallo scolpì le pietre che formano i lambri delle tre pareti e i due cassoni sepolcrali di marmo nero, che con- tengono le ossa di Francesco Sassetti e di Donna Nera. Dietro l'altare è il ricordo della fondazione e del restauro : QVESTA CAPPELLA FONDATA DA FRANCESCO DI TOMMASO SASSETTI L'ANNO MCCCCLXXXVI FV RESTITVITA ALLA SVA PRISTINA FORMA COL CONCORSO DELL' ATTVALE PATRONO CONTE LVIGI SASSETTI E DEL FIGLIO FRANCESCO L'ANNO MDCCCXCVI. Cappella Comi. Era dedicata a San Paolo apostolo. Nel- l'anno 1602 fu concessa a mess. Baccio e a mess. Domenico Comi, i quali avevano promesso di abbellirla, assegnando all'uopo la somma di 8000 scudi, vincolata a dotazione perpetua; senonchè, venuti essi a morte, l'erede Filippo Del Riccio non credè di dare ese- cuzione alle ultime volontà dei Comi e la cappella restò quindi senza dotazione. Corsero, ma inutilmente, molte pratiche tra i mo- naci e mess. Filippo, perchè rispettasse la volontà dei testatori; fin- ché, presentandosi altri aspiranti per averne il patronato, il mona- stero la concesse a Mario e Ottavio Doni. Sembra che fosse stata dipinta da Giovanni da Ponte; però nel restauro non furono trovate traccie di affreschi. Oggi la cele- brità di questa cappella è dovuta al Crocifisso leggendario, detto di San Giovanni Gualberto, che stava nella basilica di San Miniato, donde fu recato il dì 25 novembre dell'anno 1671. E dipinto su tela applicata sulla tavola e sebbene sia molto annerito dal tempo, dall'incenso e dal fumo dei ceri, pure è discretamente conservato. La testa del Cristo, ricciuta e reclinata a destra, è circondata da un'aureola, sulla quale è scritto Lux; il volto ha un' espressione nobile e dolcissima. La leggenda narra che questo Crocifisso piegasse la testa 11) È distinta col n. 195. i8o LE CHIESE DI FIRENZE a Giovanni Gualberto, quando il dì 26 marzo dell'anno 1003 per- donò all'uccisore del fratello. E degno di osservazione che la più antica vita del Santo non riferisce questo episodio (1). Cappella maggiore dei Gianfigliazzi. Fu costruita lenta- mente, mancando ai monaci i mezzi pecuniari per compierla, tanto che il dì i° novembre del 137 1, l'abbate di Santa Trinità, inter mis- sanun solepnìa, presenti Tommaso del fu Marco Strozzi, Leonardo Bartolini, Sandro Dragonetti e molti altri della parrocchia, ad divina 77iissarium congregatis , fece invito ai popolani acciò contribuissero nel termine di sei mesi alle spese necessarie per la fabbrica della cappella maggiore, annunziando che, decorso questo tempo, i monaci avrebbero conceduta la preminenza e la facoltà di erigere lo stemma a quella famiglia che avesse contribuito alle spese occorrenti (2). Il compimento dei lavori non avvenne però che circa un se- colo dopo ; quando cioè la cappella fu concessa a Gherardo e Bongianni Gianfigliazzi, i quali commisero a maestro Alesso Baldovinetti gli affreschi, le cui reliquie tornarono in luce nel restauro ultimamente compiuto. Vi si vedevano varie storie del Vecchio Testamento « le « quali Alesso abbozzò a fresco e poi finì a secco; temperando i « colori con rosso d'uovo mescolato con vernice liquida fatta a « fuoco, la qual tempera pensò che dovesse le pitture difendere « dall'acqua; ma ella fu di maniera forte, che dove ella fu data « troppo gagliarda si è in molti luoghi l'opera scrostata: e così « dove egli si pensò aver trovato un raro e bellissimo segreto, « rimase della sua opinione ingannato » (3). Vi si vedevano vari illustri personaggi del tempo, quali Lorenzo il Magnifico, Lorenzo dalla Volpaia, Alesso Luigi Guicciardini il Vecchio, Luca Pitti, Diotisalvi Neroni, Giuliano de' Medici, Filippo Strozzi, Paolo To- 111 Bibl. Magliabecchiana, Convento C. 4, 1791, f. 178-184 2 . Era ine- dita, fu pubblicata dal Davidsohn, Forschungen zur alterai Geschichte von Florenz, Berlino, 1896, pag. 55. Il codice è dei primi del secolo XIII e proviene dal monastero di Santa Maria delle .Selve. 121 Arch. di St. fior., Diplomatico, Santa Trinità, 1371, i° novembre. (3) Le opere di Giorgio Vasari eon nuove annotazioni e commenti di Gaetano Milanesi, tomo II, pag. 592. SANTA TRINITÀ 181 scanelli e molti altri. Il Baldo vinetti eseguì pure la tavola dell' al- tare, rappresentando la Trinità e i Santi Benedetto e Giovanni Gualberto, che sostituì quella antichissima di mano di Cimabue, il quale aveva dipinta la Vergine col Figlio in braccio e molti angeli intorno in atto di adorazione (i). Conforme l'antico uso, il coro trovavasi dinanzi l'altare e tale fu conservato fino all'anno 1569, quando per ordine del granduca fu tolto e adattato nell'abside, e quella parte che era di più, fu venduta per 30 scudi d'oro alle monache dello Spirito Santo sulla Costa. Cappella dei Ficozze Maestro Paolo del fu Pietro Dago- mari, la cui famiglia era detta dei Ficozzi, del popolo di San Fre- diano, volgarmente detto maestro Pagolo dell' Abbaco, peritissimo nell'aritmetica, nella geometria e nell'astrologia, con suo testamento in data del 19 febbraio 1366, ordinava l'edificazione di due cap- pelle in Santa Trinità; una da dedicarsi a San Pietro, l'altra a San Paolo, commettendo in pari tempo due ricchi sepolcri di marmo, i quali dovevano servire uno per sè e l'altro per il fratello Gio- vanni (2). Paolo fu difatti sepolto in Santa Trinità, ma si ignora il posto dove riposano le sue ceneri. Nel 1570 la cappella era passata in proprietà del monastero; quindi ne fu concesso il patronato a mess. Luca Torrigiani e nel 1582 tornò di nuovo in possesso del monastero. Nel 1602 la ebbero gli Usimbardi, che la decorarono quale oggi si vede. Felice Palma modellò e fuse il Crocifisso posto nella nicchia sopra l'altare e scolpì i due busti che si vedono sopra le due urne di marmo nero, rappresentanti: uno, Usimbardo vescovo di Colle; l'altro, Pietro vescovo di Arezzo. La ricchezza non comune profusa nelle decorazioni di marmo e anche il merito artistico della composizione architettonica, quan- (1) Tanto la tavola di Cimabue, che quella del Baldovinetti, furono trasportate nella Galleria di Arte Antica e Moderna, dove tuttora si con- servano; la prima porta il n. 102, l'altra il n. 159. (2) Arch. di St. fior., Diplomatico, Capitani d'Or San Michele, Quar- tiere di Santo Spirito, n. 460, pag. 183'. 182 LE CHIESE DI FIRENZE tunque appartenente al secolo XVII, contribuiscono a fare riguar- dare questa cappella come una vera opera d'arte. Infatti vi lavo- rarono, oltre Felice Palma, il valentissimo Cigoli e Tiziano Aspetti, al quale si deve il magnifico dossale dell'altare. Spenta la famiglia Usimbardi nel 1738, il patronato tornò al monastero. Sembra che in origine la cappella fosse decorata di pitture a fresco, di mano di Giovanni da Ponte. Cappella Scali. Niccolò di mess. Filippo Scali, con suo testa- mento del dì 2 settembre 1381, lasciava al monastero di Santa Tri- nità 6 scudi d' oro in perpetuo per un anniversario e per una pie- tanza ai monaci; più scudi 50 per la riedificazione della cappella Scali, dichiarando che si dovesse chiamare la cappella di mess. Lapo e di mess* Gianni Scali (1). Giovanni di Biagio di Giovanni Scali, detto lo Scalino, con testamento del dì 24 agosto dell'anno 141 7, ordinava che entro tre anni dalla sua morte venisse compiuta la cappella degli Scali (2). Nel 1434 fu dipinta da Giovanni di Marco e da Smeraldo di Giovanni e nel restauro furono rintracciati due affreschi ben con- servati, rappresentanti il martirio di San Bartolommeo, a cui è dedicata la cappella. Vi si trova il famoso monumento di Benozzo Federighi, ve- scovo di Fiesole, pregevolissimo lavoro in marmo e in terra in- vetriata, eseguito da Luca della Robbia, al quale fu allogato il dì 2 marzo del 1455 da mess. Federigo di Jacopo Federighi. Luca, nella denunzia dei suoi beni del 1457, dice di averlo già da un anno compiuto, ma che era in lite col Federighi, circa il prezzo, dinanzi al tribunale della mercanzia. Il giorno 6 agosto 1459 si trova che fu stimato da Andrea di Lazzaro dei Cavalcanti, eletto a ciò di concordia dalle due parti. Narra il Vasari che Luca fece « per mess. Benozzo Federighi « vescovo di Fiesole, nella chiesa di San Brancrazio una sepoltura (1) Arch. di St. fior., Diplomatico, Santa Trinità, 1381, 2 settembre. (2) Idem, Diplomatico, Santa Trinità, 1 4 1 7, 24 agosto. SANTA TRINITÀ 183 « di marmo, e sopra quella esso Federigo a giacere ritratto di na- « turale e tre altre mezze figure. E nell'ornamento de' pilastri di « quell'opera dipinse nel piano certi festoni a mazzi di frutti e fo- « glie sì vive e naturali, che col pennello in tavola non si farebbe « altrimenti a olio: ed in vero, questa opera è maravigliosa e ra- « rissima, avendo in essa Luca fatto i lumi e l'ombre tanto bene, « che non pare quasi che a fuoco ciò sia possibile ». Sul monumento si leggono queste parole: R. P. BENOTII DE FEDE RIGIS EPI FESVLANI QVI VIRI INTEGERÌMAE VITAE SVMÀ CVM LAVDE VIXIT. ANNOQVE M. CCCC. L. DEFVN CTVS EST. L'altare era decorato di una tavola, che Lorenzo di Bicci di- pinse nel 1437 e che il Vasari attribuisce invece a maestro Andrea Del Castagno. Cappella della reliquia di Sax Giovanni Gualberto. Fu edificata nell'anno 1594, chiudendo una porta che serviva di co- municazione tra la chiesa e il monastero. E adorna di pregevoli marmi e decorata di belle pitture di Domenico Oresti, detto il Pas- signano. Nella nicchia sta chiuso il reliquiario nel quale si conserva la mascella inferiore del Santo. È un lavoro barocco, parte d'ar- gento e parte di bronzo dorato, opera di maestro Giovanni Bat- tista Puccini orafo, a cui fu commesso l' S di marzo 1584(1). Cappella della Madonna dello Spasimo. Data dalla prima metà del secolo XVI e per la sua erezione fu chiusa la porta che metteva presso il lung'Arno. Ne fu il fondatore Zanobi Giovanni di mess. Luca, che all'antico titolo le aggiunse quello di San Girolamo. Vi si venera l'antica tavola della Madonna dello Spasimo, opera pre- ( ii Ardi, di St. fior., Convento ri, 89, Codice n, 135. 184 LE CHIESE DI FIRENZE gevole di autore ignoto. L'altare porta scolpita la seguente iscrizione: ALTARE HOC A FRATRE LEANDRO ANGELONI SUBSACR. RESTAURATUM CONSECRATUM FUIT A D. BENIGNO DAVANZATI ABB. DIE 5 JULII 1739. Cappella Spini. Forse appartiene a uno dei periodi poste- riori al tempo in cui la costruzione della chiesa ebbe a subire, come sappiamo, ritardi e interruzioni non lievi. Non si dovrebbe però oltrepassare 1' epoca del XIII secolo. Nel 1453 Neri di Bicci, per commissione di Giovanni e Silvestro Spini, dipinse gli affreschi, dei quali non rimane traccia, se pure non si voglia ritenere quale opera sua la figura del venerabile Gregorio, monaco vallombrosano e vescovo di Bergamo, che adorna il vano dove fu l'arca degli Spini. Di Neri di Bicci era pure la tavola dell'altare, da lui presa a fare il 28 febbraio del 1454 per 480 lire, commessagli dallo stesso Sil- vestro. Essa era alta sei braccia e larga cinque; rappresentava l'As- sunzione della Vergine, alla quale era dedicata la cappella. Il gradino aveva tre storie della Madonna e l'arme degli Spini. Fu collocata il 28 agosto 1456 e oggi se ne ignora la sorte. L'altare che fu qui trasportato in occasione del restauro, tro- vavasi presso la porta maggiore, dove l'aveva eretto nel 1682 don Rodolfo Foraboschi vallombrosano. Nella nicchia trovasi la statua in legno di Santa Maria Maddalena, scolpita parte da Desi- derio da Settignano e parte da Benedetto da Maiano. La seguente iscrizione ricorda il restauro della cappella: QUEST'ANTICA CAPPELLA DEGLI SPINI FU FATTA NUOVAMENTE ADORNARE DALLA CONTESSA CARLOTTA E DAL CONTE PIER POMPEO DAINELLI DA BAGNANO GIÀ MASETTI L'ANNO MDCCCLXXXVIII E QUI FU TRASPORTATO L'ALTARE DI S. MARIA MADDALENA SITUATO PRESSO LA PORTA MAGGIORE Sul frontespizio della cappella che guarda la nave minore, so- pra allo stemma degli Spini, è un' Annunziazione, dal Vasari attri- buita a Spinello Aretino. SANTA TRINITÀ Cappella Compagni. Era una delle più belle ed è una delle più antiche cappelle della chiesa. Decorata di pregevolissimi affreschi di mano di Bicci di Lorenzo, essi andarono in gran parte per- duti, meno quelli rappresentanti due episodi della vita di San Gio- vanni Gualberto e la sua morte, restituiti alla luce in occasione dei restauri. Il Bicci dipinse pure la tavola, andata perduta, con alcune storie della vita di San Giovanni Gualberto. Vi si leggeva l'iscri- zione: Questa tavola e la dipintura della cappella ha fatto fare Caute di Giovanni Compagni per /' anima sua e de' suoi passati. An. Doni. MCCCCXXXIV (\). Donde si deduce che le pitture non furono ordinate da Neri Compagni, come dice il Vasari, ma da Caute di Giovanni Compagni e che esse non poterono essere di Lorenzo di Bicci, come si crede comunemente, già morto da sett'anni. La tavola che si vede oggi sull'altare, con l'Incoronazione della Madonna, appartiene alla scuola senese del secolo XI V e pro- viene dai magazzini delle RR. Gallerie. Nel gradino sono dipinte quattro storie della vita della Madonna. In questa cappella fu sepolto Dino Compagni, che è ricordato dalle seguenti iscrizioni : ASILO DEGNO ALLE OSSA DI DINO COMPAGNI DAL XXVI FEBBRAIO MCCCXXIV LE VOLTE DI QUESTO TEMPIO CHE RISONARONO DELLA SUA PAROLA MAGNANIMA « CONTRO A CHI VOLETE PUGNARE? CONTRO A' VOSTRI FRATELLI? CHE VITTORIA AVRETE? NON ALTRO CHE PIANTO! » E DEGNA ONORANZA CHE NELLA RESTITUZIONE DELL'ANTICO EDIFICIO RINNOVI ALLA GENTILIZIA CAPPELLA LA MEMORIA DI LUI TERZO FRA' GONFALONIERI DELLA REPUBBLICA E STORICO DELL'ETÀ LA QUALE EBBE DANTE POETA IL COMUNE DI FIRENZE NEL SESTO CENTENARIO DI QUEL GON FALONIERATO MDCCCLXXXXIII i 2) (ij Le opere di (ìioroio l'asari con nuove annotazioni e commenti (li Gaetano Milanesi, tomo II, pag, 54, nota 1. (2) Questa iscrizione fu dettata dal prof. Isidoro Del Lungo. i86 LE CHIESE DI FIRENZE D. 0. M. DINO COMPAGNIO PRAECLARO . VIRO CHRONISTAE . SVI . AEVI HEIC TVMVLATO A. D. MCCCXXIII POSTERI . P. P. Cappella Davanzali. Nel 1363 era già fabbricata e Anto- nio di Davanzato Davanzati è il primo della famiglia, nominato dalle cronache, come benefattore della cappella ; poi vengono menzionati un Giuliano Davanzati e un Muzio vivente nel 1577, un Bernardo di Antonio nel 1594 e donna Francesca Davanzati nel 1620. Si vedono due arche sepolcrali, una delle quali manomessa nel secolo XVII, quantunque fosse decorata di opere d'arte, pro- babilmente vendute da sedicenti restauratori. Sembra che sopra l' urna esistesse una statua di marmo bellissima, rappresentante la Madonna col Bambino, circondata da angeli dipinti sul fondo del- l' arca. L'altra arca, sufficientemente conservata, è ricca di un'urna singolare, la cui parte inferiore, ossia la cassa, sembra opera dei primi tempi cristiani; mentre la superiore, ossia il coperchio, è la- voro bellissimo del Rinascimento e porta scolpita la figura gia- cente di Giuliano Davanzati, fatto cavaliere da papa Eugenio IV e conte palatino dall'imperatore Alberto d'Austria e tenuto in gran conto dal re di Aragona. Nel fregio dell'urna si leggono le parole: + DM" JULIANI . NICHOLAI . DE DAVANZATIS MILITIS . ET D0CT0R1S ANO" 1444 Le antiche pitture, che furono guaste nel 1594 quando messer Giovanni Davanzati fece decorare la cappella di pietrami, sono state ritrovate sotto lo strato di calce, in assai buono stato di conser- vazione. Sull'altare trovasi una tavola di Neri di Bicci con l'An- nunziazione. Anticamente la cappella era dedicata a Santa Caterina. SANTA TRINITÀ I8 7 Cappella Bombeni. La sua fondazione data dal 1380. Ai primi del secolo successivo fu decorata di affreschi, rappresentanti varie storie di San Jacopo, a cui era dedicata. Estinti i Bombeni nel 1504, la cappella restò ai monaci fino al 1606, anno in cui fu concessa a Filippo Comi, il quale l'adornò di pietrami, distrug- gendo gran parte degli antichi dipinti; talché oggi non restano di essi che poche parti poste nelle lunette sotto la vòlta, dove sono effigiati gli Evangelisti e una Pietà che decorava il fondo di un arco. Nel prospetto esterno si vede il Redentore, attorniato da quat- tro angeli. A ricordo del restauro compiuto nel 1888, fu collocata la se- guente iscrizione : QUESTA CAPPELLA DI SAN IACOPO ADORNA DI PREGIATE PITTURE APPARTENNE FINO DAL 1388 ALLA NOBILE FAMIGLIA BOMBENI PASSÒ NEI COMI L'ANNO 1602 E CEDUTA NEL 1730 Al BUONOMINI DI SAN MARTINO VENNE RESTAURATA PER CURA DEL PRINCIPE DON TOMMASO CORSINI L'ANNO 1888 Cappella Strozzi. Era dedicata a Santa Lucia. Puccio Ca- panna, discepolo di Giotto, circa l'anno 1340 la decorò di pitture a fresco, rappresentandovi l'Incoronazione della Madonna e alcune storie di Santa Lucia. Nel 1603 Pandolfo Strozzi la fece comple- tamente trasformare e adornare con grande sfarzo da Giovanni Cac- cini scultore e da Bernardino Poccetti pittore. Degli antichi affre- schi, non restano oggi che pochi frammenti nei vani dietro i quadri laterali. Il Poccetti dipinse nella vòlta il Paradiso con una gloria di angeli, opera di molto pregio, e nella lunetta sopra l'altare il re David e il profeta Elia. All'esterno poi dipinse Adamo ed Eva, ai lati dell'antico stemma degli Strozzi. i88 LE CHIESE DI FIRENZE Sotto l'altare è il ricordo del restauro fatto a spese del prin- cipe Piero Strozzi: QUEST'ANTICA CAPPELLA DEGLI STROZZI DIPINTA NEL SECOLO XIV DA PUCCIO CAPANNA E NEL XVII INTERAMENTE TRASFORMATA E ADORNA DELLE PITTURE DI BERNARDINO POCCETTI E DELLE SCULTURE DI GIOVANNI CACCINI FU RESTAURATA DAL PRINCIPE PIERO STROZZI L'ANNO 1888 Sul pavimento della cappella si legge : PETRVS STROZZA PAND. F. EIVSQ. HAEREDES SACELLVM A MAIORIBVS SVIS ANNO CIO.CCCXL EXTRVCTVM AVITAE PIETATIS IMITATORES RESTITVERVNT ANNO M.D.CIX Cappella Cambi-Importuni. Era un altare che probabil- mente occupava il posto di quello dei Santi Dionigi e Sebastiano, della famiglia Sernigi. Fu remosso nell'anno 1552 per i lavori della nuova facciata, in conseguenza dei quali fu necessario riformare la porta e perciò togliere gli altari laterali alla medesima. Fino dal- l' anno 1400 vi si venerava quel Crocifisso che oggi si trova nella cappella Gianfigliazzi e che per qualche tempo fu collocato sul pilastro che divideva la cappella Comi da quella Davanzati. Lapidi sepolcrali. Delle moltissime che anticamente si tro- vavano sparse per la chiesa sono rimaste solo quelle che ricordano il vescovo Giovanni Canigiani, generale dei vallombrosani, morto nel 1540, Dionisio Fabbri (1590), gli Olivieri, Raffaello Fiorini (16 10), Benedetto Gaetani (141 6), Simone Ambrogi (1440) e pochi altri. Il lastrone presso la porta maggiore con la scritta S. ABBATUM proviene da San Pancrazio. SANTO STEFANO AD PONTEM 189 Facciata. L'antica, che era conforme al carattere del tempio, fu sostituita dalla presente, opera di Bernardo Buontalenti, la quale non ha che vedere con lo stile architettonico dell' edifizio ed è contra- ria a tutto quanto è imposto con evidenza dalla generale intonazione artistica di un monumento che è da considerarsi come uno degli esempi commendevoli dell' architettura medioevale toscana. Ne fu benedetta la prima pietra il dì 10 marzo 1592. Campanile. E incerto se fu costruito nel 1383 o nel 1390. Esso non sorge da terra, come ordinariamente sogliono elevarsi tutte le torri campanarie, ma poggia sopra alcuni beccatelli murati in un muro perimetrale della parte posteriore o abside della chiesa. L'architetto è rimasto ignoto. La parte superiore fu disgraziata- mente modificata con un preteso e malinteso restauro. SANTO STEFANO AD PONTEM [11 16]. E una delle chiese la cui origine è coinvolta alla leggenda, che la vorrebbe esistente fino dai tempi di Carlo Magno. E certo antichissima, ma probabilmente non anteriore al secolo XI. I do- cumenti tacciono di essa tino all' anno móincui era priore Ram- baldo (1), uno dei falsi accusatori di Gotìfredo o Godifredo, dei Contalberti, vescovo di Firenze, tacciato di simonia. Fu collegiata con canonici e da un atto del dì 15 maggio del 11 40 resulta che aveva annesso il chiostro: .... Aduni prope Caput pontis fiorentine civitatis infra sancii Stefani claustrum (2). (1) Jaffé Philippus, Regesta Pontificum Romanorutn, n. 650S. (2) Ardi, di St. fior., Diplomatico, Cistercensi di Firenze, 1140, 15 maggio. 190 LE CHIESE DI FIRENZE Per la sua ubicazione si disse ad pontem e questo è il voca- bolo più antico che la distingue in tutte le carte. La denominazione ad portavi ferream e l'altra dei Lamberteschi non sono convali- date da documenti. Quel ferro di cavallo che si vede sulla porta e che ha dato origine a spiegazioni favolose, forse non è che l'inse- gna di un qualche fabbro che provvide a coprire la porta di la- mine di ferro. Della primitiva chiesa rimane gran parte della facciata: la porta conserva ancora il carattere del secolo XI; è ornata di liste di marmo bianco e nero poste orizzontalmente ai lati e verticalmente sopra l'architrave. Un quadrato di dadi in marmo bianco e nero, tra due liste di marmo bianco, gira tutto intorno alla porta e la racchiude. A destra e a sinistra della porta sono tuttora visibili le due porte minori, murate. Le tre navi che una volta dividevano la chiesa furono distrutte e le ultime traccie scomparvero quando fu rinnuovato il pavimento. La parte più antica arriva fino agli altari di Santa Cecilia e di San Zanobi. Sotto il presbiterio trovasi un sotterraneo che do- veva costituire la confessione dell'antica chiesa; il soffitto è tuttora a Cavalletti che forse in origine erano maestrevolmente dipinti. Nel secolo XIV fu in gran parte ricostruita e decorata di cappelle nelle quali oprarono i buoni maestri del tempo. La cappella Gucci Tolomei aveva una tavola di mano di Mariotto di Nardo, che la dipinse nell'anno 141 2, ed era decorata degli affreschi di Tommaso detto Giottino. Nel 1389, dallo spedalingo di Santa Maria Nuova fu allogata a maestro Ambrogio Baldesi la tavola per la cappella dedicata ai Santi Jacopo e Filippo, fondata con i denari lasciati da Jacopo Bartolucci da San Casciano. Il Baldesi nel 1409 e nel 141 2 per commissione dei Capitani di Or San Michele dipinse due altre tavole, l'una per la cappella di Madonna Cecca de' Lupicini, dedi- cata a Santa Caterina, e l'altra per quella di messer Alamanno de' Gherardini. All'altare maggiore trovavasi un'ancona di Taddeo Gaddi. Fino da quando furono scritte le note al Riposo del Bor- ghini (1730), quest'opera era già smarrita. Nel 1649 la chiesa fu rinnuovata, a cura del marchese Antonio Maria Bartolommei, dello stile allora in uso, sacrificando tutto quanto SANTO STEFANO AD PONTEM 191 aveva aspetto di antico. Furono distrutte le navi, disperse molte memorie sepolcrali e gli antichi dipinti andarono o venduti o smarriti. La consacrazione della chiesa avvenne il dì 14 ottobre dell'anno 1787. Non sono molti anni che veniva remosso 1' altare maggiore col dossale del Tacca, per collocarvi quello di Giambologna, pro- veniente dall'ospedale di Santa Maria Nuova. Vi fu adattato al- lora il bellissimo balaustro che già stava nella chiesa di Santa Tri- nità, donde fu tolto per non essere in armonia con l' architettura della chiesa. Fu eseguito sul disegno di Bernardo Buontalenti dal maestro Gianfrancesco di Niccolò Balsimelli, scalpellino di Set- tignano, a cui fu allogato il dì 6 aprile del 1576 dall'abbate di Santa Trinità (1). Nell'anno 1585 la chiesa e l'annesso chiostro furono concessi ai frati agostiniani della congregazione di Lecceto, che vi rimasero fino al 1785, anno in cui la chiesa tornò ad essere amministrata da un sacerdote secolare col titolo di priore. In Santo Stefano, Giovanni Boccaccio lesse e illustrò la Di- vina Commedia, ricevendo dalla Signoria il compenso annuo di cento fiorini d'oro. Incominciò il dì 23 ottobre del 1373 ; nel 1381 sem- bra che il Boccaccio avesse per successore nella sua cattedra mes- ser Antonio Piovano; nel 1391 messer Filippo Villani fino al 1404 e nel 141 2 succedeva Giovanni Malpagfrini di Ravenna. Le campane sono antichissime. Dai calchi da me eseguiti ri- sulta che la più grossa venne fatta fondere nell'anno 1335 da Set Francescho cìiappcllano di Santo Stefano allonorc del Beato Santo Stefano ; la mezzana ha lo stemma di Benozzo Federighi e pro- viene da Santa Cecilia (2) ; la più piccola non ha alcuno stemma e oltre la solita invocazione : Mentem sanctam spontanea))! ha questa iscrizione: Johannes Pvcci florentinvs me fecit e la data dell'anno 1332. (1) Ardi, di St. fior., Convento n. 89, libro ms. di notizie diverse, dal 1418 al 1557, n. 47, pag. 108. (2) Vedi a pag. 84. 192 LE CHIESE DI FIRENZE SAN BARTOLOMMEO [1132]. È una delle chiese comprese nel primo cerchio di mura e tro- vavasi in via Calzaioli, nel tratto compreso tra la via del Corso e la via dei Tavolini. Fu soppressa nell'anno 1768. La troviamo ricordata la prima volta in un atto del 25 giugno 1132, nel quale si legge che iohannes de monte cruci filius ugonis fa donazione di alcune terre e case alla chiesa e monastero di San Martino a Maiano. L' atto è steso in presentici guidonis presbiteri ecclesie sancii bartholomei fio- rentine civitatis (1). Fu detta San Bartolommeo tra' Pittori e ciò è confermato da un contratto di vendita de' 27 luglio dell'anno 1264 dove è nominata domina Soavis vidua domine Albizo Gherardini Ulivieri de vice dominis et quondam Torelli de lo Scarlatto populi sancii Bartlwli inter dìpiniores (2). Trovasi posteriormente chia- mata San Bartolommeo al Corso degli Adimari, ai quali nel 1269, per odio di parte, fu distrutto il palazzo che avevano nel popolo di questa chiesa ; quindi San Bartolommeo de' Macci, forse perchè que- sta famiglia ne fu la fondatrice (3) o perchè ebbe le case di fronte alla chiesa o perchè fu patrona della cappella maggiore. Nel libro delle decime dell'anno 1299 è semplicemente detta ecclesia sancii bartholomei e trovasi tassata per 11. 12 e sol. 10 (4). Marco di Bar- tolommeo Rustichi nel suo importantissimo codice, riportandone il disegno, la ricorda con queste parole : E vi lachièsa di santo barto- lomco apostolo. . . . (5). Era preceduta da un portico umile e basso con archetti girati a mezza botte, sorretti da quattro pilastri di pietra con capitelli (1) Arch. di St. fior., Diplom., S. Martino a Maiano, 1132, 25 giugno. (2) Idem, Diplomatico, Sant'Ambrogio, 1264, 27 luglio. (3) Bibl. Riccardiana, Baldovinetti, Sepoltuario. (4) Lami, Eccl. Fior. Mon., voi. I, pag. 532. (5) A c. 29. Chiesa di San Bartolommeo. (Dal Codice di Marco di Bartolommeo Rustichi, c. 29). Cccch', L-> Chtese di Firenze, SAN BARTOLOMMEO 195 ornati di teste di leoni e di arieti. La porta di antica fattura era di pietra, con sopra, a mezzo riliev o, scolpiti in marmo, due draghi aventi in mezzo una rosa di marmo. All'altare maggiore erano alcuni dipinti a fresco, di mano di Bernardino Poccetti, e per la chiesa leggevansi le seguenti iscrizioni: PETRVS AMADORIVS DE LEONE AVREO JOHANNIS FILIVS PHISICVS AC CIVIS FLOR. SIBI POSTERISQ. SVIS POSVIT ANNO MDLXXX JVLIANI PETRI DE GERINIS ET SVORVM e più sotto : IN BONACCORSIORVM FAMILIAM HEREDITATE TRANSLATVM In questa chiesa si adunava la compagnia dei cocchieri, sotto la protezione di Sant'Antonio abate. Nell'anno i486 con breve di papa Innocenzo VI II veniva unita alla mensa del capitolo della basilica di San Lorenzo, essendo stata spontaneamente rinunziata dal suo rettore Matteo Schiattesi, canonico di San Lorenzo, rimanendo nel capitolo l'onere di so- disfare agli obblighi parrocchiali ( 1 ). L' ubicazione di San Bartolommeo è indicata dalla seguente iscrizione, posta sullo stabile segnato col n. 6, in via Calzaioli : , NEL MDCCLXVIII FU RIDOTTA AD USO SECOLARE LA CHIESA DI S. BARTOLOMMEO QUIVI ERETTA NEL SECOLO UNDECIMO. (il Ardi. Gap. di San Lorenzo, ti. 67. 196 LE CHIESE DI FIRENZE SANTA MARIA IN CAMPO [U37J- Senza prestar fede alle leggende, che pure circa l'origine di Santa Maria in Campo hanno favoleggiato, chiamandone fondatore il solito imperatore Carlo Magno, si può assicurare che esisteva fino dai primi anni del secolo XI; infatti ne abbiamo notizie dall'anno 1137 (1). E dedicata alla Madonna e per la sua ubicazione è detta in Campo essendo stata edificata in un campo fuori le mura del primo cerchio. Nel priorista di Luca Chiari è detta di Santa Maria al Canto de' Bischeri, dal nome della famiglia che ebbe prossime le case (2). Fu in principio di proporzioni assai inferiori a quelle che ha attualmente ; ma nella seconda metà del secolo XIII fu di nuovo costruita di forma più vasta. Nel testamento della contessa Bea- trice, figlia del conte Ridolfo da Capraia, compilato il dì 18 feb- braio dell'anno 1278, tra i molti legati, trovasi quello di 11. 10 per l'ampliamento di Santa Maria in Campo : . . Item a la Kiesa disancta- maria incanpo kessispendino per accrescimento dellakiesa II. X (3). Nell'anno 1358 fu restaurata da Sant'Andrea Corsini, vescovo di Fiesole, il quale fece di nuovo il tetto. Nel secolo XVI fu ancora ricostruita, sempre però sull'antica pianta, e consacrata il 25 di marzo del 1585 per mano del vescovo di Fiesole Francesco Cattani da Diacceto, come abbiamo dalla seguente epigrafe: VETVSTISSIMVM HOC TEMPLVM OCCASIONE IMAGINIS BEATISSIME VIRGINIS MARIAE HIC IN CAMPO QVONDAM REPERTAE CONSTRVCTV ET NOMINATVM MIRACVLIS CLARVM DEVOTI ONE FREQVENS RM~VS DNVS FRANCISCVS CATANEVS DIACCETIVS EPVS FESVLANVS IN ME MORIAM ASSVMPTIONIS EIVSDEM GENITRICIS DEI CONSECRAVIT DIE XXV MARTII ET IN AN NIVERSARIO XL DIERVM INDVLGENTIA AVXIT ANNO SALVTIS MDLXXXV (1) Bibl. Magliabecchiana, Spoglio Straziano, XXXVII, 305, pag. 6. Davidsohn R., Geschichte voti Florenz, pag. 863. (2) Bibl. Magliabecchiana, Cod. n. II, I, 262, c. 38. (3) Ardi, di St. fior., Diplomat., Cistercensi di Firenze, 1278, 18 febbraio. SANTA MARIA IN CAMPO — SAN MICHELE IN PALCHETTO 197 Nell'anno 1227 fu concessa al vescovo di Fiesole da papa Gre- gorio IX; ciò che ebbe conferma nel 1259 da papa Alessandro IV, il quale aggiunse il privilegio di tenere presso la chiesa la curia e il tribunale della diocesi (1). Però sembra che, malgrado questa pontificia concessione, il vescovo non vi potesse esercitare libera- mente le proprie funzioni, perchè il Bullettone ci fa fede della fa- coltà concessa al vescovo di Fiesole di poter tenere le ordina- zioni dei chierici: Qualiter Episcopus florentimis dedit liceniiam Episcopo /esiliano celebrandi ordinatìonem in ecclesia sancte marie in canpo. Carta manti scr functe Brindi Not. sub M. CC. FXXXXÌ7II die XX Scptembris (2). Nell'elenco vaticano deiranno 1275 e in quello pubblicato dal Lami del 1299 è compresa tra le chiese di Firenze e pagava la decima di lire 4. Ecclesia sancte marie in campo II. 4. SAN MICHELE IN PALCHETTO [1141]. Papa Innocenzo II, mentre con una bolla in data del di 4 di maggio dell'anno 1141, accoglie le monache e il monastero di Sant'Ambrogio di Firenze, sotto la protezione di San Pietro e della Santa Sede, conferma il possesso dei beni e specialmente la chiesa di San Michele in Palchito, che era stata donata da Gotifredo vescovo: .... et ecclesiam sancii Michelis in palchito sitavi infra civitatem florentìnam, cum omnibus suis appendiciis a Gode/rido episcopo fio- rentino, vobis canonicc concessa m et suo scripto frmafam, proprio nomine duximus adnotandarn, satra ecclesie fiorentine canonica re- verenda (3). Sebbene questo sia il primo documento, in cui si fa (1) Lami, lìcci. Fior. Man., voi. II, pag. 992. (2) Ardi, di St. fior., Bull., pag. r5, n. 69. (3) Jaffé Philippus, Regesta Pontificum Romanorum, voi. I, n. 8140. Lami, Eccl. Fior. Moti., voi. II, pag. 1003. 198 LE CHIESE DI FIRENZE parola di San Michele in Palchetto, sembra però che sia molto più antica; anzi il Lami ritiene che la terra sancii michelis gitani tenet ecclesìa sancii ambrosi, ricordata in ima carta dell'anno 1090, si ri- ferisca a San Michele in Palchetto (1). Il significato della denominazione in pal- chito o in palchetto non è ben determinato, se pure non vogliamo asso- ciarci all'opinione di chi crede che fosse così chia- mata per essere stata fab- bricata molto elevata dal suolo o per essere stata prossima a qualche log- gia o a qualche casa- mento, che avesse un pubblico palco. Si disse anche San Michele delle trombe, perchè per una provvisione del 1391 ve- niva ordinato che in que- sta parrocchia abitassero tutti i trombettieri della Repubblica : Tubatores Communis Florentie stcnt in populo sancii Miche- pDa.) Codice di Marco di Bartolommeo Rustichi, c. 28'). j n p a l c JiHQ Nell'anno 15 17 l'antico titolo fu sostituito da quello di Santa Elisabetta, dalla congregazione di preti, detta della Visitazione di Maria, a cui fu ceduta da papa Leone X nell'anno 15 17. La chiesa, (1) Eccl. Fior. Mon., voi. II, pag. 10.61. SANTA MARIA DEGLI UGHI 199 restaurata nel 1729, fu soppressa e distrutta nel 1785, e il locale ridotto a private abitazioni. Fece parte delle trentasei antiche par- rocchie. Sulla porta trovavasi un bassorilievo di Andrea della Robbia, rap- presentante la Visitazione di Maria a Santa Elisabetta, e l'altare mag- giore era decorato di una tavola, di mano di Mariotto Albertinelli. Aveva una campana antichissima sulla quale si leggevano le parole : TEMP • LUD • IMP • P • P • F • APOL - ME ■ FECIT spiegate dal Del Migliore: Tempore Ludovici Impcratoris protcctoris populi fiorentini Apollonius ine fecit. Il Richa invece le spiega in questi termini : Tempore Ludovici linperatoris Pii Perpetui Fclicis Apollonius me fecit. Marco di Bartolommeo Rustichi ne riporta il disegno come trovavasi ai suoi tempi e la ricorda con queste parole : E vi lachicsa disanto michele delle trombe (1). SANTA MARIA DEGLI UGHI [1153]- Prese nome dalla famiglia che ne fu la fondatrice, come ci at- testa Giovanni Villani : « Gli Ughi furono antichissimi, i quali edi- « ficarono Santa Maria Ughi e tutto il poggio di Montughi fu « loro .... » (2). E incerto l' anno in cui fu edificata, ma se ne trova memoria fino dal 1153: . . . anno dominice incarnaiionis mil- leno ( cntcno quinqiiageno tertio .... nonas octobris indictione . . . . . . . . integravi medietatem de Turri et curie in civitate Florentiae non longe ab ecclesia Sanctae Mariae Ughi . . . . (3). (1) A c. 28 2 . (2) Cron., lib. IV, cap. XII. (3) Corbinellt, Histoire de la maison de Condì, Parigi, 1705. Preu- ves. Vili. 200 LE CHIESE DI FIRENZE Trovavasi alquanto più indietro della chiesuola della Madonna del Buon Consiglio in piazza delle Cipolle ( i ), in questi ultimi anni demolita e che era stata edificata sul volgere del secolo XVIII, sulle rovine dell'antica. Sull'architrave della porta si vedeva scolpita a grandi lettere la memoria della favolosa consacrazione, attribuita senza alcun fon- damento a un papa Pelagio : HANC S. PELAGIVS PP. CONSECRAVIT P. DIE JAN. AN. CCCCC. Nel secolo XIV il patronato di Santa Maria degli Ughi, per due parti apparteneva ai monaci di Santa Trinità in virtù della donazione di Monna Cuccia e Monna Lisa, figlie del fu Lotto di Schiatta degli Avogadi da Firenze (2). Il 15 agosto di ogni anno, il rettore era tenuto a pagare all' abbate di Santa Trinità un censo consistente in un grosso pezzo di vitella posto in un vaso di le- gno nuovo. La chiesa fu in diverse epoche restaurata e in parte rinnuo- vata fino a perdere poi completamente ogni traccia di antichità. Era di piccole proporzioni come tutte le antiche chiese di Firenze ; aveva la confessione e non era priva di oggetti d'arte. Conser- vava un dipinto attribuito a Pietro Cavallini, rappresentante l' An- nunziazione e un affresco nell'arco sopra la porta, di mano di Do- menico Ghirlandaio. Nella torre si trovava una campana creduta di Niccolò Caparra e sulla quale si leggevano le parole: TEMPORE DOMINI JOANNIS BAPTISTAE STEPHANI PRIORIS HVIVS ECCLESIAE. Nella vetrata rotonda sulla facciata, intorno all' immagine della Madonna, era scritto: primerana Maria — Maria prlmerana, parole che furono fondamento di leggende, quali che la chiesa fosse stata la prima in Firenze dedicata alla Madonna, che per un tempo avesse goduto il titolo di cattedrale, opinione che trovava appoggio (1) La piazza degli Strozzi si diceva volgarmente piazza delle Cipolle, perchè, nelle diverse destinazioni date alle varie piazze del mercato vecchio, questa serviva al mercato delle cipolle. (2) Arch. di St. fior., Diplomatico, Santa Trinità, 1331, 14 gennaio. SANTA MARIA DEGLI UGHI 20I nell'uso che aveva questa chiesa di suonare per la prima le cam- pane il sabato santo. Tale consuetudine però non era di grande antichità. Infatti il codice Mores et consuetudines canonicae floren- tinac, nella descrizione del rito proprio del sabato santo, dice chia- ramente che nessuna chiesa poteva suonare le campane prima della cattedrale : Cum sacerdos incepcrit illum angelicum Hymnum sili- cei Gloria in Excelsis Deo pulsentur producte sì miri omnes campane una vice tantum et non amplius ipsa die. Deinde cum audientur in 7iostra ecclesia scd non prius pulsentur canpanc per omnes alias ec- clesias. E questa proibizione, senza eccezione, trovasi confermata fino dall'anno 1327 nella rubrica IX del sinodo, tenuto dal ve- scovo Francesco Salvestri da Cingoli ; onde il privilegio o l'abuso introdottosi in Santa Maria degli Ughi, non dev'essere più antico del secolo XV e deve forse la sua origine dal diritto che avevano gli Ughi di essere stati gli amministratori del vescovado fiorentino, durante la sede vacante. Fino dai tempi del Rustichi aveva ancora un'altra consuetu- dine; quella cioè di suonare la campana nell'inverno a tre ore di notte, per la cessazione delle veglie : È vi lachiesa disanta maria aughi f ragli strozi lagnale chiesa epici/ ola ebella eantichamente et ora esemprc per uso e ordine alle tre ore suona una chanpana mostrando segno diriposo attuila laciptae euniversamente tutta laciptae aque suono lasciano iloro artefizi lagnai chanpana suona daonnissanti infino alla sera dicharnoviale e non pine gliartefici della ciptae nonne veghiano pine ( 1 ). Santa Maria degli Ughi fu delle trentasei antiche parrocchie e la sua ragguardevole antichità non valse a risparmiarla dalla sop- pressione e dalla distruzione, che avvenne nel 1785. Nel catalogo vaticano dell'anno 1275 è compresa tra le chiese che pagavano la decima: lice le sia sane te Diarie ìtglwnis II. 10. (1) Codice di Marco di J>artolommeo Rustichi, c. 31" 202 LE CHIESE DI FIRENZE SAN FIRENZE [1174]- È dedicata a San Florenzio vescovo e per corruzione si disse San Firenze. Ne abbiamo notizie fino dall'anno 1174 ed è ricor- data in un documento riferito negli spogli del senatore Carlo Strozzi : Cacciatus et ... . et Orlandinus fil. Caputi et Burnitici uxpr Cac- ciati e Guercia f. predicti Caputi, donant quartam partali de turrc positam in civitate Florentie in loco Guardingo infra cappellani sancii Fior cntii, sic ut est designata ad turreni faciendam (1). Fu scritto che era stata edificata sulle rovine di un tempio dedicato a Iside ; comunque sia di ciò, è certo che quando nel- Ì' anno 1772 furono scavati i fondamenti della nuova chiesa, si tro- varono alcune medaglie, delle basi attiche, sulle quali posavano alcuni frammenti di cilindro rozzi e di pietra forte, stati forse in- crostati di stucco, dei capitelli corinti e basi di marmo, avanzi che furono giudicati quali appartenenti a un monumento romano, che forse aveva attinenza col vicino anfiteatro (2). Fu soggetta alla Badia di Montescalari, la quale ebbe lunga lite col vescovo e con i parrocchiani, perchè costoro pretendevano di avere delle ragioni sul diritto di patronato. La causa incominciò nel 1241 e durò fino al 1271 e forse più lungo tempo ancora (3). Era stata edificata, conforme lo stile delle antiche basiliche, col coro sopra la confessione e malgrado i restauri e le innovazioni a cui talvolta era andata soggetta, rimase inalterata nelle sue linee generali e conservò sempre il carattere di antichità. La seguente (1) Santini, Documenti dell' antica costituzione del Comune di Firenze, Firenze, 1895, pag. 518. (2) L' Osservatore fiorentino, Firenze, 1831, tomo IX, nota k. (3) Arch. di St. fior., Convento n. 224, tomi 232, 233. Sono riferiti tutti gli atti concernenti la causa. (Ediz. Alinari). Tavola di Pacino di Buonaguida dell' altare maggiore di Sax Firenze. (R. Gallerìa Antica e Moderna). SAX FIRENZE 205 iscrizione ricordava il restauro compiuto nella prima metà del se- colo XIII: EXTABANT ANNI DOMINI CVM MILLE DVCENTI OCTO DECEMQVE SIMVL CVM PASTOR NOMINE BENCI ET TVA PLES AVXERE DOMVM TIBI SANCTE FLORENTII Un' altra iscrizione si riferiva all' ampliamento del coro, avve- nuto nell'anno 1276: + AN. DNÌ MCCLXXVI INDITIONE V TEMPORE PRESBITERORVM TALENTI ET FEDIS BESE MAGALOTTI FECIT HVNC CHORVM ACCRESCI AC ETIAM DILATARI CVIVS ANIME REQVIESCAT IN PACE. AMEN. Per la chiesa si trovavano sparsi gli stemmi dei Magalotti e dei Mancini e alle pareti vedevansi appesi molti targoni. L'altare maggiore era decorato di una magnifica ancona, che- oggi figura nella Galleria d'Arte Antica e Moderna. È divisa in cinque scompartimenti : in quello di mezzo si vede il Crocifisso con ai lati la Vergine e la Maddalena ; nei due a sinistra San Niccolò vescovo e San Bartolommeo ; nei due a destra San Florenzio ve- scovo e San Luca. Nell'ornamento sono alcuni tondi con entro mezze figure. In quello della cuspide centrale si vede l'Eterno Pa- dre in atto di benedire; più in basso due angeli guardano con mestizia il Crocifisso. Nelle altre quattro cuspidi è dipinto un pro- feta con un cartello. Nel gradino si leggono queste parole: XIMON PRESBITER S. FLORENTII FECIT P~IGI . H. OP. A. PACINO BONAG VIDE ANNO DNÌ. MCCCX... La tavola nel 1848 fu venduta al Governo dai Padri Filip- pini per la somma di zecchini 60 e portata all'Accademia. All'altare dei Gangalandi, oltre un mediocre affresco, si tro- vava un'antica tavola rappresentante l'Incoronazione della Madonna e tra i molti santi si vedeva la beata Umiliami dei Cerchi, con i ritratti di Paolo Gangalandi, che la fece dipingere, di sua moglie e di sua figlia. Questa pittura fu un valido documento del culto verso la beata Umiliana e cooperò molto alla sua beatificazione. 2o6 LE CHIESE DI FIRENZE Alla cappella dei Del Tovaglia trovavasi la stupenda tavola dello Stradano, dei diecimila martiri. La seguente iscrizione ricordava la fondazione della cappella Mancini : + ANNI • DNI • M • CCC • XXXV • DIE • XXVIIII JANUAR • K • CAPPELLA . HEDIFICATA • E. P • DVCCIV • GVIDI • D • MANCINIS • D ■ FLOR. P • REMEDIO AÌE • ET • VX • SVE • DN~E , GHITE ET • PARETVM • SVOR • SVB - VOCABVLO BEATI • JACOBI • APOSTOLI ■ TPRE PBRÌ • BVONI • RECTOR • HVI - ECCLES. 11 tabernacolo per l'Eucarestia, apparteneva alla fabbrica dei Robbia e oggi si trova nel Museo Nazionale, ove fu recato all'epoca dell'ultima soppressione. Nell'anno 1640 la chiesa fu ceduta ai padri dell'Oratorio e nel 1772 fu demolita e di nuovo edificata dall'architetto Zanobi Del Rosso. Sebbene nell' insieme si vedano licenze e sconcordanze, ca- gionate dallo stato di poca floridità nel quale si trovava l'architet- tura in quell'epoca, nondimeno è bella di forma e ricca di stucchi di stile classico. Fu soppressa e per alcuni anni adibita quale sala di udienza per il tribunale civile e correzionale. San Florenzio, come tutte le nostre antiche chiese, era vòlta a oriente e anche la nuova chiesa conservò la prima ubicazione. Fu delle trentasei parrocchie e nell' elenco vaticano dell'anno 1275 tro- vasi tassata per 11. 5. Ecclesia Sancii Florentj IL 5. Presso la chiesa erano le torri dei Magalotti e dei Mancini, che furono atterrate nell'anno 1643 per allargare la piazza. Sono ricordate dalla seguente iscrizione collocata in borgo dei Greci, sul- l'angolo della chiesa: MAGALOTTI, ET MANCINI ECCLESIAE S. FLORENTII GEMINAS TVRRES DONARVNT VT, QVAE, STANTES, ANTIQVITATEM, DIRVTAE, PIETATEM REDOLERENT ANNO DOMINI M.DCXXXXIII. SAX JACOPO TRA' FOSSI 207 In un libro di Ricordi del Verzani si legge: « Ai 16 di mag- <;< gio 1643 1 Padri Filippini gettarono giù le due torri Magalotti « e Mancini, con obbligo in perpetuo di celebrare ogni anno al- « cune messe ». SAN JACOPO TRA' FOSSI 0*753- Sebbene non si possa stabilire l'anno in cui fu eretta, nondi- meno è antichissima e fa parte delle dodici leggendarie priorie. Se ne trova memoria in un atto del 24 agosto dell'anno 1175 : . . . . unum pctìum terre et ccisularem qui est in beo pierlaseio in eanipo sancii sa/vii infra et propc ccclcsiani saneti iacobi (1). Era stata edificata in un campo, appartenente alla badia di San Salvi e presso il Parlagio ; anzi fu scritto che il materiale del diruto anfiteatro fosse servito per la costruzione della chiesa (2). Fu detta tra' Fossi per la sua ubicazione, trovandosi edificata lungo i fossi del secondo cerchio di mura .... de quarto ( la fere) est mums civitatis et fossa (3). Sembra che a questa chiesa alluda la bolla di papa Alessandro III, in data del dì 27 maggio del- l'anno 1 1 7 7 , nella quale si confermano i beni posseduti dall'abbazia di San Salvi .... ccclesiam vestram infra civitatem Ftòrentiam si- tarti (4). Nel 1221 Giovanni da Yelletri, vescovo di Firenze, ne de- termina i confini parrocchiali d'accordo con l'abbate di .San Salvi e il rettore di San Romeo o Remigio. Come tutte le antiche chiese di Firenze era vòlta a oriente e le vestigia dell'antica facciata si pos- sono tuttora vedere dalla parte di via delle Brache, essendo stata capovolta circa il 1300. Era preceduta da una piazza, che fu poi (1) Arch. di St. fior., Diplomatico, Badia di Ripoli, 1 1 75, 24 agosto. (2) Manni, Principi della Religione cristiana in Firenze, 1764, pag. 19. (3) Lami, Eccl. Fior. Moti., voi. II, pag. 994. (4) Jaffé Ph., Regesta Pontificuni Romanorum, n. 12,848. 20S LE CHIESE DI FIRENZE occupata dalle case de' Rustici e de' Berti Rinieri loro consorti. Aveva due cappelle ai lati dell'aitar maggiore, che le davano forma di croce. Fino al 1530 la tennero i monaci vallombr osarli, nel qual anno fu ceduta agli agostiniani di San Gallo, ai quali per il memo- rabile assedio fu distrutto il convento. Essi la restaurarono e la de- corarono di oggetti d'arte, che avevano recati da San Gallo, tra i quali si trovava un San Girolamo di mano di Pietro Perugino, una Apparizione di Cristo alla Maddalena, tavola di Andrea del Sarto, che nel 1849 fu recata all'Accademia, quando la chiesa fu dis- sacrata e ridotta a quartiere dei soldati austriaci. La tavola del- l'altare maggiore, che oggi si trova nella galleria Pitti, è opera di Fra Bartolommeo della Porta; però era stata terminata da Giu- liano Bugiardini. Dell'antica chiesa trovavasi un dipinto bellissimo di Agnolo Gaddi, rappresentante « un' istorietta di Cristo quando « resuscitò Lazzaro quatriduano; dove immaginatosi la corruzione « di quel corpo stato morto tre dì, fece le fasce che lo tenevano « legato macchiate dal fracido della carne, e intorno agli occhi certi « lividi e giallicci della carne tra la viva e la morta, molto consi- « deratamente ; non senza stupore degli Apostoli e d'altre figure, « i quali con attitudini varie e belle, e con i panni al naso, per « non sentire il puzzo di quel corpo corrotto, mostrano non meno « timore e spavento per cotale maravigliosa novità, che allegrezza « e contento Maria e Marta, che si veggono tornare la vita nel « corpo morto del fratello. La quale opera di tanta bontà fu giu- « dicata, che molti stimarono la virtù d' Agnolo dovere trapassare « tutti i discepoli di Taddeo e ancora lui stesso » (1). La chiesa tolta al culto, fu acquistata dai protestanti, i quali se ne servono per le loro adunanze. (1) Le opere di (iioroio l'asari con nuove annotazioni e commenti di Gaetano Milanesi, tomo I, pag. 636. SANTA MARIA IN CAMPIDOGLIO 209 SANTA MARIA IN CAMPIDOGLIO [1179]- La leggenda ne attribuisce la fondazione a Carlo Magno, la storia la considera quale una delle chiese più antiche di Firenze dedicate alla Madonna; però i documenti ne tacciono fino alla se- conda metà del secolo XII. Trovasi infatti citata in una pergamena in data del 19 gennaio 1 1 7 9, nella quale si leg- gono i patti sti- pulati tra i soci di alcune torri e- sistenti presso la chiesa di Santa Maria in Campi- doglio: Ite m a tur ve Marabottini usque .... Galli- gai et usque ad tlirrcm Abatis, (l>al Codice di Marco di Bartolommeo Rustichi. c. 30). usque ad domum Folcardini Picconis et usque ad turrem de Ben- so le et usque ad ecclesiali sane te Marie in Capital io . . . . ( i ). Prese nome dalla sua ubicazione, essendo stata edificata tra gli avanzi del Campidoglio. Secondo due contratti riferiti dal Richa, l'uno dell'anno 1190, l'altro del 1201, fu anche detta Santa Maria Hodegitria, vocabolo greco che significa guida delle- vie dei vian- danti (2). Il Lami la chiama Santa Maria in Campidoglio ad Fo- rum Veius (3). E compresa tra le chiese dell'elenco vaticano del- l'anno 1275 e pagava la decima in 11. 2 e s. 12. Ecclesia Sanete 1 1) Santini, Documenti dell' antica costituzione del Coni une di Firenze, Firenze, 1895, pag. 519. (2) Notizie istoriche delle Chiese fiorentine, tomo VII, pag. 319. (3) Ecel. Fior. J/ou., voi. Ili, pag. 1514. Cocchi, Le Chiese di Firenze. 14 2IO LE CHIESE DI FIRENZE Marie de Capite doij 11. II, s. XII II Rustichi ne riproduce il dise- gno e la ricorda nel suo importantissimo codice: E vi santa maria inchampo doglio (i). Era costruita conforme lo stile delle primitive chiese cristiane, col santuario e il coro separati dalla parte riservata ai semplici fedeli e da quella per i catecumeni. Sebbene non immune dalle innovazioni barocche cui andò soggetta e nelle quali furono distrutti i due antichi amboni, nondimeno conservò fino agli ultimi tempi la primitiva struttura. Fino dall' epoca più remota ne furono patroni gli Alfieri Stri- nati, nobilissimi e antichi cittadini, che ebbero le loro case poco discoste di qua, verso la via che da loro prendeva nome e che ul- timamente era detta via del Refe nero. E continuarono essi a go- derne il patronato fino alla metà del secolo XVI, quando il governo mediceo dichiarò ribelli e mandò in esilio, confiscandone i beni, Jacopo e Francesco di Francesco d'Alfiero Strinati. Allora i capi- tani di Parte Guelfa, sostituendosi ai ribelli, entrarono a parte del patronato ; sicché le presentazioni dei rettori della chiesa si fecero in seguito alternativamente da quei capitani e dagli altri Strinati che, abbandonata Firenze, erano andati ad abitare Cesena. Santa Maria in Campidoglio fu restaurata nell'anno 1362 per ordine di papa Urbano V, in memoria del quale furono posti sulla facciata gli scudi con lo stemma di lui e colle chiavi pontificie. Presso questi stemmi trovavasi dipinto quello degli Alfieri Stri- nati, patroni e benefattori della chiesa, e lo stesso loro stemma era pure riprodotto nell' occhio della facciata e sui lastroni di varie se- polture. La chiesa aveva tre altari: due nello spazio che secondo l'an- tica liturgia era riservato ai fedeli e l'altare principale nell'abside. Essendo tutti di patronato degli Ubaldini, che avevano alcune loro antiche case nel popolo di questa chiesa, vennero da essi restaurati completamente nell'anno 1577. Sull'altare maggiore vedevasi una preziosa ancona con l' Annunziazione dipinta da Giotto per com- missione degli Strinati ; ma nel tempo del barocchismo essa fu confi- nata in un oscuro canto della chiesa, insieme a un' antica tavola di (1) A c. 30. SANTA MARIA IN CAMPIDOGLIO 21 I Sant'Antonio e sostituita da una tela a colori vivaci, raffigurante l'Immacolata, di mano di Piero Dandini. Tra le sepolture trovavansi quelle degli Strinati, dei Tosinghi, degli Ubaldini, de' Masetti, dei Poliamoli (i). Singolare era il la- strone degli Ubaldini dove erano scolpiti tre differenti stemmi della famiglia: la testa di cervo al naturale, la stessa testa con una stella tra le corna, poi il teschio colla croce rossa, stemma del popolo fiorentino. Quattro versi non troppo castigati, incisi sotto gli stemmi, ne davano una curiosa illustrazione ricordandone l'origine: Di cervo annoso corrente, altero e bello Dal primo Federigo fui donata E cosi intera onorata di stella Poi smembrata di croce coronata. Secondo la leggenda, uno degli Ubaldini, trovandosi a caccia con l'imperatore Federigo in Mugello, afferrò un cervo per le corna e lo tenne fermo finché l'imperatore potesse ucciderlo e perciò ebbe titoli e il diritto di fregiare il proprio scudo con una testa di cervo. Nell'anno 1785 la chiesa fu vandalicamente soppressa e il lo- cale subì tante trasformazioni, fino a divenire la sede di un postri- bolo e poi eli un albergo di infima condizione, che fu detto della Palla, forse dal nome della vicina piazzetta della Paglia, cosi chiamata per la natura del mercato che vi si teneva. Sulla facciata restarono visibili le traccio della porta, che introduceva in chiesa e di due porticine più basse, che davano adito al sotterraneo. Nelle demolizioni per il riordinamento del centro, si scuopri- rono le piccole, ma solidissime vòlte del transetto, l'abside e l'indi- cazione del piano originario. Dal sotterraneo fu tratto un cassone fu- nerario appartenente a una tomba cristiana dei primi tempi, di soli due pezzi di pietra, rozzamente scavato e privo allatto di ornamenti. (1) Prossima a Santa Maria in Campidoglio trovavasi una piazzetta detta dei Pollaioli, appunto perchè qui furono fino da remota epoca i ma- gazzini del pollame, destinato al mercato. Ai pollaioli, che vi possedevano case e botteghe, appartenne la famiglia che dette all'arte i diversi del Pol- laiolo, i quali come scultori, pittori e orafi furono tra le glorie più pure dei tempi in cui l'arte a Firenze ebbe così splendido culto. 212 LE CHIESE DI FIRENZE SAN TOMASO [1180], Sebbene non ne abbiamo sicure notizie rìno all'anno 11 80 (1), nondimeno può essere di origine assai anteriore e forse ne furono fondatori i Sizi, i quali presso la chiesa ebbero case e torri e ad essi per molti secoli appartenne il patronato. I Sizi poi lo divi- sero con i Medici e nel 13 16 era divenuto comune ad ambedue le famiglie. Nel 1349 Giovanni di Cante de' Sizi donava il luogo ove trovavasi la chiesa a Giovanni e Silvestro di Alamanno de' Medici e ai suoi discendenti, che ne divennero gli unici patroni. Dalle poche notizie che ci rimangono di quest' antica chiesa, sappiamo che fu restaurata e ornata dalla casa Medici ; che nel 1400 per opera del rettore Francesco Tendini venne rinnùovato il tetto, come faceva fede un' iscrizione che si leggeva in una trave : Questo lavoro ha fatto fare Mcsscr Francesco dì Giovanni Mattei de Ten- dinis MCCCC. Nel 1191 un tal Marchisello, pittore fiorentino, fece la tavola per 1' aitar maggiore. Di Paolo Uccello era il dipinto, sopra la porta, raffigurante San Tomaso che tocca a Gesù la piaga del costato. Il Richa (2) ricorda due campane antichissime, sulla più piccola delle quali erano quattro gigli con la data MCCLXXII ; sulla più grande si leggevano queste parole : RICHO DI LAPO DA FIRENZE ME FECIT + AN. D~NI MCCCLXXIV e si vedeva uno stemma o un fregio avente otto palle. La parrocchia fu soppressa nell'anno 1769 e la chiesa venne affidata a una confraternita, che 1' ufiziò fino a quando fu demolita per il riordinamento del centro. I restauri neh' interno le avevano tolto ogni orma di antichità. Aveva tre altari e a quello a destra (1) Davidsohn R., Geschichte voti Florcnz, pag. 864. Del Migliore, Firenze illustrata, pag. 484. (2) Notizie isteriche dette Chiese fiorentine, tomo VII, pag. 232. SAN TOMASO — SANTI SIMONE E GIUDA 213 si trovava la pregevole tavola della Madonna, dipinta da Jacopo del Casentino per 1' oratorio della Tromba, donde fu recata quando questo oratorio fu soppresso e ridotto a uso di bottega. All' esterno, e specialmente dalla parte di via delle Ceste, si vedevano le traccie dell'antica struttura. Sull' angolo di via de' Cardinali si trovava un curioso basso- rilievo con un fantastico animale rampante. Era forse lo stemma o l'impresa di qualche famiglia antica del popolo; ma non era cer- tamente 1' arme degli Agolanti, come hanno detto e ripetuto vari antichi eruditi. Alla parrocchia di San Tomaso appartennero gli Agolanti, i Sizi, i Medici, i Renovandi, i Della Tosa. SANTI SIMONE E GIUDA [1192]. Di questa chiesa troviamo memoria fino dall'anno 1192 in cui era già stata eretta in parrocchia. Un atto in data del dì 8 feb- braio di quell'anno ricorda come Ildemaro, abbate di Santa Maria di Firenze, concede a livello a Buoncognovi di Mangialupo e a Pi- golotto suo fratello, in proporzione di metà per ciascuno, quandam plateam et casolare qitod est positiiDi in civitate florentìe prope peri- lasium via torcicoda .... dieci piedi per testa e venti per lunghezza secondo il piede della porta, con la condizione di venire ad sepul- turam ad dictum monastèrium et esse parrochiani et capcllanì ca- pette et ecclesie sancii Synwnis qiiam ibi in predieta nostra vinca edificavimns que est ipsa Capelta predietì monasterii e coli' obbligo di pagare annualmente dieci denari in alba natalis domini (1). Dal (i) Arch. di St. fior., Diplomatico, Badia, 1 1 9 r (ah Inc.), 8 febbraio. 214 LE CHIESE DI FIRENZE documento resulta che la chiesa era stata edificata dai monaci nella vigna di loro proprietà. Il dì 25 maggio dell'anno 1200 troviamo altra concessione livellarla fatta da don Matteo, abbate di Santa Maria di Firenze, a Buonafede di Ildebrandino, di un'aia e di una piazza posta nella vigna del monastero, con la medesima condizione di venire ad se- pùlturam ad dietimi monasteriwm et esse parrochiani ecclesie sancii Simonis ibi prope ipso monasterio constructe .... e di pagare annual- mente sei denari in alba natalis domini (1). Lo stesso abbate Mat- teo, il dì 10 aprile dell'anno 1204, concede a livello a un tal Buo- namico imam plateam et casolare positum florentie in vinca ipsius ììionasterii sempre con la condizione di venire ad sepulturam ad dietimi nionastcriuni et esse parrochiani illius ecclesie ibi prope con- structe e di pagare annualmente sei denari in alba natalis domini obbligandosi il monastero di dare minestronem unius ferculationis a chi recava il censo (2). Per la cresciuta popolazione i monaci determinarono l'amplia- mento della chiesa. Questa ricostruzione sembra che fosse stata ini- ziata nell'anno 1209, trovandosi l'atto che ricorda la benedizione della prima pietra, fatta il 2 di luglio di quell'anno da Gherardo, mo- naco e camarlingo della chiesa e monastero di Santa Maria, il quale vice et nomine prefate ecclesie et monasterii posuit lapidali propriis manibus in fundamento ecclesie sanctorum symonis et jude posile et f nudate et constructe in terreno et solo jamdicte abbaile quod olini fitit vinca dicti monasterii et hoc fecit ad rctinendam possessionem ipsius ecclesie et ad cognoscendum quod in terreno diete abbatie pre- nominata ecclesia sanctorum symonis et jude /nudata et hedificata sit et quod abbaila sii patrona ipsius ecclesie et ut omnibus in po- sterum sit manifestimi dictam ecclesiam esse diete abbatie in per- petuimi et hec fecit ad reverentiam domini pape Innocentii tertii suommque successorum in sancta romana ecclesia catholice existen- tium (3). (1) Arch. di St. fior., Diplomatico, Badia, 1200, 25 maggio. (2) Idem, Diplomatico, Badia, 1204, 10 aprile. (3) Idem, Diplomatico, Badia, 1209, 2 luglio. SANTI SIMONE E GIUDA 215 Il Puccinelli (1) fa memoria di un altro ampliamento della chiesa, che sarebbe avvenuto nell'anno 12 17, ma di ciò non ab- biamo documenti, mentre ci resta quello che attesta la nuova edi- ficazione, di cui per mano di Bartolommeo abbate di Badia fu be- nedetta la prima pietra il dì 9 giugno dell'anno 1243: In dei nomine amen. Dominile incarnationis anno eiusdem mil- lesimo dnccntcsimo quadragesimo tertio quinto idus iunii. Indie/ione prima jf. Pateat manifeste, quod dominus Bartholomeus abbas i/wna- sterii sonde marie de Florentia, vice et nomine ipsius mouasterii ad honorem dei et omnium sauetorum et sedis apostolico et domini epi- scopi et dictorum prelatorum et fratrum et monachorum suorum et parrochianorum ecclesie novelle sauetorum Simonis et judo, posuit et in /andamento locavit, propriis manibus, prò monasterio lapidem au- gularcm in fundamento prediete eeelesie novelle sanctorum Simonis et judo, posile et /nudale et de uovo edificate in tereno iam elicti mo- uasterii et abbaile, quod oli/// full domini guidi bruni et domini re- nucii galigari et ghera retini ei/is fili, ab eis empto prope Perilasium ad retinendam possessio/iem ipsius ecclesie et ad cognoscendum quod in terreno dicti monasteri/' sii dieta ecclesia edificata et /'nudata et quod abbas dicti monasterii sii pafro/ius diete ecclesie et sii o/uni tem- pore et in eternimi et ad perpetuam rei memoriam, reservando eam sibi prò sua ecclesia manuali cum o/uni iure sua et actione et fe/ii- nentiis suis. Fines ecclesie futut a primo latore corurrit via publica que dicitur torcicoda, a seeundo est fluvius schiatte, tertio murus civi- lat/'s, a quarto est Resalitù et frafres et plurimi parrochiales ipsius ecclesie. Acta sunt lice felle iter in elida terra et ecclesia, presentibus presbitero rodulpho rectore ipsius ecclesie prò diete? monasterio et domino benedicto et Paln/erio, donato et bandi/io monachis et fratri- bus dieii monasteri/' et presentibus testibus ad lieo congregate, magi- stro guidone .... et multis aliis. Ego bonaredicta ildebrandi domi///' ftderici Imperatoris ordina- rius judex et notarius pred/'et/'s cium agerentur rogatus tute/fui et (1) Cronica dell'Abbadia fiorentina, Milano, i6r4, pag. 21. 216 LE CHIESE DI FIRENZE ea omnia a me acta pub/ice scripsi fideliter et in puMicam formarti, redegi et publicavi ideoque rogatus ss.(i). Con la data di questo documento concorda 1' antica iscrizione, che tuttora si legge sulla facciata della chiesa : CVRREBANT XPl TVNC ANNI TEMPORIS ISTI MILLE DVCENTENI POST TRES QVATER INDEQ. DENI CVM SACRA SANCTOR SIMONIS JVDEQ. TVOR FIT DOMVS ISTA DEVS ABBAS QVEM BARTHOLOMEVS EX ABBATIA TITVLAT QVAM SANCTA MARIA DE FLORENTINA PRE QVALIBET VRBE LATINA CONSTRVXIT. PRIMVM LAPIDEM DVM FIXIT. IN. IMVM ET QVIA TERRENO FVNDAVIT NON ALIENO SET PROPRIO TVRBIS SICVT PATET ISTIVS VRBIS EST HINC IVRE BONVS DNS VERVSQ. PATRON. I primi due versi suscitarono tra gli antichi eruditi grandi dispute, tra i quali alcuni ritennero che indicassero l'anno 1222, perchè moltiplicando il tre quattro volte e aggiungendo il numero dieci, sommano ventidue dopo il mille duecento. Il Richa non am- mette alcuna moltiplicazione e così ritiene che sia indicato Tanno 1217. Lo Strozzi moltiplica il dieci per quattro e così resulta il 1243. E questa è l'epoca esatta della edificazione e dell'ampliamento della chiesa. Infatti quel tres, qncitcr è evidente che non può essere som- mato insieme: i° perchè l'autore avrebbe posto la parola septem e gli sarebbe tornato parimente il verso dicendo : mille ducentcni septem post indeqìie deni ; 2° perchè usa le parole tres e qnater: la prima delle quali è aggettivo numerale cardinale e indica tre, la seconda è un avverbio, che vuol dire « quattro volte » e non quattro, che in latino dicesi qnatuor. Ora se differente è il signi- ficato di queste parole, differente deve essere anche il computo dei numeri; e però moltiplicando il dieci per quattro volte, chiaramente ne deriva 40, a cui aggiungendo le altre parti, si ha il 1243. Lo Strozzi fa memoria di una lite che i monaci di Badia eb- bero con un tal Foreso Mannello e un tal Picchio, i quali nel- l'anno 1225 avevano iniziata la fabbrica di una chiesa nel popolo (1) Ardi, di St. fior., Diplomatico, Badia, 1243, 9 giugno. SAX PIER BUONCONSIGLIO 217 di San Simone. Qual titolo avesse questa chiesa e dove precisa- mente fosse fondata, si ignora. Chi visita oggi la chiesa di San Simone, invano cercherebbe traccia di antichità, essendo stata completamente rinnuovata, sul di- segno di Gherardo Silvani, nella prima metà del secolo XVII men- tre era priore Giovanni Niccolai, lucchese, prete ricco di dottrina e di denari. Allora andarono disperse molte antiche memorie sepol- crali, distrutte le antiche cappelle, remosso il coro, che secondo l'antica liturgia, trovavasi davanti l'altare e fu allora che, proba- bilmente, andò perduta la memoria della sepoltura di Raffaellino Del Garbo, maestro del Bronzino, morto nel 1524. L'antica cappella maggiore, che venne fondata e dotata dalla famiglia Lottini, nell'anno 1625 fu concessa alla famiglia Galilei, la quale restaurò il coro, il santuario e la sagrestia. SAN PIER BUONCONSIGLIO [1198]. Sebbene le prime notizie di San Pier Buonconsiglio risalgano all'anno 1198 (1), pure sembra di origine assai più antica, e la spiegazione del vocabolo che la distingue deve ricercarsi nell'uso abituale dei tempi della Repubblica di convocare Le adunanze dei cittadini nelle chiese per discutere gl'interessi della patria, e si può supporre che da una di queste riunioni uscisse un consiglio tanto utile per la città, da meritare che se ne tenesse ricordo nel nome dello stesso edifizio che aveva accolti i cittadini. Non è mancato chi ha inventato un Buono di Consiglio, al quale si è appropriata la costruzione e il patronato della chiesa; o chi favoleggiando ha preteso trovarne la spiegazione nella storiella della cavolaia (2). (1) Davidsohn R.., Ccschiihtc non l-'lorcnz, pag. 864. (2) Si diceva che una venditrice di ortaggi, che stava presso questa chiesa e di faccia all' ingresso del vecchio Campidoglio al tempo in cui To- tila s'era fatto signore di Firenze, aveva notato che dei molti cittadini po- 2l8 LE CHIESE DI FIRENZE Secondo il Richa (i), per la sua ubicazione sarebbe stata detta ecclesia sancii Petri de Foro Veteri, ad Forum Regis, San Piei'o in Palco de Foro Veteri e quindi San Pierino, come fu volgarmente chiamata, prima che fosse stata chiusa al culto. Fu delle trentasei antiche parrocchie e collegiata con canonici. Bassorilievo di Luca della Robbia. È compresa nell'elenco vaticano dell'anno 1275 e pagava di censo 11. 7. Fcclesia sancii Petri Bonconsigli IL 7. Conservò la sua primitiva struttura fino all'anno 1736 in cui fu restaurata e abbellita secondo il gusto dei tempi. Vi si accedeva tenti di Firenze chiamati a consiglio nella rocca o Campidoglio dal bar- baro re, nessuno era più uscito; talché, supponendo razionalmente che fossero stati presi in agguato, ebbe cura di sconsigliare gli altri, che si presentavano dipoi, dall' accogliere il menzognero invito di pace del con- quistatore. (1) Notizie {storiche dette Chiese fiorentine ; tomo VII, pag. 297. SANTA MARIA ALBERIGHI per una ben alta scala, essendo stata fabbricata ad un livello assai superiore del piano stradale. Fu di patronato dei popolani, i quali nel 1565 il dì 9 di agosto rinunziarono ai loro diritti, cedendoli a messer Lelio Torelli da Fermo, auditore e segretario del duca Cosimo I, con facoltà di trasmetterli nei figli e successori. E questo perchè il Torelli, abi- tando nel prospicente palazzo Della Luna, aveva con doni e con offerte addimostrato di avere singolarmente a cuore la vecchia chiesa. Nel 1608 Francesco Antonio del fu Francesco di messer Lelio e Lelio di lui fratello, cedevano il patronato al senatore Girolamo De' Sommaia, appartenente a un' antica famiglia che aveva avute le sue primitive case in mercato, presso San Miniato fra le Torri. La chiesa fu soppressa nell'anno 1785 e prima che venisse demolita per il riordinamento del centro, il locale serviva ad uso di una fabbrica di nastri. Sulla porta trovavasi un superbo basso- rilievo di Luca della Robbia, che adesso si conserva nel Museo Na- zionale. E ricordata nel diario del Rustichi con queste parole : li vi lachicsa disanto pìcro bonchonsiglw (1). SANTA MARIA ALBERIGHI [1199]- Alla famiglia Alberighi appartenne questa chiesa, come ci attesta il Villani (2), la cui origine rimonta probabilmente agli ultimi anni del secolo XII (3). Aveva dinanzi la piazzetta che tuttora esiste e sulla quale si può vedere la porta murata della chiesa, che nel secolo XVI fu ridotta a sagrestia della Madonna de' Ricci. A tergo aveva la via dei Tebaldini, detta poi via dello Studio, e ai lati due viuzze. (1) A c. 30. (2) Cron., lib. IV, cap. XI. (3) Davidsohn R., Geschichte von Florenz, pag. 864. 220 LE CHIESE DI FIRENZE Trovasene memoria in ima sentenza di sospensione e scomu- nica del dì ii ottobre 12 io, pronunziata dopo diversi termini da Ugo, canonico di Fiesole e delegato apostolico, contro Bonaiuta priore di San Donato a Torri: .... acta fiicrunt florcntic in eccle- sia scinde viarie alberìchi. Anno dominice i?icarnationis millesimo CCX. V° id. octobris ind. XIII (1). E pure ricordata in un lodo pronunziato il dì 23 ottobre dello stesso anno da mess. Giovanni, priore di Fagna, e dai sacerdoti mess. Pratese di San Pancrazio e Guidone di Santa Maria Ughi, arbitri nella lite vertente tra prete Ranieri priore di San Paolo in nome della sua chiesa da una parte e prete Paolo rettore della chiesa e cappella di Santa Maria No- vella dall'altra. Per questo atto venne circoscritta la parrocchia di ambedue le chiese ed obbligato il rettore di San Paolo a pagare 11. 3 di buoni denari: acium florentie in ecclesia sancte marie al- beri giù (2 ). Ouest' antica chiesuola fu una delle trentasei parrocchie : ebbe in principio un solo altare e dalla miniatura del Rustichi si vede che aveva una piccola torre campanaria, sormontata da una cu- spide (3). Trovasi neh' elenco vaticano tra le chiese che porgevano la decima ed era tassata per 11. 8. SAN VINCENZO NELL'EPISCOPIO [1200]. A San Vincenzo martire era dedicata la cappella dell'antico palazzo episcopale. Sebbene di origine incerta, nondimeno era an- tichissima, trovandosene ricordo in una carta del dì 13 di febbraio dell' anno 1 200, stile comune, nella quale si legge che Ildebrando, vescovo di Volterra, promette e giura di difendere i Fiorentini contro (1) Arch. di St. fior., Diplomatico, S. Maria Novella, 1210, 11 ottobre. (2) Idem, Diplomatico, S. Maria Novella, 1210, 23 ottobre. (3) A c. 28. S. VINCENZO NELL'ePISC. — S. MICHELE DEI VICED. 22 1 gli uomini di Semifonte. Il giuramento ebbe luogo in civitate Flo- rentia in ecclesia sanili Vincentii de palatio fiorentini episcopi (i). Neil' archivio capitolare trovansi vari atti rogati nella cappella di San Vincenzo e quivi avevano termine le cerimonie della presa di possesso del novello vescovo. San Vincenzo martire era invocato tra i patroni dell' episco- pato insieme ai Santi Giovanni Battista, Zanobi e Reparata e se ne trova commemorata la festa nel codice Mores et consuetndines canonicae florcntinae in questi termini : prò scindo Vincentio sicut in dominica. Questa vetusta cappella rimase distrutta dall' incendio del- l' anno 1533, che rovinò quasi completamente il palazzo episcopale. SAN MICHELE DEI VICEDOMINI [■275]- Mentre è certo che fu eretta dalle potenti famiglie dei Vice- domini (2), dette poi Bisdomini o Visdomini, da cui prese il nome e che tuttora ritiene, non si può però determinare l'epoca della sua origine, essendo andati perduti i documenti che avrebbero potuto attestarne l'antichità. La prima volta che si trova ricordata è nel- l'elenco vaticano dell'anno 1275, nel quale si legge che pagava la decima in 11. 8 e soldi 10: Ecclesia sa ne ti Michelù de Vicedominis II. 8, s. 10. Nell'anno 1298 furono esaminati i testimoni, i quali (1) Santini, Documenti dell' antica costituzione del Comune di Firenze^ pag. 56-57. Lami, lìcci. Fior. Man., voi. 1, pag. 9S9. (2) Il Vicedomino o Visdomino del palazzo Lateranense presiedeva all'azienda domestica e ai famigliari del medesimo; tale ufficio equivaleva all'odierno maggiordomo. Questo ufficio fu introdotto anche in Firenze tino dal secolo IX e probabilmente prima fu affidato ai chierici, donde passò negli Aliotti, nei Tosinghi e in altre potenti famiglie. Ad esse spettava l'amministrazione dei beni del vescovado durante la sede vacante e 1' in- sediare il nuovo vescovo. Inutile aggiungere che tali privilegi degenera- rono in abusi fino a dilapidare il patrimonio ecclesiastico. Nel patriarchio Lateranense la carica di Vicedomino fu soppressa nel secolo X 1 . 222 LE CHIESE DI FIRENZE deposero che era stata edificata da 200 anni, da quelli della fami- glie dei Vicedomini, i quali ne erano patroni. Era compresa nel primo cerchio di mura e trovavasi a tergo di Santa Reparata, presso le case di quella famiglia, dalla quale prese nome anche una postierla, postatila Vicedomini (1), corrispondente in faccia all'odierna via dei Servi. Fino dal 1300 ne fu decretata la demolizione e fissato il prezzo dell' indennità ; ma il completo disfacimento non avvenne che nel 1368 e sul prezzo, dopo tanti anni, ebbero luogo contestazioni, sciolte col parere di un giurisperito e coli' attestato della banca de' Bonifazi (2), alla quale fu ricorso per conoscere qual differenza fosse dal 1300 al 1367 sul valsente del fiorino d'oro; differenza notevolissima, avendo l' Opera di Santa Reparata dovuto pagare ottocento venti- nove lire, sette soldi e sei denari sopra le duemila convenute. Ma i conti fra il rettore di San Michele de' Vicedomini e gli Operai non rimasero liquidi ; e ci volle un lodo, che fu dato nelle debite forme nel giugno nell'anno 1368, etra le altre condizioni fu con- venuto che gli Operai .... in dieta ecclesia nova sancii Michaelìs hedijìcari facerc duos aliarcs cum lapidibus qne sunt in ecclesia que destrui debet suis expensis : et actari facerc in dieta ecclesia nova tabernaculum sancii Michaelis et super co poncrc sanetnm Mìchaelem prout est mine in ecclesia vetcra (3). La solenne fondazione della nuova chiesa avvenne il 29 feb- braio del 1364, per mano di frate Andrea de' Corsini, venerabile vescovo di Fiesole, trovandosi assente in servizio della Sede apo- stolica il vescovo di Firenze. Nell'atto sono rammentati tutti coloro dei Vicedomini a cui spettava il patronato della chiesa, i confini della quale erano determinati a j" via que diciiur via sancii Gilii^ a ij° via cui dicitur via di Balla, a iij° filiorum et heredum Neriì condam Lippi a iiij domine (4). Fu scritto che fosse stata costruita sul disegno di Andrea Orcagna ; ma questa opinione non trova appoggio nei documenti, dai quali invece resulta che lo stesso < i ) Arch. Cap., 11. 94. (2) Guasti C, Santa diaria del Fiore, Firenze, 18S7, doc. 168, pag. 1S5. (3) Idem, doc. 204 e 206, pag. 212 e seg. (4) Idem, doc. 115, pag. 154. SANTA MARIA NIPOTECOSA 223 giorno 29 febbraio 1364, gli Operai di Santa Reparata, dettero commissione a Giovanni di Lapo Ghini, capo maestro dell'Opera, di stabilirne le misure e il disegno (1). Mariotto di Nardo, nipote di Andrea Orcagna, a detta del Va- sari « fece in Fiorenza a fresco, il Paradiso di San Michel Bisd< - « mini nella via de' Servi ; e la tavola d'una Nunziata come è sopra « l'altare ; e per Mona Cecilia de' Boscoli, un'altra tavola con molte « figure, posta nella medesima chiesa presso la porta ». Nel 1552 la chiesa fu concessa ai monaci celestini, i quali, con i legati e le molte elemosine, poco dopo posero mano a restaurarla completamente, to- gliendole ogni impronta di antichità. Nondimeno agli altari furono collocati dei buoni dipinti, dovuti all'Empoli, al Pontormo, al Pas- sionano. L'ultimo restauro, compiuto nel 1872, disperse molte del- l' antiche lapidi sepolcrali di cui era ricca la chiesa. Sulla facciata è 1' arme della famiglia patrona che è ricordata da questa iscrizione : L'antica denominazione Ncpotccosc, Nipotccosa, con la quale fu generalmente distinta questa chiesa, è originaria dalla famiglia che ne fu la fondatrice. Nepotumcose non sono che gli Adimari nipoti de' Cosi: « i quali Cosi oggi abitano in Porta Rossa: e uno di loro « per antico fece la chiesa di Santa Maria Nipotecosa, e però « è così nominata la detta chiesa ». Cosi il Malespini (2). QUESTO SEGNO E COMUNE DE' VICEDOMINI E FIGLIUOLI DELLA TOSA ALIOTTI FONDATORI E PATRONI DI QUESTA CHIESA SANTA MARIA NIPOTECOSA 11) Guasti Santa Maria del Fiore, Firenze, 1887, doc. 113, pag. 153. '2) Storia fiorentina, cap. LII. 224 LE CHIESE DI FIRENZE Giovanni Villani scrive : « Eranvi gli Adimari, i quali furono « stratti di casa i Cosi, che oggi habitano in porta rossa, et santa « Maria Nepotecosa fecero eglino ». La prima volta, che troviamo ricordati gli Adimari nipoti de' Cosi, è in una cartapecora di Val- lombrosa del dì 13 gennaio 1105, nella quale si legge che Piero del fu Bernardo fa donazione a Donzella di Ranieri della terza parte dei beni immobili che possedeva in Firenze, a Gignoro, a Ripoli e altrove. L' atto è rogato in Firenze e tra le firme dei testimoni vi è quella di adimari ncpos cose.... (1). Santa Maria Nepotecose trovasi nel citato elenco vaticano dell'anno 1275 e nell'atto di nomina del procuratore del clero, dell'anno 1286, tra i rettori delle chiese di Firenze comparisce presbite? zaccheus rector ecclesie sancte Diarie nepoticose (2). Marco di Bartolommeo Rustichi la ricorda così nel suo codice : E vi lachiesa disanta, maria nipotcchosi, e ne riporta il disegno come trovavasi ai suoi tempi (3). Sarebbe stata detta anche degli Adimari dalle case di questa famiglia prossime alla chiesa, talvolta del Giglio (4) dal canto del Giglio dove trovavasi edificata. Il titolo di San Donnino, con cui talvolta vien chiamata, forse non è più antico del secolo XVII e deve avere avuto origine dal culto che prestavasi particolarmente a questo Santo, invocato per la guarigione dei morsi dei cani arrabbiati, se pure non sia il titolo di qualche chiesuola anticamente esistente nella stessa via e che per essere stata demolita, sia stato unito a questa chiesa. La facciata era decorata da due ovati dipinti a fresco, uno dei quali rappresentava San Cristoforo e l'altro San Donnino. Seb- bene più volte restaurata, conservava in gran parte l'antica strut- tura : aveva l' altare principale vòlto a oriente e il presbiterio ele- vato dal suolo. Presso la chiesa, in alto, eravi un terrazzo, circa il quale molto discussero gli eruditi del secolo XVIII, ma che non doveva avere (1) Arch. di St. fior., Diplomatico, Vallombrosa, 1105, 13 gennaio. 121 Lami, lìcci. Fior. Mon. } voi. II, pag. 1135. (3) A c. 28 2 . (4j Richa, Notizie istorie he delle Chiese fiorentine } tomo VII, pag. 220. SANTA MARIA DI OR SAN MICHELE 225 altro scopo che la vista degli spettacoli, che spesso si davano nel Corso. Fu delle trentasei parrocchie e rimase soppressa con tante al- tre antiche chiesuole nell'anno 1768. E oggi ricordata da questa iscrizione, che si legge sullo stabile col n. 18 in via Calzaioli : INSINO ALL' UNDECIMO SECOLO QUI SORGEVA LA CHIESA DI S. MARIA NIPOTECOSA ABOLITA NEL MDCCLXVIII SANTA MARIA DI OR SAN MICHELE [1291]. Uno dei monumenti più insigni della nostra Firenze è senza dubbio l' Or San Michele. La fede, il commercio, le arti lo inal- zarono a gloria di quella Madonna, che sentiremo proclamata la protettrice del popolo fiorentino. Quanti ricordi stanno scritti su quelle pietre ! di quale culto si onorò quella bella Madonna, in- castonata nel meraviglioso tabernacolo dell' Orcagna ! L' origine del santuario si confonde con la storia della loggia, che il Comune di Firenze aveva fatto edificare sull' area della vec- chia demolita chiesa di San Michele e che doveva servire per la conservazione dell'annona. La loggia indubitatamente era compiuta nel 1290, come si ricava da una provvisione del dì 3 agosto, nella quale si rammentano i deputati ad custodiendum granum et bladum quod reponitur sub logia communis orti sancii Michelis{i). Essa occupava quasi tutta la superficie compresa dall'attuale edifizio ed era distribuita, nel suo organismo costruttivo, con pi- lastri reggenti archi di sesto scemo, murato il tutto con mattoni e cemento, e sopra questi, un sistema ordinato di vòlte a crociera. Copriva la fabbrica un tetto di legno assai sporgente, sostenuto al- l' interno con Cavalletti e all'esterno con mensoloni, correnti, travi- celli e tavole, di forma simile a quelle tettoie di cui rimane tuttora il modello nella vicina loggia detta del Bigallo. (1) Gaye, Carteggio inedito d'artisti, tomo I, pag. 421. Cocchi, Le Chiese di Firenze. 15 22Ó LE CHIESE DI FIRENZE In un pilastro di questa loggia fu collocata l' immagine della Vergine, in onore della quale, il dì io agosto dell'anno 1291, sap- piamo che si formò una compagnia di Laudesi che si disse de la beata vergine pìira madonna santa maria di samichele in orto ; il che ci assicura che quella immagine era divenuta subito oggetto di culto speciale, se molti si unirono in devota compagnia per ono- rarla. Sotto la data del dì 3 luglio 1292, Giovanni Villani scrive, che « si cominciarono a mostrare grandi e aperti miracoli nella « città di Firenze per una figura dipinta di Santa Maria in uno « pilastro "della loggia d'orto San Michele, ove si vende il grano, « sanando infermi, e rizzando attratti, e isgombrando imperversati « visibilmente in grande quantità. Ma i frati predicatori e ancora « i minori per invidia o per altra cagione non vi davano fede, « onde caddono in grande infamia de' fiorentini. In quello luogo « d' orto San Michele si truova che fu anticamente la chiesa di « San Michele in orto, la quale era sotto la badia di Nonantola « in Lombardia, e fu disfatta per farvi la piazza; ma per usanza « e devozione alla detta figura, ogni sera per laici si cantavano « laude; e crebbe tanto la fama de' detti miracoli e meriti di no- « stra Donna, che di tutta Toscana vi venia la gente in peregri- « naggio per le feste di Santa Maria, recando diverse imagini di « cera per miracoli fatti, onde grande parte della loggia dinanzi « e intorno alla detta figura s' empiè, e crebbe tanto lo stato di « quella compagnia, ov' erano buona parte della migliore gente di « Firenze, che molti beneficii e limosine, per offerere e lasci fatti, « ne seguirono a' poveri l'anno più di seimila libbre; e seguesi « a' dì nostri, sanza acquistare nulla possessione, con troppo mag- « giore entrata, distribuendosi tutta a' poveri » (1). Le parole poco chiare del cronista mettono in dubbio se l'im- magine fosse dipinta sul pilastro, ovvero in una tavola appesa ad esso. Alcuni ritennero che fosse veramente dipinta sul pilastro; al- tri invece sono di opinione che il Villani abbia scritto di una pit- tura sulla tavola e che non altrimenti si debba interpretare quella sua espressione. Ma che 1' immagine fosse veramente dipinta sul (1) Cron., lib. VII, cap. CLV. La Madonna di Or San Michele. (Miniatura del 1340. Dal Libro dei Lasciti alla Compagnia dei Capitani, e. 1). SANTA MARIA DI OR SAN MICHELE 229 pilastro, chiaro lo mostrano gli stessi capitoli dei Laudesi, compi- lati nell'anno 1294(1), nei quali mentre si rammenta la tavola di messer santo michele, che si venerava sotto la loggia, parlandosi della Madonna, è detta sempre figlerà e giammai tavola, come sa- rebbesi detta se fosse stata dipinta sull'asse al pari dell'altra. Fi- gura è pure detta nei capitoli compilati il 18 giugno 1297, che di poco diversificano dai precedenti, sia per la forma, che per le disposizioni che vi si contengono (2). Il famoso incendio del dì 10 giugno 1304, suscitato per odio di parte da Neri degli Abati priore di San Piero Scheraggio, che distrusse gran parte della città, tutta arse la loggia, la quale ade- riva con uno dei suoi lati al palazzo degli Abati e con l'altro a quello dei Galigai (3). Che avvenisse della figura di Maria non è noto; certamente il fuoco, le rovine, il fumo debbono averle apportati grandi guasti : non pertanto si pensò subito a rinnuovare la loggia e sembra che in via provvisoria fosse costruita in legno. Nel 1308, cioè quattro anni dopo l'incendio, la Repubblica spendeva 300 fio- rini d'oro per riparazioni e nel 1321 si spendevano altri denari per la sua maggior conservazione. Il pilastro su cui era dipinta la figura venerata, era stato circondato da un casotto, parte del quale serviva a uso di oratorio, mentre il restante era destinato a casa e bot- (1) Arch. di St. fior., Diplomatico, Capitani di Or San Michele, cod. 476, cap. XIII, pag. 19, 20: Che non si mostri overo si schuopra la figura de- la detta nostra domna sanza torchi accesi. Anche ordiniamo e fermiamo a la reverenza de la detta nostra domna vergine madomna santa maria perchè sempre la sua devo t ione crescita e mol- tiplichi e vada inamzi. Che e i chapitani ol preposto di loro overo li camar- linghi od alcuno di loro cum parola del preposto o sci preposto non si potesse in quellora avere cum parola dalchuno decapitani. Siano tenuti e dediano che qualunque ora e quante fiate si levasse lo velo o sabassasse o sischoprissc la fi- gura de la detta nostra domna perdivotione di persone che lavolessero vedere di fare acendere sempre due torchi ne la do tega de la conpaguia e così acesi portarli dinanzi da lei quando ella siscoprissc o simostrasse et tanto tenerli acesi quanto stesse scoperta. E per podio o picholo spatio di tenpo la facciano stare in quellora schoperta. (2) Si trovano nello stesso codice n. 476 e sono approvati dal vescovo Francesco Monaldeschi. Il cap. XII ripete che non si debba scoprire la figura dela detta nostra domna sanza torchi accesi. (3) Villani Giovanni, Cron., lib. Vili, cap. LXXI. 23° LE CHIESE DI FIRENZE tega della fraternità e così pare che restasse quel luogo fino al 1333, essendosi in quell'anno nominata una balìa con lo scopo di prov- vedere alla loggia (1). Nel 1333 furono anche nuovamente compi- lati i capitoli della compagnia, ampliando i regolamenti e modifi- candoli, secondo consigliava la esperienza e la maggiore importanza acquistata dalla fraternità (2). Con provvisione del 25 settembre 1336 fu decretato che la loggia da fabbricarsi dovesse servire simultaneamente al culto della Vergine e alla custodia del grano, deputando per la sua costruzione la rendita della gabella delle bigoncie che si prestavano nella piazza e sotto il portico di San Michele, il provento della spazzatura di quei luoghi, non scarso, perchè comprendeva il grano che si ver- sava sul suolo e finalmente la gabella della pesatura delle farine (3). Giovanni Villani sotto l'anno 1337 scrive che (4) « a dì 29 di lu- « glio, si fecie i pilastri della loggia del palagio d'orto San Mi- « chele di pietre concie, grosse e ben fondate, che erano prima « sottili, di mattoni e mal fondati. E furono a ciò i Priori e il Po- « testà e il Capitano con tutti gli ordini della Signoria di Firenze, « con grande solennità; e ordinarono di sopra uno magnifico e gran « palagio con due volte ove si governasse e guardasse la provvi- (1) Gaye, Carteggio inedito a" artisti, tomo I, pag. 478. (2) Arch. di St. fior., Diplomatico, Capitani di Or San Michele n. 474. Questi capitoli mancano del principio e cominciano dall' ottava rubrica. La Madonna non è più detta figura, ma imagine. La rubrica X riguarda lo- ratorio della imagine della donna nostra; la XII tratta della bottega della compagnia; la XIIII dell' ufficio dei governatori delle laudi, che si cantano ogni sera dinanzi alla ymagine della nostra donna al pilastro sotto la log- gia; la XXX come si debia tenere coperta la imagine de la nostra donna. La imagine dela nostra donna si debba tenere coperta con velo o vero con veli sottili e gentili di seta. E fatta la predica sotto la loggia si deb- bia scoprire e mostrare le domeniche e le feste le quali piacerà a rectori e ca- pitani con due torchi accesi. E quando venissono forestieri chellavolessono vedere si debbia scoprire e spazare di licentia del proposto od alcuno de ca- pitani e poco tenere scoperta per volta epoi ricoprire. I capitoli del 1294, del 1297, del 1333 furono pubblicati la prima volta in Lucca nel 1859 dall'avvocato Leone Del Prete, rendendo impor- tante servizio alla storia e alla lingua, essendo scritti in volgare. (3) Gaye, Carteggio inedito d' artisti, tomo I, pag. 48. (4) Gran., lib. XI, cap. LXVII. SANTA. MARIA DI OR SAN MICHELE 231 « sione del grano per lo popolo. E la detta opera e fabbrica fu data « in guardia all'Arte di Por Santa Maria, e deputossi al lavorio la « gabella della piazza e il mercato del grano, e altre gabelle di « piccole entrate a tale impresa, a volerla tosto compiere. E or- « dinossi che ciascuna arte di Firenze prendesse il suo pilastro, e « in quello facesse fare la figura di quel santo in cui l'arte ha « riverenza: e ogni anno per la festa del detto santo i consoli della « detta arte co' suoi artefici facessero offerta, e quella fosse della « compagnia di madonna Santa Maria d' Orto San Michele per di- « spensare a' poveri di Dio : che fu bello ordine, divoto e onore- « vole a tutta la città ». La prima pietra della nuova loggia fu benedetta dal vescovo Francesco Silvestri da Cingoli il giorno 29 luglio 1337, presenti i Signori del Comune, i giudici e gli ambasciatori. In quella solenne circostanza si coniavano medaglie d'oro e d'argento con la scritta: Ut magniftce?itia populi fiorentini artium et artificum ostendatur. Reipublicae et populi honor et decus. Chi facesse il disegno di questo grandioso edifizio, non è ben determinato, ma trovandosene affidata la cura all'Arte di Por Santa Maria, alla quale appartenevano gli orafi, i quali erano i generatori di tutti gli artefici, come primi maestri del disegno, si può supporre che ne fosse stato autore un orafo, sebbene comunemente si ritenga opera di Taddeo Gaddi; il quale peraltro, se fece il disegno, se cominciò l'opera, non potè vederla compiuta. E certo che nella costruzione ebbero gran parte Francesco Talenti, Neri di Fioravante, Benci di Cione, Andrea Orcagna, a cui si deve il tabernacolo della Madonna. La famosa peste del 1348 produsse tante offerte e doni in onore della Vergine, che il tesoro raccolto fu sufficiente per l'ere- zione del tabernacolo e per fondare le rendite necessarie per il culto. L' Orcagna ne fu l'architetto e lo scultore. Intorno a ciò ab- biamo dal Vasari queste notizie: « Poco di poi, avendo gli uomini « della compagnia d' Orsanmichele messi insieme molti danari, di « limosine e beni stati donati a quella Madonna per la mortalità « del 1348, risolverono volerle fare intorno una cappella, ovvero « tabernacolo, non solo di marmi in tutti i modi intagliati e d'al- « tre pietre di pregio ornatissimo e ricco, ma di musaico ancora 232 LE CHIESE DI FIRENZE « e d'ornamenti di bronzo, quanto più desiderare si potesse; in- « tanto che per opera e per materia avanzasse ogni altro lavoro « insino a quel dì per tanta grandezza stato fabbricato. Perciò « dato di tutto carico all'Orgagna, come al più eccellente di quel- « l'età, egli fece tanti disegni, che finalmente uno ne piacque a « chi governava, come migliore di tutti gli altri. Onde allogato « il lavoro a lui, si rimisero al tutto nel giudizio e consiglio suo. « Perchè egli, dato a diversi maestri d'intaglio, avuti di più paesi, « a fare tutte l'altre cose, attese con il suo fratello a condurre « tutte le figure dell'opera; e finito il tutto, lo fece murare e com- « mettere insieme molto consideratamente, senza calcina, con spran- « ghe di rame impiombate, acciocché i marmi lustranti e puliti « non si machiassono: la qual cosa gli riuscì tanto bene, con utile « e onore di quelli che sono stati dopo lui, che a chi considera « quell'opera pare, mediante cotale unione e commettiture trovate « dall' Orgagna (i), che tutta la cappella sia cavata d'un pezzo di « marmo solo. E ancora ch'ella sia di maniera tedesca, in quel « genere ha tanta grazia e proporzione, ch'ella tiene il primo luogo « fra le cose di que' tempi ; essendo massimamente il suo compo- « nimento di figure grandi e piccole, e d'Angeli e Profeti di mezzo « rilievo intorno alla Madonna, benissimo condotti. E maraviglioso « ancora il getto dei ricignimenti di bronzo diligentemente puliti, « che girando intorno a tutta l'opera la racchiuggono e serrano « insieme; di maniera che essa ne rimane non meno gagliarda e « forte, che in tutte l'altre parti bellissima. Ma quanto egli si af- « faticasse per mostrare in quell' età grossa la sottigliezza del suo « ingegno, si vede in una storia grande di mezzo rilievo nella « parte di dietro di detto tabernacolo; dove in figure d'un brac- « ciò e mezzo l'una, fece i dodici Apostoli che in alto guardano « la Madonna, mentre in una mandorla circondata di Angeli saglie « in cielo (2). In uno dei quali Apostoli ritrasse di marmo sè stesso ( 1 ) Non sembra vero che tali commettiture fossero ignorate dagli antichi. (2) Questa descrizione non è esatta. Due sono veramente i soggetti di questo grande bassorilievo. In basso è il Transito della Vergine, circon- data dagli Apostoli, tutti intenti a rimirarla; in alto e dentro una man- dorla, la Vergine portata in cielo dagli Angeli. Gli altri bassorilievi intorno La Madonna di Or San Michele. (Tavola attualmente esistente nel Tabernacolo). SANTA MARIA DI OR SAN MICHELE 235 « vecchio com'era, con la barba rasa, col cappuccio avvolto al capo, « e col viso piatto e tondo; come di sopra nel suo ritratto cavato « da quello si vede. Oltre a ciò, scrisse da basso nel marmo que- « ste parole: + ANDREAS CIONIS PICTOR FLORENTINVS ORATORII ARCHIMA- GISTER EXTITIT HVJVS MCCCLIX;- « Trovasi che l'edifizio di questa loggia e del tabernacolo di marmo, « con tutto il magisterio, costarono novantaseimila fiorini d'oro (1); « che furono molto bene spesi, perciocché per l'architettura, per « le sculture e altri ornamenti così bello, come qualsivoglia altro « di que' tempi; e tale che per le cose fattevi da lui, è stato e « sarà sempre vivo e grande il nome di Andrea Orgagna ». Nel tabernacolo, quasi preziosa gemma, fu incastonata quella stupenda tavola della Vergine, che gli annotatori del Vasari hanno descritta come « una delle più mirabili produzioni dell'arte rin- « giovanita, fatta più corretta e gentile, nella quale alla grazia e « dolcezza indescrivibile di espressione, alla bellezza delle teste è « accompagnato un magistero di disegno specialmente in quella « del Divino Infante e nella mano destra della Madonna, veramente « mirabile » e non dubitano di riporre quell'opera « tra quanto « di più bello la pittura produsse mai fino alla metà del secolo XIV ». Scrisse il Vasari (2), raccogliendo la tradizione, che Ugolino da Siena « fece in un pilastro di mattoni della loggia che Lapo « avea fatto alla piazza d' Orsanmichele, la Nostra Donna » e que- sta figura potrebbe essere quella riprodotta nella bellissima minia- tura che si vede nella prima pagina del libro dei lasciti fatti alla al basamento dal Vasari non descritti sono: I. Sul lato destro, la nascita della Madonna e l'andata al tempio, e in mezzo a questi una formella più piccola, ov'è la Fede. II. Sul davanti, lo sposalizio di Maria Vergine e l' Annunziazione e in mezzo la Speranza. III. Sul lato sinistro la Nascita di Nostro Signore e l'Adorazione dei Re Magi, colla Carità in mezzo. IV. Nella parte posteriore, la presentazione al Tempio e l'Angelo che an- nunzia alla Vergine di fuggire in Egitto. Troppo si richiederebbe a descri- vere tritamente tutte le altre parti di questo ricco e maraviglioso lavoro. (1) Sembra che la spesa ammontasse invece a ottantaseimila fiorini d'oro, pari a lire italiane 3,852,800. (2) Vita di Stefano Fiorentino. 236 LE CHIESE DI FIRENZE compagnia de' capitani e che appartiene all'anno 1340(1). La Ma- donna è seduta in trono col divino fanciullo in collo ed è fiancheg- giata da quattro angeli, due dei quali in basso con i turriboli. A questa immagine, danneggiata dall'incendio del 1304, guasta più ancora dalla inondazione del 1333, che sotto la loggia si elevò a grande altezza, fu poi certamente sostituita un' altra simile, che i documenti ci attestano quale opera di Bernardo Daddi, pittore fio- rentino (2). Infatti, in un libro dove sono registrate le elemosine fatte dalla compagnia di Or San Michele alle povere persone della città, nella nota sommaria delle spese, in data i° maggio 1346, si legge: A Bernardo Daddi dipintore che dipinge la tavola di Nostra Donna; in prestanza per la detta dipintura fiorini quattro doro (3). In un altro libro, sotto il dì 16 giugno 1347, è riportata que- sta partita: A Bernardo di D addo dipintore per parte di pagamento de la dipintura de la tavola nuova di Nostra Doìina fiorini qttattro (4) . Sull'appoggio di questi due documenti, fu scritto che la ta- vola, la quale al presente si vede nel tabernacolo, sia quella del Daddi; ma contro questa opinione abbiamo un documento in data del dì 17 aprile 1352, dal quale si può dedurre che invece sia opera di Andrea di Cione Orcagna : Andreas pictor vocatus Orga- gnius fuit confessus Imbuisse a dicto Bernardo camerario florenos viginti septem auri de stemma XLII cujiisdam apodixe et a Mat- teo Uguccionis recognovit Imbuisse inter plures vices de denariis ha- bitis a dieta sotietate fiorenos quindecim auri prò complemerito diete apodixe prò una tabula pietà figure Virginis Marie prò dieta so- tietate ; de quibus vocat se bene pagatimi (5). (1) Arch. di St. fior., cod. 470, c. 1. (2) Bernardo Daddi, nato negli ultimi anni del secolo XIII, fu figliuolo d' un Daddo di Simone. È ricordato dal Vasari nella vita di Jacopo da Ca- sentino. Chi l'avviò nella pittura fu Giotto. Morì sul finire del 1350. (3-4) Questi documenti furono pubblicati la prima volta dal compianto prof. Gaetano Milanesi, nel commentario alla vita di Stefano Fiorentino e di Ugolino Sanese, nell' Opere di Giorgio Vasari, tomo I, pag. 461. (5) Passerini, La Loggia di Or San Michele. Arch. di St. fior., Ca- pitani di Or San Michele, cod. 146. SANTA MARIA DI OR SAN MICHELE 237 Si è detto che questa tavola, diversamente dall'altra, non fosse fatta dipingere dai Laudesi per il tabernacolo, ma per la loro sala di udienza. Il documento però non parla di destinazione; quindi col Fran- ceschini (1) si può affermare la tavola del tabernacolo quale opera dell' Orcagna, su queste induzioni : « che quando Bernardo Daddi « dipingeva per la compagnia di San Michele la immagine di Maria, « i Laudesi non avrebbero mai potuto pensare al tabernacolo del- « l' Orcagna, opera dovuta alla fatalità della pestilenza; che l'Orca- « gna tenuto per il miglior pittore del suo tempo, autore del ta- « bernacolo che doveva eternare il nome dei Laudesi, non può « aver voluto essere da questi assoggettato a mettere in ostensione « in quel tabernacolo un'opera di tanto inferiore a quella che egli « avrebbe potuto fare e che tenendo tanto e soprattutto ad esser « pittore non poteva che aver desiderio di fare. Infine perchè se « nel 1352, come si è scritto, invece che per il tabernacolo la im- « magine dipinta da lui fosse stata fatta per la sala di udienza « della compagnia, egli stesso per quella sala non sarebbe stato « chiamato a dipingerne un'altra che ebbe termine, come attesta « il documento, nel 1366 (2) ». Nel codice laurenziano detto il Biadaiolo, in una bellissima miniatura si vede riprodotta la piazza di Or San Michele in un giorno del maggio 1329, in cui temendosi di tumulto per il caro dei viveri, si circondò il mercato del grano coi famigli del Po- destà, del Capitano e dell'esecutore e vi si fece star presente il carnefice col ceppo e la mannaia, per punire chiunque osasse vio- lenza. Da un lato è un tabernacolo con entro una figura della Vergine seduta in trono, che tiene sulle ginocchia il suo divino figliuolo. Ai lati del trono sono tre angeli per parte : i primi quattro in piedi e adoranti, vestiti di tuniche azzurre e di man- telli rossi; gli ultimi due con la veste verde e inginocchiati. Il codice è scritto da un Domenico Lenzi biadaiolo, e contiene i vari prezzi che hanno avuto le biade sulla piazza del mercato d'Orto San Michele in tempo di carestia e cominciando dai primi anni (1) L'Oratorio di San Michele in Orto di Firenze, pag. 55. (2) Miscellanea fiorentina di erudizione e storia, voi. I, pag. 176. 2 3 8 LE CHIESE DI FIRENZE del 1300 va fino al 1335. Perciò comunemente si riporta a que- st'epoca, senza riflettere che il codice è mutilato e che l'autore avverte di avere scritto, non soltanto di cose dei tempi suoi, ma bensì di avere raccolto da altri libri quanto ha trovato intorno a quella materia, narrando ancora tutti i fatti relativi a cose frumen- tarie, che erano giunte a sua notizia. Ritenendo il codice scritto circa V anno 1350, la Madonna che si vede nella miniatura non può ripetere che le forme della tavola dipinta dal Daddi nel 1346. Fu scritto che la più antica immagine del pilastro rappresen- tasse Maria annunziata dall'angelo, deducendosi ciò dal grande e dal piccolo sigillo della compagnia dei Laudesi, dove si vedeva ef- figiato quel mistero con le parole in giro: Sigillum sotietatis Vir- ginis Marie sancii Michelis in Orto de Florentia ; ma non credo dovermi associare a tale opinione, non sembrandomi logico che nel rifacimento della tavola per opera del Daddi e poi dell' Orcagna, siasi voluto trascurare di riprodurre la prima figura della Vergine, tale quale era, almeno nella parte più importante. Infatti le diver- sità fra le tre immagini, meno che nel numero degli angeli, sono poco più che di forma. Per ordine della Repubblica, la loggia fu serrata e ridotta a chiesa e il dì 13 agosto dell'anno 1365 fu solennemente bandito che quella Madonna era dichiarata avvocata speciale dei Fiorentini e che il giorno 15 agosto di ogni anno, festa dell'Assunzione della Vergine al cielo, la Signoria nel maggiore apparato di pompa e in maestà (siccome allora dicevasi) dovesse portarsi al tabernacolo d' Or San Michele e fare offerta di cera ; ma il Gonfaloniere of- friva ancora un canestro di frutte, che depositava sull'altare (1). In seguito furono obbligati di recarsi a offerta anche i rettori delle va- rie chiese della città e i superiori delle case monastiche e ciò per (i) Ciò narrasi da tutti gli scrittori delle nostre antichità; ma se fu vero, o dovè presto cessare, o cominciare negli ultimi tempi della Repub- blica, perchè da una provvisione fatta dai Signori e dai collegi delle Arti il dì 28 ottobre 1460 per determinare dove si dovesse andare a offerta il 15 agosto, fu stabilito che il Gonfaloniere e i Priori si recassero a Santa Maria delle Grazie, dipoi a Santa Maria Maggiore, quindi alla chiesa di Badia. La Madonna di Or San Michele. (Dal Codice il Biadatolo, c. 79'). SANTA MARIA DI OR SAN MICHELE 241 una deliberazione emessa nel 1386. E per maggiormente onorare la Vergine, nel 1388 la Signoria ordinava che in tutti i sabati e nei giorni dedicati alla Madonna, i suonatori di pifferi e di viole, che stavano a servigio dei Priori, dovessero andare a suonare alle laudi che si cantavano nell'oratorio e farvi mattinata. Altro modo di manifestare la devozione verso quella Madonna, consisteva neh' appendere alle pareti e alle vòlte figure al naturale col viso di cera, con capelliere, vesti, foggie e armature, conforme usavano a que' tempi. Questa devota abitudine era già in vigore nel 1304, leggendosi in Dino Compagni, là dove narra dell'incendio suscitato da Neri degli Abati, che sotto la loggia per devozione erano molte immagini di cera (1). Quando nel secolo XV Sant'An- tonino dettava la sua storia, 1' oratorio era carico di immagini vo- tive; e sappiamo dagli antichi cronisti, che i Fiorentini solevano ci- tare i boti d'Or San Michele quando volevano far paragone con una quantità innumerevole di persone o di cose. Circa il 1366 fu anche stabilito che nella circostanza dei fu- nerali di un cittadino statuale si mandasse in Or San Michele un drappellone di panno ornato dello stemma del morto e una targa se apparteneva all'ordine equestre. I drappelloni e le targhe pen- devano dalle pareti dell'oratorio e lo ingombravano in modo, da dovere spingere la Signoria a provvedervi. Perciò, per una prov- visione del 9 febbraio 141 7, fu decretato che tutti i drappelloni donati o da donarsi per l'avvenire all'oratorio d'Or San Michele in occasione della morte di ciascun cittadino, non potessero tenersi per oltre dieci anni; e che trascorso questo termine, fosse cura dei capitani di trasmetterli alla parrocchia cui apparteneva il defunto. Nel 141 5 la Repubblica istituì la Collegiata con a capo un proposto per l'uffìziatura della chiesa, che fino a queir anno era stata affidata ad un solo prete. I preti e il proposto avevano 1' ob- bligo d' intervenire ogni sabato co' musici della Repubblica allo scuo- primento dell'immagine della Madonna e assistere al canto delle laudi. (1) Nel fare tali figure, resesi celebre una famiglia Benintendi, la quale appunto dall'arte che esercitava prese nome, trovandola nominata negli atti che la riguardano : Benintendi Faleimagini. Cocchi, Le Chiese di Firenze. 16 242 LE CHIESE DI FIRENZE Cacciato da Firenze Gualtieri conte di Brienne e duca d'Atene (1) e ciò per la famosa sommossa avvenuta nei pressi di mercato vec- chio il dì 26 luglio del 1343, la Repubblica dichiarava Sant'Anna propitia et fautrix libertatis civitatis fiorentine e mentre decretava in suo onore 1' erezione di una chiesa o cappella, si collocava sotto la loggia un altare ligneo votivo con la statua della Santa. L' antico gruppo rappresentante la Santa assisa e sopra di essa pure seduta la Vergine di lei figlia col bambino Gesù, è scolpito in le- gno e porta tutta l' impronta dell' arte trecentista, cioè di quel tempo in cui avvenne la cacciata del Duca d'Atene. Si conserva tuttora, ma negletto e dimenticato dai cittadini, in una stanza del vicino palazzo dell'Arte della Lana, donde sarebbe bene venisse tolto e collocato in luogo del gruppo in marmo, dovuto allo scalpello di Francesco di San Gallo. Volle la Signoria che alle corporazioni delle arti maggiori e minori venissero assegnate le nicchie nelle pareti dei pilastri della loggia, perchè vi fossero collocate le statue dei santi patroni per ogni respettiva arte e che nella solenne annuale sontuosa festa decretata a commemorare la cacciata del Duca d'Atene, le bandiere delle corporazioni stesse, dovessero sventolare ciascuna sopra la rispet- tiva nicchia. Compiuta in sì fatto modo la stupenda decorazione della loggia, ben si può immaginare 1' effetto sorprendente che essa doveva produrre il giorno della pubblica gioia. (1) A ricordanza di tale avvenimento, nel 1861 in una sala del Pa- lazzo del Potestà, ora Museo Nazionale, si collocava questa iscrizione: MDCCCLXI RINNOVANDO GLI STEMMI DI GUALTIERI DUCA DI ATENE GIÀ DIPINTI SULLE PARETI DI QUESTA SALA SI REGISTRA SUL MARMO IL DECRETO DELLA REPUBBLICA FIORENTINA CHE GLI FACEVA CANCELLARE NEL MCCCXLIII IN ONTA DEL SIGNORE STRANIERO E PERCHÈ SAPESSERO GLI AVVENIRE CHE IN FIRENZE NON ALLIGNANO TIRANNI. SANTA MARIA DI OR SAN MICHELE 243 In Or San Michele ha culto un' altra immagine della Madonna a cui si riferisce un avvenimento così descritto da Luca Landucci (1): « E a dì 17 d'agosto 1493, intervenne questo caso eh' un certo « marrano, per dispetto de' cristiani, ma più tosto per pazzia, an- « dava per Firenze guastando figure di Nostra Donna, e in fra « l' altre cose, quella eh' è nel pilastro d' Orto San Michele, di marmo « di fuori. Graffiò l'occhio al banbino e a Santo Nofri; gittò sterco « nel viso a Nostra Donna. Per la qual cosa, e fanciugli gli co- « minciorono a dare co' sassi, e ancora vi posono le mani ancora « uomini fatti; e infuriati, con gran pietre l'ammazzorono, e poi « lo strascinorono con molto vituperio ». Questa bella statua della Madonna, attribuita dal Vasari a Si- mone da Fiesole, stava nella nicchia dell'Arte dei Medici e Spe- ziali, ove dovrebbe nuovamente collocarsi. Sulla base trovasi una iscrizione che ricorda il sacrilego atto : HANC • FERRO ■ EFFIGIEM ■ PETIIT • JVDEVS ■ ET ■ INDEX IPSE • SVI ■ VVLGO • DILANIATVS ■ OBIIT M. CCCCLXXXXIII In questi ultimi anni furono compiuti in Or San Michele dei lavori di restauro, che portarono alla scoperta degli affreschi di Jacopo da Casentino. Anche il bellissimo tabernacolo, capolavoro dell' Orcagna, è stato oggetto di restauro; ma, diciamolo franca- mente, sarebbe stato molto meglio che le mani dei moderni restau- ratori non lo avessero toccato, o che il lavoro fosse stato condotto con altri criteri. Con lo scopo di ripristinarlo nella primitiva forma, è stato guasto e manomesso ; e V antico altare è stato distrutto a dispetto di ogni tradizione religiosa e artistica. Se fin' oggi non si è potuto rintracciare un documento che parli esclusivamente del- l'altare eretto dall' Orcagna, non mancano però delle carte, dalle quali chiaramente resulta che l'altare esisteva. Infatti, in data 18 febbraio 1380, abbiamo una provvisione in cui si tratta De missa et aliis divinis officìis celebrandis in oratorio diete sotietatis .... ad revcrcntiam beate marie semper Virginis ... (2) (1) Diario fiorentino pubblicato da Jodoco Del Badia. (2) Arch. di St. fior., Capitani di Or San Michele, cod. 1, c. 13 2 . 244 LE CHIESE DI FIRENZE e fu certo per questo altare che nel 1402 furono ordinati due can- delieri e una croce d' argento con altri ornamenti al pilastro del- l' oratorio (1). Il dì 16 aprile 1417, Giovanni di Guarente riceveva la commissione di due candelabri d'argento, da eseguirsi sul dise- gno di Lorenzo Bertoluccio (2). Trovasi pure un inventario com- pilato il dì 8 giugno dell'anno 1436, nel quale è descritta la sup- pellettile liturgica appartenente all'oratorio (3). SANTA MARIA MADDALENA nel Palazzo Pretorio [1292 ?]. E la cappella dove passavano le ultime ore i condannati a morte assistiti dai confratelli della compagnia de' Neri. Non si può determinare se la sua origine sia contemporanea al palazzo, o se rimonti all'anno 1261, quando l'edifizio divenne residenza del Po- testà. Forse si pensò alla cappella nel restauro del 1292. Gran parte dei lavori di riparazione e di abbellimento erano compiuti nel 1326 e il palazzo era ormai capace di servire a residenza di Carlo duca di Calabria, cui i Fiorentini avevano dato la signoria della città, dopo la sconfitta di Altopascio. Certamente allora era compiuta anche la cappella. Essa conserva ancora notevoli traccie di pitture che la tradizione e gli storici attribuiscono a Giotto, ma che invece sembra sieno piuttosto opera di un suo discepolo, valente imitatore della maniera del maestro. Quando il Vasari scriveva la sua opera gli affreschi si vedevano ancora. Più tardi fu manomesso il palazzo e la cap- pella divisa in due piani, l'uno all'altro sovrapposto, e imbiancate le pareti; il che si crede possa essere avvenuto tra il 1630 e il 1633. Il piano superiore serviva di carcere, l' altro di magazzino o dispensa. (1) Arch. di St. fior., Capitani di Or San Michele, cod. 17. (2) Idem, Capitani di Or San Michele, cod. 25. (3) Idem, Capitani di Or San Michele, cod. 26, c. 13. SANTA MARIA MADDALENA 245 Nel 1840, essendo stata tolta l'impalcatura di mezzo, la cappella tornò alla sua forma primitiva e più tardi tornarono alla luce le pit- ture che erano state coperte dall'intonaco dato sulle pareti. Certa- mente esse ricomparvero danneggiate e guaste pel modo deplorevole col quale si levarono i diversi strati di calce che le coprivano, com' è ancora evidente ai segni e alle raschiature lasciate dall' istrumento tagliente che fu adoperato. La scoperta di queste pitture si deve al canonico Moreni, che per primo accennò alla loro esistenza; poi alla proposta di ri- metterle in luce molto si adoperò il signor Luigi Scotti. Il pro- fessor Missirini, nelle sue Memorie dì Da?ite, tornò con calde parole a propugnarne la scopritura e finalmente Seymour Kirkup, dopo avere cercato invano in Santa Croce l'effigie dell'Alighieri ritratta da Giotto, volse tutti i suoi pensieri alla cappella del Po- destà. Comunicati i suoi disegni al signor Aubrey Bezzi e associa- tosi l'americano Enrico Wilde, essi proposero di eseguire a proprie spese le divisate ricerche, pattuendo col restauratore Marini il prezzo complessivo di 240 francesconi, si trovasse o no il ritratto di Dante. Questo disegno avrebbe avuto effetto, se il Governo toscano, per raccomandazione del cav. A. Ramirez di Montalvo e del marchese Girolamo Ballati-Nerli, non avesse ordinato che a spese dello Stato e alle stesse condizioni il Marini eseguisse la divisata ricerca. Il 21 luglio del 1840 venne in luce per primo il ritratto di Dante, come resulta dal ricordo fatto in quel giorno stesso dal Kirkup. Sorse però subito la controversia sull'autore di queste pitture, le quali, secondo l'opinione del Milanesi e del Passerini, non po- tevano essere di Giotto, perchè 1' incendio del 28 febbraio 1332 aveva distrutto, come dice Giovanni Villani (1), « il tetto del vecchio palazzo e le due parti del nuovo, dalla prima volta in su » ; e dopo l'incendio era stato ordinato che il palazzo « si rifacesse tutto in volta insino ai tetti ». Filippo Villani, nella sua operetta latina intitolata : Liber de cì- vitatis Florentiac famosis civibus, scrivendo di Giotto, usa queste precise parole: Pìnxit insuper speculorum suffragio scmctipsum, sibi- (1) Crou., lib. X, cap. CLXXXV. 246 LE CHIESE DI FIRENZE que contemporanetim Da?item in tabula altaris capellae palata po- testatis (1). Dunque, nella tavola dell'altare, non nella parete della cap- pella del Potestà, Giotto avrebbe dipinto sè stesso e Y amico suo Dante; e che un tempo sia stata in quel luogo una tavola di- pinta è confermato dall'inventario del palazzo fatto nel 1382. Ma sul principiare del secolo XV la tavola dovette essere tolta di là, perchè colui che volgarizzò o, meglio, parafrasò l'operetta del Vil- lani, tradusse quel passo così: « Dipinse eziandio a pubblico spet- « tacolo nella città sua, con aiuto di specchi, se medesimo e il « contemporaneo suo Dante Alighieri, poeta, nella cappella del pa- « lazzo del Podestà in muro » (2). Ma le pitture murali, secondo il Passerini e il Milanesi, si do- vrebbero senz'altro riferire a un'epoca posteriore, determinata dalla iscrizione seguente: HOC • OPVS • FACTVM ■ FVIT ■ TEMPORE • POTESTARIE • MA- GNIFICI • ET • POTENTIS ■ MILITIS ■ DOMINI ■ FIDESMINI ■ DE ■ VARANO. CIVIS • CAMERINENSIS ■ HONORABILIS ■ POTESTATIS « Ora (prosegue il Milanesi) sapendosi dai registri de' Potestà « di Firenze, che messer Fidesmino di messer Rodolfo da Varano « tenne quell'ufficio negli ultimi sei mesi del 1337, risultano chiare « queste due cose: l'ima, che le pitture della cappella, alle quali « si deve riferire la iscrizione citata, furono fatte sotto la pote- « steria del Varano, nello spazio che è dal luglio al dicembre del « 1337; l'altra, che esse non si possono attribuire a Giotto, il quale « fino dai primi giorni di quell'anno era morto » (3). Il Cavalcasele dal canto suo ritiene che appartengano vera- mente a Giotto e che l' iscrizione riportata sopra, debba riferirsi sol- tanto a Santo Venanzio, martire di Camerino, protettore della fami- glia da Varano, e al Fidesmino che fece fare quella figura forse in occasione di qualche restauro. (1) Cap. VII. De Pictoribus. De Cimabue, Giotto, Maso, Stephano et Thaddaeo pictoribus. (2) Mazzucchelli, Le vite d'uomini illustri fiorentini scritte da Fi- lippo Villani. (3) Le opere di Giorgio Vasari con nuove annotazioni e commenti di Gaetano Milanesi, tomo I, pag. 419. SANTA MARIA MADDALENA 247 La cappella è di forma rettangolare allungata e riceve luce da tre finestre. Sulla parete di contro alla porta d'ingresso è dipinto il Paradiso e su quella superiore alla porta stessa, l'Inferno. Le al- tre due pareti sono divise in due ordini, con le storie di Santa Ma- ria Maddalena, cui è dedicata la cappella, di Santa Maria Egiziaca e alcune della vita di Cristo. Nello spazio tra le due finestre è la figura di San Venanzio, assai guasta, e sotto si scorgono le traccie di una iscrizione, nella quale a fatica si legge DNI. M. CCC. XXX.... che doveva dire M. CCC. XXXVII. Alquanto più sotto, e precisamente dentro la fascia che ricinge lo zoccolo, si trova l'iscrizione riferita di sopra. In alto, sopra la finestra, è dipinto Cristo che solleva la mano sinistra. Ai lati sono traccie di serafini e cherubini e più in basso gli Apostoli. Sotto, allato della finestra e a destra di chi guarda, il resto di tre schiere di santi disposte l'ima sotto l'altra. Seguono altre schiere di santi, di martiri, di vescovi e di frati, le cui figure sono tutte più o meno guaste. Ad esse tengono dietro due file di sante donne, e da ultimo, da ambo i lati, una schiera di personaggi in costume del secolo decimoquarto, i quali, a piccoli gruppi di tre o quattro insieme, s'indirizzano l'uno di seguito all'altro verso il centro del dipinto. A capo di ciascuna schiera e presso la finestra è una figura, distinta dalle altre per l'abito e per il posto che occupa. Le schiere sono dipinte dritte e di fronte, e davanti a ciascuna si trova un' altra figura in ginocchio. Sotto la finestra chiudono la scena due angeli con un bastone in mano. Lo stemma della città di Fi- renze, che è dipinto nel mezzo, è un'aggiunta moderna. All'esterno del palazzo, dal lato di via Ghibellina, si legge que- sto bando: NIVNO ARDISCA ACCOST ARSI ALLA CAPPELLA MEN TRE VI SONO I DESTINATI ALLA MORTE SOTTO QUELLA PENA PECVNIARIA ET AFFLIT TIVA CHE PARRÀ AL MAG ISTRATO DEGLI OTTO ET NESSVNO VOMO GARZONE VI INT RODVCA ALCVNO SOTTO LA SVDDETTA MAGGIOR PENA. 248 LE CHIESE DI FIRENZE SANTA MARIA DEL FIORE [1296]. Il dì 11 giugno dell'anno 1293(1) il Comune di Firenze ri- volgeva per la prima volta il pensiero all'antica Santa Reparata, cattedrale della città, con l'intendimento di ripararla, e il 12 di luglio dello stesso anno un arringatore, tra i vari consigli poli- tici, raccomandava la prima volta quella chiesa, che non poteva più bastare a' cittadini, nè rispondere alla città, che si veniva am- pliando di mura e di strade, abbellendosi di edifizi sacri e civili. Nel dicembre infatti si provvide; ma questa provvisione ricordata in un'altra dell'anno 1294(2), non giunse fino a noi; non venne neppure nelle brevi, ma oggi tanto più preziose note che si pren- devano dagli attuari nelle parlanti consulte. Niuno peraltro si dia a credere che in essa si sieno mai lette le pompose espressioni recate da Leopoldo Del Migliore: perchè prima di lui le avreb- bero lette l'Ammirato e lo Strozzi. Non è per questo da lamen- tare meno la perdita di quel documento, in cui il popolo disse cer- tamente che la sua Santa Reparata si doveva non più restaurare o ampliare, ma rifare: reffici debet. « La rinnuovazione dell' antica chiesa di Santa Reparata ri- « sale a quel periodo dell' arte che alle forme basilicali, derivate « dalle antichità Greco-Romane ed usate fino allora negli edifizi « sacri, sostituiva le mirabili cattedrali edificate in quel tempo nelle « varie parti d'Europa. In queste opere monumentali di nuova « creazione, dedicate al culto divino, alcune fra le più cospicue « città della inedia Italia, quali Assisi, Orvieto, Bologna, Pisa, Lucca, « Siena e Firenze, si valsero delle forme dello stile archi-acuto, « ma peraltro piegandole al proprio sentimento nell'arte e fonden- « dole con quelle delle patrie tradizioni. Ma Firenze tra esse, per « quella organica evoluzione che fu propria della sua arte, e te- (1) Guasti C, Santa Maria del Fiore, Firenze, 1887, doc. 1, pag. 1. (2) Idem, doc. 7, pag. 4. SANTA MARIA DEL FIORE 249 « neva al genio innato che è nell'indole del suo popolo, seppe an- « che più o meno profondamente modificarle usandole negli edifizi « così religiosi come civili. Imprimendo loro un carattere affatto « locale, in cui gli elementi esotici più intimamente assimilati si « fusero cogli elementi indigeni, essa creava opere di una stupenda « armonia e di un'imponenza grandiosa » (1). La benedizione della pietra fondamentale non avvenne che l'ottavo giorno di settembre dell'anno 1296 per mano di Pietro Valeriano da Piperno, creato cardinale diacono del titolo di Santa Ma- ria Nuova da papa Bonifazio Vili e che rivestiva 1' ufficio di suo le- gato. La solenne cerimonia è ricordata dall'iscrizione in versi leonini scolpita in bellissimi caratteri di rilievo e murata sul canto della chiesa, in faccia al campanile: + ANNIS • MILLENIS ■ CENTV BIS ■ OTTO ■ NOGENIS VENIT ■ LEGATVS ■ ROMA ■ BONITATE ■ DOTATVS QVI • LAPIDE • FIXIT ■ FVNDO ■ SIMVL ET BNDIXIT PRESVLE • FRANCISCO ■ GESTANTI ■ PONTIFICATA ISTVD • AB ARNVLFO ■ TÈPLV ■ FVIT • EDIFICATVM HOC OPVS • INSIGNE ■ DECORANS ■ FLORÉTlA ■ DIGNE REGINE • CELI ■ CONSTRVXIT ■ MENTE ■ FIDELI QVA • TV • VIRGO ■ PIA ■ SEMP. DEFENDE ■ MARIA. Giovanni Villani e Simone della Tosa scrissero che la fon- dazione della nuova chiesa avvenne l'anno 1294; la maggior parte degli scrittori, seguendo il Bocchi, male interpretando l'iscrizione, si accorda a riportare quella cerimonia all'anno 1298; ma la data nascosta nel verso Annis millenis centum bis otto nogenis l- vera- mente l'anno 1296. Infatti millenis centum si spiega per 11 00; bis otto nogenis si interpetra per due volte 98, che fa 196, e som- mato col 1100 abbiamo il 1296(2). Il preside Francisco ricordalo nell'iscrizione è il vescovo Francesco Monaldeschi, successo ad An- drea Mozzi nel 1295. Vi si nomina l'architetto ed è raro docu- mento, perchè invano cercheremmo ricordato altrove quel nome, se non nella provvisione del dì 1 aprile del 1300, nella quale si (1) Del Moro, Santa Maria del Fiore, pag. 2. (2) Guasti C, Santa Maria del Fiore, pag. xxxvi. 250 LE CHIESE DI FIRENZE legge che maestro Arnolfo da Colle del fu Cambio veniva esentato da qualunque gravezza di Comune, appunto in contemplazione che egli era capo maestro della edificazione di Santa Reparata e nella sacra architettura vinceva qualunque altro; mentre in quella chiesa cominciata da lui, Firenze si augurava di avere il più bello e ono- revole tempio che fosse in Toscana. Ma neppure un anno potè go- dere Arnolfo di quella esenzione, essendo venuto a morte nei primi giorni del marzo del 1301 (1). Egli presiedè alla edificazione di Santa Maria del Fiore per sei o sette anni: sembra che avesse la- sciato un disegno, anzi un modello; ma sapendosi che il lavoro era già cominciato e che il popolo si riprometteva di averne il più bel tempio della Toscana, bisogna ammettere che ne avesse tracciate at- torno le fondamenta, comprendendovi la chiesa di San Michele Visdomini, alla quale sin d'allora era stata data una stima, e poi alzata qualche muraglia nelle parti anteriori. Sembra che la chiesa dipinta da Simone di Martino pittore se- nese nel grande affresco del cappellone degli Spagnuoli in Santa Maria Novella, sia una copia del modello di Arnolfo. Lo dice il Vasari : nè certo la sua asserzione è tale argomento da far credere la cosa; ma neppure è argomento bastevole per credere il contrario. Dopo la morte di Arnolfo i lavori rimasero sospesi, nè si sa qual fosse il maestro allora destinato a succedergli. Come r opera di San Giovanni era stata affidata all' Arte dei Mercanti, così quella di Santa Reparata, per decreto del Comune, fu affidata all'Arte della Lana. Di ciò abbiamo ricordo nel marmo che, di riscontro a quello della prima fondazione, si vede collocato ester- namente dalla parte che guarda tramontana : ANNO MILLENO CENTV TER TER QQ DENO CONIVNCTO PMO Q SVMV IVNGlT IMO VIRGINE MATRE PIA DNÌ SPIRANTE MARIA HOC;OPVS INSIGNE STATVIT FLORENTIA DIGNE CONSVLIB' DANDV PRVDENT AD HEDIFICAMDV ARTIFICV LANE COPLENDV DENIQ' SANE. (1) La sua morte è registrata a c. 12 dell'antico necrologio di Santa Reparata. Arch. dell'Opera di Santa Maria del Fiore. SANTA MARIA DEL FIORE 251 La data indicata dal marmo è l'anno 1331. L'iscrizione è in- cisa con caratteri più serrati di quella del 1296 e allungati così da prendere decisamente la forma della scrittura chiamata gotica; ma anche quella del 1296 ha caratteri di gotica forma, quantun- que quadrati e misti di lettere perfettamente romane. Ambedue le iscrizioni appartengono al secolo XIV e ne fu autore fr. Luigi Mar- sili agostiniano di Santo Spirito (1). Nell'aprile del 1334 a maestro e governatore di Santa Repa- rata, delle nuove mura, delle fortificazioni e di ogni altra opera pub- blica venne eletto Giotto di Bondone da Firenze, pittore (2), il quale, volendo lasciare un' opera propria di architettura, pensò alla co- struzione della torre, la cui fondazione avvenne nel 1334: « a dì 18 « di luglio, si cominciò a fondare il campanile nuovo di Santa Re- « parata, di costa alla faccia della chiesa, in sulla piazza di Santo Gio- « vanni. E a ciò fare e benedicere la prima pietra fu il vescovo di « Firenze con tutto il chericato, e co' signori Priori e l'altre signorie, « con molto popolo a grande processione. E fecesi il fondamento « infino all' acqua tutto sodo. E soprastante e provveditore della « detta opera di Santa Reparata fu fatto per lo Comune maestro << Giotto nostro cittadino ; il più sovrano maestro stato in dipintura « che si trovasse al suo tempo, e quegli che più trasse ogni figura « e atti al naturale. E fugli dato salario dal Comune per remune- « razione della sua virtù e bontà » (3). Morto Giotto (4) l'8 gennaio del 1337, quale maestro dell' ope ra (1) In una deliberazione dell'aprile dell'anno 136S, si legge: Memo- ria quod dicatur domino Loygio, quod faciat versus. (GUASTI, Santa Ma- ria del Fiore, doc. 201, pag. 211). Il Marsili fu amico di Francesco Pe- trarca e di Guido del Palagio. Era stato addottorato a Parigi. Morì nel 1394 e gli fu decretata la sepoltura in Santa Maria del Fiore. (2) Guasti, Santa Maria del Fiore, doc. 44, pag. 43. (3) Villani G., Cron., lib. XI, cap. XII. (4) Sotto il busto di Giotto, opera di Benedetto da Maiano, a cui fu allogato nel 1490, trovasi questa iscrizione dettata dal Poliziano : ILLE EGO SVM PER QVEM PICTVRA EXTINTA REVISIT CVI QVAM RECTA MANVS TAM FVIT ET FACILIS NATVRAE DEERAT NOSTRAE QVOD DEFVIT ARTI PLVS LICVIT NVLLI PINGERE NEC MELIVS 252 LE CHIESE DI FIRENZE veniva nominato Andrea Pisano, il quale diresse i lavori per tutto il tempo della signoria del Duca d'Atene, cioè fino al luglio del 1343. Di Francesco Talenti non si ha memoria fino all'anno 1350 (1). Il dì 5 luglio dell'anno 1357 sull'ora di vespro messer frate Aghostino Tinaccì de' Romitani veschovo di Narni, e benedisse e sagrò tuia pietra di marmo isclwlpitovi sic ima f e gli anni Do- mini miij c Ivij. dì v di higlio. Furonci con lui suoi frati e chappel- lani e la sua famiglia. E chominciossi nel nome di Dio della Ver- gine Maria di Santa Reparata di San Zanobi e di tutti santi e sante della coìste detestiate a fondare la p? r ima colonna del capo della chiesa verso il campanile. Presente : frate facopo Talenti, frate Francischo da Char mi- gliano, f ate Zanobi, frate Paolo di Salita Maria Novella ; frate fa- clwpo Ser Lapini di San Mar elio e uno compagno, Giovanni di Lapo Chini maestro, Richardo di Francieschino degli Albizi, Andrea di Clone Archagniolo dipintore, V U fidale dell'Arte della Lana, Is chiatta Ridolfi camarlingho, Maza Ramaglianti, Giovanni Alfani, e più altri cittadini ; messer Arnaldo Altoviti, messer Ridolfo, messer Bartolo Gianmori, messer Tucchero, messer Andrea Pcruzi, chalonici; con tutti i chappcllani, e con più altri preti e chierici con torchietti di ciera in mano accesi, con grande triunfo di elianti e di suono di chavipane d'orghani e trombe (2). Il Tinacci per questa benedizione ha poi ottenuto una statua nella nuova facciata. I Fiorentini del 1300 fecero scolpire per la facciata la statua di Bonifazio Vili, a ricordanza che sotto il suo pontificato e con le sue elargizioni fu posta la prima pietra di Santa Maria del Fiore da un cardinale legato. La statua del papa dantesco andò a finire MIRARIS TVRREM EGREGIAM SACRO AERE SONANTEM HAEC QVOQVE DEMODVLO CREVIT AD ASTRA MEO. DENIQVE SVM JOTTVS QVID OPVS FVIT ILLA REFERRE HOC NOMEN LONGI CARMINIS INSTAR ERAT. OBIIT ANNO MCCCXXXVI. CIVES POS. B. M. MCCCCLXXXX. (1) Guasti, Santa Maria del Fiore, doc. 68, pag. 65. (2) Idem, pag. 98. SANTA MARIA DEL FIORE 253 in un giardino donde fu tratta e nel 1895 per decreto del Comune fu collocata in chiesa. Neil' imbasamento si legge questa iscrizione : + QUESTO SIMULACRO DI BONIFAZIO Vili DELL'ANTICA POI DISPERSA FACCIATA DEL NOSTRO DUOMO NE RICORDÒ PER TRE SECOLI LA FONDAZIONE LUI PONTEFICE FATTA NEL MCCLXXXXVI E DOPO ALTRI TRE SECOLI RIVENDICATO MUNIFICAMEN TE E RESTITUITO AL SACRO LUOGO PER LA GENTILIZIA E CITTADINA PIETÀ DI ONORATO CAETANI DUCA DI SERMONETA E DI MEMORIE NELLA STORIA ETERNATE VENERANDA RELIQUIA. Quando nel 1357 s'incominciò a disfare Santa Reparata, nel mese di agosto fu trovato sotto le vòlte il monumento che conteneva le ossa di papa Stefano IX, « uomo nato in Lotteringia, che così « dicevano le lettere scolpite nella sua sepoltura, che era vestito « in abito papale con dimolte gioie. Questo papa morì nel 1098 » (1). Le ultime mura della vecchia Santa Reparata furono demo- lite nel febbraio del 1375 e intanto che si costruivano le tribune, alle quali fu dato compimento nel 1421, per l'ufficiatura si desti- narono le navi, ormai completamente fabbricate. La gloria di dare il coronamento all' edifizio era riserbata a Filippo Brunelleschi e quella meravigliosa cupola si cominciò a murare il dì 7 agosto dell'anno 1420, inaugurandosi l'opera con una colazione di pane e poponi, data ai manovali e ai maestri, cor- roborata da un buon barile di vino vermiglio e da un fiasco di treb- biano, per la quale il provveditore pagava 11. 3, s. 9 e d. 4. Circa l' anno del compimento della cupola, gli scrittori non sono concordi, riportandolo alcuni al 1434, altri al 1436. Il Cambi, l'Ammirato e il Del Migliore stabiliscono il 1434; il Moreni cor- regge il preteso errore con altre testimonianze, che porterebbero il serrare della cupola al 1436. La discordia nasce dallo scambiare l'anno della solenne benedizione con quello del compimento, da riportarsi (1) Bibl. Riccardiana, Priorista, n. 247. 254 LE CHIESE DI FIRENZE veramente al 1434; non tanto per la testimonianza del Cambi, quanto sulla fede di un documento, il quale attesta, che nel mese di agosto di quell'anno il lavoro della cupola era a tal punto da poter dare cominciamento alla costruzione della lanterna. La solenne benedizione fu data dal vescovo di Fiesole il dì 30 di agosto dell'anno 1436, come si rileva dallo stanziamento fatto dagli Operai in favore del famiglio dell'Opera per rifacimento di spese da lui fatte : A trombetti e pi/eri che suonarono e pane e vino e citarne e frutte e cacio e macheroni e altre cose, per dare ai mi- nistri de V opera, e a diatonici e preti di chiesa per la festa e be- nedizione fatta ai dì 30 di agosto 1436 della chiusura della chupola e per darne e presentarne al vescovo di Fiesole che andò in sulla chupola a be?iedire (1). Il primo marmo della lanterna, opera pure del Brunellesco, secondo il Baldinucci fu collocato nel 1445. E se è vero che la cerimonia fu compiuta da Sant'Antonino arcivescovo di Firenze, il quale fu insediato il dì 13 marzo di quell'anno, il principio dei la- vori per l'innalzamento della lanterna cadrebbe fra questo giorno e il dì 25 dello stesso mese. Morto il Brunellesco (2) il dì 16 aprile 1446, gli successe nei lavori della lanterna Michelozzo di Bartolommeo Borgognoni, che vi attese fino al 1452, nel qual anno, il 16 di agosto, fu nominato capo maestro Antonio di Manetto Ciandii a cui furono date a com- piere molte opere lasciate interrotte dal Brunelleschi. Il Ciandii, rimasto ai servigi dell'Opera come capo maestro della cupola fino ( 1) Cavallucci, Santa Maria del Fiore e la sua facciata, pag. 77. 1 2) Sotto il busto del Brunellesco, che il Buggiano trasse dalla maschera ed eseguì nel 1447, trovasi scolpita l'iscrizione composta da Carlo Mar- suppini : D. S. QVANTVM PHILIPPVS ARCHITECTVS ARTE DAE DALAEA VALVERIT CVM HVIVS CELEBBERRIMI TEMPLI MIRA TESTVDO TVM PLVRES MACHINAE DIVINO INGENIO ABEO ADIVVENTAE DOCVMEN TO ESSE POSSVNT. QVAPROPTER OB EXiMIAS SVI ANIMI DOTES SINGVLARES QVE VIRTVTES XV. KL. MAIAS ANNO M.CCCC°.XLVI EIVS B. M. CORPVS IN HAC HVMO SVPPOSITA GRATA' PATRIA SEPELIRI IVSSIT. SANTA MARIA DEL FIORE 255 all'anno 1460, ultimo di sua vita, portò quasi a compimento la lanterna, che fu terminata del tutto il dì 23 aprile dell'anno 1461, come ci attesta il seguente ricordo: Ricordo questo dì 23 d'aprile in giovedì 1461, si messe l'ultima pietra della lanterna della cupola e venne in s?cl piano di detta l' arcivescovo JVerofii, con tutto il Ca- pitolo, con tutti i canonici e cappellani e la Signoria col Gonfalo- niere, che in quel tempo era messer Tommaso Soderini, con tutti gli suoi di palazzo (1). Giovanni di Bartolommeo e Bartolommeo di Frosino orefice, il 2 dicembre del 1468 avevano terminato e dorato il bottone di bronzo sul quale doveva posare la palla, che fino dal dì 10 set- tembre dello stesso anno era stata commessa ad Andrea del Verroc- chio. La croce sovrastante alla palla fu allogata a Paolo di Matteo calderaio il dì 4 agosto del 1470 (2). Circa il titolo imposto alla nuova chiesa, abbiamo una deli- berazione (3) dei Signori e collegi, nella quale il dì 29 marzo del 141 2 fu stabilito che la maggior chiesa di Firenze, essendo stata fondata ad onore della Vergine, si dovesse chiamare Santa Ma- ria del Fiore (4), e che ogni anno in perpetuo il 25 di marzo se ne celebrasse la festa, dacché in quel giorno Flos ac initium nostre re- demptioìiis fuit benigna ac gratiosa Iucarnatio Filli Dei. La festa doveva solennizzarsi cum omnibus tam in tcmporalibus quam in spi- ritualibus opportunìs dalla Signoria e dai Rettori del Comune, dal- (1) Cavallucci, Santa Maria del Fiore e la sua facciata, pag. 28. (2) Un fulmine, sulle 5 ore di notte del 27 gennaio del 1600 colpì la palla e l'atterrò. « Caddero la palla e la croce con infiniti marmi (così il « Del Migliore) con tale veemenza e forza scheggiati che corsero fino a « mezzo la via de' Servi. Alle persone abitanti quivi vicine tal fu lo spa- « vento che chi racconta il fatto asserisce, che restati sbalorditi, parve loro « arrivata la fine del mondo ; e che la voce unita di chi poteva gridare era « chiamar misericordia ». Il dì 21 ottobre del 1602 venne collocata la nuova palla, aumentata di grandezza per consiglio di Bernardo Buontalenti ; V ar- matura della medesima, il nodo o bottone e la croce, furono fusi da Za- nobi Portigiani ed Angelo Serani. (3) Guasti, Santa Maria del Fiore, doc. 464, pag. 310. (4) Era così chiamata anche avanti ; ma prevaleva l'antica denomina- zione di Santa Reparata. 256 LE CHIESE DI FIRENZE l' Arte della Lana, da' sei della Mercanzia, dal Proconsolo e dai consoli di tutte le arti, cioè dal popolo. Ma avendo i frati de' Servi pre- gato la Signoria, che per il concorso solito farsi in quello stesso giorno alla loro Nunziata, ov' era in grande venerazione la figura della Vergine actu pictam (primo documento questo della pia tra- dizione), volesse trasferire in un' altra festa la solennità di Santa Ma- ria del Fiore, piacque ad essa fissarla nel secondo giorno di feb- braio ea die qua et suam virginitatem in tempio representavit, ordinando che tale festum sit principale /estuiti in ecclesia Sancte Marie del Fiore predicta et ipsius ecclesie (i). Di che oggi nessuno si accorge, se non ponga mente a quell'antica immagine di Maria che si scuopre in quel giorno e che volgarmente si chiama la Ma- donna del popolo. La solenne consacrazione della chiesa fu compiuta con grande solennità da papa Eugenio IV il dì 25 di marzo dell'anno 1436 ab ine. (1437 s. c.) sul punto di lasciare la città, ove per forza di eventi politici dimorava da due anni, usando ogni sorta di bene- vole dimostrazioni alla Signoria. Fece tutte le ceremonie e gli uf- ficii che a ciò si ricchieggoìio messer Giuliano cardinale degli Or- sini sommo penitenziere ; e dipoi la mattina in sulla terza venne in persoìia il detto papa Eugenio IV il quale si partì dalla sua abita- zione di Santa Maria Novella, del luogo dei Frati predicatori dove abitava, e venne insino alla detta chiesa di Santa Maria del Fiore su per un palco di legname alto da terra circa braccia 3 bene ador- nato e parato di pancali e spalliere e panni di lana, alla quale consecrazione fu grandissimo numero di popolo ; e quando il detto Papa ebbe pressoché fornita la consecrazione di detta chiesa, fece cavaliere messer Giuliano di Niccolao Davanzali, che allora era gonfaloniere di Giustizia : e dipoi ebbe il detto messer Giuliano gli opportuni consigli per poter mantenere la milizia e il capitanatico di Pisa per un anno (2). I dodici Apostoli con le croci della consacrazione erano stati dipinti da Lorenzo di Bicci. (1) Guasti, Santa Maria del Fiore, doc. 476, pag. 317. (2) Spogli Strozziani. Cavallucci, Santa Maria del Fiore, pag. 254. SANTA MARIA DEL FIORE 257 La dedicazione è ricordata dalla seguente epigrafe: OB INSIGNEM MAGNIFICENTIAM CIVITATIS ET TEMPLI • EVGENIVS PPT IV OMNI SOLENÌTATE ADHIBITA DEDICAVIT ■ DIE ■ XXV • MARTII • MCCCCXXXVI ■ CVIVS DEDICATIONIS GRATIA PONS LIGNEVS INSIGNI MAGNIFICENTIA ■ ET ORNATV FACTVS EST ■ AB ECCLESIA SCE. MARIE NOVELLE VBI PP. INHABITABAT VSQVE AD HANC ECCLESIAM ■ PER QVEM VENIENS PONTIFEX CVM CARDINALIBVS ET EPISCOPIS CETERISQ. PROCERIBVS PONTIFICALI HABITV AD DEDICANDVM ACCESSIT. TANTA ENIM MVLTITVDO AD SPECTANDVM CONVENERAT VT PRE NIMIA TVRBA VIAS OBSIDETE NISI P. PONTEM COMODE TRANSIRE PONTIFEX NON POTVISSET. Delle tribune, quella centrale è detta di San Zanobi, dalla cap- pella dedicata a questo Santo le cui ossa riposano nell'arca di bronzo eseguita da Lorenzo Ghiberti. Nella sottoposta cripta sono le tombe di alcuni santi vescovi. L'ancona dell' antico altare appartiene al secolo XIV e rappresenta la Vergine col Bambino, San Zanobi, Sant' Eugenio, San Crescenzio e San Miniato martire. Nelle cappelle laterali a quella di San Zanobi, posteriormente al 1586 furono collocate le statue dei Santi Evangelisti, già fatte per la facciata della chiesa. Nel 1439 fu data commissione a Luca della Robbia di scolpire due altari ; uno per la cappella di San Pietro, l'altro per quella di San Paolo, i quali non furono condotti a com- pimento, e i due bassorilievi raffiguranti la liberazione dal carcere e la crocifissione di San Pietro si possono vedere, appena sbozzati, nel Museo Nazionale. La tribuna di Sant'Antonio è così chiamata dalla reliquia del Santo, che si conserva nel tabernacolo della cappella principale. Tra le cappelle di questa tribuna si trova quella dei Santi Vittorio e Bar- naba. Il dì 7 agosto del 1365 fu ordinato l'altare di San Vittorio e l'annua offerta della Parte Guelfa per commemorare la vittoria del dì 28 luglio 1364. « In questa vittoria universale, che s'ebbe « del popolo di Pisa, la quale non pensata nè cercata fu, ma piut- « tosto recata, perchè singulare, e fu nel giorno che la Santa Chiesa « fa festa di San Vittore papa e martire glorioso, la Parte Guelfa « di Firenze, ad eterna memoria di tanto fatto, prese di fare festa « in Firenze ogni anno di San Vittore divotamente, come a patrono Cocchi, Le Chiese di Firenze. 17 258 LE CHIESE DI FIRENZE « de' Guelfi, a similitudine come San Barnaba. E feciono in Santa Re- « parata fare una cappella in reverenza del detto Santo, con intenzione « di migliorarla ; perchè venendo la chiesa a sua perfezione, stare « non può quivi dov' è : e ogni anno vi fanno solennemente cele- « brare la sua festa con bella offerta della Parte . . . . » (i). La reliquia della vera Croce dà il nome alla tribuna di fronte a questa, la quale di notevole ha il celebre gnomone astronomico. Verso la fine del secolo scorso Santa Maria del Fiore ebbe il suo compimento con la nuova facciata, la quale il 12 maggio 1887 inau- guravasi sotto il più bel padiglione di cielo turchino, baciata da un sole splendido e salutata dall'entusiasmo della cittadinanza e dal plauso di una folla ammiratrice d' Italiani convenuti da ogni parte della Penisola. Parve allora di rivivere ai tempi in cui la regina Teo- dolinda inaugurava basiliche italiane. Il pio arcivescovo di Firenze, mons. Eugenio Cecconi, presenti i Reali d'Italia e le autorità cit- tadine, benediceva fra i cantici l'opera bella e gentile del compianto architetto De Fabris, lungamente aspettata, e la sposava al popolo di Firenze. SAN BERNARDO IN PALATIO [1301]. È la cappella di Palazzo Vecchio, la quale è dedicata a San Ber- nardo abbate di Chiaravalle, ma sembra che il suo più antico titolo fosse quello di San Bernardo degli Uberti. Ne abbiamo ricordo da Dino Compagni (2), e nel Consiglio dei Cento il 28 settembre dell'anno 1301 si delibera de LXIII libris expen- dendis in quodam messale emendo prò cappella Priorum et Vexilli- feri dandis presbitero Bene rectore ecclesie Sancii Ruffilli (3). La tra- dizione che fosse precedentemente dedicata a San Bernardo Uberti (1) Villani F., Cron., cap. XCIX. (2) Cronica, lib. II, XII. (3) Del Lungo I., Dino Compagni e la stia Cronica, voi. II, App. pag. 455 ; Arch. di St. fior., Provvisioni, XI, c. 63; Consulte, V, c. I4-I4 3 - SAN BERNARDO IN PALATIO 259 o che sotto questo titolo esistesse una cappella più antica, non è priva di fondamento. La ragione del nuovo titolo deve ricercarsi nel- 1' odio che spinse i guelfi a sbandire i ghibellini perfino dagli altari; il qual sentimento di religiosa ferocia avrebbe ispirato del pari il di- vieto che la Repubblica pose alla commemorazione di San Bernardo degli Uberti, divieto che non prima del secolo XVI dicesi essere stato tolto da papa Leone X, e questa mutazione del titolare della cappella. E fuori di dubbio che la cappella ricordata nella Cronica di Dino Compagni e nella provvisione del 1301 è quella stessa detta del Ghir- landaio, corrispondendo in quella parte di Palazzo Vecchio che fu certamente compresa ne' primi acquisti fatti dal Comune nel 1299. Infatti trovasi accanto all' imbasatura della torre, che, secondo la te- stimonianza del Vasari e del Baldinucci, venne fondata sopra l'antica torre dei Foraboschi detta della Vacca; cosicché le pareti della cap- pella e l'edifizio all' intorno sono certamente palagio dei Forabo- schi e perciò muramento di anni ed anni anteriore al 1301. La cappella era ufiziata da cinque religiosi, che vi dicevano messa; due monaci vallombrosani avevano la custodia e la cura dei sigilli del Comune e a due frati conversi era affidato V ufficio di dispensiere e di spenditore. Dallo Strozzi abbiamo questo ricordo: « Alla cappella de' Signori Priori ogni giorno si diceva messa : « la domenica da' frati Humiliati d' Ognissanti, il lunedì da' frati « Predicatori, il martedì da' frati minori, il mercoledì da' frati di « Sant' Agostino, il giovedì da' frati Carmelitani, il venerdì da' frati « de' Servi, il sabato da' frati di San Marco. Ma 1' anno 1404 si « elegge de' detti frati un cappellano proprio che deva dirli ogni « mattina messa, benedire la mensa, et a rendere grazie. Il quale « cappellano deve avere il vitto nel detto Palazzo, come hanno i frati « del Sigillo e camarlinghi della camera dell'arme e lire dieci il « mese di salario » (1). La cappella è tutta dipinta da Ridolfo Ghirlandaio, il quale nella vòlta rappresentò la Trinità. Nei molti e vaghi spartimenti a oro sono angioletti che sostengono gli strumenti della Passione. Ai (1) Gotti A., Storia del Palazzo Vecchio. Firenze, 1889, cap. I, pag. 40. 2ÓO LE CHIESE DI FIRENZE quattro angoli si vedono le figure dei santi Evangelisti di maniera bellissima. Nella testata inferiore è dipinta 1' Annunziazione della Vergine e in lontananza è figurata quella parte della piazza del- l' Annunziata, dalla quale si vede la chiesa di San Marco, quale era prima dei posteriori mutamenti. In diversi spartimenti si leg- gono iscrizioni tolte dalle sacre carte, le quali ricordano i doveri del cristiano, del cittadino e del magistrato. E notevole quella che si legge nella estrema parte della cappella: VIDVAE ET PVPILLO NON NOCEBITIS ET SI LAESERITIS EOS INDIGNA- BITVR COR MEVM CONTRA VOS, ET EFFICIANTVR VXORES VESTRAE VIDVAE ET FILM VESTRI PVPILLI. A Domenico Ghirlandaio, con deliberazione del 20 maggio 1483, fu commessa la tavola per 1' altare, che poi egli non fece. La deli- berazione dice così : Item dicti domini simili adunati locaverunt ta- bulavi altaris cappelle eorum Palatii Dominico Tommasii Curradi vocato il Grillandaio, quam facere debet ea qualitate et eo modo et forma prout et sicut videbitur et placebit magnifico viro Laurentio Petri Cosine de Medicis. Il quadro fu poi dipinto da Mariano da Pe- scia, discepolo di Ridolfo Ghirlandaio. Rappresenta la Sacra Fami- glia, di bello stile e che sente del michelangiolesco; è pittura di gran merito e forse l'unica che ricorda Mariano da Pescia, di cui non si conoscono altri quadri, essendo stato quasi sempre occupato nei lavori del maestro. La tavola trovasi nella Galleria degli Uffizi e a questa fu sostituita un'altra rappresentante San Bernardo, il cui autore è rimasto ignoto. Presso l' altare, in comic Evangelii, trovasi un armadio con sportello dipinto a uso inferriata dorata e con 1' iscrizione : EVANGELIVM INVENIT SIBI DOMVM ET LEGES LOCVM VBI QVIESCANT per indicare che vi si chiudevano gli Evangeli, sui quali la Signoria giurava o faceva giurare, e il famoso codice delle Pandette che poi fu trasportato nella Biblioteca Laurenziana. Ogni anno per la festa di San Bernardo l' ospedale di San Gallo era tenuto a mandare alla cappella l'offerta di un cero. SAN NICCOLÒ MAGGIORE 2ÓI SAN NICCOLÒ MAGGIORE [1341]- Era la chiesa del monastero di San Niccolò, che fu eretto per la munificenza di messer Niccolò del fu Tello dei Gianfigliazzi, il quale aveva stabilito, che morendo in età minore l'unico figlio suo Giovanni, che lasciava erede universale, sulle sue case presso l'ab- bazia di Santa Trinità si edificasse un monastero di donne, sotto la regola dei frati minori. Però la volontà del testatore non fu pie- namente eseguita; perchè il monastero, che doveva sorgere sulle case dei Gianfigliazzi, fu eretto invece sopra un pezzo di terra in un luogo detto Cafaggio (1), che apparteneva al vescovado fioren- tino; sembrando agli esecutori testamentari che non fosse conve- nevole cosa erigere un monastero di donne contiguo all'abbazia di Santa Trinità. Il dì 5 aprile dell'anno 133 1 il vescovo Francesco Silvestri da Cingolo eleggeva don Matteo, abbate del monastero di San Lo- renzo di San Severino, quale suo vicario per l'istituzione, per la fabbrica e amministrazione del monastero ordinato da messer Nic- colò (2). Da un documento del dì 16 agosto dello stesso anno, ri- sulta che si era incominciata la nuova fabbrica; donde si deduce che le monache dovevano essere state provvisoriamente raccolte in una casetta, in attesa che venisse loro fabbricato il monastero (3). Le prime monache furono tolte da Sant'Ambrogio e ad esse pre- siedeva, quale badessa, Grazia, figlia del fu Bartolo dei Bardi. Nell'anno 1341 le monache provvidero alla costruzione della (1) La prima volta che s' incontra ricordata la terra di Cafaggio è in una carta del monastero di Vallombrosa dell' anno 1141 e poi nel Bullet- tone sotto l'anno 1161 (Arch. di St. fior., Bull., pag. 45, I). (2) Arch. di St. fior., Diplomatico, San Niccolò maggiore, 1331, 5 aprile. (3) Idem, Diplomatico, San Niccolò maggiore, 1331, 16 agosto. 2Ó2 LE CHIESE DI FIRENZE chiesa e il dì 25 febbraio, per mano del vescovo Francesco Silvestri da Cingolo, veniva solennemente benedetta la pietra fondamentale. L'ubicazione di questa antica chiesa corrispondeva al luogo ove poi fu eretto l'ospedale detto di San Matteo, ossia nell'odierna via Ricasoli, quasi sul canto di via della Sapienza. Nel documento che ricorda la benedizione della prima pietra si legge, che la chiesa ve- niva edificata in onore di San Niccolò, che vi si poteva erigere l'altare, celebrare solennemente i divini offici e tenere una cam- pana : hodierna die que est prima dominica quadragesime vt- gesima quiìita presentis mensis februarii personaliter ad loctim ipsum accessimìis et ad tandem divini numinis et gloriose beate Marie vir- ginis matris eius ac reverentiam sancii Nicolai, iuxta ritum et con- suetudinem qzcam romana ecclesia et sanctortcm patrum precipiunt sanctio?ies, primariam benediximus lapidem ìmponendum per nos in ipsius ecclesie fundamento ac lapidem ipsum vivi/ice signo crucis sculptum et per nos ut predicihir solepniter benedictum, presente mul- titudine copiosa fidelium, in dei ?iomine posuimus in ipsius ecclesie fundaniento cimi solemnitatibns et divinis officiis consuetis ipsius ec- clesie vocabulum sancii Nicolai maioris de Cafagio imponentes. Nec non ipsis abbatisse et monialib?is et conventui dicti monasterii con- cedentes omni 7neliori modo et iure, quo melius possumus, quod in dieta ecclesia, quam ut predicitur hodierna die fimdavimus libere possit altare construi erigi et habere ubi missarum solemnia alia divina officia possint libere permissis a iure temporibics celebrari. Possint etiam in dieta ecclesia unam habere campanam et hec om?iia facimus et concedimus sine iuris preiudicio alicujus . . . . (1). Il Capitolo fiorentino aveva cercato d'impedire la fabbrica per essere nella parocchia di Santa Reparata e perchè non gli era stato domandato il dovuto permesso; ma tutto fu appianato con l'ob- bligo imposto al monastero di pagare al Capitolo annualmente il censo di 11. 10 di cera. Il dì 4 aprile dell'anno 1385, Francesco Zabarella, vicario del vescovo Angelo Acciaiuoli, concede alle monache la facoltà di ven- (1) Arch. di St. fior., Diplomatico, San Niccolò maggiore 1340 (ab ine), 25 febbraio. SAN NICCOLÒ MAGGIORE 263 dere una parte del loro monastero a Lemmo Balducci, il quale vo- leva erigere un ospedale e aveva promesso di fabbricare di nuovo il monastero e la chiesa (1). La chiesa costruita da Lemmo corrispondeva sulla piazzetta oggi detta dei Georgofili. Sulla facciata si vedeva lo stemma di Lemmo e in una lunetta sopra la porta era dipinto San Niccolò, attribuito a Lorenzo di Bicci, al quale sembra appartenesse anche 1' ancona dell'altare, rappresentante la Madonna con diversi santi. Nell'abside si leggevano queste due iscrizioni (2), una che ricordava la fonda- zione dell' antica chiesa e 1' altra la consacrazione della nuova, av- venuta solo nell'anno 1568: D. 0. M. FRANCISCVS DE CINGVLO EPISCOPVS FLORENTINVS HVIVS SACRAE AEDIS QVAM ABBATISSA ET MONIALES AD LAVDEM OMNIPOTENTIS DEI SVB. TIT. D. NICOLAI MAIORIS CONDERE STATVERVNT PRIMARIVM LAPIDEM SOLEMNITER BENEDICTVM FVNDAMENTO IMPOSVIT DEIQVE CVLTVI DEDICAVIT ET OMNIBVS EAM DICTO DEDICATIONIS DIE QVAE PRIMA EST DOMINICA QVADRAGESIMAE VISITANTIBVS XL DIERVM INDVLGENTIAM IMPARTIVIT V KAL. MARTII MCCCXL. ANTONIVS ALTOVITA ARCHIEP. FLOR. HVIVS MONASTERII ABBATISSAE ET MONIALIVM PRECIBVS EXORATVS HANC AEDEM DIVO NICOLAO MAIORI DICATAM DOMINICA II MENSISJVLII CONSECRAVIT ET CVM IN ARA MAIORE PERMVLTAS SS. RELIQVIAS COLLOCASSET OMNIBVS IPSA CONSECRATIONIS DIE HVC ACCEDENTIBVS XL DIERVM INDVLGENTIAM DE S. R. E. MORE CONCESSIT V IDVS JVLII MDLXVIII. Delle quattro cappelle di cui la chiesa era decorata, quella (1) Arch. di St. fior., Diplomatico, San Niccolò maggiore, 1385, 4 aprile. (2) Bibl. Marucelliana, Burgassi, Sepoltuario, c. 238. 264 LE CHIESE DI FIRENZE del Crocifisso aveva la seguente iscrizione (i) che ricordava l'o- rigine : QUESTA CAPPELLA TITOLATA IN S FECE FARE MES. PIERO PIEVANO DI VAL DI RVBBIANA E GIÀ PRIORE DI QVESTO MONASTERO NEGLI ANNI DEL SIGNORE 1460 DIPOI FV RESTAVRATA DA QVESTE DIVOTE SVORE A TEMPO DELLA BADESSA M. BARTOLOMMEA D'AN- TON LAPI. A questo altare trovavasi unita e dotata una cappellania, sotto il titolo di San Giuliano, fondata il dì 29 marzo dell'anno 1477 da Amideo* degli Amidei, priore di San Romolo, con obbligo del rettore di assistere i condannati a morte e recar loro per conforto un panellino confetto di tre once (2). La fondazione della cappella della Santissima Annunziata era ricordata da questa epigrafe : LA PRESENTE CAPPELLA FECE FARE MADONNA TADDEA DI JACOPO RIDOLFI BADESSA GIÀ DI QVESTO MONASTERO NEL MCCCCXXXVII LA QVALE HANNO FATTO RIFARE QVESTE DIVOTE SVORE AL TEMPO DELLA REVERENDA MADRE BADESSA SVOR BARTOLOMMEA DI ANTONIO LAPI MDXXXXIII. Una cappella era dedicata a Santa Margherita e un'altra alla Natività. Chiesa e monastero furono soppressi nel 1783 e il locale fu ri- dotto a sede di alcune sezioni dell'Accademia di Belle Arti. Oltre le denominazioni indicate nel documento che ricorda la fondazione, la chiesa fu anche detta di San Niccolò de cocumero (3) e ciò dal nome della strada, perchè l'odierna via Ricasoli era an- ticamente chiamata via del Cocomero. (r) Bibl. Riccardiana, Baldovinetti, Sepoltuario, c. 667. (2) Bibl. Magliabechiana (Manoscritti) II, I, 138. Alla fondazione di questa cappella si riferisce anche un atto in data 4 marzo 1476 (ab ine). Arch. di St. fior., Diplomatico, San Niccolò maggiore. (3) Arch. di St. fior., Convento di San Niccolò maggiore, libro di Ri- cordi, n. 1. SAN GIOVANNI EVANGELISTA 265 SAN GIOVANNI EVANGELISTA [1351]- Devesene la fondazione a Giovanni di Landò di Goro de' Ciam- pelli, il quale, con suo testamento compilato nell'anno 1348, stabiliva che si erogassero 4000 fiorini d'oro della sua sostanza per 1' ere- zione di una chiesa o di un oratorio in onore di San Giovanni Evan- gelista (1). La benedizione della prima pietra avvenne il dì 14 mag- gio del 135 1 per mano del vescovo Francesco Atti da Todi, alla presenza della Signoria e del gonfaloniere Jacopo Ridolfi. Sorse la chiesa sul terreno che apparteneva a Francesco d'Ar- dingo de' Medici, cui furono pagati 635 fiorini d'oro. Nell'anno 1352 era già compiuta. E ignoto l'architetto che ebbe l'incarico della co- struzione, ma è certo che fu uno dei buoni maestri del tempo. Per il mantenimento del rettore si assegnarono alcune case e un podere. Nell'anno 1557 fu ceduta ai Padri della Compagnia di Gesù, per volontà di Cosimo I e di Eleonora di Toledo. Nel 1580 si pensò a rendere più vasta la chiesa e a ciò concorsero i più ricchi dei cittadini e specialmente Bartolommeo Ammannati, che ne fu l'architetto. La chiesa per la deficienza di mezzi non potè essere compiuta con tutta quella perfezione desiderata dall'architetto, il quale non potè terminare la facciata, nè condurla all'altezza che voleva; onde i lavori restarono interrotti fino al 1661, anno in cui furono ripresi sotto la direzione dell'architetto Alfonso Parigi. La chiesa fu allora alzata di sei braccia, furono compiuti i lavori della facciata secondo il modello dell' Ammannati e vennero atterrate al- cune case che ingombravano la piazza. Soppressi i Gesuiti nel 1773, la chiesa e l'annessa casa fu- rono concesse ai Padri Scolopi, che abitavano presso la chiesa detta dei Ricci e avevano le scuole in un comodo locale in via dei Cerchi. Donde la più comune denominazione di San Giovannino degli Scolopi. (1) Richa, Notizie isteriche delle Chiese fiorentine, tomo V, pag. 108. 266 LE CHIESE DI FIRENZE La bella chiesa, restaurata in questi ultimi anni, sarà sempre un caro ricordo a tanti Fiorentini per la buona educazione e la soda istruzione ricevuta da quegli ottimi Padri, che fino all'anno 1878 ressero lodevolmente le scuole che vi sono annesse. I bellissimi di- pinti a fresco che in essa si ammirano sono di mano del Passignano, di Santi di Tito, del Curradi e del Bronzino e le tavole degli al- tari sono pure belle pitture dovute a eccellenti maestri. Sulla facciata si leggono queste due iscrizioni : DEO OMNIPOTENTI IN HONOREM S. JOANNIS AP. ET EV. VETVSTO ■ GORIAE ■ GENTIS • ECCLESIASTIRIO ET • AEDICVLIS ■ SVPRA ■ ET ■ CIRCVM • AREAM ■ DISIECTIS ECCLESIAM ■ HANC BARTHOLOMEVS ■ AMMANNATVS ■ ARCHIT ■ FL. EX ■ SVA • ET • PIORVM • COLLATIONE PATRIBVS ■ SOC ■ JESV ■ CVRANTIBVS EXCITANDAM ■ AN ■ MDLXXXI • SVSCEPIT OPERE • EX • ARCHETYPO ■ ILLIVS PER • MAGISTERIVM ■ ALPHONSI ■ PARIGI • ARCHIT. ANNO • MDCLVI ■ AD ■ FINEM • PERDVCTO ANNO MDCCCXLIII ECCLESIAE • FRONTEM TEMPORVM INIVRIIS ■ POST ■ DVO ■ SAECVLA SORDESCENTEM ■ ET ■ PENE • INTERITVRAM PATRES • SCHOLARVM ■ PIARVM COMMODIS • ET • ORNAMENTIS INTERIVS • AD ■ PERFECTIONEM • AVCTIS VIRI • SPECTATISSIMI ■ SVPERIVS ■ AENEIS ■ LITERIS EX • EORVM • VOLVNTATE ■ MERITO • SCRIPTI BENEFICENTE ■ ET • LIBERALITATE LEOPOLDO • PASQVIO ■ ARCHITECTO ■ FL. REFICIVNDVM ■ CVRARVNT. SANTA MARIA DELLA MISERICORDIA 267 SANTA MARIA DELLA MISERICORDIA [1352]. La fondazione risale a quella celebre compagnia nata dai Lau- desi della Madonna di Or San Michele, in occasione della peste del 1326. I rettori del benefico sodalizio, fatti ricchi per i lasciti conseguiti nel 1348, pensarono a procurarsi una stabile residenza per l'esercizio delle opere di pietà, proprie del loro istituto. A tale scopo, pensando all'opportunità del locale, deliberarono di costruire una cappella con alcune stanze sulla piazza di San Giovanni, va- lendosi della casa che era stata donata loro da Giovanni d'Albizzo Pellegrini, il dì 16 settembre del 135 1, nell'atto di costituirsi loro servo per tutta la vita. Ma sembrando troppo ristretto quel luogo, i rettori ricorsero alla pietà dei Fiorentini e dai popolani di Santa Re- parata, il dì 21 gennaio del 1352, ottennero altre dieci braccia di terreno onde poter costruire il loro oratorio (1). Questa è la data precisa dell' edifizio, di cui si ignora l'architetto; ma non è impro- babile che vi avesse parte Andrea Orcagna, perchè lo stile si ac- costa molto a quello a lui proprio; nè mai potrà determinarsi con sicurezza, mancando tra i libri della Misericordia tutti quelli che vanno dai primi mesi del 1352 al 1358. La costruzione della loggia era compiuta nel 1358 e in quel- l'anno si chiudevano le arcate con cancelli di ferro, costruiti da Francesco Petrucci, celebre maestro senese, noto per altri lavori di simil genere; e quelle cancellate non dovevano essere certa- mente povera cosa, quando all'artefice si pagavano 55 fiorini d'oro: 1358 ab ine. 9 marzo. Manetto di Giovarmi Davanzati dea e paghi a Francescho Petrucci da Siena per le graticole dell' oratorio della dieta compagnia, le quali poste al diclo oratorio, fiorini ciìiquanta- cinqtie d' oro (2). (1) Passerini, La Loggetta del Bigatto. Arch. di St. fior., Bigallo, libro II. Deliberazioni e stanziamenti, I, c. 28. (2) Arch. di St. fior., Bigallo, filza II, c. 7*. 268 LE CHIESE DI FIRENZE Contemporaneamente Alberto Arnoldi scolpiva per 1' altare della cappella la statua della Vergine e i due angeli che le stanno ai lati; e quest'opera conducevasi dall'illustre scolare di Andrea Pisano tra il 1359 e il 1364 per il prezzo di 280 fiorini d'oro; mentre nel tempo stesso lavorava all'altra immagine della Madonna, che posa sulla porta di fianco dell'oratorio, sulla piazza di San Gio- vanni, la quale diè finita nel giugno del 1361 per 16 fiorini d'oro (1). Nel 1363 le vòlte dell'oratorio venivano decorate di affreschi, a cui attendevano i dipintori Nardo e Bartolommeo: il primo dei quali fu assai probabilmente il fratello di Andrea Orcagna e l'al- tro il senese Bartolommeo, creduto dei Bulgarini, che in Firenze eseguì diverse opere d'arte. Altri dipinti a fresco furono compiuti nel 1425 da Giunta e da Rossello e altri ancora nel 1436 da Gio- vanni di Donnino. I resti di questi pregevolissimi affreschi peri- rono nel 1760 sotto l'intonaco sovrapposto da un imbianchino, per ordine del rettore Angelo Maria Ricci. Mentre si dipingevano le vòlte, un maestro Ambrogio, forse il Baldesi o il Lorenzetti, faceva il gradino al quale nel 15 12 ve- niva sostituito quello pregevolissimo di Ridolfo del Ghirlandaio, allorquando fu costruito il nuovo altare ricco di bellissimi intagli eseguiti da Antonio Carota. Dai libri dei capitani si ha memoria che Niccolò di Pietro Ge- rmi e Ambrogio di Baldese dipingevano sulla parete esterna del- l'oratorio un bell'affresco, che nel 1777 fu trasferito nella stanza del Commissario dell'orfanotrofio del Bigallo e che rappresenta alcuni fanciulli smarriti e tra essi diverse madri tutte festanti per veder- seli restituiti dai fratelli di Santa Maria della Misericordia. E noto come i benefizi impartiti alla intiera città non bastas- sero a impedire la rovina del pio sodalizio; poiché Cosimo il vec- chio, dei Medici, protettore della compagnia del Bigallo, la quale per effetto di mala amministrazione era prossima a sciogliersi, fece in maniera, che nel 1425 delle due fraternite se ne formasse una sola, per potere con i redditi della Misericordia arricchire l'altra. Cessò quindi l'esercizio delle opere pie ch'erano proprie della Mi- (1) Passerini, La Loggetta del Bigallo. VERGINE MARIA DELLA TROMBA 269 sericorclia; e quando dopo molti anni si rese indispensabile richia- marla a vita novella, quei che nel 1489 dettero i nuovi statuti, memori dei danni recati da Cosimo dei Medici, decretarono che fosse limitata l'autorità e l'influenza dei cittadini statuali. I capitani del Bigallo, forse per cancellare il ricordo della loro usurpazione, vollero rappresentati sulle pareti esterne del palagio sovrastante all'oratorio, i fatti relativi alla loro istituzione e a ciò furono decisi quando si trovarono costretti a riedificare in gran parte la metà superiore dell' edilìzio, danneggiato da un furioso in- cendio il 23 luglio 1442. Sembra ormai stabilito che Ventura di Moro e Rossello di Scoiaio Franchi sieno gli autori di questi af- freschi, da loro eseguiti nel 1445. VERGINE MARIA DELLA TROMBA [13613. In origine non era che un semplice tabernacolo eretto a ri- cordo del luogo dove predicava Pietro da Verona contro l' eresia dei Paterini. Per decreto del Gonfaloniere e dei Priori, il dì 15 giu- gno dell'anno 1361 fu dato in custodia all'Arte dei Medici e Spe- ziali, che lì prossima aveva la sua residenza (1). Il tabernacolo venne sostituito da una chiesuolina, che si disse la Vergine Maria della Tromba, la cui costruzione portò alla chiu- sura del vicolo della Tromba, che il dì 29 novembre del 1408 fu pure concesso all'Arte (2). Il chiasso della Tromba, situs super angulo Jori veteris in quo multa iìirpia et inhoncsta fieri solcbant (3), conduceva nella vicina via degli Spadai, rimasta poi chiusa tra le fabbriche. (1-2-3) Ardi, di St. fior., Medici e Speziali, n. 201, c. 19 e 20. 270 LE CHIESE DI FIRENZE In un decimano dell'Arte dei Medici e Speziali (1) si trovano registrati questi ricordi: Lamministratione e ilgoverno et reggimento perpetuo del chiasso et deloratorio et della tavola di sancta Maria della tromba di Mer- cato vecchio alla detta arte conceduta per lo popolo et comune di firenze del mese di giugno del M CCC LXI. La quale poi perchè lite fu mossa ala detta arte fu di nuovo conceduta et data alla detta arte per gli uficiali della torre et de beni de rubelli et sbanditi del comune di firenze adì XXVI III di novembre M CCCC Vili I confini del quale oratorio et chiasso sono questi cioè a j° via a ii° bernardo dugolino di bonsi a iij° corte chee dietro a sancto An- drea a iiij° lerede di giovanili di luca da cignano. Et fu il detto oratorio approvato et confermato et data et con- ceduta licentia per messer lo vicario del vescovo di Firenze dipotervi fare laltare et dipotervi fare celebrare idivini officii et per esso mes- ser lovicario data fu licentia et conceduta a messer Ghirigoro da- rezzo priore di sancto Andrea di firenze nel qual popolo è sito il detto oratorio diconsentire che idivini officii sipotessono celebrare in esso oratorio. Et esso messer lopriore con lautorità del detto messer lovicario consentì et die licentia che così sipo tesse fare per ladetta arte con questo excepto che nel dì di sancto Andrea in esso oratorio non si potesse ne dovesse celebrare. Le quali cose tutte fatte furono adì VII daprile M CCCC XI per mano di ser Antonio di facopo Pieri notaio del vescovo predetto. A questo ricordo fa seguito l'inventario della suppellettile: uno lampanaro aoro lavorato, una campana per sonare di metallo di IL xxvij, due candellieri di ferro in su laltare, uno chuoio per co- prire laltare, uno bacino di stagno per lavare lemani, uno guanciale di chuoio per lo messale, uno palio da altare ditafeta in brochato vermiglio, uno palio di drappo novo azzurro e fregiato, una tova- glia grande per laltare, una tovaglia mezana per laltare, quatro sciugatoi achapi di seta per laltare, uno calice e una patena dariento dorato, due di drappo a oro per corporali, uno corporale (1) Ardi, di St. fior., Medici e Speziali, n. 205, c. 2. (Ed. Cav. G. Baccani). Tabernacolo della Vergine Maria della Tromba. VERGINE MARIA DELLA TROMBA 273 per lo sacrificio, due ampolle di vetro, imo paio daste dipinte per e torchi, uno ferro in asta per spegnere i torchi, una predella grande a lattare, una cassa di noce intarsiata per tenere le cose, tina chiave per la detta cassa, due predelle per inginocchiare di fuori, uno orcio per tenere olio, una chiave per serrare dinanzi, una cassetta per can- dele et danari, una pianeta di domaschino biancho con manipoli et stola, tino palio di tafetta azzurro con gigli doro, 7cna pianeta meza di domaschino rosso nuovo datato riffa e di baldachino vecchio datato sinistro con fregio doro vecchio e sopanata di valescio, u?io chamice chon chordiglio amitto et stola et manipolo. A dì XVI If daprile sife dinuovo indetto oratorio lenj rase ritte chose : uno chamice chondrappo alessandrino dappiè et uno manipolo ditafetta azurro, uno messale piccolo chiamato votivo fattovi di nuovo questo dì VII dottobre 1451 choverto chon guarnello. Sull'altare si trovava un'importantissima tavola devota et pulcra, opera di Jacopo da Casentino, con la Madonna e diversi santi. Lo stesso maestro aveva pure dipinto la lunetta che oggi si trova nel Museo dell'antica Firenze in San Marco, sulla quale tuttora si scor- gono traccie di pitture. La chiesuola rimase al culto fino al 1785, anno in cui fu sop- pressa e affidata ad un tale Sati, che si obbligò di averne cura e di mantenere la lampada dinanzi all'immagine. Più tardi il piccolo lo- cale fu ridotto per uso di bottega e nel riordinamento del centro fu demolito, trasportandone la parte decorativa nel Museo suddetto. La tavola di Jacopo del Casentino fu trovata attaccata alla parete del coro della chiesa di San Tommaso, donde fu tolta e collocata essa pure nello stesso Museo. Cocchi, Le Chiese di Firenze. 18 274 LE CHIESE DI FIRENZE SANTA MARIA DELLE GRAZIE [1371J. Il titolo sancta Maria delle gratie, comparisce la prima volta in un documento del dì 4 febbraio dell'anno 1394 (1), nel quale si legge che per la moltitudine de' voti e per la devozione del po- polo si cominciò a chiamare quella chiesuola, che per quanto mu- tata di luogo, così tuttora si chiama. Fino dal 21 novembre del 1371, la Signoria aveva concesso che un buono e lodevole cittadino da nominarsi da Giovanni Mannini, edificasse a proprie spese, sopra la prima pila del ponte a Rubaconte dalla parte di Santa Croce, una cappella in onore della Beata Vergine, che non fosse più larga della pila, dalla parte anteriore. Il cittadino nominato fu Jacopo di Caroccio degli Alberti, il quale nel suo testamento del 18 giugno del 1374 ordinò si compisse il modello di legno fatto da lui: Item voluti, dìsposuìt et mandavit testator prefatus, quod de bonìs sirìs fiat, cojnpieatur et perficiatur dieta cappella et oratorium, quod j avi inceptum super dicto ponte, secundum exemplum lignaminis per ipsum dominimi Jacobum .... (2). La cappella fu compiuta infatti dal figlio Francesco, che ottenne dal pontefice di potervi far celebrare in perpetuo la messa e gli uffizi divini. Le divisioni cittadinesche e gli scandali che di frequente accadevano di quel tempo in Firenze, fecero sì che le scritture degli Alberti andassero in gran parte per- dute e fra queste il pontificio rescritto. Allora Giannozzo di To- maso degli Alberti, non tanto in nome proprio, quanto in quello di Pietro del fu Bartolommeo e dei figli ed eredi di Albertaccio del detto Bartolommeo, insieme patroni dell'oratorio, chiese e ot- tenne, con speciali condizioni, il dì 4 febbraio dell'anno 1394 da (1) Ardi, di St. fior., Protocolli di Antonio di Jacopo da San Paolo. (2) Passerini Luigi, Gli Alberti di Firenze, Genealogia, storia e do- cumenti, parte II, pag. 145. SANTA MARIA DELLE GRAZIE 275 Fra Onofrio, vescovo fiorentino, l'approvazione delle cose fatte e la conferma della facoltà di far celebrare la messa e gli uffizi di- vini da un sacerdote di loro elezione. Fu scritto che l' immagine della Madonna esistesse prima della edificazione della chiesuola e si cita il noto decreto di Onofrio là dove dice: In quo loco, che già aveva chiamato tunc prophano ; — tunc sohcmmodo sculta erat seu pietà quaedam in quodam ipsìus loci tabemaculo figura et ymago sancte Marie virginis gloriose. Le quali parole, se trattengono dal negare la preesistenza in quella pila di un' immagine di Maria, come ne darebbero motivo la provvi- sione del 137 1 che tace di immagine e tabernacolo e il testamento di Jacopo Alberti che parla di pictura fienda e ordina che si faccia, per remissione de' suoi peccati, cappellam, oratorium, sepulturam et picturam{i)> non portano logicamente a concludere che l'im- magine presente sia quella del tabernacolo ricordato di sopra. E certamente le parole sculta seu pietà, che leggonsi nell'atto del 1394, dimostrano che allora nell'oratorio era l'immagine fatta fare dal- l'Alberti, poiché se vi fosse stata l'antica, il vescovo non sarebbe ri- masto tanto incerto nel descriverla da non sapere indicare se fosse dipinta o di rilievo. Sembra quindi che si possa concludere che l'immagine e la chiesuola si debbano attribuire al medesimo tempo. La Vergine, dipinta a fresco sull' intonaco di grosso muro, è racchiusa in un tabernacolo di marmo. L'abito si compone di un largo cappuccio che le cuopre la testa e di una specie di cocolla che scende in ampie pieghe dall'omero, l'uno e l'altra di un co- lore azzurro che contrasta piacevolmente col giallo aranciato della veste. La Vergine è assisa sopra una scanna con ampio postergale simile a cuoio a disegni e con ambe le mani sorregge il Bambino, avvolto in veste purpurea e dipinto in atto di benedire. Ai lati del gruppo si vedono le teste di due angiolini. L'attuale elegante oratorio devesi alla munificenza dei signori conte Mario Mori-Ubaldini degli Alberti e dei suoi figli cav. Ar- turo e cav. Guglielmo e ne fu architetto il prof. Giuseppe Mal- votti. La venerata immagine vi fu trasportata dall'antica sua sede (1) Passerini Luigi, Gli Alberti di Firenze, ecc., pag. 145. 276 LE CHIESE DI FIRENZE il dì 7 febbraio del 1874, quando per deliberazione municipale fu decretato l'ampliamento del ponte e quindi la demolizione di quelle superedificazioni, non escluso il sacro oratorio, che sulle immani sue pile sorgevano. A ricordo di ciò, nelP interno del piccolo tempio si legge la seguente iscrizione, dovuta alla penna del compianto padre Mauro Ricci delle S. P. : MARIAE VIRGINIS OPIFERAE SACRAM EFFIGIEM IN PILA PONTIS RUBACONTIS JACOBO ALBERTI MILITI A FLORENTINORUM REPUBLICA DONO DATA CIVIUM ET ACCOLARUM RELIGIONE ANTIQUITUS CELEBRATAM IN AEDICULA QUAM GENS ALBERTIA EXCITAVIT PERQUE SPECIEM PUBLICAE UTILITATIS SUMMO PIORUM DOLORE CURATORES REI MUNICIPALE DESTRUENDAM CENSUERE COMES MARIUS ARCTURUS ET GUGLIELMUS FILM MORI-U BALDINI-ALBERT II FRUSTRA TOTIS VIRIBUS ADVERSATI HIC PRISTINO CULTUS RESTITUERUNT AN. MDCCCLXXIV. A uso di pila per l'acqua benedetta serve un'antichissima urna cineraria dell'epoca romana, lavorata con squisitissimo gusto. SAN MATTEO [1389]. Guglielmo, detto per abbreviazione di nome Lemmo, di Bal- duccio di Vinci di Graziano, nato in umile condizione nel castello di Montecatini, si portò a Firenze, ove si ascrisse all'Arte del Cam- bio. Per rimediare alle mali acquistate cose* nel mercanteggiare, si fece istitutore di un ospedale per i poveri ammalati, che eresse so- SAN MATTEO 277 pra una parte di terreno occupata dal monastero di San Niccolò (1). Lemmo morì il dì 6 dicembre dell'anno 1389, quando la fabbrica dell' ospedale era appena sul principio, ma volendo provvedere che fosse condotta a termine e avesse effetto la sua pietosa intenzione, chiamò erede l'Arte del Cambio, per testamento rogato da ser Mar- tino da Vellana il dì 24 maggio del 1389, strettamente ordinando che l'edifizio si compiesse e che avesse lo scopo per il quale era stato innalzato. Prescrisse ancora il modo col quale intendeva che 1' ospedale venisse governato : cioè che patrona ne fosse in perpetuo l'Arte del Cambio; che da quella si eleggesse il rettore, il quale doveva esser celibe; che infine il priore, i ministri e i serventi avessero comune la mensa, come persone raccolte a vita regolare. I consoli dell'Arte del Cambio furono fedeli e solleciti esecu- tori della pia intenzione del fondatore e, proseguita alacremente la fabbrica, nell'anno 14 10 poterono incominciare a ricevere gli am- malati. La chiesa e 1' ospedale dedicati prima a San Niccolò, furono in seguito intitolati a San Matteo Ap., protettore dell'Arte da cui l' ospedale dipendeva. La chiesa era l' antica che apparteneva al mo- nastero e nel secolo XVI fu totalmente restaurata. La seguente epi- grafe (2) ricordava la dedicazione dell'altare principale: PETRVS CAMAIANVS ARETINVS DEI ET APOSTOLICAE SEDIS GRATIA EPISCOPVS FESVLANVS ANNO DOMINI MDLX DIE VERO VI DECEMBRIS QVA FESTVM SANCTI NICOLAI EPISCOPI ET CONFESSORIS CELEBRATVR HANC PRAESENTEM ECCLESIAM ET ALTARE AD HONOREM DEI ET VIRGINIS MARIAE ET OMNIVM SANCTORVM SVB TITVLO SANCTI MATTHAEI APOSTOLI ET EVANGELISTAE CONSECRAVIT AC IN IPSO ALTARI RELIQVIAS SANCTORVM MATHAEI SIMONIS ET NICOLAI CLAV- SIT OMNIBVSQVE CHRISTI FIDELIBVS VTRIVSQVE SEXVS QVOLIBET ANNO IN PERPETVVM ECCLESIAM HANC PIE AC DEVOTE VISITANTIBVS QVADRAGINTA DIES DE VERA INDVLGENTIA MISERICORDITER IN DO- MINO RELAXAVIT. Su questo altare trovavasi una pregevole ancona raffigurante San Matteo. (1) Arch. di St. fior., Diplomatico, San Matteo, 1389, 5 novembre. (2) Bibl. Marucelliana, Burgassi, Sepolluario, c. 216. 278 LE CHIESE DI FIRENZE Sul deposito di Lemmo si leggeva una iscrizione (1) composta da Angiolo Poliziano: D. 0. M. QVI SPECTAS INGENS AEDIFICIVM HOSPES AVCTOREM ILLIVS ME LEMMVM BALDVCCIVM INSALVTATVM NE PRAETERI PLV- RIMA VIVENS CONGESSI SED EORVM HOC SOLVM DEO QVOD DICAVI DEFVNCTVS TENEO VALE ET QVOD RECTE NOS FECISSE PVTAS IMITARE. Un'altra iscrizione ricordava la traslazione delle ceneri dal- l'interno dell'ospedale alla chiesa: RUSSIMI VIRI CINERES QVI DIV IN AEGROTORVM LOCO HOC IPSO MONIMENTO IACVERVNT VT RELIGIOSVS CONDERENTVR VTQVE TEMPLVM ADEVNTES TANTI PARENTIS MEMORES FIERENT HIC POSITI FVERE AN. MDCCXXXV Ospedale e chiesa furono soppressi nell'anno 1783 e il locale fu destinato all'Accademia di Belle Arti. SANTA MARIA DEL BIGALLO [1414]. Era V oratorio annesso alla sede dei capitani del Bigallo (2), i quali da prima non ebbero luogo stabile di residenza, vedendoli adunarsi in origine nella chiesa di Santa Maria Novella, dipoi in (1) Bibl. Marucelliana, Burgassi, Sepoltuario, c. 216. (2) Dai capitani della Fede istituiti da fra Pietro da Verona uscì una tra le più benefiche istituzioni delle nostra città, cioè il Bigallo. Dal loro fondatore furono posti sotto la invocazione della Vergine, e perciò si dis- sero in seguito capitani della compagnia maggiore di Madonna Santa Ma- ria. Dalla cura loro commessa nel 1245 dell' ospedale di Santa Maria SANTA MARIA DEL BIGALLO 279 alcuno degli ospedali da loro dipendenti, talvolta nella chiesa di San Bartolo al Corso, tal' altra, come si legge in un atto del 1332, in una bottega nel popolo di San Michele in Orto. Nel 1352, per contratto rogato da ser Piero di ser Grifo, ricevettero donazione dal Comune di Firenze di una casa in antico appartenuta ai Macci nel popolo di San Bartolo al Corso, ove facevano angolo la piazza di Or San Michele e la via dei Calzaioli, e in quella edificarono la propria e stabile residenza, ove rimasero fino al 1425, cioè fino alla loro unione con la compagnia della Misericordia. In tale oc- casione, per decreto della Signoria, si trasferirono sulla piazza di San Giovanni, nella casa edificata dai capitani di questa venerabile confraternita. L'antica sede nel corso degli Adimari non doveva esser di spregevole architettura, e sappiamo per documenti che aveva unito un oratorio, della cui costruzione abbiamo ricordo fino dal 1414. Infatti in una deliberazione del dì 6 luglio di quell'anno si legge: Itevi modo et forma predictis delibcraverunt quod terrenum oratorii diete societatis actetur et amattonctur bene et Jwnorabiliter ut requi- riiur(i). Casa e oratorio erano ornate di pitture tanto all'esterno che all'interno e in un'altra deliberazione del dì 13 maggio 141 5 si legge che maestro Ambrogio Baldesi, pittore, aveva avuto com- missione di dipingere nell'interno e sulle mura esterne dell'ora- torio, le storie di San Pier martire (2). Il 22 novembre dello stesso anno si conveniva con lo stesso maestro che nella vòlta della cap- pella dovesse dipingere i quattro Evangelisti e alcune storie della Vergine (3). E che questi dipinti fossero veramente compiuti, si ri- leva da uno stanziamento del dì 10 maggio del 141 7, nel quale si del Bigallo, presero il nome sotto il quale furono poi sempre chiamati. Quest'ospedale era situato sul monte dell'Apparita, cinque miglia distante da Firenze, in un luogo detto Fonte Viva, nel popolo di San Quirico a Ruballa. Si disse del Bigallo essendo edificato in un luogo detto via Galli e corrottamente Bigallo, forse perchè conducente ad un fondo dell'anti- chissima famiglia Galli. (1) Passerini Luigi, Storia degli Stabilimenti di beneficenza, pag. 10. Arch. di St. fior., Bigallo. Deliberazioni dal 1413 al 1417, pag. 91 e seg. (2-3) Idem, pag. 10. 28o LE CHIESE DI FIRENZE delibera il pagamento di 7 fiorini d'oro a maestro Ambrogio prò parte picture cappelle oratorii diete socie tatù (1). L'oratorio era fornito di candelabri dipinti e sull'altare tro- vavasi un'ancona di mano di Mariotto di Nardo. Nella delibera- zione del dì 12 marzo del 141 5, che si riferisce alla commissione di questa tavola, si legge che il maestro doveva dipingere la Ver- gine col Divin Figlio in braccio, avente a destra San Pier mar- tire, a sinistra San Giovanni Battista e ai piedi di ciascun santo alcune storie degli atti loro e, sotto l' immagine della Vergine, la Pietà. Nei compassi sopra le tre figure, la Crocifissione e l'An- nunziazione. MADONNA DE' RICCI [1508]. Ne è ricordata la fondazione da Luca Landucci (2), sotto la data del dì 13 luglio 1508: « E in questi dì si cominciò e fon- « damenti della nunziata da' Ricci, che si dice Santa Maria Albe- « righi, quella che si cominciò da quello che gli gittò nel viso « bruttura e fu inpiccato » . L' avvenimento che dette origine a questa chiesa, è descritto dallo stesso Landucci: « E a dì 21 di « luglio 1501, fu preso uno che a nome Rinaldo, fiorentino, ch'era « giucatore (3) ; el quale, perchè aveva perduto, gittò sterco di « cavallo a una Vergine Maria eh' è dal canto de' Ricci in uno « chiassolino da quella chiesa eh' è in su una piazzuola di dietro « alle case; e dettegli nella diadema. E vedendolo un fanciullo disse « come egli era stato un uomo; e fugli andato dietro e codiato, (1) Passerini Luigi, Storia degli Stabilimenti di beneficenza, pag. 11. (2) Diario fiorentino dal 1450 al 1316, pubblicato da Jodoco Del Badia, pag. 287. (3) Lo scrittore ha confuso il cognome col nome: l'autore del de- litto si chiamava Antonio di Giovanni Rinaldeschi come rilevasi dalla sen- tenza dei signori Otto, pronunziata lo stesso giorno. MADONNA DE' RICCI 28l « e fu preso all'Osservanza di San Miniato, e quando e famigli « degli Otto gli furono presso si dette d'un coltellino nella poppa « manca, e loro lo presono e menoronlo al Podestà, e confessò « averlo gittato per passione d'avere perduto, e la notte lo inpic- « corno alle finestre del Podestà, e fu la mattina di Santa Maria « Maddalena, che fu una festa doppia (1). Vi venne tutto Firenze « a vedere, per modo che venendo il Vescovo a vedere questa « Vergine Maria, levò detto sterco da lei, in modo che non fu sera « che vi fu appiccato molte libbre di cera, e tutta volta crescendo « la divozione. E in pochi dì vi venne tante immagini come si « vedrà col tempo ». Neil' elenco dei giustiziati (2), che si conservava dalla compa- gnia de' Neri, trovasi ricordata l'esecuzione in questi termini: 1501. Antonio di Giova?ini Rinaldeschi inpiccato alle finestre del potestà all'ore 2 di notte 22 luglio e quivi stette insino all' altro dì che ci è la festa di Santa Maria Maddalena, perchè per disperazione iri- brattò con sterco la figura di nostra donila a gli Alberigi e in detto dì in quel luogo cominciò la devozione e concorso delle persone. Con la fabbrica della chiesa furono chiusi i due vicoli che sta- vano ai lati di Santa Maria degli Alberighi e oltre le molte of- ferte dei fedeli raccolte per i lavori, il magistrato degli Otto assegnò allo stesso scopo parte dei beni confiscati al Rinaldeschi. L'immagine venerata rappresenta l' Annunziazione e secondo il Del Migliore sarebbe stata dipinta da Giovanni di Jacopo da Milano discepolo di Taddeo Caddi; ma ciò non è convalidato da documenti. (1) Per intendere il significato delle parole « fu una festa doppia », giova ricordare che la cappella del palazzo del Potestà era intitolata a Santa Maria Maddalena penitente e che quel magistrato sosteneva la spesa delle feste così sacre come profane che in tal giorno faceva fare. Quando poi al Potestà fu sostituito il Tribunale della Rota, che in appresso si tras- ferì nel palazzo dei Castellani, detto già Altafronte, la festa si faceva nella cappella della nuova residenza di quei Giudici, continuandosi a suonare in quel giorno le campane dell'antico palazzo, e a correre un palio di ca- valli, dall'Opera del Duomo all'Arno. L'altra festa fu l'esecuzione del Rinaldeschi. (2) Bibl. Magliabechiana, Manoscritti. II, I, 138. 282 LE CHIESE DI FIRENZE La chiesa rimase sotto la giurisdizione del parroco di Santa Ma- ria degli Alberighi fino al 1632, anno in cui da Ferdinando II fu concessa ai Padri Scolopi, i quali nel 1769 rinnuovarono la tri- buna sul disegno dell'architetto Zanobi Del Rosso, fecero di nuovo le cappelle e decorarono la chiesa di pilastri e di altri lavori a stucco. Il portico che la precede, fu eretto nel 1640 a spese di Pier Francesco Landini, sul disegno di Gherardo Silvani. Nel 1774 i Padri Scolopi passarono in San Giovannino e ad essi successero i chierici regolari, ministri degli infermi, che vi ri- masero finché non fu loro concessa Santa Maria Maggiore. La venerazione verso l'immagine che dette origine alla chiesa è oggi affatto cessata, come da molti anni è cessato l'uso di esporre sotto la loggia, nel giorno anniversario dell'avvenimento, l'antica tavola che lo ricordava. Le nuove devozioni a immagini della Ver- gine, venerate altrove sotto nuovi titoli e con troppa leggerezza introdotte, hanno poste in oblio quasi tutte le antiche. SANTA MARIA DELLA MISERICORDIA NUOVA [1580]. Era il locale ove si adunava il magistrato dei Pupilli e fu donato alla compagnia della Misericordia dal granduca Francesco I nell'anno 1575(1). Fu ridotto a uso di oratorio da Alfonso di Santi Parigi. I lavori venivano compiuti nel 1580 e nell'anno suc- cessivo Bernardino Poccetti decorava di affreschi la facciata, rappre- sentandovi le Opere di misericordia. Questi dipinti furono distrutti nel 1780 quando fu ampliato il locale e ridotto alla forma pre- (1) Passerini Luigi, Storia degli Stabilimenti di benefice?iza, pag. 469 e seguenti. S. MARIA DELLA MISER. — CROCIFISSO DA' VECCHIETTI 283 sente; però si ebbe cura di farne la copia, che fu eseguita dal pit- tore Antonio Fedi. Qual fosse lo stato esterno della fabbrica, circa la metà del secolo XVII, si può vedere nel quadro rappresentante la peste del 1630, che si colloca sulla facciata ogni anno per l'ot- tava del Corpus Domini. Nel 1578 la magistratura del Bigallo donava alla Misericordia una statua della Madonna di Benedetto da Maiano, che veniva col- locata sull'altare e nel 1590 faceva dono anche di una statua di marmo rappresentante San Sebastiano, dello stesso maestro. Santi di Tito dipinse per la compagnia nel 1579 San Tobia e San Seba- stiano e due quadretti con le Opere di misericordia. Il pittore ebbe in pagamento trenta fiorini d'oro. Poco dopo il 1600 Clemente di Fi- lippo Santini cominciò a dipingere nelle lunette della compagnia diversi fatti della vita di Tobia, ma sembra che ne eseguisse sol- tanto quattro, essendo morto di peste nel 1630: le altre sarebbero state dipinte da Giovanni Martini da Udine. Nel 1780 l'edifizio fu nuovamente costruito con l'eredità di Lorenzo Gabbuggiani. CROCIFISSO DA' VECCHIETTI [1607]. Il Richa (1) cita un testamento in data del dì 27 ottobre del- l'anno 1607, rogato da ser Andrea Anderlini, nel quale messer Giulio Rinaldi lascia scudi 46 al priore di San Leo, per messe da celebrarsi in questo oratorio. Nel 1674 si trova che ne sono pa- troni i Rinaldi (2), cui sembra se ne debba la costruzione in onore di un antico Crocifisso che era dipinto sulla parete della loro casa. Per la fabbrica dell'oratorio fu chiuso il vicolo che era detto ap- (1) Notizie isteriche delle Chiese fiorentine, tomo IV, pag. 157. (2) Arch. di St. fior., Capitani di Parte, 749, pag. 40. 284 LE CHIESE DI FIRENZE punto de' Rinaldi. Il vicolo corrispondeva dietro Santa Maria in Campidoglio e l'oratorio si disse poi da' Vecchietti per la prossi- mità del palazzo appartenente a questa famiglia. Fu demolito per il riordinamento del centro della città. SS. CONCEZIONE E SAN FILIPPO NERI (San Firenze) [i6 45 ]. Non appena i padri Filippini entrarono in possesso dell'antica chiesa di San Florenzio, pensarono tosto all' erezione di un vasto oratorio che dovesse servire, secondo la loro istituzione, alle adu- nanze dei fratelli secolari e dei giovanetti. Ne fu commesso il dise- gno a Pier Francesco Silvani e il dì 26 maggio dell'anno 1645, festa del Santo patrono, alla presenza del Granduca, del cardinale Carlo dei Medici e di molti nobili fiorentini, fu solennemente bene- detta la pietra fondamentale del nuovo grande oratorio, per mano dell'arcivescovo Pietro Niccolini, e con la pietra furono calate nei fondamenti alcune medaglie d'argento e di bronzo con l' effìgie di San Filippo Neri da un lato e dall'altro una iscrizione comme- morativa. Era appena terminata questa fabbrica, quando nel 1648 moriva Giuliano del sen. Giuliano de' Serragli, il quale, affezionato ài pa- dri Filippini e alla loro istituzione, lasciava loro in eredità il ricco suo patrimonio, con l' obbligo di fabbricare una vasta chiesa per i padri e di costituire il fondo per il mantenimento della congrega- zione, e che poscia pagati tutti i debiti della fabbrica l'eredità fosse ripartita fra altri pii stabilimenti. Fu allora ordinato a Pietro da Cortona il disegno della nuova chiesa e della casa, e il maestro lo fece così grandioso, che per metterlo in esecuzione bisognava com- prare una gran parte del borgo dei Greci. Perciò, sebbene si fossero già incominciate a scavare a Fiesole le grandi colonne di pietra, i SS. CONCEZIONE E SAN FILIPPO NERI 285 padri pensarono piuttosto a ingrandire il nuovo oratorio e ridurlo a comoda e pubblica chiesa, e così nel 1688 fu principiata la tribuna, che in breve tempo restò terminata, e nel 17 15 fu compiuta la chiesa, la cui facciata era stata disegnata da Ferdinando Ruggieri. Si comprarono e si demolirono diverse case contigue e si fece una comoda piazza. La chiesa è di vaga architettura e di eleganti proporzioni. La sua altezza, alquanto soverchia, è ripartita in due ordini di pi- lastri, corintii e compositi. Il primo sostiene una bella trabeazione e il secondo sorregge una semplice cornice sulla quale riposa un ricco e magnifico soffitto di legno dorato nel cui centro è un gran quadro rappresentante San Filippo Neri in gloria, eseguito dal Bonechi. Le finestre e gli altari sono scorretti, e tra i difetti si deve osservare che hanno due frontespizi, uno dentro l'altro. Tutto il pie- trame lavorato dall'anno 1668 al 1673 costò scudi 109 10. 2. 6. 8, che furono pagati ai fratelli Simone, Cosimo, Giovanni, Francesco e Antonio del fu Jacopo Masoni, scalpellini di Settignano (1). Gli altari sono decorati di pitture prive affatto di pregio. La ta- vola dell'altare maggiore non ha di buono che il gruppo della Con- cezione, che è di eccellente disegno, di morbido colorito, che si accosta alla più dolce maniera dei buoni maestri. Nella cappella detta della Madonna, dalla bella immagine della Vergine di Carlo Maratta, trovasi la stupenda tavola dello Stra- dano, sulla quale sono dipinti i diecimila martiri e che apparte- neva all'antica chiesa di San Florenzio. In questa cappella riposano le ossa del fiorentino Ven. P. Pietro Bini, fondatore dell'oratorio in Firenze, e del suo compagno il P. Francesco Cerretani. La chiesa, comunemente detta San Firenze, non fu consacrata che nell'anno 1848 in onore dell'Immacolata e di San Filippo Neri. (1) Arch. di St. fior., San Firenze, Giornale. I ELENCO DELLE PRINCIPALI OPERE CONSULTATE Ambrosii (S.), Opera ed. cong. S. Mauri. Pav., 1686. Analecta Bollandiana. Bruxellis, 1886. Archivio storico. Firenze, 1842. Armellini, Lezioni di Archeologia cristiana. Roma, 1898. Arte e Storia. 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Pag. 23 San Giovanni, Santa Reparata e la sua torre .... » 57 Torre di Sant' Andrea » 68 Tavola di Taddeo Gaddi già esistente in San Michele . » 73 Madonna bizantina di Santa Maria Maggiore .... » 87 Affresco della cappella Orlandini in Santa Maria Maggiore. » 91 La Badia a' primi del secolo XV » 109 Chiesa di San Martino del Vescovo » 122 Chiesa di San Leo » 124 Affresco della facciata di Santi Apostoli » 159 Portafuoco del secolo XV » 163 Chiesa di San Bartolommeo » 193 Chiesa di San Michele in Palchetto » 198 Tavola di Pacino di Buonaguida già esistente in San Fi- renze » 203 Chiesa di Santa Maria in Campidoglio » 209 Bassorilievo di Luca Della Robbia in San Pier Buon- consiglio » 218 Madonna di Or San Michele (Dal Libro dei Lasciti) . » 227 Idem (Tavola del Tabernacolo). » 233 Idem (Dal Codice il Biadatolo) . » 239 Tabernacolo della Vergine Maria della Tromba ... » 271 IND ICE Pag. Dedica v Prefazione vii Le Chiese i Catalogo delle Chiese 9 Cataloghi degli Ospedali ... 14 Sant'Andrea 62 Sant'Apollinare . 148 Santi Apostoli 156 •Badia 105 San Bartolommeo 192 San Benedetto 126 San Bernardo in Palatio. ... 258 Santa Cecilia 82 Colonna di San Zanobi .... 48 SS. Concezione e S. Filip. Neri 284 San Cristoforo 134 » Croce al Trebbio 80 Crocifisso da' Vecchietti .... 283 San Donato de' Vecchietti . . 154 San Firenze 202 c San Giovanni Battista 36 San Giovanni Evangelista . . . 265 * San Jacopo tra' Fossi 207 San Leo 123 rSan Lorenzo 17 Madonna de' Ricci 280 Santa Margherita 127 Santa Maria Alberighi 219 Santa Maria del Bigallo. . . . 278 Santa Maria in Campo .... 196 Santa Maria in Campidoglio . 209 Santa Maria Ferlaupe 150 Santa Maria del Fiore 248 Santa Maria delle Grazie . . . 274 Santa Maria Maggiore 84 Pag. Santa Maria della Misericordia 267 Santa Maria della Misericordia Nuova 282 Santa Maria Nipotecosa. . . . 223 Santa Maria di Or San Michele 225 Santa Maria sopra porta ... 132 Santa Maria degli Ughi .... 199 b Santa Maria Maddalena in Pre- torio 244 San Martino del Vescovo. . . 118 San Matteo 276 San Michele Bertelde 141 San Michele in Orto 70 San Michele in Palchetto ... 197 San Michele dei Vicedomini . 221 •San Miniato tra le Torri . . . 138 San Niccolò Maggiore 261 • San Pancrazio 76 San Pier Buonconsiglio .... 217 San Pier Coelorum 116 San Pier Maggiore 97 San Pietro Scheraggio 150 San Procolo 129 Santa Reparata 54 San Remigio 136 San Romolo 145 San Rumilo 165 San Salvatore 125 Santi Simone e Giuda 213 Santo Stefano del Popolo. . . 95 Santo Stefano ad Pontem. . . 189 San Tomaso 212 Santa Trinità 167 Vergine Maria della Tromba . 269 San Vincenzo nell'episcopio . 220 iimi GETTY CENTER LIBRARY lIlpiMll 3 3125 00109 2036 Altre pubblicazioni dello stesso Autore: Notizie storiche intorno antiche immagini di Nostra Donna che hanno culto in Firenze e descrizione delle pitture che sono sulle porte e in molti tabernacoli della città, con estese nozioni sull'origine dei medesimi. Firenze, 1894. Edizione esaurita. La Croce nell'iconografia cristiana. Firenze, 1898. Opuscolo esaurito. Ricognizioni e Traslazioni delle reliquie di San Zanobi vescovo di Firenze. Firenze, 1900. Degli antichi Reliquiari di Santa Maria del Fiore e della Basilica di San Giovanni. Firenze, 1901. Le Chiese di Firenze dal Secolo IV al Secolo XX. — Voi. II. Quar- tiere di Santa Maria IsLovelìa. IN PREPARAZIONE: